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18 Dicembre 2019


Osservatorio Corte EDU: novembre 2019

Selezione di pronunce rilevanti per il sistema penale



A cura di Francesco Zacchè e Stefano Zirulia

Il monitoraggio delle pronunce è stato curato, questo mese, da Edoardo Zuffada (artt. 3 e 1 Prot. Add. Cedu) e Francesco Zacchè (art. 6 Cedu).

 

In novembre  abbiamo selezionato pronunce relative a: obblighi positivi dello Stato di impedire trattamenti inumani e degradanti, anche sub specie di sofferenza psicologica (art. 3); condizioni di trattenimento di stranieri presso la zona di transito di un aeroporto (art. 3); espulsione di stranieri verso la Serbia (art. 3); diritto di difesa e mutamento della qualificazione giuridica in appello (art. 6); condanna fondata su dichiarazioni di un correo (art. 6); estensione della giurisdizione militare a soggetti civili (art. 6); congelamento di beni di soggetto imputato per reati bancari e principio di proporzionalità (art. 1 Prot. Add.).

 

 

ART. 3 CEDU

 

C. eur. dir. uomo, sez. III, 12 novembre 2019, A. c. Russia

Divieto di trattamenti inumani e degradanti – minore costretto ad assistere alle violenze subite dal padre in occasione dell’arresto – obblighi positivi dello Stato di prevenire trattamenti inumani e degradanti e di condurre indagini efficaci – violazione

Nell’ambito di una più vasta operazione sotto copertura di contrasto al traffico di stupefacenti, le forze di polizia russe procedevano all’arresto di un collega, il quale veniva in quel frangente violentemente percosso benché egli non avesse opposto alcuna resistenza. Le violenze avvenivano proprio di fronte alla figlia dell’arrestato, all’epoca dei fatti una bambina di nove anni, la quale, in seguito a quel drammatico evento, sviluppava gravi problemi psicologici. Le indagini avviate nei confronti dei poliziotti che avevano proceduto all’arresto venivano archiviate. La ricorrente presenta ricorso alla Corte edu sostenendo che l’immotivato utilizzo della violenza fisica nei confronti del padre durante l’arresto e il trattamento a lei riservato da parte degli agenti di polizia abbiano determinato una violazione dell’art. 3 Cedu (§ 45). La Corte europea, nel ricordare che ciascuno Stato membro deve adottare misure effettive a protezione dei minori e che le forze dell’ordine devono tenere in particolare considerazione la condizione di vulnerabilità psicologica propria dei bambini eventualmente presenti durante il compimento di operazioni di polizia (§ 55-56), accoglie le doglianze della ricorrente. Anzitutto, non è stata soddisfatta l’obbligazione positiva ricavabile dall’art. 3 Cedu, secondo cui lo Stato deve adottare misure adeguate a prevenire il rischio di trattamenti inumani e degradanti, a maggior ragione quando la potenziale vittima è un soggetto in condizioni di particolare fragilità psicologica ed emotiva, come ad es. un minorenne (§ 67). Inoltre, le autorità russe non hanno svolto indagini effettive per accertare le eventuali violazioni dagli agenti di polizia, essendosi accontentate della versione fornita dagli stessi agenti che avevano effettuato l’arresto (§ 66). (Edoardo Zuffada)

 

C. eur. dir. uomo, grande camera, 21 novembre 2019, Z.A. e altri c. Russia

Divieto di trattamenti inumani e degradanti – condizioni di detenzione di stranieri e di richiedenti asilo – trattenimento presso zona di transito in aeroporto – violazione

