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18 Dicembre 2019


Osservatorio Corte EDU: settembre 2019

Selezione di pronunce rilevanti per il sistema penale



A cura di Francesco Zacchè e Stefano Zirulia

Il monitoraggio delle pronunce è stato curato, questo mese, da Alessandro Faina* (artt. 2 e 10 Cedu) e Luca Pressacco (artt. 5, 6 e 8 Cedu).

 

In settembre abbiamo selezionato pronunce relative a: obblighi positivi di tutela della vita; diritto ad essere sentiti dal giudice che ha emanato il provvedimento cautelare; presunzione di innocenza; interrogatorio in assenza del difensore; tutela dei legami famigliari del detenuto; diffamazione a mezzo stampa.

 

 

ART. 2 CEDU

 

C. edu, sez. I, 5 settembre 2019, Olewnik-Cieplińska e Olewnik c. Polonia

Diritto alla vita – obblighi positivi sostanziali – protezione da attività illecite di terzi – violazione – obblighi positivi procedurali – obbligo di condurre indagini effettive – violazione

I ricorrenti, cittadini polacchi, lamentavano la violazione da parte delle autorità polacche dell’obbligo di garantire la protezione del diritto alla vita di un loro congiunto, ucciso nel 2003 dopo essere stato tenuto sotto sequestro per circa due anni, duranti i quali le autorità investigative avevano commesso molteplici errori e omissioni nella conduzione delle indagini (§§ 110-113). I ricorrenti lamentavano inoltre la violazione da parte delle autorità polacche dell’obbligo di condurre indagini effettive in relazione all’omicidio del loro congiunto, che avrebbe a loro avviso determinato l’impossibilità di identificare e punire i responsabili del delitto (§§ 133). I giudici di Strasburgo hanno ricordato come gli obblighi positivi di ordine sostanziale discendenti dall’art. 2 Cedu si estendano in determinate circostanze fino a ricomprendere l’obbligo per le autorità di adottare appropriate misure operative preventive al fine di proteggere un individuo la cui vita si trovi in situazione di pericolo a causa della condotta criminosa altrui (§ 118). Ebbene, la Corte ha riscontrato nel caso in esame la mancata adozione da parte della autorità polacche di tali misure operative, ritenute necessarie in caso di prolungato sequestro di persona (§ 130), e ha pertanto ravvisato la violazione dell’art. 2 Cedu nella sua dimensione sostanziale (§ 131). In relazione alla sussistenza della violazione degli aspetti procedurali del diritto alla vita, i giudici di Strasburgo hanno ricordato che, ai fini dell’adempimento dell’obbligo (di mezzi e non di risultato, § 136) di condurre indagini effettive, la prontezza e la tempestività delle stesse rivestono importanza essenziale (§ 137). Nel caso in esame, la Corte ha notato come a quasi 17 anni di distanza le circostanze del rapimento e dell’omicidio del congiunto dei ricorrenti non fossero state ancora chiarite (§ 145), e ha pertanto ravvisato la violazione da parte delle autorità polacche dell’art. 2 Cedu anche nella sua dimensione procedurale (§ 146). (Alessandro Faina)

Riferimenti bibliografici: R. Casiraghi, L’Italia condannata per non aver protetto le vittime di violenza domestica e di genere, in Riv. it. dir. proc. pen., 2017, p. 1192; T. Trinchera, La Corte europea di fronte alla minaccia di attentati terroristici: tra obblighi di prevenzione e limiti imposti all’uso della “forza letale”, in Riv. it. dir. proc. pen., 2017, p. 1200.

 

 

ART. 5 CEDU

 

C. eur. dir. uomo, 5 settembre 2019, Rizzotto c. Italia (n. 2)

Diritto alla libertà e alla sicurezza – controllo giurisdizionale sulla legalità della detenzione – garanzie partecipative nel procedimento cautelare – diritto ad essere sentito personalmente dal giudice investito del ricorso – soggetto latitante – violazione

