Scheda  
25 Ottobre 2022


Osservatorio Corte EDU: settembre 2022


Alessandro Faina
Violette Sirello

Selezione di pronunce rilevanti per il sistema penale


 

A cura di Francesco Zacché e Stefano Zirulia

Il monitoraggio delle pronunce è stato curato, questo mese, da Alessandro Faina* (artt. 3, 8 e 10 Cedu) e Violette Sirello (artt. 8 Cedu e art. 1 Prot. 1 Cedu).

In settembre abbiamo selezionato pronunce relative a: obblighi procedurali in materia di maltrattamenti famigliari e divieto di trattamenti inumani o degradanti (art. 3 Cedu); produzione di cannabis per scopi terapeutici in assenza di prescrizione medica (art. 8 Cedu); rappresaglie dell’autorità penitenziaria a seguito della condanna emessa dalla Corte europea adita dal medesimo ricorrente per una precedente violazione dell’art. 6§1 (art. 8 Cedu); intercettazioni telefoniche illegali nei confronti di un avvocato di ONG attive nel campo delle libertà civili (art. 8 Cedu); proporzionalità delle restrizioni alla libertà di espressione al fine di proteggere il sentimento religioso altrui (art. 10 Cedu); sequestro e vendita forzata, a seguito di condanna penale, di un bene immobile di proprietà di un terzo di buona fede (art. 1 Prot. 1 Cedu).

 

ART. 3 CEDU

C. edu, sez. I, 8 settembre 2022, J.I. c. Croazia

Divieto di trattamenti inumani o degradanti – maltrattamenti in famiglia – obblighi positivi procedurali – obbligo di condurre indagini effettive – violazione

La ricorrente, cittadina croata appartenente alla comunità rom, lamentava la violazione da parte delle autorità croate degli obblighi procedurali discendenti dal divieto di trattamenti inumani o degradanti ex art. 3 Cedu, in relazione all’inadeguatezza della loro risposta alle serie minacce ricevute dal padre, condannato per violenza sessuale nei suoi confronti (§§ 1, 66-68). I giudici di Strasburgo, analizzando la sussistenza nel caso in esame della violazione dell'art. 3 Cedu nella sua dimensione procedurale, hanno innanzitutto ribadito come, anche in assenza di danni fisici o intensa sofferenza psicologica, un trattamento capace di ingenerare timore o senso di inferiorità al punto da fiaccare il morale o la resistenza fisica di un individuo possa ben essere caratterizzato come degradante e rientrare dunque nell’ambito di applicazione dell’art. 3 Cedu (§ 85). La Corte ha poi rilevato como la ricorrente fosse stata senz’altro oggetto di trattamento inumano ai sensi dell’art. 3 Cedu, anche in considerazione della sua condizione di giovane donna appartenente ad una minoranza etnica e vittima di abusi paterni (§§ 86-89). Con riferimento all’adeguatezza della protezione offerta dalle autorità croate alla ricorrente a fronte delle minacce da questa ricevute, i giudici hanno sottolineato come nonostante la ricorrente si fosse rivolta alla polizia in tre distinte occasioni e la legge croata non richiedesse una forma specifica per la denuncia di reati perseguibili d’ufficio (§§ 91-96), la polizia non avesse mai avviato un’indagine volta all’accertamento dei fatti diversi dalla violenza sessuale (§§ 98-99). La Corte ha pertanto ritenuto sussistente la violazione dell’art. 3 Cedu da parte delle autorità croate (§§ 100-101). (Alessandro Faina)*

Riferimenti bibliografici: R. Casiraghi, L’Italia condannata per non aver protetto le vittime di violenza domestica e di genere, in Riv. it. dir. proc. pen., 2017, p. 1192.

