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29 Marzo 2024


Osservatorio Corte EDU: febbraio 2024

Selezione di pronunce rilevanti per il sistema penale



 

A cura di Francesco Zacché e Stefano Zirulia

Il monitoraggio delle pronunce è stato curato, questo mese, da Candida Mistrorigo (artt. 2, 3, 5, Cedu) e Francesca Ertola (artt. 6 e 8 Cedu).

 

In febbraio abbiamo selezionato pronunce relative a: detenzione ordinaria di un detenuto affetto da disturbi psichiatrici (artt. 2, 3 Cedu); accerchiamento di polizia mediante la tecnica del kettling (art. 5, 10, 11 e 2 Prot. 4 Cedu); imparzialità del giudice e composizione del collegio (art. 6 Cedu); presunzione di innocenza e contenuto della sentenza di patteggiamento (art. 6 Cedu); conservazione dei dati da parte dei fornitori di servizi telematici (art. 8 Cedu); macellazione rituale e protezione degli animali (art. 9, 14 Cedu); racial profiling (art. 13, 14 e 8 Cedu).

 

ART. 2 CEDU

C. eur. dir. uomo, sez. I, 1° febbraio 2024, Pintus c. Italia

Mantenimento in detenzione ordinaria di un uomo affetto da disturbi psichiatrici – adempimento degli obblighi positivi discendenti dal diritto alla vita – non violazione.

Il ricorrente lamentava di essere stato trattenuto, nel corso dell’esecuzione di una condanna a sei anni di reclusione, per circa otto mesi tra il 2017 ed il 2018 in regime di detenzione ordinaria, nonostante l’incompatibilità delle sue condizioni di salute mentale con tale regime, essendo stato così esposto ad un rischio reale e immediato di suicidio. A gennaio 2018 il magistrato di sorveglianza aveva richiesto il trasferimento del soggetto presso un centro specializzato per persone affette da infermità mentale ritenute socialmente pericolose. La decisione era stata presa tenuto altresì conto di due rapporti psichiatrici relativi alla salute mentale del ricorrente in cui veniva riconosciuta l’infermità mentale ma non la totale incompatibilità del suo stato di salute con la detenzione ordinaria. Il Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria aveva però comunicato al magistrato di sorveglianza che l'Articolazione per la tutela della salute mentale (“ATSM”) non aveva disponibilità e aveva una lunga lista di attesa. Per non compromettere i progressi compiuti dal ricorrente durante il trattamento terapeutico a cui si era sottoposto prima dell'ultima detenzione e sebbene il trasferimento dei detenuti che scontano una pena superiore ai 4 anni in un centro esterno fosse vietato dall'articolo 47 c. 1 ter l. n. 26 luglio 1975, n. 354, il DAP aveva chiesto al magistrato di sorveglianza di prendere in considerazione un'esecuzione alternativa della pena. Nell’aprile 2018 il ricorrente si è procurato lievi tagli all'avambraccio sinistro con una lametta; successivamente il ricorrente ha commesso ulteriori atti di autolesionismo, dichiarando di aver voluto protestare contro il trasferimento in un centro psichiatrico e riferendo personalmente tutti gli atti al personale del carcere. In tutti i casi, l'amministrazione penitenziaria ha fornito le necessarie cure mediche e psichiatriche (che confermavano altresì l’incompatibilità delle sue condizioni di salute con il regime carcerario), il supporto psicologico e il monitoraggio delle sue condizioni di salute. A giugno 2018, una Onlus ha comunicato la propria disponibilità ad accogliere il ricorrente e lo stesso giorno il detenuto è stato trasferito. Relativamente ai principi di diritto rilevanti, la Corte europea ribadisce che il primo periodo dell'articolo 2 impone allo Stato anche di adottare le misure necessarie a proteggere la vita delle persone che rientrano nella sua giurisdizione (§46). Nel caso specifico del rischio di suicidio in carcere, sussiste un obbligo positivo dello Stato solo quando le autorità sapevano o avrebbero dovuto sapere che esisteva un rischio reale e immediato che un determinato individuo mettesse in pericolo la propria vita (§47) e che tale obbligo deve essere interpretato in modo da non imporre un onere insopportabile o eccessivo alle autorità: non bisogna perdere di vista l'imprevedibilità del comportamento umano e le scelte operative da compiere in termini di priorità e risorse (§49). Relativamente al caso specifico, secondo la Corte la detenzione di una persona affetta da disturbi psichiatrici in un carcere ordinario non solleva di per sé un problema ai sensi dell'articolo 2 (§50) e l'amministrazione penitenziaria aveva garantito l'accesso ai servizi dell'ATSM, in particolare un trattamento psichiatrico continuativo. Inoltre, ritiene rilevanti anche gli sforzi compiuti dalle autorità carcerarie per trovare una comunità terapeutica al di fuori del circuito penitenziario, dove il ricorrente è stato trasferito il prima possibile grazie a una decisione che anticipava i futuri sviluppi della giurisprudenza costituzionale (Corte cost., sent. n. 99 del 20 febbraio 2019). Alla luce di quanto sopra, la Corte ritiene che le autorità investite del caso abbiano fatto ciò che ci si poteva ragionevolmente aspettare da loro nelle circostanze del caso per evitare che il rischio per la vita del ricorrente si concretizzasse. (Candida Mistrorigo)