Il ricorrente, dichiarato latitante nel corso delle indagini preliminari, lamenta di non aver beneficiato di un ricorso giurisdizionale effettivo per contestare la legalità della detenzione cautelare. La Corte edu richiama preliminarmente il proprio consolidato orientamento, secondo cui anche il procedimento di controllo sulla legalità della detenzione – assicurato dall’art. 5 comma 4 Cedu – deve conformarsi ai lineamenti essenziali dell’equo processo. Si rende, pertanto, necessario lo svolgimento di un’udienza in contraddittorio, nell’ambito della quale il soggetto detenuto ha il diritto di esporre le proprie argomentazioni ed essere sentito personalmente dal giudice investito del ricorso (§ 46). Secondo la Corte di Strasburgo, tali garanzie partecipative sono state disattese nel caso di specie. In primo luogo, la richiesta di riesame avanzata dal difensore di fiducia del ricorrente – dopo la cattura di quest’ultimo in territorio estero – è stata dichiarata inammissibile sulla scorta del principio di “unicità delle impugnazioni”: il tribunale della libertà, infatti, ha ritenuto che la precedente iniziativa del difensore d’ufficio avesse consumato irrimediabilmente il diritto di impugnazione (§ 49). In tale contesto, la Corte edu osserva che il ricorrente non ha mai avuto occasione di comunicare col difensore d’ufficio – nominato ex art. 296 comma 2 c.p.p. – al fine di concordare una strategia e fornire eventuali elementi a sostegno dell’istanza di riesame (§ 50); d’altro canto, sebbene sia stato dichiarato “latitante” dalle autorità nazionali, non vi sono elementi concreti per ritenere che egli abbia inteso sottrarsi alla giustizia o rinunciare inequivocabilmente al suo diritto di difesa (§ 53). Secondariamente, l’istanza diretta alla revoca ovvero alla sostituzione della misura custodiale è stata respinta de plano dal giudice funzionalmente competente, benché l’ordinamento processuale consenta – e, in determinate circostanze, imponga – di interrogare la persona sottoposta alle indagini prima di provvedere sulla relativa domanda (§ 58). Infine – per quanto concerne l’eccezione preliminare sollevata dal Governo italiano – la Corte edu ha rilevato che la giurisprudenza delle corti interne tende ad escludere la rimessione in termini nei casi analoghi a quello in esame; sicché, allo stato attuale, il meccanismo restitutorio previsto dall’art. 175 c.p.p. non costituisce un “rimedio giurisdizionale effettivo” ai sensi del dettato convenzionale (§ 61). (Luca Pressacco)

Riferimenti bibliografici: F. Cassibba, Impugnazioni de libertate e garanzie minime dell’equità processuale, in Riv. it. dir. proc. pen., 2018, p. 968.

 

 

ART. 6 CEDU

 

C. eur. dir. uomo, 3 settembre 2019, Januškevičienė v. Lituania

Equità processuale – presunzione d’innocenza – affermazioni colpevoliste in procedimenti connessi – risarcimento in sede civile – rimedio giurisdizionale effettivo – mancato esaurimento delle vie di ricorso interno – non ricevibilità

La ricorrente, accusata di dirigere una complessa organizzazione dedita a varie forme di criminalità economica, viene prosciolta per il decorso del termine prescrizionale nell’ambito del procedimento penale interno. Essa, tuttavia, si duole a Strasburgo per la violazione della presunzione d’innocenza (art. 6 comma 2 Cedu) cagionata – a suo dire – dalle affermazioni colpevoliste contenute nelle sentenze emesse all’esito dei procedimenti penali connessi. La Corte edu dichiara inammissibile il ricorso per il mancato esaurimento delle vie di ricorso interno. Lo Stato convenuto, infatti, è riuscito a dimostrare l’esistenza di una prassi giudiziaria, che accorda un risarcimento pecuniario (monetary compensation) a coloro che abbiano subito danni patrimoniali e non patrimoniali a causa del comportamento illegittimo di investigatori, pubblici ministeri e giudici (§ 60). Non consta, tuttavia, che la ricorrente abbia attivato tale rimedio in sede civile; laddove – già nell’ambito del procedimento penale a suo carico – essa avrebbe potuto rinunciare alla prescrizione, allo scopo di fugare ogni dubbio riguardo alla sua innocenza. (§ 62). (Luca Pressacco)

Riferimenti bibliografici: V. Vasta, Presunzione di innocenza e pubblicità extraprocessuale, in Riv. it. dir. proc. pen., 2019, p. 1061.

