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21 Marzo 2022


Osservatorio Corte EDU: febbraio 2022

Selezione di pronunce rilevanti per il sistema penale



A cura di Francesco Zacchè e Stefano Zirulia

Il monitoraggio delle pronunce è stato curato, questo mese, da Sara Prandi (artt. 2, 10, 14 Cedu e 3 Prot. Add. Cedu) e Violette Sirello (artt. 5 e 6 Cedu).

 

In febbraio abbiamo selezionato pronunce relative a: violenza di genere perpetrata dalla polizia, seguita da atteggiamento discriminatorio in fase di indagini e processuale (art. 2 e 14 Cedu); durata irragionevole della detenzione durante il procedimento estradizionale (art. 5 Cedu); diritto al confronto con i testimoni d’accusa sentiti in fase d’indagine in assenza di contraddittorio (art. 6 Cedu); interrogatorio condotto in assenza del difensore (art. 6 Cedu); condanna e annullamento di carica elettiva per propaganda terroristica in relazione a dichiarazioni alla stampa relative al conflitto turco-curdo (art. 10 Cedu, art. 3 Prot. Add. Cedu); condanna per ingiuria pubblica in relazione a vignetta satirica relativa all’Olocausto (art. 10 Cedu).

Segnaliamo ai lettori dell'Osservatorio Cedu l’entrata in vigore del Protocollo n. 15 della Convenzione, ratificato da tutti gli Stati membri del Consiglio d’Europa, che riduce da 6 a 4 mesi il termine di decadenza per proporre ricorso alla Corte europea, sempre a decorrere dalla pronuncia definitiva della giurisdizione nazionale secondo il principio dell’esaurimento delle vie di ricorso interne. La modifica è in vigore dal 1° febbraio 2022 e trova applicazione soltanto rispetto ai casi in cui la pronuncia nazionale definitiva è stata resa a partire da quella data in avanti.

 

 

ART. 2 CEDU

C. Eur. Dir. Uomo, Sez. V, 10 febbaio 2022, A e B c. Georgia

Diritto alla vita - violenze di genere perpetrate da un membro della polizia - assenza di indagini adeguate - mancata attivazione delle misure di protezione nazionali - violazione

Le ricorrenti, madre e figlia di una donna georgiana uccisa dall’ex marito dopo numerosi episodi di violenza domestica, ricorrevano alla Corte EDU denunciando la violazione dell’art. 2 CEDU (diritto alla vita) nonché dell’art. 14 CEDU (divieto di discriminazioni) per l’inerzia delle autorità nazionali nel fornire tutela preventiva e successivamente nel condurre un’indagine effettiva sulle violenze perpetrate dall’uomo, membro della polizia locale; nonostante le numerose denunce sporte negli anni, le forze dell’ordine non si erano mai seriamente attivate a tutela dell’incolumità della donna, mantenendo un atteggiamento non solo inerte ma financo accondiscendente nei confronti dell’autore delle violenze. Oltre a non subire ripercussioni legali o disciplinari, infatti, l’uomo aveva ricevuto una promozione pochi giorni prima dell’omicidio. La Corte ravvisa una violazione dell’art. 2 CEDU, sotto il profilo procedurale e sostanziale, in combinato disposto con l’art. 14 CEDU (si veda infra art. 14 CEDU): dal punto di vista procedurale, i giudici evidenziano che le autorità competenti non hanno mai tentato di stabilire, neppure sul piano disciplinare, le responsabilità degli ufficiali di polizia per l’atteggiamento inerte tenuto a fronte dei plurimi episodi di violenza di genere denunciati prima dell’assassinio. Inoltre, nessuna iniziativa volta ad una migliore formazione di tali ufficiali è stata intrapresa in seguito alle gravi violazioni riscontrate (§ 44). Dal punto di vista sostanziale, la Corte sottolinea invece come le autorità abbiano gravemente sottovalutato la situazione di pericolo per l’incolumità della donna, omettendo di condurre un’analisi adeguata dei fattori scatenanti la violenza; gli errori e le leggerezze commesse nella raccolta di prove relative ad episodi di violenza domestica, in particolare, possono condurre a sminuire la portata di simili fatti, diminuendo le possibilità che si avvii un procedimento penale e disincentivando le vittime a denunciare simili episodi alle autorità (§ 47). La Corte nota, inoltre, che gli ufficiali non hanno mai fatto ricorso alle misure restrittive temporanee (es: ordini restrittivi) che l’ordinamento georgiano prevede a tutela della vittima di violenze di genere, né hanno mai informato la vittima dell’esistenza di simili misure (§ 48). La violazione, a parere della Corte, è resa ancor più grave dal fatto che l’autore delle violenze appartenesse alle forze dell’ordine: poiché è dovere dello Stato combattere ogni senso di impunità che possa derivare dalla qualifica ricoperta e mantenere alta la fiducia e il rispetto dei consociati verso le forze dell’ordine, gli Stati membri dovrebbero esercitare un controllo ancor più stringente nelle indagini in cui siano coinvolti membri della polizia, e punirli alla stregua di qualsiasi altro cittadino per la commissione di crimini gravi, tra cui rientrano certamente le violenze di genere e domestiche. (§ 48). Per i profili relativi alla violazione dell’art. 14, v. infra. (Sara Prandi)