Riferimenti bibliografici: R. Casiraghi, l’accesso alle R.E.M.S. tra Corte di Strasburgo e Corte costituzionale, in Riv. it. dir. pen. proc., 2022, p. 846 ss; F.E. Manfrin, Violazione degli obblighi di protezione della vita e d’indagine: un recente caso di “frontiera” in materia di art. 2 CEDU, in Riv. it. dir. pen. proc., 2023, p. 804 ss.

 

ART. 3 CEDU

C. eur. dir. uomo, sez. I, 1° febbraio 2024, Pintus c. Italia

Mantenimento in detenzione ordinaria di un uomo affetto da disturbi psichiatrici – adempimento degli obblighi positivi discendenti dal divieto di pene inumane e degradanti – non violazione.

Per la sintesi dei fatti e i profili relativi all’art. 2 v. supra sub art. 2 Cedu. Invocando l'articolo 3 Cedu, il ricorrente sosteneva, inoltre, che il mantenimento della detenzione ordinaria, nonostante il parere contrario di medici specialisti, aveva impedito un adeguato trattamento terapeutico per la sua salute mentale, poi peggiorata. Per determinare se la detenzione di una persona malata sia conforme all'articolo 3, la Corte prende in considerazione il suo stato di salute e l'effetto delle modalità di detenzione sul suo sviluppo. Inoltre, nel valutare la situazione degli individui con problemi di salute mentale, tiene conto della loro vulnerabilità e, in alcuni casi, della loro incapacità di lamentarsi in modo coerente del trattamento subito e dei suoi effetti su di loro (§61). Per quanto riguarda il caso di specie, la Corte osserva inoltre che, se è vero che il ricorrente non è stato trasferito all'ATSM per mancanza di posti disponibili, dai documenti del fascicolo emerge che egli ha beneficiato di un programma di trattamento individualizzato per la sua patologia, che comprendeva visite regolari da parte di psicologi e psichiatri e la prescrizione di farmaci, finalizzati a porre rimedio ai suoi problemi di salute nonché a prevenirne l'aggravamento. Da ultimo, la Corte sottolinea la natura "pionieristica" dell'ordinanza del giudice competente del giugno 2018, che ha esteso l'applicazione dell'articolo 47ter § 1ter della legge sull'ordinamento penitenziario al ricorrente ben prima della sentenza della Corte costituzionale n. 99/2019 (§66). La Corte ritiene quindi che il ricorrente non sia stato sottoposto a un trattamento contrario all'articolo 3 Cedu. (Candida Mistrorigo)

Riferimenti bibliografici: P. Bernardoni, Detenzione e infermità psichica sopravvenuta: un problema europeo e una soluzione nazionale, in Riv. it. dir. pen. proc., 2019, p. 1065 ss.

 

ART. 5 CEDU

C. eur. dir. uomo, sez. V, 8 febbraio 2024, Aurey e altri c. Francia

Accerchiamento di manifestanti da parte delle forze dell'ordine (c.d. kettling) – limitazione della libertà personale – esclusione – irricevibilità.

