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10 Ottobre 2023


Osservatorio Corte EDU: luglio-agosto 2023

Selezione di pronunce rilevanti per il sistema penale



 

A cura di Francesco Zacché e Stefano Zirulia

Il monitoraggio delle pronunce è stato curato, questo mese, da Ilaria Giugni (artt. 8, 10 e 41 Cedu) ed Ettore Crippa (artt. 6 e 8 Cedu).

 

In luglio e agosto abbiamo selezionato pronunce relative a: procedura per la revoca di immunità (art. 6 Cedu); condanna in contumacia (art. 6 Cedu); ricovero in RSA (art. 8 Cedu); pubblicazioni di immagini di soggetti sospettati di diffondere malattie sessualmente trasmissibili (art. 8 Cedu); dispositivi di riconoscimento facciale (art. 8, 10 Cedu); equa soddisfazione nel caso G.I.E.M. (art. 41 Cedu).

 

 

ART. 6 CEDU

C. eur. dir. uomo, sez. I, sent. 6 luglio 2023, Tuleya c. Polonia

Indipendente e imparzialità – revoca dell’immunità e sottoposizione del ricorrente a procedimento penale – garanzie dell’equo processo penale applicabili alla procedura di revoca dell’immunità – revoca disposta da giudice non indipendente – violazione

Il ricorrente, un magistrato assai noto per le posizioni critiche assunte nel dibattito pubblico sulle recenti riforme legislative avvenute in Polonia, viene indagato per avere, nell’esercizio delle funzioni, divulgato informazioni coperte dal segreto investigativo. Ai sensi del diritto nazionale, per poter esercitare l’azione penale nei confronti di un giudice, occorre che ne sia disposta la revoca dell’immunità all’esito di un’apposita procedura. Il pubblico ministero richiede, pertanto, la revoca dell’immunità e, dopo un primo rigetto per mancanza di un ragionevole sospetto circa la commissione del reato contestato, la domanda è accolta in secondo grado dalla Sezione disciplinare della Corte suprema, composta da giudici nominati dal Presidente della Repubblica su raccomandazione del Consiglio nazionale della magistratura (§§ 26-43). Sennonché, il ricorrente lamenta il difetto d’indipendenza del collegio giudicante (la Sezione disciplinare della Corte suprema), in quanto il Consiglio nazionale della magistratura, che ne aveva contribuito alla formazione, risultava composto interamente da membri eletti dal Parlamento, quando, invece, secondo la Costituzione, una quota consistente avrebbe dovuto essere riservata ai membri eletti dagli esponenti della magistratura. Da qui, l’asserita violazione dell’art. 6 § 1 Cedu (§§ 313-318). La Corte europea, anzitutto, evidenzia che la procedura di revoca dell’immunità, malgrado preceda l’esercizio dell’azione penale e, quindi, la formale assunzione della qualità d’imputato, presuppone comunque la contestazione di un fatto penalmente rilevante. Operano, pertanto, le garanzie previste nel procedimento penale, tra cui, per l’appunto, essere giudicato da un giudice indipendente e imparziale costituito per legge (§§ 277-300).  Ciò posto, l’elezione dei membri del Consiglio nazionale della magistratura sconta un’inosservanza del diritto nazionale che compromette l’indipendenza del collegio chiamato a decidere sulla revoca dell’immunità: l’ingerenza degli altri poteri dello Stato sul CNM influisce inevitabilmente sulla scelta dei componenti della Sezione disciplinare della Corte suprema. Inoltre, concludono i giudici di Strasburgo, manca una disciplina interna che permetta all’interessato di dedurre i vizi nella procedura di nomina dell’organo competente a giudicare sulla revoca dell’immunità. Ne deriva la violazione dell’art. 6 § 1 Cedu (§§ 333-345) (Ettore Crippa).

Riferimenti bibliografici: F. Ertola, Esigenze di imparzialità e processo penale, in Riv. it. dir. proc. pen., 2019, p. 2235 ss.; R. Casiraghi, Indipendenza e imparzialità del giudice nei procedimenti per reati ministeriali, in Riv. it. dir. proc. pen., 2018, p. 354 ss.