Riferimenti bibliografici: R. Casiraghi, L’Italia condannata per non aver protetto le vittime di violenza domestica e di genere, in Riv. It. Dir. Proc. Pen., 2017, 3, pp. 1192 ss.; B. Fragasso, Le indagini in materia di violenza di genere: in capo agli inquirenti un onere investigativo rafforzato, in Riv. It. Dir. Pen. Proc., 2020, 4, pp. 2112 ss.

 

ART. 5

C. eur. dir. uomo, sez. V, sent. 3 febbraio 2022, Komissarov c. Repubblica Ceca

Durata irragionevole della detenzione durante il procedimento estradizionale imputabile a ritardi nel procedimento d’asilo richiesto dal detenuto – violazione

Il ricorrente, cittadino russo residente in Repubblica Ceca, lamenta la violazione dell’art. 5 comma 1 lett. f Cedu sotto il profilo della durata irragionevole della detenzione cautelare applicatagli in pendenza del procedimento d’estradizione verso la Russia. In breve, a seguito dell’arresto avvenuto in forza della richiesta d’estradizione russa, il ricorrente, detenuto, aveva avanzato alle competenti autorità ceche una domanda d’asilo, che aveva interrotto il procedimento estradizionale. Le plurime istanze, finalizzate all’applicazione di misure alternative alla detenzione, non erano state accolte dall’autorità giudiziaria, poiché lo status detentionis sarebbe potuto cessare soltanto nel caso di sospensione del decreto d’estradizione o di superamento dei termini massimi di durata della misura custodiale, a prescindere dal fatto che la detenzione fosse stata sofferta durante la definizione del procedimento d’asilo. Altresì, il detenuto a fini estradizionali non avrebbe potuto essere scarcerato per la sola ragione di aver avanzato una domanda d’asilo. Inoltre, i procedimenti – di estradizione e di asilo – prevedono, ciascuno, termini di definizione diversi e indipendenti fra loro (§ 10-15). L’eccessiva durata della detenzione subita in attesa di consegna - in uno con l’omessa valutazione da parte delle autorità nazionali circa l’applicabilità di misure alternative alla detenzione anche nell’ambito dei procedimenti estradizionali - determinerebbe, secondo il ricorrente, una violazione dell’art. 5 comma 1 lett. f Cedu (§ 38).  Richiamati i principi generali in materia di detenzione a fini estradizionali sanciti sin dalla nota pronuncia Khlaifia c. Italia (C. eur. dir. uomo, grande camera, 15 dicembre 2016, Khlaifia e altri c. Italia), la Corte europea rammenta la distinzione fra l’estradizione richiesta per consentire lo svolgimento di un processo e quella richiesta in vista dell’esecuzione di una sentenza di condanna definitiva: solo nel primo caso, le autorità dello Stato richiesto sono tenute ad agire con “speciale diligenza” (§ 45-46). Circa il momento a partire dal quale la detenzione diviene irragionevolmente lunga, così integrando una violazione del disposto convenzionale, vale un approccio casistico (§ 47). La previsione di termini massimi per la definizione di un procedimento – penale o amministrativo – rappresenta, tuttavia, uno dei fattori da prendere in considerazione per valutare se la legge interna è sufficientemente accessibile, precisa e prevedibile. Pertanto, ove la detenzione ecceda i termini massimi, può integrarsi una violazione del disposto convenzionale (§ 50-51). Ne deriva che, ai fini del computo della durata massima complessiva per la detenzione a fini di estradizione, va considerato anche il termine previsto per la conclusione del procedimento di asilo, il quale, se protratto oltre il suo limite massimo, rende la detenzione ingiustificata. Da qui la violazione dell’art. 5 comma 1 lett. f Cedu (§ 51-53). (Violette Sirello)