Il caso riguardava il contenimento dei ricorrenti per diverse ore in Place Bellecour a Lione il 21 ottobre 2010, durante una manifestazione contro un progetto di riforma delle pensioni. Tra il 14 e il 22 ottobre 2010 si sono tenute a Lione diverse manifestazioni – spesso violente e caratterizzate da atti di guerriglia urbana – contro il progetto di riforma delle pensioni. La manifestazione del giovedì 21 ottobre 2010 era stata preannunciata alle autorità e i manifestanti iniziavano ad arrivare in Place Bellecour intorno alle 11. Verso ora di pranzo veniva messa in atto nella piazza una misura di c.d. “ingabbiamento” (c.d. “kettling”) con lo scopo di impedire ai "rivoltosi" che si erano radunati sulla piazza di unirsi alla manifestazione: la piazza veniva completamente chiusa e l'accesso veniva controllato dalle forze dell'ordine per evitare ulteriori intrusioni. Solo verso le 15.30 un centinaio di persone identificate come “non rivoltose” erano autorizzate a unirsi al corteo. La decisione di revocare la misura di chiusura di Place Bellecour veniva presa intorno alle 17 mentre i controlli d'identità nella piazza proseguivano fino alle 19.00. Invocando l'articolo 5 §1 (diritto alla libertà e alla sicurezza), i ricorrenti hanno sostenuto di essere stati privati della libertà in un modo che non era stato regolato dalla legge né giustificato. La Corte anzitutto ha ricordato che, in primis, la polizia deve godere di un certo margine di discrezionalità nell'adozione di decisioni operative e che l’articolo 5 non può essere interpretato in modo tale da impedire loro di adempiere al dovere di mantenere l'ordine pubblico e di proteggere la popolazione, a condizione che rispettino la protezione dell'individuo dall'arbitrio (§58). Secondo la Corte, inoltre, l'articolo 5§1 non riguarda le semplici restrizioni alla libertà di circolazione (disciplinate dall'articolo 2 del Protocollo n. 4). A tale riguardo la Corte ribadisce che la differenza tra privazione e restrizione della libertà è solo di grado o intensità, non di natura o essenza ed è anche rilevante il contesto in cui la misura viene adottata (§64). Rispetto al caso di specie, la Corte conclude ritenendo che, in ragione della sua durata e dei suoi effetti sui ricorrenti, la misura adottata dalle autorità non poteva considerarsi limitativa della libertà personale (§73). Questa parte del ricorso è stata pertanto respinta in quanto incompatibile con le disposizioni della Convenzione. (Candida Mistrorigo)

 

ART. 6 CEDU

C. eur. dir. uomo, sez. V, sent. 1° febbraio 2024, Ugulava c. Georgia (n. 2)

Equità processuale – imparzialità oggettiva – collegio giudicante della Corte Suprema formato da due giudici e dall’ex procuratore generale – violazione

Il ricorrente, leader di un partito di opposizione, lamenta la violazione del diritto a essere giudicato da un tribunale indipendente e imparziale per essere stato condannato dinnanzi alla Corte Suprema da un collegio giudicante di cui faceva parte l’ex procuratore generale (§ 22), in carica al momento della proposizione dell’appello e nominato membro della Supreme Court georgiana nelle more del giudizio di impugnazione (§ 23). La Corte europea ricorda che, affinché i tribunali possano ispirare al pubblico la fiducia, occorre tener conto delle norme che regolano l’organizzazione interna degli uffici (§ 56). Nell’ordinamento nazionale, il procuratore generale risulta gerarchicamente sovraordinato ai pubblici ministeri che hanno svolto le indagini ed esercitato l’azione penale nei confronti del ricorrente, potendo impartire direttive specifiche, richiedere informazioni e rimuoverli dai loro incarichi (§ 45-46). Sebbene non risultino prove di un suo diretto coinvolgimento (§ 59), i giudici di Strasburgo ritengono che la funzione precedentemente ricoperta dall’ex procuratore generale – anche considerato anche il particolare contesto politico in cui si è svolto il giudizio (§ 63-64) –   abbia irrimediabilmente compromesso l’imparzialità oggettiva dell’organo giudicante (§ 65) (Francesca Ertola)

Riferimenti bibliografici: R. Casiraghi, L’imparzialità del giudice fra precedenti valutazioni e influenze mediatiche, in Riv. it. dir. proc. pen., 2021, p. 747 ss.; L. Pressacco, Imparzialità del giudice e responsabilità del magistrato, ivi, 2018, p. 1837 ss.