 

C. eur. dir. uomo, com. sez. I, sent. 31 agosto 2023, Shala c. Italia

Equità processuale – diritto di presenziare al processo – ricorrente dichiarato latitante e condannato “in contumacia” – mancanza di elementi da cui desumere che l’accusato fosse a conoscenza del procedimento a suo carico e che si fosse volontariamente sottratto alla custodia cautelare – assenza di un’effettiva rivalutazione del merito dell’accusa – violazione

Il ricorrente, considerato irreperibile, viene, prima, dichiarato latitante e, poi, condannato “in contumacia” con sentenza pronunciata dal Tribunale di Milano e divenuta irrevocabile nel 2002. Una volta rintracciato dalle autorità, propone impugnazione contro la sentenza chiedendo la riapertura del processo ab initio, adducendo di non essere stato a conoscenza del procedimento svolto nei suoi confronti, in quanto tutti gli atti erano stati notificati al difensore d’ufficio. Eccepisce, inoltre, l’incompetenza territoriale e chiede, infine, di essere ammesso al giudizio abbreviato. Nessuna richiesta viene, però, accolta dalla Corte d’appello, che conferma la sentenza di primo grado; pure il ricorso per cassazione è rigettato. A tal punto, il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 6 §§ 1 e 3 Cedu, per non aver potuto esercitare effettivamente il diritto di difesa (§§ 1-8). La Corte europea, richiamati i principi espressi nelle pronunce C. edu, grande camera, sent. 1° marzo 2006, Sejdovic c. Italia e sez. I, sent. 1° settembre 2016, Huzuneanu c. Italia, osserva come non sussistano elementi da cui desumere che il ricorrente fosse a conoscenza del procedimento a suo carico e che si fosse volontariamente sottratto alla custodia cautelare. È stata, dunque, pronunciata una condanna senza aver garantito il diritto dell’imputato di partecipare al giudizio (§§ 10-14).  Per salvaguardare l’equità processuale non basta che il processo si sia svolto con la presenza del difensore d’ufficio. Né assume rilievo aver concesso al ricorrente, successivamente, di accedere ai giudizi d’impugnazione, poiché ciò non gli ha permesso di recuperare il diritto alla prova, ai riti alternativi e di far valere l’incompetenza per territorio (§§ 15-16). In definitiva, il ricorrente non ha ottenuto un’effettiva rivalutazione del merito dell’accusa mossa nei suoi confronti. Da qui, la violazione dell’art. 6 §§ 1 e 3 Cedu (§§ 17-18).

Riferimenti bibliografici: H. Belluta, Corte europea e giudizio in absentia: senza conoscenza effettiva e rimedi efficaci, il processo è unfair, in Riv. it. dir. proc. pen., 2018, p. 1824 ss.

 

ART. 8 CEDU

C. eur. dir. uomo, sez. I, 6 luglio 2023, Calvi e C.G. c. Italia  

Amministrazione di sostegno – ricovero in RSA senza consenso – isolamento sociale – condizioni delle persone anziane e disabili escluse dalla vita della comunità ‒ scopo legittimo ‒ sproporzione ‒ violazione