 

ART. 6

C. eur. dir. uomo, sez. I, sent. 10 febbraio 2022, Al Alo c. Repubblica Slovacca

Equità processuale – diritto al confronto con i testimoni d’accusa, sentiti in fase d’indagine in assenza di contraddittorio e successivamente espulsi dal territorio nazionale prima della celebrazione del dibattimento – violazione

La Corte europea torna a ribadire che sussiste la violazione dell’art. 6 comma 3 lett. d Cedu ove l’imputato venga condannato sulla base di dichiarazioni unilateralmente rese, durante la fase delle indagini preliminari, da persone informate sui fatti – che la difesa non abbia poi potuto esaminare nel dibattimento perché espulse dal territorio nazionale – e non siano state approntate idonee misure compensative del mancato contraddittorio. Nell’ambito di un procedimento penale volto a smantellare una rete di trafficanti di migranti, l’autorità di polizia slovacca – indentificato il ricorrente quale membro attivo della rete – interroga, in fase d’indagine, due migranti, reputati vittime di tratta, nella veste di persone informate sui fatti. Il ricorrente, indagato, sentito dalla polizia, non nomina un difensore né si avvale delle disposizioni del codice di procedura penale slovacco che gli conferiscono il diritto di assistere alle audizioni delle persone informate sui fatti durante le indagini e di esaminarle in presenza di fondati motivi idonei per ritenere che le stesse non sarebbero comparse in dibattimento (§ 5-6). Nel corso delle audizioni in fase d’indagine, le due vittime rendono dichiarazioni accusatorie nei confronti dell’indagato (§ 8). All’esito del processo, il ricorrente è condannato sulla base del contenuto di tali dichiarazioni, senza che tuttavia i due testimoni siano stati esaminati in contraddittorio durante il dibattimento perché, nel frattempo, erano stati espulsi dal territorio nazionale (§ 12-13).  Il ricorrente lamenta, pertanto, la violazione dell’art. 6 comma 3 lett. c e d Cedu, sotto il profilo della lesione al diritto di difesa e al confronto con i testimoni d’accusa (§ 30). Sostiene, in particolare, di non essere stato assistito da un difensore sin dal momento in cui aveva assunto la qualità d’indagato e di essere stato condannato sulla base di dichiarazioni accusatorie unilateralmente rese, in fase d’indagine, da testimoni a carico, che non aveva potuto poi esaminare in dibattimento. Ciò senza essere stato previamente informato del possibile impiego probatorio in dibattimento, in vista della condanna, di tali dichiarazioni sfuggite al contraddittorio. Lamenta, poi, l’assenza di idonee misure compensative, volte a tutelare i diritti procedurali dell’imputato lesi dal mancato contraddittorio (§ 32-34). Richiamati i principi espressi in materia di equità complessiva del procedimento e di diritto al confronto con i testimoni d’accusa nei casi C. eur. dir. uomo, grande camera, 15 dicembre 2015, Schatschaschwili c. Germania e C. eur. dir. uomo, grande camera, 15 dicembre 2011, Al-Khawaja e Tahery c. Regno Unito (§ 43-44), la Corte europea applica alla vicenda in esame i test elaborati