 

C. eur. dir. uomo, 17 settembre 2019, Akdağ c. Turchia

Equità processuale – diritto alla difesa tecnica – interrogatorio in assenza del difensore – modalità della rinuncia alle garanzie procedurali – modulo a stampa – utilizzo della confessione ai fini della condanna – violazione

La ricorrente, condannata per aver aderito al Partito dei lavoratori del Kurdistan, si duole per la violazione del proprio diritto alla difesa tecnica, assicurato dall’art. 6 commi 1 e 3 lett. c Cedu. Invero, le confessioni utilizzate ai fini della condanna sarebbero state estorte dalla polizia mediante violenze e minacce, nel corso di un interrogatorio avvenuto senza la presenza del difensore. Lo Stato convenuto si oppone a questa prospettazione, facendo leva sulla presenza agli atti del procedimento di un modulo a stampa – sottoscritto dalla ricorrente – con il quale ella rinunciava espressamente all’assistenza difensiva durante l’interrogatorio di polizia. La Corte edu smentisce questa ricostruzione, confutando la validità dell’atto dispositivo della garanzia da parte della ricorrente (§ 53). Anzitutto, sul modulo in questione non vi è alcuna dichiarazione autografa, dal momento che la formula di rinuncia risulta prestampata; in secondo luogo, la ricorrente ha immediatamente ritrattato la confessione, quando – terminata la custodia di polizia – si è trovata al cospetto del pubblico ministero e del giudice istruttore; infine, il tribunale interno ha omesso di scrutinare le dichiarazioni confessorie con la diligenza imposta dalle circostanze del caso di specie. Poiché tali dichiarazioni sono state effettivamente utilizzate ai fini della condanna (§ 69) e nel corso del processo non si sono registrate garanzie idonee a compensare la lesione dei diritti della difesa perpetrata nella fase preliminare (§ 70), la Corte edu conclude per la violazione del dettato convenzionale, applicando il cd. “Ibrahim-test”. (Luca Pressacco)

Riferimenti bibliografici: F. Cassibba, Violazione della difesa tecnica ed equità processuale, in Riv. it. dir. proc. pen., 2017, p. 1211.

 

 

ART. 8 CEDU

 

C. eur. dir. uomo, 17 settembre 2019, Avşar e Tekin c. Turchia

Diritto al rispetto della vita privata e familiare – detenzione prolungata in luoghi assai distanti dai prossimi congiunti – rigetto non adeguatamente motivato delle istanze di trasferimento – violazione

I ricorrenti sostengono di aver subito una compressione ingiustificata del proprio diritto al rispetto della vita privata e familiare (art. 8 Cedu) a causa della detenzione – prolungata per diversi anni – in località geograficamente assai distanti dai luoghi di residenza dei prossimi congiunti. Essi precisano di aver inoltrato diverse richieste di trasferimento alle autorità competenti, ottenendo sempre risposte di segno negativo. La Corte edu riconosce, in primo luogo, che la detenzione prolungata in penitenziari situati a distanza significativa dai luoghi di residenza dei prossimi congiunti costituisce un’ingerenza nella vita privata del detenuto: le visite familiari, infatti, rappresentano un fattore essenziale per il mantenimento dei legami affettivi del soggetto privato della libertà personale (§ 60). I Giudici di Strasburgo riconoscono, peraltro, che tale ingerenza è fornita di una base legale nell’ordinamento interno – che conferisce al Ministro della giustizia il potere di collocare i detenuti nei diversi penitenziari del Paese (§ 64) – e persegue obiettivi astrattamente legittimi come, ad esempio, la prevenzione dei reati, il mantenimento dell’ordine e della sicurezza nei penitenziari ed il contrasto al sovraffollamento carcerario (§ 66). In ogni caso, secondo la Corte edu, la tutela dei legami familiari del detenuto rappresenta un criterio altrettanto importante, che le autorità nazionali debbono tenere adeguatamente in considerazione quando sono chiamate a valutare la collocazione penitenziaria dei soggetti interessati (§ 71). Questa valutazione individualizzata, tuttavia, è mancata nel caso di specie: i provvedimenti che respingono le istanze di trasferimento dei ricorrenti, infatti, non riportano alcuna considerazione degli interessi specifici e delle peculiari condizioni dei detenuti e delle rispettive famiglie (§ 73). In tali circostanze, secondo la Corte edu, l’ingerenza statale nella vita familiare del detenuto si rivela sproporzionata e, pertanto, non necessaria nel contesto di una società democratica. Di qui, la riconosciuta violazione del dettato convenzionale. (Luca Pressacco)

Riferimenti bibliografici: V. Sirello, Terrorismo e tutela dei diritti fondamentali, in Riv. it. dir. proc. pen., 2018, p. 2382.