 

C. eur. dir. uomo, com. sez. I, sent. 15 febbraio 2024, Kratky c. Slovacchia

Presunzione d’innocenza – la sentenza di patteggiamento nei confronti di uno dei concorrenti conteneva le generalità e chiari riferimenti alla colpevolezza del ricorrente, all’epoca ancora imputato – violazione

Il caso riguarda la lettura, nel corso di un’udienza pubblica e alla presenza a numerosi giornalisti, della motivazione della sentenza di patteggiamento per il reato di associazione a delinquere, emessa nei confronti di un concorrente e contenente chiari riferimenti alla colpevolezza del ricorrente, all’epoca ancora imputato (§ 10). La Corte europea osserva come, considerata la natura plurisoggettiva della fattispecie contestata, risulti per certi versi inevitabile fare riferimento, «in the factual description», alle condotte di soggetti terzi (§ 15). Il giudice interno non si è tuttavia limitato a descrivere un mero “stato di sospetto”, ma ha espressamente qualificato il ricorrente come un membro del sodalizio criminale (§ 16), indicandone le generalità complete, senza sostituire il nome e cognome con le sole iniziali e/o specificare che l’accertamento della sua responsabilità era oggetto di un diverso e separato procedimento (§ 17-18). Dal momento che le dichiarazioni accusatorie di un organo giudicante sono sottoposte a uno scrutinio più stringente rispetto a quelle rese da altre autorità (§ 20), i giudici di Strasburgo ritengono che vi sia stata una violazione della presunzione di innocenza ex art. 6 comma 2 Cedu (§ 22).

Riferimenti bibliografici: G. Caneschi, La presunzione d’innocenza negli atti del procedimento, tra affermazioni della Corte di Strasburgo e tentativi di codificazione interna (D.lgs. n. 188 del 2021), in Riv. it. dir. proc. pen., 2022, p. 891 ss.; V. Vasta, Presunzione di innocenza e pubblicità extraprocessuale, ivi, 2019, p. 1061 ss.

 

ART. 8 CEDU

C. eur. dir. uomo, sez. III, sent. 13 febbraio 2024, Podchasov c. Russia

Obbligo generalizzato per i fornitori di servizi telematici end-to-end di conservare i dati relativi alle comunicazioni e di fornire le chiavi di sicurezza necessarie per la relativa decrittazione – assenza di adeguate tutele rispetto ai possibili abusi da parte delle autorità inquirenti – violazione

L’ordinamento russo prevede in capo ai fornitori di servizi di comunicazione digitale (ICO) – tra cui figura anche Telegram (§ 6-7) – l’obbligo di conservare i traffic data relativi a tutte le conversazioni avvenute sui sistemi di messaggistica elettronica cifrata (§ 19-20), nonché di consentire l’acquisizione dei messaggi, fornendo le relative chiavi di decrittazione, entro dieci giorni dalla richiesta dell’autorità giudiziaria o di pubblica sicurezza (§ 24). Ad avviso del ricorrente, la normativa interna contrasta con i principi di legalità e proporzionalità in quanto impone un’archiviazione generalizzata dei dati esterni alle comunicazioni e del relativo contenuto per la durata, rispettivamente, di dodici e sei mesi (§ 35). Inoltre, prevedendo l’obbligo di fornire gli algoritmi per la “messa in chiaro” dei messaggi cifrati, il diritto interno consente potenzialmente l’acquisizione indiscriminata di tutte le conversazioni avvenute sull’applicazione Telegram (§ 38).Adita per la sospetta violazione dell’art. 8 Cedu, la Corte europea riconosce come la memorizzazione dei dati di traffico costituisca una grave ingerenza nella vita privata e familiare (§ 50-51), direttamente imputabile allo Stato russo in quanto, sebbene effettuata da soggetti privati (ICO), è imposta dalla legge (§ 52-53). Costituisce altresì una lesione della riservatezza l’acquisizione da parte delle autorità giudiziarie dei dati conservati dai fornitori di servizio (§ 55), a cui si accompagna il diritto di ottenere le informazioni per procedere alla decodificazione della messaggistica intercorsa (§ 56). In proposito, i giudici europei ricordano come il diritto interno debba fornire un'indicazione «chiara e dettagliata» (§ 63) dei presupposti in base ai quali le autorità pubbliche sono autorizzate a ricorrere a misure di sorveglianza segreta (§ 64) che possono considerarsi legittime unicamente se necessarie in una società democratica (§ 69). Alla luce dei principi elaborati dalla giurisprudenza in materia di mass surveillance, la Corte di Strasburgo ritiene che la normativa russa non rispetti le garanzie prescritte dalla Cedu. L’archiviazione dei traffic data e delle chat non è infatti subordinata alla sussistenza di un ragionevole sospetto di un coinvolgimento degli utenti in attività criminali o che mettono in pericolo la sicurezza nazionale (§ 70). Al tempo stesso, l’acquisizione dei dati esterni e/o del contenuto delle conservazioni da parte delle autorità giudiziaria o di polizia non è subordinato a un controllo giurisdizionale, preventivo o successivo (§ 72), né sono previsti rimedi adeguati a prevenire o contrastare possibili abusi (§ 74) Da ultimo, per quanto riguarda l’obbligo in capo agli ICO di trasmettere gli algoritmi necessari per decifrare le comunicazioni elettroniche, ad avviso della C.edu, tale misura rischia di compromettere la riservatezza degli utenti di Telegram, dal momento che non è possibile ottenere chiavi di cifratura associate a chat o utenze determinate (§ 76). L'indebolimento della crittografia attraverso la creazione di una backdoor generale renderebbe così tecnicamente possibile eseguire una «sorveglianza di routine» (§ 77), anche rispetto alle comunicazioni elettroniche di soggetti formalmente estranei a un procedimento penale (§ 78-79).

