Coordinamento scientifico: Claudia Pecorella, Elena Biaggioni, Luisa Bontempi, Elisabetta Canevini, Noemi Cardinale, Paola Di Nicola Travaglini, Massimiliano Dova, Francesca Garisto, Fabio Roia
Crimini di strada e condizionamenti sociali e ambientali: l’applicazione della disciplina della continuazione ai reati commessi dalle “borseggiatrici”
1. Le “borseggiatrici” sono oggi oggetto di attenzione – e di demonizzazione, soprattutto sui media – in maniera del tutto sproporzionata rispetto alla gravità delle loro condotte, più moleste che pericolose. Si tratta per lo più di giovani donne Rom già vittime del sistema culturale della comunità di appartenenza ed esposte, in tutti i Paesi nei quali si trovano a vivere, a molteplici forme di discriminazione che si traducono, tra l’altro, in difficoltà di accesso alla giustizia, sproporzionati trattamenti sanzionatori e forti limitazioni in sede di esecuzione delle pene loro inflitte per i reati bagatellari commessi[1]. Le donne Rom vengono date in moglie dalla loro famiglia quando hanno dodici o tredici anni e più o meno alla stessa età iniziano ad avere figli, non essendo contemplato l’uso di anticoncezionali nella cultura (degli uomini) della loro comunità[2]; allo stesso tempo sono loro che, lasciati i figli al campo nelle mani della nonna, devono andare a rubare o chiedere l’elemosina, ricevendo severe punizioni e minacce quando tornano a mani vuote; gli uomini, invece, a detta di tutte le donne Rom, passano la giornata nel campo, dedicandosi ai loro affari. A partire da quando hanno 14 anni, finiscono quindi davanti al giudice penale per furti, spesso solo tentati, in danno di ignari passanti, e quando le numerose sentenze di condanna accumulate arrivano ad essere eseguite - non essendo in corso una gravidanza, non risultando presenti figli minori di un anno ed essendo avvenuta la identificazione della persona presentatasi di volta in volta al giudice con diversi alias – hanno di solito tra i 25 e i 30 anni, un numero di figli che può superare la decina e una pena da scontare tra i 15 e i 20 anni, che le trova del tutto impreparate e disperate davanti alla prospettiva di dover trascorrere molti anni in carcere prima di poter chiedere il primo permesso per uscire qualche ora[3].
2. Nonostante siano prigioniere di questo triste destino, che le accompagna per tutta la vita – non essendo facile per una donna Rom lasciare la comunità di appartenenza, non solo perché il divorzio non è accettato, ma anche perché di regola sono analfabete e quindi incapaci di intraprendere una vita autonoma – il sistema penale le condanna come autrici di reato, consentendo che la ripetizione delle condotte e l’applicazione della recidiva che ne consegue rendano la pena da eseguire talmente elevata da essere equiparabile a quella inflitta per un omicidio o per traffico internazionale di sostanza stupefacente.
3. Un parziale rimedio a questa situazione può essere offerto dalla disciplina del reato continuato (art. 81 c.p.), che in presenza di più reati prevede l’applicazione di un trattamento sanzionatorio più mite – rispetto a quella derivante dalla sommatoria delle singole pene – ogniqualvolta essi siano espressione di un medesimo disegno criminoso[4]. Benché il vincolo della continuazione possa essere riscontrato dal giudice tra i diversi reati che talvolta risultano concorrere con il furto, quasi mai si perviene a ravvisare un medesimo disegno criminoso, ai sensi dell’art. 81 c.p., con i reati già in precedenza giudicati, anche se della stessa natura (di regola, reati contro il patrimonio[5]). Ciò dipende per lo più dal fatto che le donne Rom, sempre prive di documenti, sono solite dichiarare false generalità, presentandosi così ogni volta come delinquenti primarie e quindi meritevoli di un occhio di riguardo[6]; un ulteriore problema sorge dal fatto che il Tribunale che deve giudicarle non è sempre lo stesso che ha pronunciato le precedenti sentenze di condanna, stante il continuo spostamento sul territorio nazionale delle famiglie Rom. Ciascuna donna Rom, di conseguenza, colleziona nel corso della sua vita un numero molto elevato di sentenze di condanna, che la riguardano ancorché pronunciate nei confronti di persona identificata con una serie di alias diversi, delle quali un bel giorno inizia l’esecuzione, con il loro trattenimento in carcere dopo l’ennesimo arresto.