 

 

ART. 10 CEDU

 

C. edu, sez. III, 24 settembre 2019, Antunes Emídio e Soares Gomes da Cruz c. Portogallo

Libertà di espressione – restrizioni previste dalla legge – restrizioni necessarie in una società democratica – base fattuale dei giudizi di valore espressi – violazione

I due ricorrenti, un giornalista e un medico portoghese, lamentavano la violazione da parte dell’autorità giudiziaria portoghese della propria libertà di espressione per essere stati condannati a pena pecuniaria rispettivamente per il reato di diffamazione a mezzo stampa, e per i reati di diffamazione a mezzo stampa e offesa ad un organismo pubblico (§§ 32, 34). La Corte ha ribadito che la libertà di espressione gode di un elevato livello di protezione quando la manifestazione di opinione riguarda questioni di interesse pubblico (§ 40), e ha inoltre sottolineato che al fine di identificare il livello di protezione della libertà di espressione occorre considerare la differenza tra descrizione di fatti storici e espressione di giudizi di valore, dal momento che quest’ultimi non sono suscettibili di prova (§ 41). In relazione al ricorso presentato dal primo ricorrente, i giudici di Strasburgo hanno rilevato che la sua condanna a pena pecuniaria per aver diffamato un politico locale non era necessaria in una società democratica, in quanto la libertà di espressione giornalistica copre anche un eventuale ricorso all’esagerazione e addirittura alla provocazione (§ 48). Inoltre, la Corte ha rimarcato la sproporzione della restrizione imposta alla libertà di espressione del primo ricorrente (sanzione pecuniaria del valore di 2.500 euro, in aggiunta al risarcimento di 2.500 euro nei confronti del politico diffamato) al fine di garantire il rispetto dell’altrui reputazione (§ 50), e ha pertanto ravvisato la violazione da parte dell’autorità giudiziaria portoghese dell’art. 10 Cedu (§ 51). In relazione al secondo ricorrente, la Corte ha innanzitutto ritenuto la sua condanna per il reato di offesa ad un organismo pubblico illegittima in quanto non prevista dalla legge, poiché tale fattispecie di reato è applicabile alla sola espressione di fatti storici e non anche ai giudizi di valore (§ 55). I giudici di Strasburgo hanno poi rilevato che i giudizi di valore espressi dal secondo ricorrente riguardavano una questione di interesse pubblico (§ 57), avevano ad oggetto una figura pubblica (§ 58), e godevano di una base fattuale sufficiente (§ 61-62), al punto da rendere ingiustificata la condanna a pena pecuniaria per i reati di diffamazione a mezzo stampa e offesa ad un organismo pubblico (§ 65). La Corte ha pertanto ravvisato la violazione da parte dell’autorità giudiziaria portoghese dell’art. 10 Cedu anche nei confronti del secondo ricorrente (§ 66). (Alessandro Faina)

Riferimenti bibliografici: G. Spinelli, Secondo la Corte europea, il reato di vilipendio alla Corona non merita la pena detentiva: il caso Stern Taulats e Roura Capellera c. Spagna, in Riv. it. dir. proc. pen., 2018, p. 1841; L. Rossi, La libertà di espressione e manifestazione del proprio credo nelle aule dei tribunali, in Riv. it. dir. proc. pen., n. 1/2019), p. 658; G. Spinelli, La tutela della pace religiosa interna può giustificare limitazione alla libertà di espressione, in Riv. it. dir. proc. pen., n. 1/2019, p. 666.

 

* The views expressed herein are those of the author and do not necessarily reflect the views of the Special Tribunal for Lebanon.