Selezione di pronunce rilevanti per il sistema penale
A cura di Francesco Zacchè e Stefano Zirulia
Il monitoraggio delle pronunce è stato curato, questo mese, da Maria Crippa (artt. 3, 10, 11 e 13 in relazione all’art. 3 Cedu) e Pietro Zoerle (artt. 6 e 8 Cedu).
In novembre abbiamo selezionato pronunce relative a: utilizzo sproporzionato della forza durante un arresto (art. 3); rischio di persecuzione per l’orientamento sessuale e divieto di espulsione (art. 3); inutilizzabilità delle dichiarazioni estorte sotto tortura dai membri del sodalizio criminale (art. 6); mancata rinnovazione di una parte delle testimonianze rese in precedente procedimento (art. 6); rinuncia al privilegio del segreto professionale dell’avvocato da parte del soggetto assistito (art. 8); illegittimità della custodia cautelare applicata a giornalisti accusati di propaganda terroristica (art. 10); misure amministrative e penali incompatibili con la libertà di riunione (art. 11); insufficienza della somma riconosciuta a titolo di danno non patrimoniale per la violazione della dignità personale nel corso della detenzione (artt. 13, 3).
ART. 3 CEDU
C. edu., sez. III, 10 novembre 2020, Navalnyy e Gunko c. Russia
Trattamenti degradanti – uso non necessario della forza durante l’arresto - assenza di resistenza parte da dell’arrestato - violazione
La vicenda riguarda l’arresto dei due ricorrenti in occasione delle proteste di Piazza Bolotnaya (Mosca) nel maggio 2012, vicenda già oggetto di diversi precedenti di fronte alla C. eur. dir. uomo. I ricorrenti lamentavano la violazione dell’art. 3 Cedu in relazione al loro arresto nel corso delle proteste, nonché alla successiva custodia presso la stazione di polizia e alla condanna in sede amministrativa per il mancato adempimento degli ordini impartiti dalle forze dell’ordine. V. B. Gunko sosteneva di essere stato arrestato, senza aver ricevuto alcun ordine preventivo da parte della polizia, mentre cercava di allontanarsi dall’area. A. A. Navalnyy, invece, lamentava di essere stato arrestato mentre era in procinto di salire sul palco per il proprio discorso, senza aver ricevuto alcun avvertimento dalle forze dell’ordine. Nel corso delle operazioni, inoltre, veniva spintonato dagli agenti, che gli torcevano violentemente il braccio e lo minacciavano ripetutamente. La C. eur. dir. uomo ha accolto il ricorso e ritenuto violato l’art. 3 Cedu nei confronti del solo Navalnyy. I giudici hanno evidenziato l’uso sproporzionato ed eccessivo della forza da parte degli agenti, alla luce dell’equipaggiamento in loro dotazione e della assenza di resistenza da parte del ricorrente. Secondo la Corte, la condotta così posta in essere dalle forze dell’ordine integra un trattamento degradante ai sensi dell’art. 3 Cedu, in violazione della dignità del ricorrente. (Maria Crippa)
Riferimenti bibliografici: A. Aimi, La mancata punizione dei torturatori di Bolzaneto: una nuova macchia sulla “fedina convenzionale” dello Stato italiano, in Riv. it. dir. proc. pen., n. 1/2018, p. 351.