I ricorrenti, profughi provenienti da paesi dell’area mediorientale e subsahariana, venivano fermati all’aeroporto Sheremetyevo di Mosca e veniva loro proibito di entrare in territorio russo. Privati dei loro passaporti, tali soggetti venivano collocati nella zona di transito dell’aeroporto per un lungo periodo di tempo (per uno dei ricorrenti, la permanenza in quel luogo è durata quasi due anni). L’Alto Rappresentante per i diritti umani dell’ONU avrebbe poi riconosciuto che tre dei ricorrenti avevano diritto alla protezione internazionale. I ricorrenti lamentano la violazione dell’art. 3 Cedu in ragione delle miserevoli condizioni in cui sono stati costretti a vivere durante il periodo di permanenza all’aeroporto. In particolare, viene riportato che il letto a loro disposizione era costituito da un semplice materasso collocato per terra in una zona perennemente illuminata, affollata e rumorosa. Inoltre, viene allegato che le autorità russe non avevano messo a disposizione docce, aree all’aperto per l’esercizio fisico, e nemmeno un’assistenza sanitaria e legale (§ 40-44). La Corte edu, dopo aver ricordato che i trattamenti inumani e degradanti rilevanti ai sensi dell’art. 3 Cedu devono essere valutati alla luce di tutte le circostanze del caso concreto (§ 181-182) e che in caso di trattenimento di stranieri devono essere assicurate le necessarie tutele e la protezione prevista dalla Convenzione di Ginevra del 1951 (§ 183), ha riconosciuto una violazione della menzionata disposizione convenzionale, in ragione delle pessime condizioni di vita imposte ai ricorrenti per un considerevole numero di mesi (§ 191-197). (Edoardo Zuffada)

Riferimenti bibliografici: P. Bernardoni, Dalla Corte di Strasburgo nuovi criteri in materia di condizioni detentive ed art. 3 CEDU?, in Riv. it. dir. proc. pen., 2017, p. 345 ss.

 

C. eur. dir. uomo, grande camera, 21 novembre 2019, Ilias e Ahmed c. Ungheria

Divieto di trattamenti inumani e degradanti – espulsione di stranieri irregolari – violazione (profilo procedurale)

Divieto di trattamenti inumani e degradanti – condizioni di detenzione di stranieri e di richiedenti asilo – non violazione

I ricorrenti, due cittadini del Bangladesh, arrivavano in Ungheria passando per la Serbia e si fermavano nella zona di transito del comune di Röszke. Lì inoltravano domanda di asilo alle autorità ungheresi, le quali però respingevano la richiesta e ordinavano l’espulsione dei due immigrati. Rigettato l’appello, i due ricorrenti venivano condotti sul confine con la Serbia, e veniva loro intimato di ritornare nel paese di provenienza passando non già attraverso il checkpoint ufficiale, bensì attraversando una vasta area boschiva (§ 8). I ricorrenti lamentano la violazione dell’art. 3 Cedu sotto due profili. Anzitutto, sostengono che il trasferimento in Serbia li abbia sottoposti al rischio di trattamenti inumani e degradanti, sia perché non era certo che il paese di destinazione li accogliesse e garantisse loro di presentare domanda di asilo, sia perché vi era un serio pericolo di refoulement (§100). Inoltre, essi ritengono che le condizioni di vita nella zona di transito non abbiano raggiunto il mimino qualitativo richiesto dalla giurisprudenza di Strasburgo (§180). Con riferimento alla prima doglianza, la Corte edu ravvisa una violazione dell’obbligazione, gravante sugli stati ai sensi dell’art. 3 Cedu, di valutare il rischio di trattamenti inumani e degradanti nei casi di espulsione degli immigrati in un paese terzo. Nel caso di specie, infatti, le autorità ungheresi non hanno adeguatamente considerato l’opinione negativa espressa dall’Alto Rappresentante per i diritti umani rispetto al trattamento degli stranieri in Serbia e hanno anzi aggravato la situazione di pericolo inducendo i ricorrenti ad entrare in territorio serbo illegalmente (§ 152-163). È invece esclusa la violazione dell’art. 3 Cedu relativamente alle condizioni di vita durante il periodo trascorso nella zona di transito, posto che i ricorrenti avevano a disposizione spazi adeguati e una dieta adeguata, ed avevano altresì ricevuto supporto e consulenza da avvocati e rappresentanti dell’UNHCR (§ 190-194). (Edoardo Zuffada)

Riferimenti bibliografici: P. Bernardoni, Dalla Corte di Strasburgo nuovi criteri in materia di condizioni detentive ed art. 3 CEDU?, in Riv. it. dir. proc. pen., 2017, p. 345 ss.

