Coordinamento scientifico: Claudia Pecorella, Elena Biaggioni, Luisa Bontempi, Elisabetta Canevini, Noemi Cardinale, Paola Di Nicola Travaglini, Massimiliano Dova, Francesca Garisto, Fabio Roia
Le osservazioni dell’Associazione D.i.Re Donne in rete contro la violenza sulla questione di legittimità costituzionale dell’art. 605 c.p., come modificato dal d.lgs. 150/2022 (cd. riforma Cartabia), pendente davanti alla Corte costituzionale
1. L’art. 1 del d.lgs. n. 150 del 2022 ha introdotto un ultimo comma nell’art. 605 c.p., prevedendo la punibilità a querela del sequestro di persona nell’ipotesi base, salvo che il fatto sia commesso in danno di persona incapace, per età o infermità. Resta invece procedibile d’ufficio l’ipotesi aggravata di cui all’art. 605 comma 2 n. 1 c.p., relativa al fatto commesso contro l’ascendente, il discendente o il coniuge; quest’ultima situazione ricorre, per pacifica giurisprudenza, fino a quando il rapporto di coniugio non sia cessato con sentenza di divorzio.
2. Nel mantenimento della procedibilità d’ufficio per l’ipotesi di sequestro di persona ai danni di ascendente, discendente e coniuge, il giudice del Tribunale di Grosseto ha ravvisato un contrasto con il parametro della ragionevolezza ex art. 3 della Costituzione e sollevato la relativa questione di legittimità costituzionale. Nel caso all’origine della questione di legittimità costituzionale (sul quale v. infra) l’imputato era accusato del reato di sequestro di persona ai danni di due persone: mentre nei confronti della moglie separata il reato era procedibile d’ufficio, nei confronti del suo nuovo compagno era procedibile a querela. Di conseguenza, mentre per quest’ultimo il reato poteva estinguersi per intervenuta remissione di querela, nel caso della coniuge separata tale modalità di estinzione era preclusa. In questa disparità di trattamento il Tribunale di Grosseto ravvisava una violazione del principio di ragionevolezza.
3. Riteneva infatti il Giudice remittente che il diverso regime di procedibilità fosse incoerente con l’obiettivo sottostante alla riforma Cartabia, ovvero “il forte incentivo alla riparazione dell'offesa nonché alla definizione anticipata del procedimento penale attraverso la remissione della querela o l'attivazione della causa estintiva di cui all'art. 162-ter c.p.” (cfr. Relazione illustrativa del decreto legislativo recante attuazione della legge 27 settembre 2021 n. 134). Sempre secondo il Giudice rimettente, si doveva inoltre escludere che la disparità di trattamento riflettesse una valutazione basata su una maggiore offensività della condotta, perché alcune ipotesi di sequestro aggravate ai sensi dell’art. 61 c.p. (si pensi a sequestri aggravati da crudeltà), per le quali è prevista la procedibilità a querela, possono essere in concreto molto più offensive di quelle aggravate ai sensi dell’art. 605 co. 2 n. 1 c.p. Né sembrava plausibile ritenere che il legislatore avesse considerato la possibile vulnerabilità del coniuge, particolarmente esposto a “condizionamenti nel presentare la querela”: tale argomento, infatti, mal si concilierebbe con le scelte attuate in ordine al delitto di lesioni personali aggravato ai sensi dell'art. 577, n. 1, c.p. che, in base all’art. 585 c.p. resta procedibile a querela.
4. D’altra parte, l'art. 1, comma 15, della legge delega n. 134 del 2021 rispetto all’estensione del regime di procedibilità a querela ai reati contro il patrimonio e alla persona indicava due specifici principi e criteri direttivi: a) il limite, costituito dalla pena detentiva non superiore nel minimo a due anni; b) la previsione che, ai fini della determinazione della pena detentiva, non si tenesse conto delle circostanze, facendo salva la procedibilità d'ufficio in caso di incapacità della persona offesa, per età o infermità. Di conseguenza, l’ipotesi aggravata dell’art. 605, comma 2, n. 1, c.p. avrebbe dovuto essere sottoposta alla procedibilità a querela: secondo il giudice remittente, l’art. 605, ultimo comma, c.p., come modificato dal d.lgs.150/2022, sarebbe dunque in contrasto con gli articoli 3 e 76 della Costituzione, nella parte in cui non prevede la punibilità a querela della persona offesa quando il fatto è commesso in danno del coniuge ovvero, in via subordinata, del coniuge non più convivente.