Riferimenti bibliografici: M. Pisani, Sorveglianza segreta e diritto alla privacy in Riv. it. dir. proc. pen., 2022, p. 7757 ss.; F. Ertola, Mass surveillance e diritto alla privacy, ivi, 2019, p. 653 ss.

 

ART. 9 CEDU

C. eur. dir. uomo, sez. II, 13 febbraio 2024, Executief Van de Moslims Van België e Altri  c. Belgio

Libertà di religione – Macellazione rituale – Protezione del benessere degli animali – Tutela della "morale pubblica" – non violazione

La vicenda riguarda il divieto di macellazione “rituale” di animali senza previa sedazione nelle regioni fiamminghe e vallone del Belgio. Si tratta della prima volta in cui la Corte si è pronunciata sulla questione della tutela del benessere degli animali, collegandosi in tal modo a uno degli scopi enunciati nell’articolo 9. I ricorrenti sono 13 cittadini belgi e sette organizzazioni non governative con sede in Belgio che sostenevano di rappresentare le comunità e autorità musulmane e di fede ebraica residenti in Belgio. Nel paese la legge del 14 agosto 1986 sulla protezione e il benessere degli animali prevede che, salvo casi di forza maggiore o di necessità, i vertebrati non possano essere macellati senza essere anestetizzati o storditi. Questo requisito non si applicava, inizialmente, alla macellazione prescritta dal rito religioso. Nel 2014, in seguito a una riforma dello Stato, il benessere degli animali, che fino ad allora era di competenza dello Stato federale, è diventato una competenza regionale. A seguito di tale riforma, due regioni hanno adottato decreti (la Regione fiamminga e la Regione vallona) che pongono fine all'eccezione che consentiva la macellazione rituale degli animali senza sedazione, mentre altre regioni (come la Regione di Bruxelles-Capitale) ha mantenuto l’eccezione per il rito religioso. Davanti alla Corte europea i ricorrenti lamentavano che il loro diritto alla libertà di religione era stato violato a causa del divieto di macellazione rituale di animali senza previo stordimento previsto dai relativi decreti delle regioni. Per i giudici di Strasburgo la tutela della morale pubblica cui fa riferimento l'articolo 9 §2 della Convenzione non può essere intesa come finalizzata unicamente alla protezione della dignità umana nei rapporti tra gli individui in quanto il concetto di "moralità" è intrinsecamente in evoluzione (§96). A questo proposito in molti paesi (tra cui il Belgio) la promozione della protezione e del benessere degli animali può essere considerata un valore morale condiviso e, di conseguenza, può essere ricollegato alla morale pubblica. Ai sensi dell'articolo 9 §2 inoltre, qualsiasi interferenza con l'esercizio del diritto alla libertà di religione deve inoltre essere "necessaria in una società democratica". L'ingerenza è considerata "necessaria" se risponde a una "pressante esigenza sociale", se è proporzionata allo scopo legittimo perseguito e se le ragioni addotte dalle autorità nazionali per giustificarla appaiono "pertinenti e sufficienti" (§103). Sul punto la Corte ha ritenuto che in circostanze come quelle del caso di specie deve essere concesso alle autorità nazionali un margine di apprezzamento, ciò in quanto tali situazioni risultano caratterizzate da una parte dalle relazioni tra lo Stato e le religioni e, dall'altra, dall’assenza di un chiaro consenso all'interno degli Stati membri altresì correlato ad una graduale evoluzione a favore di una maggiore protezione del benessere degli animali. A questo proposito, la qualità dell'esame parlamentare e giudiziario a livello nazionale è stata di particolare importanza: i decreti erano stati adottati a seguito di ampie consultazioni con i rappresentanti di vari gruppi ed erano stati compiuti sforzi considerevoli delle legislature federale, fiamminga e vallona al fine di conciliare nel modo più efficace possibile gli obiettivi di promozione del benessere degli animali e del rispetto della libertà di religione. Si è quindi ritenuto che le autorità interessate si siano sforzate di soppesare i diritti e gli interessi in gioco e di trovare un giusto equilibrio tra di essi, e che la misura denunciata rientri nel margine di apprezzamento concesso alle autorità nazionali in questo settore (§118). La Corte ha concluso che, adottando i decreti che avevano avuto l'effetto di vietare la macellazione di animali senza sedazione preventiva, pur prescrivendo lo stordimento reversibile per la macellazione rituale, le autorità nazionali non avevano superato il margine di apprezzamento loro concesso, ma avevano adottato una misura giustificata in linea di principio e che poteva essere considerata proporzionata all'obiettivo perseguito, ovvero la protezione del benessere degli animali come aspetto della "morale pubblica". (Candida Mistrorigo)