Il ricorso ha ad oggetto l’applicazione della misura dell’amministrazione di sostegno nei confronti di una persona anziana ‒ C.G. ‒ e l’isolamento sociale derivato dal suo ricovero coatto in una residenza sanitaria assistenziale. Il ricorrente, cugino del ricoverato, lamenta, in nome proprio e per conto di quest'ultimo, una violazione dell'art. 8 CEDU, contestando il divieto imposto a C.G. di fare ritorno al proprio domicilio e di ricevere visite dall'esterno, salva autorizzazione dell'amministratore di sostegno e del giudice tutelare.  Preliminarmente, i giudici di Strasburgo riconoscono al ricorrente la capacità di agire dinnanzi alla Corte per conto di C.G., in ragione dell'incapacità del ricoverato di presentare direttamente il ricorso e del carattere di interesse generale della questione oggetto di giudizio (§§ 24-25). Al contempo, viene esclusa la ricevibilità delle doglianze presentate in nome proprio, per mancato esaurimento delle vie di ricorso interno (§§ 30-33). Quanto al merito del ricorso presentato per conto del ricoverato, la Corte ritiene che l'ingerenza nella vita privata di C.G., originata dall'applicazione della misura di sostegno e acuita dalla collocazione senza il suo consenso nella RSA, perseguisse lo scopo legittimo di proteggerlo dai rischi di indigenza, approfittamento altrui e indebolimento fisico e mentale, in conformità al secondo paragrafo dell'art. 8 CEDU (§§ 40-43). D'altra parte, secondo i giudici di Strasburgo, nel caso di specie non sarebbe stato garantito un adeguato bilanciamento fra il rispetto della dignità e dell'autodeterminazione della persona e l'esigenza di salvaguardarne gli interessi, anche a causa della carenza, nel procedimento interno, di garanzie effettive volte a prevenire gli abusi e a prendere in considerazione, per quanto possibile, volontà e preferenze dell'interessato (§§ 44-57). La flessibilità dell'istituto dell'amministrazione di sostegno, in sostanza, avrebbe consentito, nella vicenda di C.G., di perseguire finalità ordinariamente attribuite, salvo il rispetto di limiti molto rigorosi, alla misura assai più invasiva del T.S.O. (§ 58), causando una ingerenza nella sua vita non adeguata e sproporzionata. La Corte, pertanto, conclude che l'abusivo ricorso all'amministrazione di sostegno abbia concretato una violazione dell'art. 8 CEDU, cogliendo l'occasione per rammentare e condividere le preoccupazioni espresse dal Comitato europeo per la prevenzione della tortura circa le condizioni delle persone ricoverate nelle RSA.  A seguito della visita effettuata in alcune residenze italiane nella primavera del 2022, ricorda la Corte, il CPT ha concluso che, tenuto conto delle restrizioni associate al Covid-19 e dell'assenza di alternative possibili nella società, i residenti delle RSA ispezionate potevano di fatto essere considerati come privati della libertà (§§ 59-64) (Ilaria Giugni).

Riferimenti bibliografici: R. Casiraghi, L’accesso alle r.e.m.s. tra Corte di Strasburgo e Corte costituzionale, in Riv. it. dir. pen. proc., 2022, p. 896 ss.

 

C. eur. dir. uomo, sez. II, sent. 18 luglio 2023, D.H. e altri c. Macedonia del Nord

Rispetto della vita privata – prelievo coattivo di campioni biologici e pubblicazione, da parte degli organi di informazione, di foto scattate alle indagate all’ingresso della clinica – non violazione – pubblicazione sul sito web ministeriale delle fotografie delle indagate detenute presso la stazione di polizia – mancato riconoscimento del diritto al risarcimento del danno in sede civile – violazione

Le ricorrenti vengono arrestate dalla polizia, perché sospettate di diffondere malattie sessualmente trasmissibili, e il giorno successivo sono sottoposte a un prelievo coattivo di campioni di sangue, per verificare la presenza di patologie (§§ 2-7). Sennonché, alcune fotografie, scattate durante la detenzione nella stazione di polizia, vengono pubblicate sul sito web ministeriale senza celare l’identità delle indagate. La vicenda, così, riscuote notevole interesse mediatico e all’ingresso della clinica i numerosi giornalisti presenti diffondono nuove immagini sugli organi di informazione. Ritenendo leso il diritto alla riservatezza, le ricorrenti propongono un’azione civile nei confronti del Ministero per ottenerne la condanna al risarcimento del danno, ma la domanda, accolta in primo grado, viene respinta dal giudice d’appello. Rimaste insoddisfatte, le ricorrenti lamentano la violazione dell’art. 8 Cedu (§§ 14-20).  Chiamata a pronunciarsi, la Corte europea, anzitutto, esclude che la lesione del diritto alla riservatezza dipenda dall’effettuazione del prelievo di campioni ematici. È vero che l’intervento medico incide sull’integrità fisica della persona e, dunque, rileva quale ingerenza nella vita privata. Tuttavia, nel caso di specie, simile interferenza risulta compatibile con l’art. 8 Cedu, poiché è fondata su una base legale, persegue il legittimo scopo di proteggere la salute pubblica ed è conforme al principio di proporzionalità, in quanto i dati personali non vengono conservati per finalità diverse rispetto a quella per cui sono raccolti (§§ 49-54). Inoltre, circa la pubblicazione delle immagini delle indagate da parte dei media, trattandosi di foto scattate dai giornalisti al di fuori della clinica, difettano elementi di prova che permettano di considerare le autorità nazionali responsabili dell’ingerenza nella vita privata. Sotto questo profilo, perciò, la Corte non ravvisa una violazione dell’art. 8 Cedu (§§ 61-62).  Opposta, invece, è la conclusione con riguardo alle fotografie scattate alle ricorrenti durante la detenzione e pubblicate sul sito web del Ministero. Qui, la lesione del diritto alla riservatezza va attribuita alle autorità statali. Né è stato concesso alle ricorrenti un rimedio effettivo al nocumento patito: la Corte d’appello nazionale ha fondato il rigetto della domanda risarcitoria su una motivazione generica, senza neppure valutare la circostanza che le immagini delle persone arrestate fossero state divulgate rendendone nota l’identità. Da qui, la violazione dell’art. 8 Cedu (§§ 63-66). (Ettore Crippa)

