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  Scheda  
08 Maggio 2023


Caso ASSO 28: la Corte d’Appello di Napoli conferma la condanna per sbarco arbitrario e abbandono di minori o incapaci sulle coste libiche

Corte app. Napoli, sent. 10 novembre 2022 (dep. 1° febbraio 2023), n. 16696



*Contributo pubblicato nel fascicolo n. 5/2023.

 

1. Segnaliamo ai lettori che con la sentenza che può leggersi in allegato, la Corte d'Appello di Napoli ha confermato la decisione, già pubblicata sulla nostra Rivista, con la quale il Giudice per l’Udienza Preliminare presso il Tribunale di Napoli aveva condannato il comandante della nave mercantile ASSO 28, battente bandiera italiana – nave di appoggio a una piattaforma petrolifera di proprietà della società Alfa, sita al largo delle coste libiche – a titolo di sbarco e abbandono arbitrario di persone (1155 cod. nav.) e di abbandono di persone minori o incapaci (591 c.p.), per aver trasportato e sbarcato in Libia 101 migranti soccorsi in acque internazionali (zona S.A.R. libica), senza previamente contattare i Centri di coordinamento e soccorso di Tripoli o di Roma e agendo, invece, sulla sola base delle indicazioni provenienti dalla società in favore della quale la nave prestava la propria attività.

La sentenza del G.U.P. di Napoli aveva suscitato l'interesse dei penalisti e dell'opinione pubblica perché, per la prima volta, un giudice italiano riconosceva che la Libia non è un porto sicuro e che lo sbarco sulle sue coste delle persone soccorse in mare è illegittimo. Il G.U.P. pareva, altresì, affermare che un eventuale ordine (nel caso concreto non emanato) di sbarcare i migranti nel Paese nordafricano, che fosse rivolto dalle autorità nei confronti del comandante, non avrebbe avuto efficacia scriminante ai sensi dell'art. 51 c.p., in quanto si sarebbe trattato di un ordine criminoso.

Con  la sentenza qui segnalata, la Corte d’Appello di Napoli ha respinto il ricorso dell’imputato e ha confermato la sentenza impugnata. Ripercorriamo brevemente le motivazioni della Corte, che risultano adesive a quelle della pronuncia del Tribunale[1].

 

2. Evidenziamo innanzitutto come la Corte d’Appello faccia propria la ricostruzione dei fatti operata dal G.U.P. Il 30 luglio 2018 la nave ASSO 28, di proprietà della società Beta di Napoli, nave di appoggio della piattaforma petrolifera S. della società Alfa (partecipata dall’italiana Gamma e dalla libica Delta), soccorreva in acque internazionali (zona S.A.R. libica) 101 naufraghi che si trovavano su un’imbarcazione salpata dalle coste africane. Dalla piattaforma proveniva la richiesta, rivolta al comandante, di imbarcare un soggetto di nazionalità libica – apparentemente qualificatosi come “ufficiale di dogana” presente sulla piattaforma stessa; questi, una volta salito a bordo, suggeriva al comandante di dirigersi verso le coste libiche e ivi sbarcare i migranti soccorsi. L’imputato soddisfaceva la richiesta e dirigeva la rotta verso Tripoli; solo a navigazione avviata, contattava il Centro di coordinamento e soccorso di Tripoli e l’Italian Maritime Rescue Coordination Centre (IMRCC). Una volta giunto in prossimità delle coste tripoline, il comandante trasferiva i migranti a bordo di una motovedetta libica, la quale procedeva allo sbarco.

 

3. È importante soffermarsi sulla qualifica rivestita dal soggetto di nazionalità libica proveniente dalla piattaforma e imbarcatosi sulla ASSO 28. Stando a quanto riportato dall’imputato e da alcuni testimoni, era un ufficiale di dogana libico; alcune delle dichiarazioni rilasciate sollevavano, in realtà, il dubbio che si trattasse di un mero dipendente della società privata proprietaria della piattaforma. La sentenza di primo grado non scioglieva il dubbio sul punto: ciò che risultava accertato, tuttavia, era che la persona salita a bordo non era un funzionario della guardia costiera libica. Ciò consentiva di qualificare come arbitrario ai sensi dell’art. 1155 cod. nav., in quanto avvenuto in assenza di autorizzazione da parte del centro di coordinamento e soccorso competente a gestire l’operazione (quello libico), lo sbarco: non risultava possibile, infatti, sostenere che la presa di contatto con la guardia costiera libica fosse avvenuta per il tramite del funzionario salito a bordo, e, di conseguenza, che fosse stata tempestiva; al contrario, l’autorità competente era stata avvisata solo a navigazione avviata, e, quindi, in un momento successivo all’avvio dell’operazione di soccorso, che, a questo punto, risultava coordinata da un’autorità che non aveva alcuna competenza in merito, se non, addirittura, da una compagnia privata. Lo sbarco non autorizzato presso un porto notoriamente non sicuro di cinque minori e di cinque donne in stato di gravidanza comportava altresì il riconoscimento, a carico del comandante, del reato di abbandono di minori o incapaci (art. 591 c.p.).