 

ARTT. 10 e 11 CEDU

C. eur. dir. uomo, sez. V, 8 febbraio 2024, Aurey e altri c. Francia

Accerchiamento dei ricorrenti da parte delle forze dell'ordine (“Kettling”) – limitazione della libertà di espressione – limitazione della libertà di riunione e di associazione – violazione

Per la sintesi dei fatti e i profili relativi alla limitazione della libertà personale e della libertà di circolazione v. supra, sub Art. 5 e infra, sub Art. 2 Prot. 4 Cedu. La Corte ha osservato che i ricorrenti, che erano stati rinchiusi in Place Bellecour nel pomeriggio del 21 ottobre 2010 a seguito della sua chiusura da parte delle forze dell’ordine, non avevano potuto prendere parte alla manifestazione contro la riforma delle pensioni(§104). La Corte ha concluso che il contenimento dei ricorrenti ha costituito un'interferenza con l'esercizio della libertà di riunione pacifica e della libertà di espressione (§106). Ribadendo inoltre che, sia ai sensi dell'articolo 11 che dell'articolo 10, qualsiasi misura restrittiva di tali libertà deve essere innanzitutto "prevista dalla legge", la Corte ha ritenuto, per le stesse ragioni poste alla bade della violazione dell'articolo 2 Prot. n. 4, che tale condizione non fosse stata soddisfatta nel caso di specie (§107-108)., ravvisando quindi una violazione dell'articolo 11, letto alla luce dell'articolo 10. (Candida Mistrorigo)

 

ARTT. 13, 14 e 8 CEDU

C. eur. dir. uomo, sez. III, 20 febbraio 2023, Wa Baile c. Svizzera

Racial profiling – Identificazione discriminatoria basata sul colore della pelle – mancanza di un rimedio effettivo – violazione.