5. L’associazione D.i.Re Donne in rete contro la violenza – composta da organizzazioni che gestiscono centri antiviolenza e case rifugio presenti in tutta Italia - ha depositato opinione scritta quale Amicus Curiae nella quale introduce una nuova prospettiva che non è stata in alcun modo considerata dal legislatore e dal giudice remittente: il rispetto delle disposizioni della Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e violenza domestica (Convenzione di Istanbul) e la Convenzione per l’eliminazione di tutte le discriminazioni contro le donne (CEDAW).
6. All’origine della questione di legittimità costituzionale vi è infatti un caso di violenza domestica, evidentemente non riconosciuto come tale dal giudice di Grosseto: una donna e il suo nuovo compagno, rientrando a casa, erano stati sorpresi dal marito della donna (in fase di separazione) che sotto la minaccia di ucciderli (e talvolta anche di uccidersi) li aveva costretti a entrare in casa, chiudendo con forza la porta; aveva poi impedito alla moglie di utilizzare il telefono per chiedere aiuto, arrivando poi a colpirli entrambi con un casco da motociclista e aggredendo la donna anche con il calcio della pistola. Durante le indagini sul caso, era emerso anche che la donna si era allontanata dal marito dopo un episodio di strangolamento che l’aveva molto spaventata: il marito l’aveva buttata sul letto, immobilizzata con una stretta al collo e minacciata di morte con la pistola. Successivamente all’avvio delle pratiche per la separazione, il marito non aveva mai smesso di attuare condotte moleste nei confronti della moglie, apparentemente dovute alla gelosia: molteplici messaggi e telefonate, anche con toni aggressivi e minacciosi. Si legge in proposito nell’ordinanza di remissione “L'atteggiamento a tratti persecutorio del N. ha avuto il suo epilogo drammatico nella tarda serata del..., quando l’imputato, in un raptus di rabbia e gelosia ha compiuto le gravi condotte illecite oggetto di contestazione”[1]. Non risultano tuttavia contestati né il reato di maltrattamenti né il reato di atti persecutori, ma solo quelli lesioni aggravate, minaccia e – appunto - di sequestro di persona, perché si era preso atto che alle due persone offese era stato impedito per un apprezzabile lasso di tempo di uscire dall’abitazione e di chiamare i soccorsi, privandole della libertà personale e cagionando loro le lesioni refertate in atti.
7. L’opinione analizza anzitutto gli obblighi gravanti sugli Stati in base alla Convenzione di Istanbul con particolare riferimento alla necessità di perseguire e punire tutte le forme di violenza elencate nel testo della Convenzione anche alla luce delle sentenze di condanna dell’Italia da parte della Corte EDU in materia di violenza maschile alle donne. Se, come ricostruito nell’opinione dell’Amicus curiae, il sequestro di persona ai danni del coniuge è ipotesi di violenza ricompresa nel testo della Convenzione, allora deve essere perseguita e punita come previsto dall’art. 45 e 55 della stessa. L’opinione ricostruisce quindi le (poche) volte in cui la Convenzione di Istanbul è nominata nella legge delega 134/2021 e nel d.lgs. 150/22 e menziona le preoccupazioni espresse dalla Procura Generale della Cassazione in punto di mutata procedibilità anche in relazione a ulteriori reati (i casi in cui la procedibilità a querela diventa procedibilità d’ufficio quando connessa a reati procedibili d’ufficio). Si estende infatti l’area di procedibilità a querela per una serie di reati per i quali la Convenzione di Istanbul prevede si proceda d’ufficio e che prima della riforma operavano sulla base della connessione tra i due reati.
9. L’Associazione chiede anzitutto che la Corte tenga conto della Convenzione di Istanbul nella decisione, riconoscendo la specificità dei casi di violenza contro le donne e di violenza domestica. Chiede quindi per l’effetto che la Corte rigetti la questione sollevata nella parte in cui lamenta la violazione dell’art. 3 della Costituzione, ricordando che la stessa Convenzione dispone (all’art. 4 u.c.) che le misure specifiche necessarie per prevenire la violenza e proteggere le donne contro la violenza di genere non sono considerate discriminatorie. Sollecita infine la Corte a sollevare di fronte a sé stessa questione di costituzionalità per la violazione dell’art. 117 c. 1 Costituzione in combinato disposto con gli articoli 33, 35, 55 della Convenzione, così da pervenire a una declaratoria di incostituzionalità della procedibilità per querela del reato di sequestro di persona, laddove connesso alla Convenzione di Istanbul. L’importanza dell’opinione dell’Amicus curiae va evidentemente oltre il caso di specie e le diverse opinioni in merito al regime di procedibilità dei reati relativi alla violenza maschile alle donne e ricorda soprattutto la necessità che il legislatore e l’interprete rispettino le Convenzioni ratificate dall’Italia.
[1]Duole leggere ancora espressioni quali “raptus di rabbia e gelosia” in atti giudiziari che veicolano così a pregiudizi e stereotipi assai dannosi.