C. edu, sez. III, 17 novembre 2020, B. e C. c. Svizzera
Espulsione dello straniero – mancata valutazione del rischio di trattamenti inumani e degradanti a causa dell’orientamento sessuale dell’espulso – violazione
La vicenda riguarda B., cittadino gambiano residente in Svizzera dal 2008. Dopo il rigetto della propria domanda di asilo, nel 2014 egli proponeva istanza di ricongiungimento familiare al partner C., con il quale si era registrato come coppia di fatto omosessuale. Le autorità svizzere respingevano la richiesta e ordinavano l’espulsione di B; la decisione veniva motivata, in particolare, con la condanna a 18 mesi di reclusione subita dal ricorrente nel 2012 per tentata estorsione, danneggiamento, ingresso illegale nel territorio dello Stato. Le corti nazionali ritenevano, inoltre, non credibili le dichiarazioni di B. circa le persecuzioni subite nel paese d’origine a causa del proprio orientamento sessuale. La C. eur. dir. uomo ha accolto il ricorso nei confronti del ricorrente B., mentre non si è pronunciata nel merito nei confronti di C., deceduto nel 2019. La Corte ha innanzitutto evidenziato che la sussistenza del divieto di atti omosessuali nella legislazione gambiana non rende l’espulsione di B. per se contraria alla Convenzione. I giudici hanno, tuttavia, rilevato come le corti svizzere avessero mancato di verificare fattualmente l’attuale contesto sociopolitico del Gambia, ed in particolare l’elevato rischio di persecuzioni perpetrate da attori non statali nei confronti della comunità LGBT+, nonchè l’assenza di qualsiasi protezione da parte delle autorità gambiane. La C. eur. dir. uomo ha, in conclusione, ritenuto all’unanimità che l’ordine di espulsione del ricorrente nel proprio paese d’origine, in assenza di una seria determinazione del rischio di trattamenti inumani e degradanti a causa del suo orientamento sessuale, costituisse una violazione dell’art. 3 Cedu. (Maria Crippa)
Riferimenti bibliografici: S. Santini, Espulsione di stranieri affetti da gravi patologie: una pronuncia coraggiosa della Corte di Strasburgo, in Riv. it. dir. proc. pen., n. 1/2017 p. 360.
ART. 6 CEDU
C. eur. dir. uomo, sez. I, sent. 5 novembre 2019, Ćwik c. Polonia
Processo equo - inutilizzabilità delle dichiarazioni estorte sotto tortura di un privato cittadino - violazione
Il ricorrente è stato condannato per traffico internazionale di sostanze stupefacenti. In particolare, la sentenza si è fondata sulla testimonianza resa da un appartenente alla stessa banda criminale, che aveva deciso di collaborare con la giustizia per paura di rappresaglie nei confronti dei propri familiari. L’attendibilità delle sue dichiarazioni è stata valutata attraverso dei riscontri estrinseci, tra i quali ha assunto rilevanza una registrazione di un suo “interrogatorio”, compiuto da altri membri del sodalizio criminale, dopo averlo sequestrato e torturato per fargli svelare il luogo in cui era stata nascosta della droga e del denaro. I giudici polacchi hanno considerato tale prova legittimamente acquisita e utilizzabile, poiché - secondo la legislazione interna - rileva, come causa di inutilizzabilità, solo la coercizione fisica o psichica nei confronti di dichiarante compiuta da un pubblico ufficiale nell’ambito o ai fini del procedimento in corso. La Corte europea, dopo aver ricordato che le garanzie di cui all’art. 3 Cedu hanno un valore assoluto, imponendosi tanto allo Stato quanto ai singoli individui (§ 60 ss.), sottolinea che l’utilizzo di prove ottenute mediante la violazione di diritti fondamentali si ripercuote sull’equità complessiva del processo (§ 73). È vero che nella giurisprudenza europea sono state finora censurate violenze commesse da pubblici ufficiali per ottenere informazioni (§§ 74-76), ma la regola deve essere estesa anche agli atti di tortura compiuti da privati cittadini (§ 89). Perciò, nel caso di specie, l’utilizzo della registrazione delle dichiarazioni estorte con l’uso della violenza hanno reso nel suo complesso iniquo il processo, violando l’art. 6 comma 1 Cedu. (Pietro Zoerle)