 

 

Art. 6 CEDU

 

C. eur. dir. uomo, sez. V, 7 novembre 2019, Gelenidze c. Georgia

Equità processuale – parità delle armi – informazione sulla natura e sulle ragioni dell’accusa - mutamento della qualificazione giuridica in appello – preparazione della difesa - violazione

La ricorrente viene sottoposta a indagini per il delitto di “pronuncia di una decisione giudiziaria illegittima”, ai sensi dell’art. 336 c.p. georgiano: la ricorrente aveva deliberatamente sbagliato il calcolo della pena da infliggere a un imputato. Il processo di primo e di secondo grado vengono celebrati senza la presenza della ricorrente che si era rifugiata in Kazakistan e si concludono con la condanna a due anni di reclusione. Al suo ritorno in Georgia, la ricorrente appella la condanna poiché, nel frattempo, il Parlamento ha abrogato l’art. 336 c.p. Nel corso del nuovo giudizio, la procura chiede che l’originario illecito, ormai abrogato, venga riqualificato in abuso d’ufficio, ai sensi dell’art. 332 comma 1 c.p., nel presupposto che l’art. 336 c.p. fosse lex specialis rispetto all’art. 332 c.p. (§ 10). La tesi viene accolta dal giudice di merito che conferma la condanna della ricorrente a due anni di reclusione. L’impugnazione in Cassazione circa la violazione dei diritti defensionali intentata dalla ricorrente viene dichiarata inammissibile. Di qui il ricorso per violazione dell’art. 6 commi 1 e 3 lett. a e b Cedu, accolto dalla Corte di Strasburgo. Secondo la Corte Edu, le due fattispecie più sopra menzionate contengono definizioni evidentemente differenti (§ 33), di cui la seconda (ossia l’abuso d’ufficio) è stata prospettata all’imputata solo nelle battute conclusive dell’appello celebrato a suo carico (§ 35). Ne segue che la ricorrente è stata privata del proprio diritto a difendersi sulla nuova qualificazione giuridica, dato che l’emendatio iuris è risultata arbitraria e in violazione della parità delle armi (§ 38). (Francesco Zacchè).

Riferimenti bibliografici: F. Zacchè, Riqualificazione del fatto in Cassazione e diritto alla prova, in Riv. it. dir. proc. pen., 2018, p. 989.

 

C. eur. dir. uomo, sez. III, 12 novembre 2019, Adamčo c. Slovacchia

Equità processuale – mancata notificazione delle osservazioni della procura all’imputato appellante – condanna fondata in maniera decisiva sulle dichiarazioni di un correo che ha beneficiato di vantaggi sostanziali – mancanza di un controllo sulla credibilità del testimone – violazione

Nel caso segnalato, la Corte Edu ravvisa una violazione dell’art. 6 Cedu, avendo essa riscontrato due profili di criticità quanto al rispetto dell’equità processuale.

Anzitutto, in seguito all’appello del ricorrente, il pubblico ministero aveva depositato delle osservazioni scritte presso il giudice procedente, ma queste memorie non erano mai state notificate alla difesa, con il risultato d’impedire le eventuali repliche (§ 38-52).

In secondo luogo, la condanna si era fondata in maniera decisiva sulle dichiarazioni accusatorie di un complice il quale aveva beneficiato di numerosi vantaggi per ritrattare quanto dichiarato in precedenza (§ 69): nella specie, il procedimento per concorso in omicidio instaurato nei confronti del dichiarante era stato sospeso; inoltre, nei confronti del correo, era stata disposta la revoca della custodia cautelare, nonché chiuse le indagini preliminari senza elevazione dell’imputazione per un ulteriore omicidio. Secondo la Corte Edu, i vantaggi ottenuti dal dichiarante sono andati oltre una riduzione di pena in sentenza o in un beneficio economico, essendosi risolti in una sostanziale impunità della fonte di prova. In tale cornice, nel confermare la condanna nei confronti del ricorrente, il giudice d’appello avrebbe dovuto impiegare delle idonee garanzie dirette ad assicurare l’equità del procedimento (§ 70-71). (Francesco Zacchè).