 

ART. 8 CEDU

C. edu, sez. I, 1 settembre 2022, Thörn c. Svezia

Diritto al rispetto della vita privata e familiare – condanna per produzione di cannabis a scopi terapeutici senza prescrizione medica – ampio margine di apprezzamento dello Stato – non violazione

Il ricorrente, cittadino svedese costretto su una sedia rotelle in seguito ad incidente stradale e afflitto da acuti dolori, lamentava la violazione da parte delle autorità svedesi del diritto al rispetto della vita privata e familiare di cui all’art. 8 Cedu, in relazione alla sua condanna per produzione di cannabis a scopi terapeutici senza prescrizione medica (§§ 1, 38-40). La Corte, dopo aver ribadito che le questioni di politica sanitaria rientrano nell’ampio margine di apprezzamento degli Stati (§§ 46-48), ha rilevato che vi è stata un’ingerenza delle autorità svedesi nel diritto del ricorrente al rispetto della propria vita privata ex art. 8 Cedu, e che tale ingerenza era prevista dalla legge e finalizzata al legittimo scopo di prevenire disordini e crimini (§ 49). Con riferimento alla necessità dell’ingerenza in una società democratica, i giudici di Strasburgo hanno osservato come le autorità giudiziarie svedesi, ed in particolare la Corte Suprema in ultima istanza, avessero concluso che il comportamento del ricorrente, seppur comprensibile alla luce degli insopportabili dolori che caratterizzavano la sua esistenza, non potesse essere interamente giustificato in quanto contrario al bilanciamento di interessi operato dal legislatore tra il diritto all’accesso a cure palliative, da una parte, e esigenze di controllo della circolazione di narcotici, dall’altra (§§ 53-58). La Corte ha rilevato che, nell’operare tale bilanciamento, le autorità svedesi non hanno oltrepassato l’ampio margine di apprezzamento di cui godono in materia (§ 59) e ha pertanto negato la violazione dell’art. 8 Cedu. (Alessandro Faina)*

 

C. eur. dir. uomo, sez. V, sent. 15 settembre 2022, Stanislav Lutsenko c. Ucraina (n. 2)

Diritto al rispetto della vita privata e familiare – rappresaglie dell’autorità penitenziaria a seguito della condanna emessa dalla Corte europea, adita dal medesimo ricorrente per una precedente violazione dell’art. 6§1 da parte dell’Ucraina nei suoi confronti – sanzioni disciplinari aventi per effetto l’imposizione di un trattamento penitenziario più restrittivo e il trasferimento in svariati istituti penitenziari in luoghi remoti dell’Ucraina – violazione