Il caso di Wa Baile contro Svizzera ha riguardato un'accusa di profiling razziale durante un controllo d'identità alla stazione ferroviaria di Zurigo e i successivi procedimenti nei tribunali penali e amministrativi. Il ricorrente, Mohamed Shee Wa Baile, è un cittadino svizzero che nel 2015, mentre si recava al lavoro, era stato fermato per un controllo dell'identità da agenti della polizia municipale nella stazione ferroviaria di Zurigo. Il ricorrente in particolare segnalava che nessuna delle altre persone nella folla – quasi tutte bianche – era stata sottoposta a un controllo di identità. Infine, sosteneva di non aver ricevuto risposta alla domanda sul perché fosse stato fermato. Dall’episodio sono originati due procedimenti, uno di natura penale e uno di natura amministrativa. Il procedimento penale, durato dal 2015 al 2016, era stato avviato contro il signor Wa Baile per essersi rifiutato di rispettare gli ordini della polizia. A sua difesa sosteneva che il controllo dell'identità si era basato su una profilazione razziale e che non gli era stato spiegato il motivo del controllo. Il procedimento si era concluso con la condanna del ricorrente ad una multa di 100 franchi svizzeri. Sul fronte amministrativo il ricorrente era riuscito ad ottenere che il controllo fosse dichiarato illegittimo, ma senza esplicito riconoscimento del suo carattere discriminatorio. Invocando l'articolo 13, il ricorrente ha sostenuto che non era disponibile alcun ricorso effettivo per far esaminare il suo reclamo ai sensi dell'articolo 14 in combinato disposto con l'articolo 8. La Corte europea osserva che l'articolo 13 garantisce l'esistenza nel diritto interno di un rimedio che consenta di denunciare una violazione dei diritti e delle libertà sanciti dalla Convenzione, sebbene gli Stati contraenti godano di un certo margine di discrezionalità per quanto riguarda il modo in cui adempiono ai loro obblighi ai sensi di tale disposizione(§140). Relativamente al caso di specie, la Corte sottolinea come, sulla questione della discriminazione razziale, le corti amministrative nazionali non hanno riconosciuto alcuna forma di tutela al ricorrente. La Corte conclude quindi che il ricorrente non disponeva di un rimedio effettivo dinanzi ai tribunali nazionali attraverso il quale avrebbe potuto far valere la sua pretesa di essere stato sottoposto a un trattamento discriminatorio durante il controllo d'identità e la perquisizione che erano stati effettuati nei suoi confronti. (Candida Mistrorigo)

Riferimenti bibliografici: P. Concolino, Accompagnamento coattivo di polizia finalizzato all’identificazione e ricorso effettivo, in Riv. it. dir. pen. proc., 2022, p. 1359 ss.

 

ARTT. 14 e 8 CEDU

C. eur. dir. uomo, sez. III, 20 febbraio 2023, Wa Baile c. Svizzera

Racial profiling – Presunzione di trattamento discriminatorio durante un controllo d'identità – Assenza di prova contraria da parte del Governo – violazione

Per la sintesi dei fatti e i profili relativi alla violazione dell’art. 13 alla luce degli artt. 14 e 8, v. supra. Invocando l'articolo 14 (divieto di discriminazione) in combinato disposto con l'articolo 8 (diritto al rispetto della vita privata), il ricorrente ha sostenuto che il controllo d'identità e la perquisizione a cui era stato sottoposto costituivano una discriminazione a causa del colore della sua pelle. Per quanto riguarda l'onere della prova (§132), la Corte ha chiarito che, quando un richiedente ha stabilito l'esistenza di una differenza di trattamento, spetta al governo dimostrare che tale differenza di trattamento è stata giustificata. Rispetto al caso di specie la Corte ha in particolare sottolineato che alcuni organismi internazionali avevano segnalato casi di profiling razziale da parte della polizia in Svizzera, una constatazione che era stata ulteriormente corroborata dalle osservazioni presentate da alcuni dei terzi intervenuti quali Amnesty International. Pur mostrandosi consapevole di quanto sia difficile per gli agenti di polizia decidere – molto rapidamente e senza necessariamente avere il beneficio di chiare linee guida nazionali – se si trovino di fronte a una minaccia all'ordine pubblico o alla sicurezza, i giudici hanno concluso che, in quelle particolari circostanze, esisteva una presunzione, che il Governo non era riuscito a confutare, che il ricorrente fosse stato sottoposto a un trattamento discriminatorio (§134-136). (Candida Mistrorigo)

Riferimenti bibliografici: R. Casiraghi, L’Italia condannata per non aver protetto le vittime di violenza domestica e di genere, in Riv. it. dir. pen. proc., 2017, p. 1192 ss.

