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29 Novembre 2022


Osservatorio Corte EDU: ottobre 2022

Selezione di pronunce rilevanti per il sistema penale



Osservatorio Corte EDU: ottobre 2022

Selezione di pronunce rilevanti per il sistema penale

 

A cura di Francesco Zacchè e Stefano Zirulia

Il monitoraggio delle pronunce è stato curato, questo mese, da Sara Prandi (artt. 2, 7, 8 e 10 Cedu, art. 2 Prot. 4 Cedu) e Francesco Zacché (art. 6 Cedu).

 

In ottobre abbiamo selezionato pronunce relative a: eutanasia (art. 2 e 8 Cedu); diritto al silenzio e privilegio contro le autoincriminazioni in procedimento tributario (art. 6 Cedu); legalità penale sub specie di conoscibilità e retroattività favorevole (art. 7 Cedu); libertà di manifestare il pensiero mediante atti esibizionisti (art. 10 Cedu); divieto di ingresso e permanenza in aree di conflitto (art. 2 Prot. 4 Cedu).

 

Art. 2 CEDU

C. Eur. Dir. Uomo, Sez III, 4 ottobre 2022, Mortier c. Belgio

Diritto alla vita - eutanasia - disciplina nazionale che assicura adeguate garanzie sostanziali e procedurali - rispetto della legge nel caso di specie - non violazione - obblighi procedurali - mancanza di indipendenza della Commissione federale per il controllo e la valutazione dell’eutanasia - lunghezza delle indagini penali - violazione

La Corte era chiamata a pronunciarsi sulla compatibilità convenzionale della disciplina belga in materia di eutanasia, in particolare in relazione al caso di una donna affetta da depressione cronica, ammessa alla procedura all’insaputa della famiglia; il figlio lamentava, dinnanzi alla Corte, plurime violazioni dell’art. 2 CEDU, per il mancato rispetto della legge nazionale in materia e per l’assenza di un’indagine approfondita ed effettiva sulle irregolarità denunciate alle autorità. La Corte, chiarito preliminarmente che la questione non riguarda la pretesa esistenza di un diritto a morire, ma piuttosto la compatibilità con la Convenzione dell’eutanasia praticata nel caso concreto (§127), precisa che l’art. 2 CEDU non può essere interpretato nel senso di impedire la depenalizzazione dell’eutanasia, laddove questa sia funzionale a garantire ai singoli dignità e libertà (§137-138). La depenalizzazione, ad ogni modo, deve essere realizzata prevedendo garanzie adeguate e sufficienti ad evitare abusi ed assicurare il rispetto del diritto alla vita: esaminata la disciplina belga, la Corte nega lesistenza di una violazione della Convenzione, in virtù della previsione di specifiche garanzie sostanziali e procedurali di accertamento della volontà del richiedente, oltre che di indipendenza e competenza degli specialisti coinvolti. La Corte evidenzia il fatto che, in casi come quello della madre del ricorrente, in cui è presente una sofferenza psichica e la morte non si verificherà a breve termine, la legge prevede garanzie aggiuntive (§153), quali un periodo di attesa obbligatorio tra la richiesta di eutanasia e la sua esecuzione, e l’intervento di un secondo esperto indipendente. La Corte ritiene che non possa dirsi violato l’art. 2 CEDU neppure sotto il secondo profilo di analisi, consistente nella verifica che il quadro normativo, astrattamente idoneo a garantire il diritto alla vita dei consociati, sia anche stato applicato correttamente nel caso di specie (§165): la donna aveva espresso in più occasioni, senza pressioni esterne, la sua ferma volontà di accedere alla procedura di eutanasia, in considerazione della condizione medica irreversibile in cui versava, fonte di una sofferenza mentale intollerabile e costante. In relazione all’obbligazione positiva di protezione, perciò, la Corte rigetta le censure del ricorrente, per cinque voti contro due. Al contrario, la Corte ravvisa all’unanimità una violazione dell’art. 2 della Convenzione sotto il profilo procedurale, per la mancanza di meccanismi idonei a garantire l’indipendenza del Comitato federale deputato a verificare, a posteriori, la correttezza sostanziale e procedurale della procedura (§178), oltre che per la lunghezza eccessiva delle indagini avviate a seguito della denuncia del ricorrente (§184). Per la ricostruzione dei profili relativi al diritto al rispetto della vita privata e familiare, v. infra, sub art. 8. (Sara Prandi)

 