Il caso concerne le rappresaglie operate dalla polizia penitenziaria nei confronti del ricorrente a seguito della presentazione, da parte di quest’ultimo, di un ricorso in Corte europea e della conseguente condanna dell’Ucraina per violazione dell’art. 6 § 1 Cedu. In breve, la vicenda. Condannato sulla base delle dichiarazioni rese in indagini dal coimputato assente, poi ritrattate poiché estorte, il ricorrente presentò, nel 2004, un ricorso in Corte europea lamentando la violazione dell’art. 6 § 1. La Corte ravvisò la violazione lamentata, ritenendo in particolare che l’equità della procedura fosse compromessa dalla condanna pronunciata sulla base di dichiarazioni decisive, rese da un coimputato che il ricorrente non aveva potuto contro-esaminare. Ciò, tra l’altro, in assenza delle garanzie contro l’autoincriminazione (§ 5-8). La sentenza, divenuta definitiva nel 2009, fu pubblicata nel database della Corte. All’epoca della pubblicazione, il ricorrente stava scontando la pena in un istituto penitenziario situato in prossimità del proprio domicilio ed era stato più volte premiato per buona condotta (§ 10). Divenuta nota la condanna dell’Ucraina, il ricorrente fu sottoposto a un trattamento penitenziario più restrittivo e ripetutamente percosso dagli agenti penitenziari. Fu, inoltre, costretto a firmare dichiarazioni in cui confermava che il trattamento cui era sottoposto non aveva nulla a che vedere con la condanna pronunciata dalla Corte europea (§ 11-19). Fu, infine, trasferito in svariati istituti penitenziari, tutti situati a notevole distanza dal proprio domicilio (§ 20-23). Il ricorrente lamenta, dunque, la violazione dell’art. 8 Cedu sotto il profilo del trattamento penitenziario deteriore subito, a seguito della condanna dell’Ucraina, nella forma di continui trasferimenti in carceri eccessivamente lontane rispetto al luogo di residenza e di provvedimenti disciplinari infondati (§ 46). Ribadito che l’art. 8 Cedu garantisce una tutela per condizioni detentive che non raggiungono un livello di gravità tale da rientrare nell’alveo dell’art. 3 Cedu, la Corte europea osserva come il trattamento penitenziario imposto al ricorrente sia stato eccessivamente gravoso e abbia realizzato un’interferenza significativa nella vita privata e familiare del detenuto (§ 57). In relazione alle sanzioni disciplinari e al regime carcerario più rigido, la Corte evidenzia che, sino al momento della pubblicazione della sentenza, il ricorrente era stato più volte elogiato dall’autorità penitenziaria per la buona condotta tenuta e aveva, perciò, beneficiato di un trattamento meno severo. Soltanto successivamente, gli era stato applicato un regime molto restrittivo ed era stato trasferito ripetutamente in istituti penitenziari molto lontani dalla propria residenza e dalla propria famiglia (§ 59-60). Le sanzioni e i trasferimenti erano stati, peraltro, dichiarati da un tribunale interno “infondati e incomprensibili” e imposti per “violazioni incomprensibili, ambigue e discutibili”, tanto che lo stesso pubblico ministero le aveva annullate. Parimenti, le verifiche condotte dall’amministrazione penitenziaria all’interno dell’ultimo carcere in cui il ricorrente era stato ristretto avevano evidenziato l’illegittimità delle sanzioni disciplinari irrogate e dei trasferimenti, che non potevano essere disposti se non in circostanze assolutamente eccezionali (§ 62-63).  Secondo i giudici di Strasburgo, l’imposizione di un regime carcerario più severo e i continui trasferimenti difettano di base legale, così determinando un’ingerenza illegittima, sicché la violazione del parametro convenzionale lamentato è integrata (§ 64-66). (Violette Sirello)

Riferimenti bibliografici: V. Sirello, Terrorismo e tutela dei diritti fondamentali, in Riv. it. dir. proc. pen., 2018, p. 2382 ss.

 

C. eur. dir. uomo, sez. I, sent. 29 settembre 2022, Hüttl c. Ungheria

Diritto alla privatezza - intercettazioni telefoniche disposte nei confronti di un avvocato di ONG attive nel campo delle libertà civili - sorveglianza segreta illegale – violazione

Il ricorrente, avvocato ungherese difensore di ONG molto attive nel campo della tutela delle libertà civili, lamenta la violazione dell’art. 8 Conv. eur. dir. uomo in ragione della sorveglianza segreta attuata dal governo ungherese nei suoi confronti e dell’assenza di rimedi interni. Durante una conversazione effettuata dal ricorrente con un membro del Parlamento europeo, la linea telefonica si era improvvisamente interrotta e, dopo pochi istanti, il parlamentare aveva udito stralci della conversazione appena intercorsa. La vicenda, divulgata sui social media dal parlamentare, aveva destato il sospetto che la linea telefonica dell’avvocato fosse posta sotto sorveglianza segreta e registrazione illegale dal governo ungherese, sicché il ricorrente aveva denunciato il fatto, dapprima ai ministeri competenti e, successivamente, alla commissione parlamentare per la sicurezza nazionale. Nessuna indagine veniva svolta dalla commissione parlamentare, mentre i ministeri si limitarono a negare che fosse stata disposta una sorveglianza segreta nei confronti dell’avvocato (§ 1-4). La Corte europea, richiamati i principi generali espressi in materia di sorveglianza segreta nel precedente C.edu, sez. IV, sent. 12 gennaio 2016, Szabó e Vissy c. Ungheria, analizza la conformità con la convenzione della procedura investigativa condotta dall’Autorità per la protezione dei dati (DPA), recentemente introdotta dall’Ungheria. Rileva, in particolare, che tale procedura non costituisce una salvaguardia rispetto a interferenze illecite, in quanto l’autorità è vincolata da restrizioni nell’accesso a particolari categorie di dati, svolge le proprie indagini tramite il ministro competente ed è informata solo dei relativi esiti (§ 14-17). In ragione del potere limitato di cui dispone l’autorità di protezione dei dati, nonché dell’assenza di un controllo esterno e indipendente su indagini etero-condotte, la Corte europea esclude la compatibilità di una simile disciplina con la Convenzione (§ 18-19). (Violette Sirello