C. eur. dir. uomo, sez. II, sent. 10 novembre 2019, Dan c. Moldavia (n° 2)
Equità processuale – nuova condanna del ricorrente basata su testimonianze rese nel processo precedente - mancata rinnovazione - violazione
Nel nuovo processo, celebrato dopo il primo ricorso europeo, il ricorrente viene riconosciuto ancora responsabile dei reati ascritti. Delle sette testimonianze sulle quali si era fondata la prima sentenza di condanna in appello, è stato possibile riassumerne solo tre, peraltro di agenti di polizia che si sono limitati a confermare quanto dichiarato in precedenza. La rinnovazione delle altre quattro è risultata impossibile per morte di uno dei testimoni e per irreperibilità degli altri. Perciò, si è data lettura in udienza delle dichiarazioni precedentemente rese. Inoltre, nel primo processo era stata prodotta la registrazione delle operazioni effettuate sotto copertura, che, però, non è stato possibile visionare una seconda volta per smarrimento delle relative cassette. La Corte europea sottolinea che, nel caso di testimonianze divenute impossibili, è certamente consentita la lettura delle dichiarazioni precedenti, ma la loro valutazione deve avvenire in un contesto di garanzie rafforzato (§ 54). Nel caso di specie, le uniche tre testimonianze rinnovate non erano prive di contraddizioni e i giudici non hanno adeguatamente motivato sul perché siano state considerate attendibili (§ 61). Per di più, le dichiarazioni lette di uno dei testimoni irreperibili hanno rappresentato la “prova decisiva” per la condanna e non risulta che siano stati effettuati sforzi sufficienti per garantire la partecipazione del testimone al processo (§ 65). Ad aggravare la situazione, si aggiunge lo smarrimento dei filmati compiuti durante la “consegna controllata”, alla quale è seguito l’arresto del ricorrente. Tutte queste circostanze consentono di dichiarare anche in ordine al nuovo processo la violazione dell’art. 6, comma 1, Cedu. (Pietro Zoerle)
Riferimenti bibliografici: H. Belluta, Overturning the acquittal in appello e giusto processo: la Corte europea esige la rinnovazione della prova, in Riv. it. dir. proc. pen., 2017, p. 886; L. Pressacco, Principio di immediatezza e divieto di reformatio in peius tra Strasburgo e Roma, ivi, 2017, p. 1552.
ART. 8 CEDU
C. eur. dir. uomo, sez. V, sent. 19 novembre, Klaus Müller c. Germania
Rispetto della vita privata - segreto professionale - rapporto tra avvocato e società - non violazione
Un avvocato tedesco ha prestato la propria attività professionale presso alcune società. Successivamente, gli ex-amministratori di tali imprese vengono imputati in alcuni processi penali. L’avvocato viene chiamato a rendere testimonianza, cui cerca di sottrarsi opponendo il segreto professionale. Il privilegio viene, però, disatteso dai tribunali tedeschi, rilevando che gli attuali amministratori delle società hanno liberato il legale dal vincolo di segretezza. Difatti, secondo la giurisprudenza nazionale - seppure con qualche oscillazione - tale garanzia si instaura tra società e professionista e non tra questo e le persone fisiche che rivestono il ruolo di amministratori al momento del conferimento dell’incarico. Ciò che conta è la volontà degli attuali vertici aziendali di rinunciare al segreto professionale. La Corte, dopo una disamina della legislazione e della giurisprudenza interne (§§ 42 ss.), conclude che le decisioni dei tribunali tedeschi di rifiutare il privilegio del segreto professionale sono risultate conformi