in tali pronunce. In particolare, osserva che le plurime richieste, avanzate dalla difesa del ricorrente, di procedere all’accompagnamento coattivo dei testimoni d’accusa – di cui erano stati forniti i documenti d’identità e i possibili indirizzi – erano state rigettate dall’autorità giurisdizionale sulla base di pretesti infondati (quali l’impossibilità di contattarli a seguito dell’espulsione o l’assenza di un valido motivo per rientrare sul territorio slovacco), allorché ben avrebbero potuto essere applicati gli strumenti di cooperazione giudiziaria idonei a garantire l’esame dei testimoni a carico da remoto. L’attivazione di tali strumenti da parte delle autorità nazionali avrebbe potuto evitare l’acquisizione dei verbali dichiarativi redatti in sede d’indagine e consentire invece l’esplicazione del diritto al confronto, così configurandosi una negligenza in capo allo Stato convenuto (§ 46-54). La Corte europea osserva, poi, che il contenuto delle dichiarazioni rese dai testimoni a carico in sede d’indagine ha avuto un peso significativo e un ruolo essenziale ai fini della prova della colpevolezza del ricorrente e della condanna (§ 55). Infine, i Giudici di Strasburgo ribadiscono come un confronto con il testimone d’accusa già in fase d’indagine possa astrattamente rappresentare una misura compensativa idonea a bilanciare il mancato contraddittorio dovuto all’assenza del testimone durante il dibattimento (§ 56). Tuttavia, la sola previa notifica della possibilità di presenziare alle audizioni durante le indagini non garantisce, di per sé, il diritto al confronto con i testimoni d’accusa e il rispetto del canone convenzionale, se l’indagato non è stato previamente informato delle conseguenze derivanti dalla mancata partecipazione alle audizioni. Nel caso in esame, la mancata partecipazione del ricorrente alle audizioni dei testimoni d’accusa durante le indagini non può ritenersi indicativa di una rinuncia consapevole all’esercizio del diritto al confronto con gli stessi, dal momento che egli non era stato informato chiaramente e dettagliatamente né del diritto di esaminare già in quella sede i testimoni a carico né del fatto che, anche se non fosse comparso all’audizione, il contenuto delle dichiarazioni ivi rese sarebbe poi stato utilizzabile a fini di prova della colpevolezza in dibattimento (§ 60-65). Poiché alcuna misura compensativa effettiva è stata adottata nei confronti del ricorrente, la Corte europea ravvisa la violazione dell’art. 6 comma 1 e comma 3 lett. d Cedu, ritenendo assorbita la questione relativa alla lamentata violazione del diritto alla difesa tecnica (§ 67-68). (Violette Sirello)

Riferimenti bibliografici: S. Buzzelli, Violazione dei diritti di difesa tecnica e al confronto in Ucraina, in Riv. it. dir. proc. pen., 2017, 1, p. 348 ss.

 

C. eur. dir. uomo, com., sez. III, sent., 22 febbraio 2022, Schurmans c. Belgio

Equità processuale e diritto alla difesa tecnica – interrogatorio condotto in assenza del difensore – impiego delle dichiarazioni rese a fini di prova della colpevolezza - violazione