Riferimenti bibliografici: F. Ertola, Mass surveillance e diritto alla privacy, in Riv. it. dir. proc. pen., 2019, p. 653 ss.

 

ART. 10 CEDU

C. edu, sez. I, 15 settembre 2022, Rabczewska c. Polonia

Libertà di espressione – condanna per offesa al sentimento religioso altrui per aver pubblicamente insultato la Bibbia – travalicamento dell’ampio margine di apprezzamento riconosciuto allo Stato – violazione

La ricorrente, cittadina polacca e popolare cantante pop, lamentava la violazione della propria libertà di espressione da parte delle autorità polacche, in relazione alla condanna penale inflittagli per offesa al sentimento religioso altrui per aver insultato la Bibbia nel corso di un’intervista (§§ 1, 34-36). I giudici di Strasburgo hanno innanzitutto ribadito come l’esercizio della libertà di espressione comporti, tra gli altri, il dovere di rispettare i diritti garantiti dall’art. 9 Cedu ai credenti e quello di evitare espressioni gratuitamente offensive e profane (§ 47). La Corte, dopo aver rilevato come l’ingerenza nella libertà di espressione della ricorrente fosse prevista dalla legge e finalizzata allo scopo legittimo di proteggere il sentimento religioso altrui (§ 55), ha sottolineato come le autorità nazionali non avessero tenuto in sufficiente considerazione il contesto frivolo e superficiale nel quale la ricorrente aveva rilasciato le dichiarazioni anti-religiose e non avessero pertanto effettuato un accurato bilanciamento tra la libertà di espressione della ricorrente, il diritto altrui alla protezione del proprio sentimento religioso e la necessità di preservare la pace religiosa nella società (§§ 56-64). I giudici di Strasburgo hanno concluso che, nonostante l’ampio margine di apprezzamento in materia, le autorità polacche non hanno fornito ragioni sufficienti a giustificare l’ingerenza nella libertà di espressione della ricorrente e hanno pertanto violato l’art. 10 Cedu (§§ 64-65). (Alessandro Faina)*

Riferimenti bibliografici: G. Spinelli, La tutela della pace religiosa interna può giustificare limitazione alla libertà di espressione, in RIDPP 1 (2019), 666.

 

ART. 1 PROT. ADD. CEDU

C. eur. dir. uomo, sez. III, sent. 6 settembre 2022, Korshunova c. Russia

Protezione della proprietà – sequestro e successiva vendita forzata, a fini risarcitori, di un bene immobile di proprietà della ricorrente, terzo di buona fede, a seguito di condanna penale del marito della precedente proprietaria dell’immobile – ingerenza grave e sproporzionata nel diritto di proprietà – assenza di meccanismi compensativi – violazione