 

C. eur. dir. uomo, sez. V, 28 novembre 2019, Mustafa c. Bulgaria

Equità processuale – tribunale indipendente e imparziale – connessione – imputato civile condannato dal giudice militare - violazione

Il ricorrente è coinvolto nella commissione di un reato commesso in concorso con più individui di cui uno solo è un militare e, perciò, viene giudicato in primo e in secondo grado da giudici militari. Nonostante la magistratura militare goda presso il Paese convenuto delle medesime garanzie d’indipendenza della magistratura ordinaria, il ricorrente si rivolge alla Corte di Strasburgo lamentando la violazione dell’art. 6 comma 1 Cedu. Sulla base della propria giurisprudenza, la Corte rammenta che la giustizia penale militare non dovrebbe mai estendersi ai civili a meno che non esistano delle “ragioni imperiose” che giustificano tale opzione. Il giudice europeo osserva, allora, che il codice di rito penale bulgaro prevede una competenza di fatto esclusiva dei tribunali militari per conoscere i delitti commessi congiuntamente dai militari e dai civili, anche al di fuori delle attività militari (§ 45). Tuttavia, a suo avviso, questo non basta ai fini del rispetto del dettato convenzionale, dovendosi accertare se vi siano altri elementi che giustificano l’esistenza di “ragioni imperiose” di deroga alla giurisdizione ordinaria. Nella specie, rileva la Corte Edu, il ricorrente faceva parte di un gruppo criminale di cui un solo membro aveva, all’epoca dei fatti, la qualità di militare, né vi era in gioco alcun delitto contro le forze armate, né contestata alcuna violazione contro la proprietà militare (§ 46). Alla luce di ciò, la giurisdizione militare non può essere considerata assoluta (del resto, a certe condizioni, niente escluderebbe la devoluzione dell’intera vicenda al giudice ordinario). Pertanto, conclude il giudice di Strasburgo, sono oggettivamente giustificati i dubbi sollevati dal ricorrente quanto all’indipendenza e all’imparzialità della giurisdizione militare. Da qui, l’inosservanza dell’art 6 comma 1 Cedu. (Francesco Zacchè).

Riferimenti bibliografici: R. Casiraghi, Indipendenza e imparzialità del giudice nei procedimenti per reati ministeriali, in Riv. it. dir. proc. pen., 2018, p. 354.

 

 

ART. 1 PROT. ADD. CEDU

 

C. eur. dir. uomo, sez. V, 7 novembre 2019, Apostolovi c. Bulgaria

Diritto di proprietà – congelamento dei beni nell’ambito di un procedimento penale – mancata valutazione delle condizioni di salute di un membro della famiglia dell’imputato – violazione

Il ricorrente veniva indagato dalle autorità bulgare per abusiva attività bancaria. Nell’ambito di tale procedimento penale, era ordinato il congelamento di numerosi conti correnti e di alcuni immobili di proprietà dell’imputato e della moglie. All’esito del processo penale, protrattosi per diversi anni, il ricorrente veniva riconosciuto colpevole del reato contestato e veniva condannato alla pena condizionalmente sospesa di un anno di reclusione. Tuttavia, nessuna multa o confisca veniva ordinata, e ciò in ragione delle gravi condizioni di salute di uno dei figli del reo, che avevano richiesto e richiedevano tuttora cure costose, e della prolungata durata del procedimento penale (§ 15). Il ricorrente contesta comunque la violazione del diritto di proprietà convenzionalmente protetto dall’art. 1 prot. add. Cedu rispetto al congelamento dei beni, per quanto attiene sia al suo diritto di difesa, sia alla mancata considerazione, da parte dei giudici competenti ad applicare la misura cautelare reale, della malattia del figlio, per la quale i genitori dovevano far fronte ad ingenti spese (§ 89). Con riferimento a quest’ultimo profilo, la Corte di Strasburgo riconosce una violazione della disposizione convenzionale richiamata. Sebbene, infatti, la metà dei beni sequestrati fossero stati entro breve tempo restituiti alla moglie e, dunque, il nucleo familiare non avesse patito un grave danno dall’esecuzione della misura reale, nondimeno i giudici della cautela non avevano adeguatamente motivato in punto di proporzionalità, mediante esplicitazione dei motivi per cui il congelamento dei beni non avrebbe causato al ricorrente un pregiudizio maggiore di quello che inevitabilmente consegue all’applicazione di un sequestro (§ 104). (Edoardo Zuffada)