4. In base all’art. 671 c.p.p., la disciplina del reato continuato può trovare applicazione anche nella fase di esecuzione, proprio per ovviare ai problemi in precedenza indicati e consentire di pervenire a una pena finale più proporzionata alla gravità dei reati commessi, rispetto a quella che altrimenti risulterebbe in base alla disciplina del cumulo materiale, ancorché contenuta nei limiti indicati dall’art. 78 c.p. È proprio di questa opportunità che potrebbero beneficiare le donne Rom, se fosse possibile ravvisare il vincolo della continuazione tra i tanti reati bagatellari oggetto delle loro sentenze di condanna: sentenze che di regola non hanno avuto immediata esecuzione, perché condizionalmente sospese, non essendo state associate alla stessa persona in precedenza (e più volte) condannata, oppure perché l’esecuzione era stata obbligatoriamente differita stante lo stato di gravidanza della donna o la presenza di un figlio minore di un anno, secondo quanto (ancora per poco tempo...) dispone l’art. 146 c.p.[7]. Purtroppo, l’esperienza insegna che non è raro imbattersi in provvedimenti di rigetto da parte dei giudici, che ritengono che “le condotte criminose poste in essere, pur offendendo lo stesso bene giuridico (patrimonio), non paiono riconducibili ad una originaria ed unitaria programmazione criminosa, quanto ad uno specifico stile di vita ovvero a quello sposato dalla comunità nomade di appartenenza”[8].
5. Considerando che l’ingresso nel circuito penale delle donne Rom è molto precoce (e coincide con l’età della imputabilità) qualche aiuto viene offerto dalla giurisprudenza consolidata della Corte di cassazione, secondo la quale l’accertamento dell’esistenza di un medesimo disegno criminoso, rispetto a reati commessi da minorenni, richiede una particolare attenzione, essendo onere del giudice considerare l’incidenza delle condizioni sociali e ambientali in cui il minore è cresciuto sulla programmazione delle condotte illecite commesse[9]. Quelle condizioni, infatti, possono avere avuto un ruolo fondamentale nella ‘carriera criminale’ del minore, in relazione «alla particolare sensibilità del minore e alla conseguente sua condizionabilità dal contesto circostante»[10]. A questa conclusione si perviene alla luce del principio di adeguamento delle disposizioni processuali alla personalità e alle esigenze educative dei minori di età, di cui all’art.1, comma 1, del D.P.R. n. 448/1988, che esige che le disposizioni dettate per gli adulti debbano essere adattate «alla personalità e alle esigenze educative del minorenne»: ciò significa, sul piano del riscontro della esistenza di un disegno criminoso unificante, che «mentre lo "stile di vita" ha normalmente un valore sintomatico non elevato e di contorno - in quanto non consente di distinguere tra la mera ripetizione o abitualità di certi comportamenti e la loro anticipata programmazione - nel caso del minore - in considerazione della particolare intensità dell'adesione a scelte di vita condizionate dall’ambiente, dal carattere e dall'immaturità del soggetto - dette scelte possono assumere un elevato significato indicativo anche circa la programmazione anticipata di singole condotte, specie in presenza di altri elementi sintomatici come la medesima tipologia dei reati commessi e la loro prossimità temporale»[11].