Art. 6 CEDU

C. eur. dir. uomo, sez. IV, 4 ottobre 2022, De Legé c. Paesi Bassi

Diritto al silenzio e privilegio contro le autoincriminazioni - uso in un procedimento tributario di documenti bancari consegnati dal ricorrente su ordine del giudice, a pena di pagamento di una pena pecuniaria - documenti preesistenti a quelli richiesti al ricorrente - indicazione specifica dei documenti da consegnare - non violazione

Grazie ai rapporti di mutua assistenza in campo tributario, il fisco olandese ottiene dalla corrispettiva autorità belga una serie di documenti relativi a conti bancari aperti da propri cittadini in Lussemburgo. Questa documentazione era stata rubata da una banca del Granducato e ritrovata in Belgio nel corso di un’inchiesta penale. In forza di tale materiale, l’ufficio fiscale olandese chiede al ricorrente di dichiarare per iscritto i suoi conti esteri e allegare tutte le copie degli estratti conto compresi fra il 1995 e il 2000. Tuttavia, attraverso il suo avvocato, questi nega la propria collaborazione, facendo valere il privilegio contro le autoincriminazioni. L’ispettorato del fisco, di conseguenza, comunica al ricorrente l’importo da versare all’erario comprensivo delle tasse (presuntivamente) non pagate nel 1995 e nel 1996, e della sanzione pecuniaria per la mancata cooperazione. L’interessato, dapprima, si oppone alla richiesta di ragguaglio fiscale relativa al 1996, dubitando dell’esistenza dei documenti, ma il fisco mette questi ultimi a disposizioni del suo difensore. Quindi, viene contestato l’ammontare delle tasse non versate nel 1995, per la scarsa chiarezza della documentazione in possesso dell’autorità olandese. Nel frattempo, lo Stato cita il contribuente di fronte al giudice civile in una procedura di tipo ingiuntivo diretta a ottenere, entro un dato termine, le informazioni sui suoi conti bancari esteri a partire dal 31 dicembre 1995, pena la condanna a una sanzione pecuniaria di 5.000 euro per ogni giorno di ritardo, fino a un massimo di 50.000 euro. Il ricorrente non appella l’ingiunzione e compila i moduli che gli erano stati inviati in precedenza dalla agenzia delle entrate, allegando gli estratti conto e un sommario del suo portafoglio presso la banca lussemburghese. Alla luce del nuovo materiale, il giudizio di opposizione ancora pendente viene trasformato in una richiesta di aggiornamento d’ufficio degli importi da versare al fisco. Nella specie, l’ispettorato li riduce sensibilmente tanto per il 1995, quanto per il 1996, e conferma la sanzione per la mancata collaborazione. Le conseguenti impugnazioni contro siffatti provvedimenti non vanno a buon fine. Il ricorrente decide così di rivolgersi alla Corte di Strasburgo, sostenendo che i documenti sui conti bancari stranieri erano stati ottenuti con coercizione al fine di essere impiegati in un procedimento fiscale all’esito del quale gli sono state imposte delle sanzioni tributarie, in violazione del privilegio contro le autoincriminazioni. In merito alla sanzione irrogata per le tasse del 1995, tuttavia, il giudice europeo reputa la doglianza manifestamente infondata, perché l’ordine del giudice civile di dichiarare i conti bancari esteri riguardava quelli a partire dal 31 dicembre 1995. In sostanza, i documenti precedenti a tale data erano stati consegnati dal ricorrente senza alcuna coercizione. Quanto al 1996, invece, la Corte di Strasburgo considera: il ricorso ammissibile; la procedura tributaria, pacificamente, inquadrabile sotto il profilo penale dell’art. 6 Cedu; la questione rilevante nella prospettiva del diritto al silenzio e del privilegio contro le autoincriminazioni. A tale proposito, il giudice sovrannazionale, dopo aver rammentato la propria giurisprudenza in materia, si sofferma sull’operatività del nemo tenetur se detegere, nell’ipotesi in cui venga chiesto all’interessato di consegnare documenti sotto minaccia di una sanzione tributaria penale (nell’ottica convenzionale). E chiarisce che l’impiego delle prove reali nel relativo procedimento non viola il privilegio contro le autoincriminazioni quando le autorità sono in grado di mostrare che «la coercizione è finalizzata a ottenere specifici documenti preesistenti – quindi, documenti che non sono stati creati come risultato di una vera pressione per gli obiettivi di un’inchiesta penale – i quali documenti sono rilevanti per le indagini in parola e della cui esistenza quelle autorità sono consapevoli» (§ 77). Siffatta situazione, infatti, diverge da quella in cui «le autorità provano a costringere un individuo a fornire le prove di un reato che gli è addebitato forzandolo a consegnare documenti che esse ritengono esistere, nonostante non ne siano certe» (§ 77), eventualità quest’ultima che la C.edu ha definito di “fishing expeditions”. Tenuto conto di tali considerazioni, nella specie, i giudici europei concludono per la non violazione dell’art. 6 comma 1 Cedu: le autorità nazionali, infatti, erano consapevoli della preesistenza dei documenti richiesti al ricorrente, poiché esse avevano già accertato che il contribuente era titolare di conti correnti in una banca del Lussemburgo. In sostanza, per la Corte europea, la richiesta di documenti messa in atto dall’autorità olandese attraverso il procedimento ingiuntivo non si è tradotta in una “fishing expeditions”. (Francesco Zacchè)