Sussiste la violazione dell’art. 6 commi 1 e 3 lett. c Cedu ove l’indagato non sia assistito dal difensore durante l’interrogatorio e sia, successivamente, condannato sulla base delle dichiarazioni ivi rese. Premesso che, all’epoca dei fatti contestati, la legge belga allora vigente (ante riforma del 2012) non prevedeva la necessaria assistenza difensiva durante le audizioni e gli interrogatori condotti nella fase delle indagini preliminari, la ricorrente lamenta l’iniquità della procedura sul fondamento dei principi espressi nella giurisprudenza Salduz (C. eur. dir. uomo, grande camera, 27 novembre 2008, Salduz c. Turchia) e Beuze (C. eur. dir. uomo, grande camera, 9 novembre 2018, Beuze c. Belgio) (§ 1-9). La Corte europea, rilevato che le dichiarazioni rese dalla ricorrente avevano rivestito un peso preponderante nella motivazione della condanna e indipendentemente dalla circostanza che le stesse fossero state raccolte in conformità con la legge processuale nazionale al tempo vigente, ravvisa la violazione dei canoni convenzionali (§ 10-19). (Violette Sirello)

Riferimenti bibliografici: F. Cassibba, Violazione della difesa tecnica ed equità processuale, in Riv. it. dir. proc. pen., 2017, 3, p. 1211 ss.

 

ART. 10 CEDU

C. Eur. Dir. Uomo, Sez. II, 8 febbraio 2022, Dicle c. Turchia

Libertà di manifestazione del pensiero - dichiarazioni alla stampa relative al conflitto turco-curdo - propaganda terroristica - non violazione

Nel 2007, Megmet Hatip Dicle, esponente politico turco, rilasciava alla stampa alcune dichiarazioni in merito alla questione curda, asserendo in particolare che le violenze del PKK (Partito dei Lavoratori del Kurdinastan), organizzazione qualificata dallo Stato come terroristica, dovessero ritenersi coperte da legittima difesa. Nel febbraio del 2009, la Corte di Assise speciale di Ankara condannava l’uomo alla pena della reclusione di un anno e 8 mesi per il delitto di propaganda terroristica; la condanna veniva in seguito confermata in Cassazione, e divenuta definitiva prima della formale elezione del ricorrente, comportava l’annullamento della sua nomina, intervenuta medio tempore. Il ricorrente adiva la Corte EDU, censurando la violazione dell’art. 10 CEDU (libertà di manifestazione del pensiero), dell’art. 3 Prot. Ad. 1 CEDU (diritto a libere elezioni) e dell’art. 14 CEDU (divieto di discriminazioni): la Corte, in primo luogo, rigetta le doglianze del ricorrente in punto violazione dell’art. 10 CEDU. Nonostante la libertà di manifestazione del pensiero costituisca uno dei fondamenti essenziali di una società democratica, l’art. 10 CEDU conosce limiti precisi, destinati a operare anche nei confronti degli esponenti politici in presenza di un “bisogno sociale imperativo” (§ 85-86). La Corte, in particolare, considera la lotta al terrorismo uno degli ambiti nel quale gli Stati possono assumere le misure necessarie a prevenire efficacemente il fenomeno, onde reprimere i fatti suscettibili di accrescere la violenza, perseguendo un equilibrio ragionevole tra la tutela della libertà di espressione e la protezione dell’ordine pubblico (§ 87): nel caso di specie, considerata la delicatezza della situazione, fonte di scontri violenti e di numerose vittime, il ruolo e la personalità del ricorrente, uomo politico già condannato in passato per l’appartenenza a un’organizzazione terroristica, la scelta dei termini impiegati nella dichiarazione nonché il fatto che la stessa fosse stata rilasciata a due quotidiani ad ampia tiratura, la Corte ritiene che la condanna riposi su motivi pertinenti e sufficienti a giustificare la necessità, in una società democratica, dell’ingerenza nel diritto alla libertà di espressione, ai sensi dell’art. 10 CEDU (§ 100). Per i profili relativi alla violazione dell’art. 14 e dell’art. 3 Prot. Ad. 1, v. infra. (Sara Prandi)

Riferimenti bibliografici: M. Crippa, La violazione della libertà di stampa nell’ordinamento turco: ancora una condanna della Corte EDU per la custodia cautelare dei giornalisti di un quotidiano antigovernativo, in Riv. It. Dir. Proc. Pen., 2021, 3, pp. 336 ss. G. Spinelli, La tutela della pace religiosa interna può giustificare limitazioni alla libertà di espressione, in Riv. It. Dir. Proc. Pen., 2019, 1, pp. 666 ss.