 

4. La Corte d’Appello condivide la ricostruzione dei fatti operata dal G.U.P. Di conseguenza, rigetta l’argomentazione difensiva alla luce della quale il fatto di sbarco arbitrario non sussisterebbe, in quanto l’operazione di “salvataggio” sarebbe stata coordinata dall’autorità tripolina competente ai sensi della Convenzione di Amburgo. La predetta autorità sarebbe stata, infatti, avvisata solo quando la nave si stava dirigendo presso le coste libiche, mentre, al momento del soccorso dei naufraghi, l’unico contatto era avvenuto con la piattaforma S. Ad abundantiam, la Corte riconosce che la convenzione di Amburgo risultava violata anche a causa della mancata identificazione dei passeggeri e del mancato accertamento delle loro condizioni di salute. La configurabilità del delitto di abbandono discende dal riconoscimento dell’arbitrarietà dello sbarco, il quale, non autorizzato dalle competenti autorità, non può considerarsi scriminato dal rispetto delle convenzioni internazionali. Poiché il comandante non aveva alcun obbligo di rispettare l’ordine proveniente da un sedicente funzionario di dogana, la Corte rigetta anche l’argomento in base al quale egli andrebbe assolto per non aver commesso il fatto (formula che sarebbe applicabile solo quando la condotta, pure considerata censurabile, fosse stata realizzata da un soggetto irresponsabile) e quello in base al quale l’imputato potrebbe beneficiare della causa di giustificazione prevista dall’art. 51 c.p. per aver eseguito un ordine legittimo (non sarebbe applicabile nemmeno l’art. 59 c. 4 c.p., in quanto il comandante non aveva nemmeno identificato il presunto funzionario – accettando, vuol forse dire la Corte, l’eventualità che il soggetto da cui gli ordini provenivano non fosse affatto competente a impartirli). Quanto all’elemento soggettivo, infine, la Corte d’Appello ritiene dimostrato che esistesse, in capo al comandante, il dolo generico richiesto dall’art. 591 c.p. (compatibile con la forma eventuale), in quanto questi aveva accettato, abbandonando i migranti sulle coste libiche, di esporli a pericolo per la loro vita e incolumità: respinge, dunque, il motivo in base al quale il fatto non costituirebbe reato. Merita, infine, menzione che la Corte escluda l’applicabilità dell’art. 131 bis c.p., non reputando esiguo il pericolo di subire trattamenti inumani e degradanti cui la condotta del comandante avrebbe esposto ben 101 persone e ritenendo intenso il dolo – pur solo eventuale – che aveva animato l’imputato.

 

***

 

5. Come anticipato, la Corte d’Appello condivide la ricostruzione dei fatti operata dal G.U.P. nonché la loro qualificazione in termini di illiceità penale: per un commento delle motivazioni della pronuncia di secondo grado ci sembra, dunque, sufficiente fare rinvio a quanto già osservato rispetto alla sentenza del Tribunale. Ciò che ci sembra utile ribadire in questa sede è che la Corte – come già, prima di questa, il G.U.P. – riconosce che la Libia non è un porto sicuro e che lo sbarco sulle sue coste di persone soccorse in mare è penalmente rilevante in quanto comporta l’esposizione dei migranti al rischio di subire trattamenti contrari al senso di umanità. Il rispetto delle Convenzioni internazionali può, astrattamente, rivestire funzione scriminante (la Corte sembra implicitamente ammetterlo nel momento in cui respinge il motivo difensivo fondato sull’applicabilità dell’art. 51 c.p. affermando che nessun ordine era stato impartito dal Centro di coordinamento e soccorso di Tripoli). Tuttavia – ci pare di poter osservare – è necessario interrogarsi sulla legittimità sostanziale dell’ordine di sbarcare essere umani presso un luogo notoriamente non sicuro nonché – nel caso in cui si ritenga illegittimo un ordine di questo tenore – sull’applicabilità dell’art. 59 c. 4 c.p. a favore di colui che sostenga di non aver riconosciuto l’illegittimità.

 

 

 

[1] Per la quale cfr. C. Pagella, Sulla rilevanza penale dello sbarco su suolo libico di migranti soccorsi in acque internazionali, in Questa rivista, 5 settembre 2022.