Art. 7 Cedu

C. Eur. Dir. Uomo, Sez. II, 18 ottobre 2022, Mørck Jensen v. Danimarca

Nullum crimen sine lege - condanna per violazione del divieto di ingresso e permanenza in una specifica zona di conflitto - definizione chiara, accessibile e prevedibile - non violazione

Principio di retroattività - mutamento della legge al tempo della decisione in virtù di sopravvenienze di fatto - non violazione

Il ricorrente, cittadino danese, lamentava la violazione dell’art. 7 CEDU in relazione alla condanna per il reato di ingresso e permanenza non autorizzati in una zona di conflitto, ai sensi della sezione 114j del codice penale danese, per aver preso parte, tra il 2016 e il 2017, alle operazioni militari dell’Unità di difesa del popolo curdo (YPG) contro l’organizzazione terroristica Stato Islamico (IS), nel distretto siriano di al-Raqqa. Tale area geografica, in particolare, rientrava tra le zone individuate nell’Ordine Esecutivo n. 1200 del 28 settembre 2016, per cui era previsto un regime di ingresso subordinato a previa autorizzazione. La Corte rigetta, anzitutto, le censure di scarsa prevedibilità della norma, aderendo all’indirizzo dei giudici nazionali che, in tutti e tre i gradi di giudizio, avevano ritenuto che la formulazione letterale del divieto, unita alla mappa allegata all’Ordine Esecutivo, fossero sufficienti a ritenere soddisfatto il principio di legalità, anche sotto il profilo del rispetto dei requisiti di accessibilità e prevedibilità (§42-43). Appare irrilevante, a giudizio della Corte, che il ricorrente si trovasse nella zona per combattere un’organizzazione terroristica, e non anche per supportarla; come stabilito anche nei lavori preparatori della sezione 114j, la norma è finalizzata a incriminare l’ingresso e la permanenza in un’area in cui sia in corso un conflitto armato che veda coinvolto un gruppo o un’associazione terroristica, a prescindere dall’appartenenza del soggetto agente ad un fronte o all’altro (§41). In secondo luogo, il ricorrente contestava la violazione del principio di retroattività della legge più favorevole: un Ordine Esecutivo successivo, il n. 708 del 6 luglio 2019, aveva infatti escluso l’area di al-Raqqa dall’elenco delle zone in cui l’ingresso era soggetto a specifica autorizzazione, in ragione degli sviluppi della situazione bellica e della conseguente necessità di adeguare l’ambito geografico di applicazione dell’Ordine Esecutivo del 2016 (§47). Anche sotto tale profilo, la Corte non ravvisa una violazione dell’art. 7 CEDU. A differenza dei precedenti decisi dalla Corte, infatti, l’Ordine Esecutivo del 2019 non avrebbe inciso in alcun modo sulla legge penale o processuale, trattandosi di una modifica correlata al mero mutamento delle circostanze di fatto in Siria, senza riflessi sulla rilevanza penale dei fatti commessi tra il 2016 ed il 2017 (§52). (Sara Prandi)

Riferimenti bibliografici: S. Bernardi, La Corte Europea dei Diritti dellUomo sui criteri di individuazione della lex mitior ai sensi dellart. 7 CEDU, in Riv. it. dir. proc. pen., 2020, 2, 1168 ss.; C. Pagella, La Corte EDU esclude la violazione dellart. 7 in ragione della qualifica professionale dell'imputato: imprevedibilità delle pronunce in materia di prevedibilità soggettiva?, in Riv. it. dir. proc. pen., 2020, 3, 1628 ss.; P. Bernardoni, Terrorismo morale” e articolo 7 CEDU: la Corte di Strasburgo ritiene imprevedibile la spiritualizzazione del concetto di violenza operata dai giudizi turchi, in RIDPP, 2020, 2, 1157; M. Crippa, La prevedibilità delle condanne per genocidio politico” degli oppositori al regime sovietico: la Lituania supera il vaglio della Corte EDU, in Riv. it. dir. proc. pen., 2019, 3, 1753 ss.