 

ARTT. 14 e 9 CEDU

C. eur. dir. uomo, sez. II, 13 febbraio 2024, Executief Van de Moslims Van België e Altri  c. Belgio

Protezione del benessere degli animali – Macellazione rituale – discriminazione per motivi religiosi – non violazione

Per la sintesi dei fatti e i profili relativi alla violazione dell’art. 9 v. supra sub art. 9 Cedu. I ricorrenti lamentano, inoltre, di aver subito una discriminazione nell'esercizio della loro libertà di religione a causa dei decreti contenenti l’obbligo di sedazione degli animali. I ricorrenti in primis lamentano di essere trattati in modo diverso da cacciatori e pescatori senza una giustificazione oggettiva, poiché questi ultimi sono esclusi dal campo di applicazione della normativa in questione e non sono obbligati a stordire preventivamente gli animali, sebbene anche la loro attività abbia un impatto sul benessere degli stessi. La Corte ha osservato che essi non avevano dimostrato di trovarsi in una situazione analoga o rilevantemente simile a quella dei cacciatori e dei pescatori. Come osservato anche dalla CGUE, poiché la macellazione rituale veniva effettuata su animali da allevamento, la loro uccisione avviene in un contesto distinto da quello degli animali selvatici che venivano abbattuti nell'ambito della caccia e della pesca sportiva (§146). Tutti i ricorrenti hanno inoltre lamentato di essere stati trattati alla stregua del resto della popolazione che non era soggetta a precetti alimentari religiosi (§148). La Corte ha osservato che i decreti prevedevano specificamente un processo di stordimento alternativo nel caso di metodi speciali di macellazione prescritti da riti religiosi: i decreti prevedevano uno stordimento reversibile e non letale. Nel caso di specie, quindi, non si può parlare di una mancanza di distinzione nel modo in cui sono state trattate le diverse situazioni. Per quanto riguarda la situazione dei ricorrenti ebrei rispetto ai musulmani, la Corte ha ritenuto, come la Corte costituzionale, che il semplice fatto che i precetti alimentari della comunità religiosa ebraica e quelli della comunità religiosa musulmana fossero di natura diversa non fosse sufficiente a farle ritenere che le persone di fede ebraica e musulmana si trovassero in situazioni significativamente diverse in relazione alla misura in questione in termini di libertà religiosa (§150). La Corte ha quindi ritenuto che non vi fosse stata alcuna violazione dell'articolo 14 della Convenzione, considerato in combinato disposto con l'articolo 9. (Candida Mistrorigo)

 

ART. 2 PROT. 4 CEDU

C. eur. dir. uomo, sez. V, 8 febbraio 2024, Aurey e altri c. Francia

Libertà di circolazione – principio di legalità – violazione

Per la sintesi dei fatti e i profili relativi alla violazione degli artt. 5, 10 e 11 v. supra sub art. 5 e artt. 10 e 11 Cedu. Invocando l'articolo 2 Prot. n. 4 Cedu (libertà di circolazione), i ricorrenti hanno sostenuto che la misura di kettling a cui erano stati sottoposti avesse violato la loro libertà di circolazione in un modo che non era stato né regolato dalla legge né giustificato dalle circostanze del caso in questione. Relativamente ai principi rilevanti per il caso di specie (§85 ss.), la Corte ha osservato che qualsiasi misura restrittiva del diritto alla libertà di circolazione deve essere prevista dalla legge, perseguire uno degli scopi legittimi di cui all'articolo 2 §3 del Protocollo ed essere necessaria per raggiungere tale scopo. In particolare, con l'espressione "previsto dalla legge" si richiede che la misura contestata abbia una base giuridica nel diritto interno e che essa debba essere accessibile ai contendenti e prevedibile nei suoi effetti. La Corte ha ribadito che, essendo il kettling una tecnica preventiva suscettibile di incidere sui diritti e le libertà fondamentali di manifestanti pacifici, è essenziale stabilire norme sul suo utilizzo, stabilendo con precisione in quali circostanze e condizioni può essere attuata, come deve essere eseguita e i limiti di tempo per il suo utilizzo (§92). .Stante l’assenza di un chiaro quadro giuridico di riferimento (§93), la Corte ha concluso che l'uso da parte della polizia della tecnica del kettling aveva costituito un'interferenza illegittima con il diritto alla libertà di movimento dei ricorrenti, sussistendo una violazione ai sensi dell'art. 2 Prot.  n. 4 Cedu. (Candida Mistrorigo)