Violano l’art. 1 prot. 1 Conv. eur. dir. uomo il sequestro e la successiva vendita coattiva, a fini risarcitori, di un bene immobile di proprietà di un terzo di buona fede, in forza dell’intervenuta condanna penale dei precedenti proprietari dell’immobile, se non sono previsti idonei meccanismi compensativi dell’ingerenza nei diritti del terzo. Nell’ambito di un’indagine per gravi reati, l’autorità giudiziaria russa disponeva il sequestro di un immobile, ritenuto frutto dei proventi dell’attività criminale di uno degli indagati poiché acquistato dalla di lui moglie (non indagata) appena tre mesi dopo la commissione dell’ultimo delitto e senza che i coniugi disponessero di risorse sufficienti a giustificare una simile compravendita. Il bene, intestato esclusivamente alla moglie della persona formalmente indagata, era tuttavia stato venduto a un terzo (la ricorrente) ancor prima che il provvedimento di sequestro fosse emesso. Nel momento in cui la ricorrente aveva voluto, a sua volta, disporre del bene, rivendendolo ad un ulteriore terzo, aveva appreso che l’immobile era sottoposto a sequestro (§ 4-7).  L’istanza di dissequestro, presentata dalla ricorrente, veniva accolta dal tribunale di primo grado in virtù della qualità di terzo di buona fede rivestito dalla medesima e ritenuto che l’immobile fosse stato acquistato dalla precedente proprietaria con fondi propri (§ 11). La corte d’appello (e, successivamente, la Corte di cassazione) “ripristinavano”, invece, il provvedimento di sequestro, sul presupposto dell’assenza di sufficienti elementi per escludere che il bene fosse stato acquistato grazie ai proventi dei reati commessi dal marito della precedente proprietaria, anche alla luce del fatto che la coppia non disponeva di risorse tali da garantire un tenore di vita compatibile con l’acquisto del bene (§ 12-13). Intervenuta la condanna penale nei confronti del marito della precedente proprietaria, il bene immobile della ricorrente veniva confiscato e venduto all’asta al fine di risarcire le parti civili (§ 14-18). La ricorrente lamenta, avanti la Corte europea, la violazione dell’art. 1 Prot. add. Conv. eur dir. uomo, sotto il profilo dell’assenza di base legale e di proporzione della misura, data la sua estraneità rispetto alle attività criminali del condannato e, dunque, la sua qualità di terzo di buona fede (§ 27-28). Osservato che la legge russa prevede la vendita coattiva dei beni confiscabili al fine di risarcire il danno da reato e che tale misura risponde a un’esigenza di interesse generale, la Corte ravvisa come l’ingerenza sia grave, poiché mira alla privazione definitiva, senza indennizzo, del godimento di un bene nei confronti di un soggetto estraneo rispetto al procedimento penale (§ 31-35). Evidenzia, poi, che la buona fede del terzo non è mai stata oggetto di valutazione da parte delle autorità interne nonostante la ricorrente, all’atto della compravendita, non avesse modo di verificare il regime matrimoniale della venditrice e la liceità dei fondi con cui la stessa aveva a sua volta acquistato l’immobile (§ 37). Peraltro, l’autorità inquirente aveva richiesto il sequestro del bene oltre un anno dopo l’apertura del procedimento a carico del marito della precedente proprietaria, rendendo così possibile nel frattempo la vendita del bene a terzi (nella fattispecie, alla ricorrente) (§ 38).  La Corte osserva che il sequestro e la successiva vendita coattiva sono stati disposti senza verificare la sussistenza di ulteriori beni confiscabili, di proprietà dell’imputato, in grado di evitare l’ingerenza nei diritti del terzo (§ 39), che – pertanto – risulta sproporzionata rispetto all’obiettivo legittimo perseguito. Ne deriva la violazione del parametro convenzionale invocato (§ 42). (Violette Sirello)

 

Le opinioni espresse nel presente contributo appartengono esclusivamente all’autore e non riflettono necessariamente quelle delle Kosovo Specialist Chambers and Specialist Prosecutor’s Office / The views expressed herein are those of the author and do not necessarily reflect the views of the Kosovo Specialist Chambers and Specialist Prosecutor’s Office.