 

Art. 8 CEDU

C. Eur. Dir. Uomo, Sez III, 4 ottobre 2022, Mortier c. Belgio

Diritto al rispetto della vita privata e familiare - eutanasia praticata all’insaputa dei figli - diritto alla autodeterminazione - non violazione

Per la ricostruzione dei fatti e dei profili relativi al diritto alla vita, v. supra, sub art. 2. Accanto ai profili relativi all’art. 2 CEDU, il ricorrente lamentava una violazione del diritto al rispetto della vita privata e familiare, in virtù della mancata comunicazione preventiva ai figli della donna della sua decisione di ricorrere all’eutanasia. Consapevole della necessità di operare un bilanciamento tra il desiderio del ricorrente di accompagnare la madre dei suoi ultimi istanti di vita e il diritto della madre al rispetto della sua volontà di non coinvolgere i propri figli, la Corte ritiene che non sussista alcuna violazione dell’art. 8 CEDU. La legge belga, infatti, obbliga i medici a discutere la richiesta di eutanasia di un paziente con i suoi parenti solo ove il paziente lo desideri, dovendo altrimenti attenersi al dovere di riservatezza e al segreto medico (§205). Nel caso di specie, in particolare, i medici avevano comunque fatto tutto il possibile per far sì che la madre contattasse i propri figli, nel pieno rispetto della legge e degli obblighi deontologici (§207). (Sara Prandi)

 

Art. 10 CEDU

C. Eur. Dir. Uomo, Sez V, 13 ottobre 2022, Bouton c. Francia

Libertà di espressione - manifestazione pro-aborto - condanna alla reclusione per esibizione sessuale - bilanciamento inadeguato degli interessi in gioco - pena sproporzionata - violazione

La ricorrente, militante dell’associazione femminista ‘Femen’, veniva condannata in Francia per il delitto di esibizione sessuale (art. 222-32 del codice penale francese), per essersi denudata nella chiesa di Santa Maria Maddalena di Parigi, nel corso di una manifestazione pro-aborto. La donna, in particolare, si presentava davanti all’altare a petto nudo, con il corpo ricoperto di slogan femministi, mimando un aborto con un pezzo di fegato di manzo. Dopo aver esaurito le vie di ricorso interne, la donna ricorreva alla Corte di Strasburgo, lamentando la violazione degli artt. 7 e 10 della Convenzione. Cominciando da quest’ultima disposizione, dopo avere premesso che rientrano nell’ambito di protezione dell’art. 10 CEDU anche le performance del tipo di quella messa in atto dalla ricorrente, la Corte ricorda che la libertà di manifestazione del pensiero può essere limitata dagli Stati membri, a condizione che si tratti di un’ingerenza prevista per legge, necessaria in una società democratica a perseguire un fine legittimo. La Corte ritiene anzitutto che l’art. 222-32 del codice penale francese rappresenti un’idonea base legale per la limitazione della libertà di espressione; nonostante l’evoluzione dei costumi possa aver alimentato un dibattito attorno alla natura sessuale del petto nudo di una donna, le conseguenze penali della condotta apparivano prevedibili, anche in regione dell’interpretazione costante della giurisprudenza interna (§37). Quanto all’esistenza di un fine legittimo, la Corte ritiene che sia possibile sanzionare il comportamento di una persona che esibisce parti sessuali del proprio corpo in luogo pubblico, stante l’imperativo di proteggere i diritti altrui (§41): la scelta di una chiesa per la manifestazione, in particolare, rendeva evidente la probabilità di offendere le convinzioni personali morali o religiose di chi vi si trovava. La Corte, tuttavia, ravvisa una violazione dell’art. 10 CEDU sotto il profilo della necessità e proporzionalità dell’ingerenza statale, anzitutto in ragione della particolare severità della pena inflitta; laddove sia in gioco la libertà di espressione, il ricorso alla pena detentiva è ammesso solo in ipotesi eccezionali, quando i diritti fondamentali di altri sono stati gravemente compromessi o minacciati, come nel caso di diffusione di discorsi d’odio o di istigazione alla violenza. Il comportamento della ricorrente, all’opposto, aveva il solo obiettivo di contribuire, attraverso una performance volutamente provocatoria, al dibattito pubblico sui diritti delle donne, e in particolare sul diritto all’aborto (§53); l’azione della ricorrente, oltretutto, si era tenuta in un momento in cui non era in corso la messa, era durata per un breve lasso temporale, e la donna aveva lasciato la chiesa non appena ciò le era stato richiesto. Le Corti interne, d’altra parte, si sarebbero limitate a esaminare la questione della nudità in un luogo di culto in modo isolato dalla performance nel suo complesso, non tenendo conto, nell’equilibrio degli interessi coinvolti, del significato attribuito dalla ricorrente a tale condotta, finalizzata alla diffusione di un messaggio preciso; anche con riguardo alla necessità dellingerenza, pertanto, la Corte ritiene che i giudici interni abbiano fallito nel bilanciare adeguatamente il diritto di coscienza protetto dallart. 9 CEDU e il contrapposto diritto despressione, rivendicato dalla ricorrente (§60). La Corte ritiene infine che non ci sia bisogno di pronunciarsi separatamente sulla contestazione relativa all’art. 7 CEDU, di cui la ricorrente lamentava la violazione in ragione della ritenuta indeterminatezza della fattispecie di esibizione sessuale e della sua applicazione estensiva, avendo accolto le doglianze relative all’indebita limitazione della libertà di manifestazione del pensiero della ricorrente (§72). (Sara Prandi)