Riferimenti bibliografici: F. Ertola, Ambiti di tutela della privatezza, in Riv. it. dir. proc. pen., 2022, p. 1745 ss.; P. Zoerle, La pubblicazione di immagini dell’imputato tra libertà di cronaca giudiziaria, diritto alla riservatezza e presunzione di innocenza, in Riv. it. dir. proc. pen., 2018, p. 343 ss.

 

ARTT. 8 e 10 CEDU

C. eur. dir. uomo, sez. III, 4 luglio 2023, Glukhin c. Russia

Libertà di espressione – Rispetto della vita privata – manifestazione pacifica in solitaria – uso di dispositivi di riconoscimento facciale – violazione

Il ricorrente è un cittadino russo protagonista di una manifestazione di dissenso solitaria nella città di Mosca: con l'intento di supportare l'attivista Konstantin Kotov, arrestato per ripetute contestazioni delle restrizioni imposte alla libertà di espressione dal governo russo, egli viaggiava a bordo di un vagone della metropolitana con una figura di cartone a grandezza naturale che rappresentava il militante detenuto nell'atto di brandire uno striscione in cui campeggiava la scritta «rischio fino a cinque anni per delle manifestazioni pacifiche». A seguito della dimostrazione, l'unità antiestremismo individuava il ricorrente, grazie a ricerche sistematiche effettuate su canali Telegram e all'uso di tecnologie di riconoscimento facciale installate presso le stazioni della metropolitana. Successivamente procedeva al suo arresto per l'illecito amministrativo di violazione della procedura stabilita per lo svolgimento di eventi pubblici, dopo averlo localizzato nuovamente a bordo di un treno, sempre grazie all'uso dei dispositivi di sorveglianza presenti sui trasporti pubblici. Con una decisione poi confermata in appello, infine, il Tribunale di Mosca condannava il ricorrente per mancata notifica alle autorità locali dell'intenzione di utilizzare nel corso della protesta un «oggetto rapidamente (de)assemblato». Il ricorrente, pertanto, adisce la Corte sostenendo che la condanna subita in sede amministrativa e il ricorso alla tecnologia di riconoscimento facciale ai fini del trattamento dei suoi dati personali abbiano violato gli artt. 8 e 10 CEDU.  I giudici di Strasburgo ritengono fondate le doglianze. A parere della Corte, l'impiego della figura di cartone costituiva una mera espressione delle opinioni del ricorrente su una questione di interesse pubblico, e la contestazione solitaria e pacifica messa in atto non costituiva certamente un pericolo per l'ordine pubblico. Di conseguenza, l'arresto del ricorrente e la sanzione amministrativa inflittagli devono ritenersi in violazione del suo diritto di esprimersi liberamente sancito all'art. 10 CEDU (§§ 54-56). Quanto all'utilizzo di dispositivi di riconoscimento facciale, per l'identificazione prima e per la localizzazione ai fini dell'arresto poi, la Corte ritiene che, in astratto, perseguisse il fine legittimo di prevenzione del crimine, pur non mancando di evidenziare lacune e garanzie insufficienti nella disciplina interna sul ricorso a tali tecnologie. Nel caso di specie, tuttavia, tenuto conto del carattere assolutamente pacifico della protesta realizzata dal ricorrente e dell'assenza di qualsivoglia minaccia per la sicurezza pubblica, l'uso del riconoscimento facciale risulta altamente intrusivo e costituisce una ingerenza nella vita privata non necessaria in una società democratica (§§ 89-91) (Ilaria Giugni).