a una base giuridica fondata e prevedibile (§ 58). Per di più, il ricorrente, testimoniando, non sarebbe stato esposto al rischio di una responsabilità disciplinare per violazione del segreto professionale (§ 59). Si sottolinea, poi, che la sanzione per il rifiuto di testimoniare ha perseguito lo scopo legittimo di procedere all’accertamento dei reati (§ 62) e, infine, che l’interferenza supera la verifica “della necessità in una società democratica”, trattandosi di una limitazione proporzionata (§ 69) e adeguatamente motivata dall’autorità giudiziaria (§ 73). Per queste ragioni, la Corte non registra una violazione dell’art. 8 Cedu. (Pietro Zoerle)
ART. 10 CEDU
C. edu, sez. II, 10 novembre 2020, Sabuncu et al. c. Turchia
Libertà di espressione e di stampa – arresto di dieci giornalisti di un quotidiano antigovernativo - illegittimità della custodia cautelare – violazione
I ricorrenti, dieci giornalisti o azionisti del quotidiano turco Cumhuriyet, lamentavano la violazione, tra gli altri, dell’art. 10 Cedu, in relazione alla custodia cautelare subita a causa di alcuni articoli di critica alle politiche del governo turco. In particolare, i ricorrenti venivano arrestati nel novembre 2016 con l’accusa di avere sostenuto, per tre anni e fino al colpo di Stato del 15 luglio 2016, la propaganda terroristica antigovernativa del Partito dei lavoratori del Kurdistan (PKK/KCK) e dell’Organizzazione del Terrore Gülenista (FETÖ/PDY). Tutti i ricorrenti venivano rilasciati, a seguito di istanze di cessazione delle misure cautelari, tra luglio 2017 ed aprile 2018, a causa della mancanza di un ragionevole sospetto circa la commissione del reato a loro addebitato (art. 100 codice di procedura penale turco). La Corte Costituzionale turca rilevava infine, a dicembre 2016 e a maggio 2019, la violazione delle libertà di espressione e di stampa nei confronti di due ricorrenti. La C. eur. dir. uomo ha accolto il ricorso, facendo proprie, in particolare, le osservazioni pervenute dal Commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa e dal Relatore Speciale delle Nazioni Unite per la promozione e la protezione del diritto alla libertà di opinione e espressione. I giudici hanno, innanzitutto, ricordato il ruolo fondamentale della stampa quale veicolo di partecipazione al dibattito pubblico nelle società democratiche, che nel sistema della Convenzione risulta soggetto a limiti stringenti quali la tutela della sicurezza dello Stato (art. 10, § 2 Cedu). La Corte ha sottolineato che l’imposizione della custodia cautelare e l’avvio di procedimenti penali nei confronti dei ricorrenti erano fondati sul reato di favoreggiamento di una organizzazione criminale, fattispecie severamente sanzionata dall’art. 220 del codice penale turco (reclusione da uno a tre anni, aumentati da un quarto alla metà in caso di gruppo armato). La gravità del reato contestato e la sua stretta correlazione con l’attività giornalistica svolta dai ricorrenti hanno costituito, secondo i giudici, una interferenza con l’esercizio della loro libertà di espressione. La Corte ha evidenziato l’illegittimità di tale compressione, non sussistendo nel caso di specie alcuno dei motivi richiamati dall’art. 10, § 2 Cedu. La C. eur. dir. uomo ha, quindi, dichiarato all’unanimità la violazione della libertà di espressione di cui all’art. 10 Cedu nei confronti di tutti i ricorrenti. (Maria Crippa)
Riferimenti bibliografici: L. Rossi, Dall’uso all’abuso: quando la libertà di espressione sconfina nel negazionismo, in Riv. it. dir. proc. pen., n. 1/2020, p. 369; M. Crippa, La pubblicazione di dichiarazioni diffamatorie altrui: la Corte Edu condanna l’Italia per la violazione del diritto di cronaca in relazione all’omicidio Tobagi, in Riv. it. dir. proc. pen., n. 2/2020, p. 1164.