Riferimenti bibliografici: G. Spinelli, La tutela della pace religiosa interna può giustificare limitazioni alla libertà di espressione, in Riv. it. dir. proc. pen., 2019, 1, 666 ss.; G. Spinelli, Secondo la Corte europea, il reato di vilipendio alla Corona non merita la pena detentiva: il caso Stern Taulats e Roura Capellera c. Spagna, in Riv. it. dir. proc. pen., 2018, 3, 1841 ss.

 

Art. 2. Prot. Ad. n. 4

C. Eur. Dir. Uomo, Sez. II, 18 ottobre 2022, Mørck Jensen v. Danimarca

Libertà di movimento - divieto di ingresso e permanenza non autorizzata in aree in cui è in corso un conflitto armato - divieto non assoluto - equo bilanciamento - non violazione

Per la ricostruzione dei fatti e dei profili relativi al principio di legalità, v. supra, sub art. 7. La Corte procede a verificare se la limitazione alla libertà di movimento risultante dal combinato disposto della sezione 114j del codice penale e dell’Ordine Esecutivo del 2016 rientri tra quelle ammesse dall’art. 2 Prot. Ad. n. 4 Cedu in quanto stabilite per legge, volte a perseguire uno dei fini legittimi previsti dalla norma, e necessarie in una società democratica a raggiungere tale risultato (§62). Quanto al rispetto del requisito della legalità, la Corte richiama le argomentazioni spese per negare la violazione dell’art. 7 CEDU (v. supra, sub art. 7). In merito alla sussistenza di uno dei fini che possono giustificare una restrizione della libertà di movimento ai sensi della Convenzione, la Corte condivide la valutazione dei giudici interni e dei lavori preparatori all’introduzione della sezione 114j, secondo cui tale norma risponderebbe a ragioni di sicurezza nazionale e prevenzione del crimine (§64); la restrizione, invero, serve ad assicurarsi che cittadini danesi o residenti in Danimarca non si uniscano ai conflitti in corso con un’organizzazione terroristica, determinando un pericolo per la società al rientro in patria. Quanto, infine, alla necessità della restrizione, la Corte motiva a favore della proporzionalità della limitazione: non solo l’area interdetta era comunque molto ristretta, delineata in ragione della situazione bellica e tempestivamente rideterminata nel 2019, ma era comunque prevista la possibilità di ottenere un permesso di accesso in presenza di scopi meritevoli, oltre che una specifica esenzione per pubblici funzionari e incaricati di servizio pubblico (§67). Alla luce di queste considerazioni, e in ragione dell’ampio margine di discrezionalità lasciato allo Stato in questa materia, la Corte reputa che l’interferenza con la libertà di movimento del ricorrente risponda a un equo bilanciamento dell’interesse pubblico e dei diritti dei singoli, necessario in una società democratica (§68). (Sara Prandi)