Riferimenti bibliografici: F. Ertola, Mass surveillance e diritto alla privacy, in Riv. it. dir. pen. proc., 2019, p. 653 ss.

 

ART. 41 CEDU

C. eur. dir. uomo, Grande Camera, 12 luglio 2023, Giem s.r.l. e altri c. Italia

Equa soddisfazione – risarcimento per danno da confisca automatica di terreni lottizzati abusivamente – danno patrimoniale e non patrimoniale – criteri di calcolo

La vicenda trae origine dalla nota decisione C. eur. dir. uomo, Grande Camera, 28 giugno 2018, G.I.E.M. e altri c. Italia. In assenza di un accordo con il governo italiano all'indomani della condanna del nostro Paese, i ricorrenti adiscono la Corte per ottenere un’equa soddisfazione per i danni patrimoniali e non patrimoniali subiti in conseguenza della riscontrata confisca di beni immobili in violazione della Convenzione. Negata la sussistenza del rapporto di causalità fra la violazione dell'art. 6 CEDU rilevata nella pronuncia del 2018 e i danni patiti dai ricorrenti, e parimenti escluso che la lesione dell'art. 7 possa aumentare il quantum risarcibile (§ 43), i giudici di Strasburgo ritengono di potersi concentrare sulla quantificazione del danno relativo alle violazioni dell'art. 1 Prot. add. CEDU.  Preliminarmente, la Grande Camera rileva che, nonostante le analogie con la vicenda Sud Fondi S.r.l. e altri c. Italia, che pure ha riguardato la confisca di beni immobili in violazione dell'art. 7 CEDU e dell'art. 1 Prot. Add., nel caso in esame sussista una fondamentale differenza: mentre nella decisione Sud Fondi c. Italia le violazioni sono state riscontrate a causa dell’assenza di una base giuridica dei sequestri in questione, che li rendeva di conseguenza arbitrari, nel caso di specie le violazioni sono principalmente di natura processuale, derivanti unicamente dal fatto che le società ricorrenti non erano parti dei relativi procedimenti (§ 44).  Tanto premesso, la Corte riconosce che la lesione dell’art. 1 Prot. Add. CEDU ha innegabilmente causato ai ricorrenti un danno patrimoniale (§ 30). Considerato che i terreni e i fabbricati sono già stati loro restituiti, ritiene di tenere conto ai fini della liquidazione del danno dei seguenti fattori: (a) l’impossibilità di utilizzare i terreni; (b) il deterioramento dei fabbricati; (c) la perdita di valore dei beni precedente alla restituzione (§ 31). Sotto il profilo sub a), la Grande Chambre conferma il principio stabilito nella richiamata decisione Sud Fondi c. Italia: il danno per l’impossibilità di utilizzare un terreno deve basarsi sul suo probabile valore all’inizio della situazione lamentata, e può essere risarcito mediante il pagamento di una somma corrispondente agli interessi legali maturati a partire dalla data della confisca del bene (§§ 32-33). Quanto ai profili sub b) e c), invece, esclude che un risarcimento sia dovuto a tale titolo, rispettivamente a causa della costruzione dei fabbricati in violazione delle autorizzazioni amministrative (§ 41) e per assenza del nesso di causalità con le violazioni riscontrate (§§ 42-44). Infine, quanto al danno non patrimoniale, la Corte conclude che le violazioni rilevate abbiano causato, nei confronti delle società ricorrenti, dei loro amministratori e dei loro azionisti, un notevole disagio, quantomeno nello svolgimento degli affari quotidiani della società, tale da giustificare la concessione di risarcimenti tra i 30 e i 700 mila euro (§§ 45-47) (Ilaria Giugni).

Riferimenti bibliografici: E. Zuffada, La Corte europea giudica compatibile con la Convenzione la confisca del profitto del reato anche in assenza di condanna, in Riv. it. dir. proc. pen., 2020, p. 380 ss.