ART. 11 CEDU
C. edu., sez. III, 10 novembre 2020, Navalnyy e Gunko c. Russia
Libertà di assemblea – obbligo positivo di assicurare lo svolgimento di proteste pacifiche - arresto e condanna per illeciti amministrativi – misure non necessarie in una società democratica – violazione
Per la sintesi della vicenda v. supra, sub art. 3 Cedu. I ricorrenti Navalnyy e Gunko lamentavano altresì che l’uso della forza da parte delle autorità russe per sedare le proteste avesse costituito una violazione del diritto alla libertà di riunione. La C. eur. dir. uomo ha in primo luogo ritenuto che le forze dell’ordine russe non avessero adempiuto al proprio dovere di assicurare il pacifico svolgimento delle proteste, come già evidenziato nelle precedenti decisioni sulle vicende di Piazza Bolotnaya. In secondo luogo, i giudici hanno rilevato la violazione della libertà di assemblea dei ricorrenti, in ragione del carattere sproporzionato degli arresti e delle condanne eseguiti nei loro confronti. Le corti nazionali non avrebbero, a tal proposito, fornito adeguata motivazione in ordine alla necessità delle misure adottate. Al contrario, tanto l’arresto violento di Navalnyy quanto la condanna in sede amministrativa di entrambi i ricorrenti hanno, secondo la Corte, perseguito l’evidente proposito di dissuadere l’opposizione politica e la partecipazione alle proteste. La C. eur. dir. uomo ha quindi dichiarato la violazione dell’art. 11 Cedu nei confronti di entrambi i ricorrenti.
Riferimenti bibliografici: P. Bernardoni, Libertà di riunione ed affiliazione ad un’associazione illegale: per la Corte di Strasburgo il limite è la prevedibilità della condanna, in Riv. it. dir. proc. pen., n. 1/2018, p. 359.
ART. 13 CEDU
C. edu, sez. V, 19 novembre 2020, Barbotin c. France
Inefficacia del rimedio compensatorio – insufficienza dell’importo riconosciuto a titolo di risarcimento dei danni non patrimoniali – eccessiva onerosità degli addebiti al ricorrente - violazione
Il ricorrente è un cittadino francese, detenuto da agosto 2008 a luglio 2010 nella prigione di Caen. Nel giugno 2010 Barbotin otteneva l’autorizzazione del tribunale all’espletamento di una perizia, che evidenziava le dimensioni inadeguate di una delle celle in cui era stato recluso per oltre quattro mesi (16 metri quadrati, da condividere con altri tre o quattro detenuti), nonché le condizioni deteriori della struttura, come la mancanza di luce e di areazione. Nel 2013 il tribunale amministrativo rilevava la violazione della dignità del ricorrente a causa delle condizioni di detenzione e quantificava il risarcimento del danno non patrimoniale subito in 500 euro, dai quali veniva tuttavia detratto il costo della perizia, pari a 773,57 euro. La C. eur. dir. uomo ha dichiarato all’unanimità la violazione del diritto del ricorrente ad un rimedio effettivo ai sensi dell’art. 13 Cedu, in relazione al divieto di trattamenti inumani e degradanti di cui all’art. 3 Cedu. La Corte ha ritenuto che il rimedio effettivo in principio riconosciuto a Barbotin, i.e. il risarcimento dei danni non patrimoniali, risultava neutralizzato dall’imputazione del costo della perizia in capo al ricorrente, che lo poneva addirittura in posizione di debitore nei confronti dello Stato. I giudici hanno sottolineato inoltre la modesta entità del risarcimento, molto inferiore alle somme solitamente quantificate in ipotesi simili. La decisione delle corti amministrative interne aveva, pertanto, privato il ricorrente del diritto ad un rimedio effettivo per i danni non pecuniari da costui subiti a causa della violazione della propria dignità durante la reclusione. La C. eur. dir. uomo ha, infine, preso atto delle riforme intraprese dallo Stato resistente per risolvere il problema del sovraffollamento carcerario, ed ha richiamato il ruolo primario della giurisprudenza (anche amministrativa) nell’attuazione del principio di sussidiarietà nel sistema della Convenzione. (Maria Crippa)