 

C. Eur. Dir. Uomo, Sez. V, 25 gennaio 2022, Bonnet c. Francia

Libertà di manifestazione del pensiero - vignetta satirica relativa all’Olocausto - ingiuria pubblica contro un gruppo di persone in ragione della loro origine etnica - negazione di uno o più crimini contro l’umanità - manifesta infondatezza

Il ricorrente, presidente dell’associazione “Égalité et Réconciliation” nonché titolare di un omonimo sito internet, vi pubblicava una vignetta in cui veniva rappresentata la prima pagina di un giornale, a parodia del settimanale “Charlie Hebdo”, intitolato “Chutzpah Hebdo”. La vignetta, corredata da alcune frasi allusive (come “Attentati: i sionisti sono sul posto” o “Storici confusi”), raffigurava il volto sorridente di Charlie Chaplin, posto davanti a una stella di David. Alla domanda posta da Chaplin (“Shoah, dove sei?”) rispondevano (“qui”, “là”, “anche là”) una saponetta, un’abat-jour, una scarpa senza lacci e una parrucca. In qualità di direttore della pubblicazione, Bonnet veniva condannato per il reato di ingiuria pubblica contro un gruppo di persone in ragione della loro appartenenza a una etnia, una nazione, una razza o una religione, e per il reato di negazione di uno o più crimini contro l’umanità, in ragione dei chiari riferimenti alla comunità ebraica e ai campi di sterminio nazisti. Esaurite le vie di ricorso nazionale, l’uomo si rivolgeva alla Corte EDU, lamentando la violazione del diritto alla manifestazione del pensiero, ex art. 10 CEDU, declinato in relazione all’espressione artistica e alla realizzazione di vignette umoristiche, caricaturali e satiriche. Nel pronunciarsi sulla questione, la Corte evidenzia come, già in altre occasioni, casi di discorsi negazionisti siano stati giudicati irricevibili, in quanto manifestamente infondati. In generale, infatti, mentre i discorsi relativi a questioni di interesse pubblico richiedono una forte protezione, quelli che giustificano o difendono la violenza, l’odio, la xenofobia o altre forme di intolleranza non sono normalmente protetti, perché cadono sotto l’art. 17 CEDU (abuso del diritto) (§ 38). Lo stesso art. 10 CEDU, d’altro canto, conosce limiti precisi, i quali trovano applicazione anche rispetto alla satira, forma di espressione artistica che, attraverso l’esagerazione o la deformazione della realtà, è naturalmente volta a provocare (§ 41): per quanto le sole reazioni negative o indignate non siano sufficienti a giustificare una limitazione della libertà di parola, anche queste forme espressive possono giustificare un’ingerenza statale in presenza dei requisiti di cui all’art. 10, comma 2, CEDU (§ 42). Nel caso di specie, in particolare, la Corte ritiene che la vignetta e il messaggio veicolato non contribuiscano in alcun modo ad un dibattito di pubblico interesse, ma giustifichino, all’opposto, la decisione delle autorità nazionali: oltre ad essere prevista dalla legge francese e volta al perseguimento di un fine legittimo e necessario per una società democratica, come stabilito dalla giurisdizione interna con motivi pertinenti e sufficienti (§ 48), l’ingerenza appare altresì proporzionata, alla luce della cornice edittale astratta e del trattamento sanzionatorio concretamente irrogato al ricorrente, limitato alla sola pena pecuniaria all’esito dei vari gradi di giudizio (§ 56). La Corte dichiara dunque irricevibili, perché manifestamente infondate, le doglianze relative alla violazione dell’art. 10 CEDU. (Sara Prandi)

Riferimenti bibliografici: L. Rossi, Dall’uso all’abuso: quando la libertà di espressione sconfina nel negazionismo, in Riv. It. Dir. Proc. Pen., 2020, 1, pp. 369 ss.