6. Alla luce di questa giurisprudenza e dei principi di cui è attuazione, possiamo augurarci che le pene che le donne Rom dovranno scontare, in forza di un provvedimento di cumulo di numerose sentenze di condanna oppure – come sempre più spesso avverrà in futuro – per l’esecuzione delle singole sentenze di condanna ricevute nel corso del tempo, siano state determinate tenendo conto della mancanza di ogni scelta, da parte loro, del comportamento criminale attuato, e anzi della sostanziale programmazione anticipata di quei reati da parte della comunità cui le donne appartengono. Purtroppo, sul fronte legislativo gli obiettivi sembrano andare in tutt’altra direzione: piuttosto che intensificare gli sforzi per arrivare a un’integrazione sociale di tutte le comunità nomadi e, per altro verso, pensare a strumenti che abbiano un’effettiva valenza rieducativa, rispondendo ai bisogni di questa categoria di persone vulnerabili[12], attraverso il cd. Pacchetto sicurezza[13] si vuole assicurare una maggiore presenza in carcere delle donne Rom, aumentando le occasioni di ingresso e la durata dell’incarcerazione. Da un lato, infatti, si propone di modificare l’art. 146 c.p., rendendo facoltativo – e quindi rimesso a una valutazione discrezionale del giudice – il differimento dell’esecuzione della pena, oggi obbligatorio, consentendone il diniego ogniqualvolta «dal rinvio derivi una situazione di pericolo, di eccezionale rilevanza, di commissione di ulteriori delitti». Si tratta, come si è detto, di una disposizione frequentemente applicata alle donne Rom, che fin da giovanissime si trovano a dover portare avanti una gravidanza dopo l’altra, e che vedrà invece ridotta drasticamente la sua applicazione, proprio nei loro confronti, stante la valutazione di alta pericolosità sociale che le accompagna, nonostante l’esiguità delle offese arrecate con le loro condotte. Un’ulteriore novità destinata ad aggravare la sanzione penale anche, e proprio, delle donne Rom è la nuova circostanza aggravante che riguarda i fatti commessi «all'interno o nelle immediate adiacenze delle stazioni ferroviarie e delle metropolitane o all'interno dei convogli adibiti al trasporto di passeggeri» (art. 61, comma 11-decies, c.p.). A fronte di interventi di questo tipo, si può solo confidare nell’uso sapiente da parte dei giudici di quegli strumenti che, come la disciplina del reato continuato, permettono di rimodulare pene che altrimenti rischiano di risultare assolutamente spropositate e discriminatorie.
[1] Cfr. in proposito la recentissima Raccomandazione CM/Rec(2024)1 del Consiglio dei Ministri del Consiglio d’Europa sull’Uguaglianza delle donne e delle ragazze di origine Rom e nomadi, adottata il 5 aprile 2024.
[2] C. Pecorella, “La mia galera vera era con mio marito". Testimonianze di donne ROM detenute nella II Casa di Reclusione di Milano-Bollate, in V. Jacometti (a cura di), Prevenzione e contrasto alla violenza contro le donne tra diritto e cultura, Torino, 2023.
[3] C. Pecorella, M. Dova, Quale giustizia per le donne Rom?, in G. Dodaro, M. Dova, C. Pecorella, C. Ruga Riva (a cura di), Riflessioni sulla giustizia penale. Studi in onore di Domenico Pulitanò, Torino, 2022.
[4] Per il reato continuato l’art. 81 c.p., prevede che la sanzione sia il risultato di un aumento fino a un triplo della pena che dovrebbe infliggersi per la violazione più grave, previamente individuata dal giudice tra quelle riconducibili a un “medesimo disegno criminoso”.
[5] Talvolta sono contestati in concorso anche reati diversi da quelli contro il patrimonio, come le false dichiarazioni sull’identità (art. 496 c.p.), false dichiarazioni sull’età a Pubblico Ufficiale (art. 495 c.p.), uso di atto falso (art. 489 c.p.), tutti funzionali a ottenere l’impunità o una attenuazione di pena nel procedimento in corso per furto (o talvolta rapina impropria, se per sottrarsi alla cattura hanno strattonato un vigilante).
[6] Questo escamotage è destinato a non essere più utilizzabile con l’introduzione del riconoscimento delle persone tramite le impronte digitali e il Codice Univoco Identificativo (CUI).
[7] L’ art. 146 c.p. dispone il rinvio obbligatorio dell’esecuzione della pena in caso di «donna incinta o madre di infante di età inferiore ad anni uno»; invece, ai sensi dell’art. 47-ter, co. 1-ter, o.p. la pena anziché differita può essere eseguita nella forma della detenzione domiciliare.
[8] Così, ad esempio, Tribunale di Ravenna, 13 aprile 2023, inedita.
[9] Da ultimo, Cass. Sez. I, 10 gennaio 2023, n. 15625; in precedenza, tra le tante, Cass. sez. V, 22 gennaio 2014, n. 2911, CED 257953.
[10] Così Cass. Sez. I, 26 aprile 2018, n. 18318, CED 273140, § 2 In diritto.
[11] Così Cass. Sez. I, 5 novembre 2009, n. 46166, CED 245507, § 3.1 In diritto.
[12] Per un approfondimento cfr. S. MISCIOSCIA, Chiuse fuori. Storie di donne Rom, fra devianza e discriminazione, Roma, 2021.
[13] Cfr. il disegno di legge S. 1236, contenente “Disposizioni in materia di sicurezza pubblica, di tutela del personale in servizio, nonché di vittime dell'usura e di ordinamento penitenziario”, approvato dalla Camera il 18 settembre 2024 e attualmente in corso di esame in Senato.