Coordinamento scientifico: Claudia Pecorella, Elena Biaggioni, Luisa Bontempi, Elisabetta Canevini, Noemi Cardinale, Paola Di Nicola Travaglini, Massimiliano Dova, Francesca Garisto, Fabio Roia
I giudici non rispettano la Convenzione di Istanbul e la Corte EDU condanna l’Italia per l’ennesima volta
di Selena Vitti
1. Lo scorso 11 novembre, per la quarta volta nel corso di quest’anno, lo Stato italiano è stato condannato dalla Corte europea dei diritti umani per la sua inadeguatezza nella protezione delle vittime di violenza domestica[1]: in quest’ultima sentenza, I.M. e altri contro Italia, una violazione dell’art. 8 della CEDU (diritto al rispetto della vita privata e familiare) è stata riscontrata nella mancata protezione di due minori, costretti a incontrare il padre violento, tossicodipendente e alcoldipendente, in un ambiente non sufficientemente sicuro e nella contestuale sospensione della responsabilità genitoriale della madre, considerata dai giudici «ostile al ristabilirsi di un rapporto padre-figlio» per essersi lamentata degli atti di violenza domestica e della mancanza di condizioni di sicurezza degli incontri, rifiutando di parteciparvi.
2. La vicenda ha come protagonista una donna che, dopo aver subito per anni maltrattamenti e minacce dal suo compagno, si era decisa a denunciarlo, trovando rifugio insieme ai figli in un centro antiviolenza. Nel 2015 il Tribunale per i minorenni di Roma aveva autorizzato il padre a incontrare i figli in forma «rigorosamente protetta» presso i servizi sociali di Roma, in presenza di uno psicologo. Ciononostante, dai vari rapporti dei servizi sociali risulta che gli incontri, in un primo tempo, erano stati organizzati e si erano svolti in luoghi inadeguati, senza la presenza di uno psicologo e, in un secondo tempo, erano stati caratterizzati da una crescente aggressività del padre ed erano proseguiti senza che fosse intervenuto alcun miglioramento della situazione e nonostante le varie segnalazioni all’autorità giudiziaria.
3. La Corte osserva che le misure adottate dallo Stato, che avrebbero dovuto proteggere i minori da atti di violenza, sono state insufficienti e inadeguate, costringendo per tre anni i bambini a incontrare il padre in condizioni che non garantivano la loro tranquillità e il loro sviluppo. A preoccupare, nelle decisioni dei Tribunali nazionali, non è soltanto la prevalenza accordata al diritto alla c.d. bigenitorialità del padre sull’interesse superiore del minore, ma anche la mancata considerazione degli atti di violenza domestica subiti dalla ricorrente e dai figli: un tema che la Corte EDU aveva già affrontato in una precedente condanna al nostro Paese lo scorso gennaio 2022.
4. Si rammenta che la Convenzione di Istanbul, nel disciplinare i diritti di custodia e di visita dei minori, richiede che si tenga conto degli episodi di violenza rientranti nel campo di applicazione della Convenzione e che «l’esercizio del diritto di visita o di custodia non metta a repentaglio i diritti e la sicurezza della vittima o dei figli» (articolo 31). Per un’adeguata valutazione del miglior interesse dei minori, dunque, i giudici avrebbero dovuto tenere conto della situazione familiare nel suo complesso, della violenza patita dalla ricorrente e dei rischi elevati che comporta il mantenimento dei contatti tra la vittima e l’autore della violenza, in assenza di protezione e di misure appropriate. Ancora una volta, appare significativa la mancata applicazione dell’articolo 31 della Convenzione da parte dei giudici italiani, già precedentemente rilevata anche dal GREVIO nel suo Rapporto sull’Italia.
5. La Corte ha anche criticato le decisioni dei tribunali nazionali di sospendere la responsabilità genitoriale della madre, per essersi opposta alla prosecuzione degli incontri tra i figli e il padre violento. Emerge ancora una volta la vittimizzazione secondaria che le donne subiscono nelle aule giudiziarie e la prassi – già censurata da un’importante sentenza del G.i.p di Roma, pubblicata su questa Rivista – di considerare «madri inadatte» quelle che invocano la violenza domestica come motivo per opporsi agli incontri tra i loro figli e il loro ex compagno o all'affidamento condiviso con quest'ultimo, sulla base di una teoria priva di fondamento scientifico come la sindrome da alienazione parentale. Oggetto di preoccupazione avrebbero dovuto essere piuttosto le difficoltà emerse nel corso degli incontri (come, ad esempio, l’impossibilità della madre di richiedere giorni di ferie per percorrere distanze lunghe fino a 120km per raggiungere il luogo dell’incontro), la mancanza di condizioni di sicurezza di questi ultimi, del resto segnalata dalla madre in più occasioni, e la particolare vulnerabilità della donna, anche alla luce del procedimento penale per maltrattamenti pendente nei confronti del padre dei minori[2].
6. Ancora una volta, dunque, i giudici di Strasburgo pongono un riflettore sulla sostanziale difficoltà, anche culturale, dell’autorità giudiziaria italiana nell’affrontare il fenomeno della violenza contro le donne e le sue conseguenze sui minori. Secondo diversi organismi sovranazionali di controllo come il GREVIO e il Comitato CEDAW, alla base di tale difficoltà vi è la sostanziale assenza di una formazione specifica degli operatori di diritto che, a diverso titolo, hanno a che fare con la violenza contro le donne. Lo stesso dato è stato del resto rilevato anche dalle più recenti indagini sul tema effettuate nel nostro Paese: quella della Commissione Parlamentare di inchiesta sul femminicidio, nonché su ogni forma di violenza di genere (si vedano il Rapporto sulla violenza di genere e domestica nella realtà giudiziaria e la Relazione finale del novembre 2021) e l’indagine empirica sulle competenze dei CTU chiamati a valutare le competenze genitoriali in situazioni di violenza domestica svolta dall’Università di Trieste. La drammatica conseguenza di questa situazione, come dimostra la sentenza annotata, è l’ulteriore vittimizzazione delle donne e dei loro figli che, con (comprensibile) scetticismo, si rivolgono al sistema giudiziario.
[1] Nell’arco del 2022 la Corte ha avuto occasione di intervenire in altre tre occasioni nelle quali vittime di violenza domestica lamentavano il mancato sostegno da parte delle autorità e la loro incapacità di riconoscere la violenza di genere: D.M e N. c. Italia (22 gennaio 2022), Landi c. Italia (7 aprile 2022) e De Giorgi c. Italia (16 giugno 2022).