 

ART. 14 CEDU

C. Eur. Dir. Uomo, Sez. V, 10 febbaio 2022, A e B c. Georgia

Divieto di discriminazioni - carenze investigative e fallimento nel proteggere la vittima di violenze di genere - atteggiamento discriminatorio - violazione

Per la ricostruzione dei fatti e dei profili relativi al diritto alla vita, v. supra, sub art. 2. In relazione all’inerzia delle autorità nazionali nelle indagini e nella punizione di fatti gravi di violenza gender-based, la Corte rileva che, quando il contegno delle autorità non si limita a un semplice fallimento o ritardo nell’occuparsi di episodi di violenza, ma consiste in un generalizzato condono di tale fenomeno, esso riflette un atteggiamento discriminatorio verso le donne, suscettibile di determinare un clima favorevole alla proliferazione della violenza di genere (§ 49). Di conseguenza, la Corte ravvisa una violazione dell’art. 14 CEDU, letto in combinato con l’art. 2 CEDU. (Sara Prandi)

Riferimenti bibliografici: R. Casiraghi, L’Italia condannata per non aver protetto le vittime di violenza domestica e di genere, in Riv. It. Dir. Proc. Pen., 2017, 3, pp. 1192 ss.; B. Fragasso, Le indagini in materia di violenza di genere: in capo agli inquirenti un onere investigativo rafforzato, in Riv. It. Dir. Pen. Proc., 2020, 4, pp. 2112 ss.

 

C. Eur. Dir. Uomo, Sez. II, 8 febbraio 2022, Dicle c. Turchia

Diritto a libere elezioni – annullamento del verbale di elezione – discriminazione fondata sulla razza o l’origine etnica - non violazione

Per la ricostruzione dei fatti e dei profili relativi al diritto di manifestazione del pensiero, v. supra, sub art. 10; per i profili relativi al diritto a libere elezioni, v. infra, sub art. 3 Prot. Ad. 1. Quanto al divieto di discriminazioni fondate sulla razza o l’origine etnica del ricorrente, la Corte non ravvisa alcuna violazione dell’art. 14 CEDU, posto che la legge in materia elettorale risulta applicabile a qualsiasi cittadino a prescindere dalla razza, il colore, il sesso o l’origine etnica del candidato (§ 135) e non risulta che l’annullamento del verbale di elezione del ricorrente costituisca una differenza di trattamento fondata sulla razza o sull’origine etnica. (Sara Prandi)

 

ART. 3 PROT. AD. 1 CEDU

C. Eur. Dir. Uomo, Sez. II, 8 febbraio 2022, Dicle c. Turchia

Diritto a libere elezioni – annullamento a posteriori del verbale di elezione - condanna definitiva intervenuta prima della candidatura – non violazione

Per la ricostruzione dei fatti e dei profili relativi al diritto di manifestazione del pensiero e al divieto di discriminazioni, v. supra, sub artt. 10 e 14 CEDU. In relazione all’annullamento a posteriori della nomina del ricorrente a membro della Grande Assemblea Nazionale Turca da parte del Consiglio Elettorale Superiore (CES), la Corte rileva anzitutto che, in materia di elettorato passivo, gli Stati membri godono di ampia discrezionalità nello stabilire in astratto le condizioni di eleggibilità, purché le decisioni che ne constatano l’assenza non siano arbitrarie (§ 116). Nel caso di specie, in particolare, la Corte non ravvisa una violazione dell’art. 3 Prot. Ad. 1, poiché la condanna, prevista dalla legge quale impedimento assoluto all’elezione, era divenuta definitiva prima della candidatura e, pur essendone venuto a conoscenza, il ricorrente aveva omesso di informare il CES, competente a decidere dell’ammissione alla competizione elettorale (§ 124). (Sara Prandi)