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19 Dicembre 2023


La Corte costituzionale sull’art. 69, c. 4 c.p.: illegittimo il divieto di prevalenza delle attenuanti sulla recidiva reiterata nel caso di delitti per i quali è previsto l’ergastolo

Corte cost., 18 aprile 2023 (dep. 12 maggio 2023), n. 94, Pres. Sciarra, Red. Amoroso



*Contributo pubblicato nel fascicolo 12/2023

 

1. Con la sentenza in commento, la Corte costituzionale ha sottoposto a un nuovo esame il meccanismo previsto dall’art. 69, c. 4 c.p.[1], in base al quale al giudice è preclusa una dichiarazione di soccombenza – nell’ambito del giudizio di bilanciamento fra circostanze eterogenee – della recidiva reiterata rispetto a concorrenti attenuanti. Il procedimento dal quale ha avuto origine l’ordinanza di rimessione riguardava un fatto integrante il reato di devastazione, saccheggio e strage commessi allo scopo di attentare alla sicurezza dello Stato, previsto all’art. 285 c.p. e punito con l’ergastolo, in relazione al quale il giudice a quo riteneva configurabili tanto l’attenuante del fatto di lieve entità di cui all’art. 311 c.p. quanto la recidiva reiterata ex art. 99, c. 4 c.p. Il rimettente considerava l’attenuante del fatto di lieve entità prevalente sulla recidiva, con la conseguenza che, se avesse potuto esercitare la propria discrezionalità, avrebbe inflitto, in luogo dell’ergastolo previsto per la fattispecie-base di strage “politica”, la detenzione compresa tra 20 e 24 anni (che sarebbe divenuta applicabile ex art. 65 c.p.); tale scelta gli era invece preclusa per effetto dell’operatività del meccanismo previsto dall’art. 69, c. 4 c.p., che gli imponeva di considerare la recidiva reiterata prevalente o equivalente sulla concorrente attenuante. Il rimettente investiva così la Consulta della questione della compatibilità del meccanismo previsto dall’art. 69, c. 4 c.p. con gli artt. 3, c. 1, 25, c. 2 e 27, c. 3 Cost., nella parte in cui non consentiva al giudice, relativamente al reato di devastazione, saccheggio e strage, di ritenere la circostanza attenuante del fatto di lieve entità di cui all’art. 311 c.p. prevalente sulla recidiva di cui all’art. 99, c. 4 c.p., impedendogli, di conseguenza, di mitigare la risposta sanzionatoria tenendo conto della scarsa gravità della condotta concreta. La Corte, tuttavia, si è spinta oltre il perimetro della questione sottopostale, onde verificare la legittimità dell’operatività del meccanismo c.d. “di blindatura” della recidiva reiterata rispetto a tutti i reati per i quali la legge stabilisce la pena dell’ergastolo[2].

 

2. Prima di passare al caso concreto che ha dato origine all’ordinanza di rimessione e alla pronuncia della Corte costituzionale, non ci sembra superfluo ricordare brevemente il contenuto dell’art. 69 c. 4 c.p. e il concreto funzionamento del meccanismo ivi descritto.

La disciplina originaria del codice Rocco prevedeva, all’art. 69, l’esclusione dal giudizio di bilanciamento delle circostanze inerenti alla persona del colpevole nonché delle circostanze per le quali la legge stabiliva una pena di specie diversa o determinava la pena in misura indipendente da quella ordinaria del reato. Con l’art. 6 del d.l. 11 aprile 1974, n. 99, conv. dalla legge 7 giugno 1974, n. 220, il legislatore ha sancito il principio opposto, consentendo al giudice di includere tutte le circostanze nel giudizio di bilanciamento (art. 69, c. 4 c.p.). L’ampliamento della discrezionalità giudiziale al momento della commisurazione della pena che è conseguito alla riforma è stato ritenuto eccessivo, tanto da indurre il legislatore a introdurre una serie di deroghe alla regola del bilanciamento delle circostanze: sono state così previste, nella legislazione speciale e nella parte speciale del codice, diverse ipotesi di aggravanti in relazioni alle quali l’esito del giudizio di bilanciamento appare predeterminato ex lege nel senso di escludere la prevalenza (esclusione dal giudizio di bilanciamento a base parziale) o, in alcuni casi, anche l’equivalenza (esclusione dal giudizio di bilanciamento a base totale), delle attenuanti sulle predette aggravanti[3]. In dottrina e in giurisprudenza sono sorti dubbi in ordine al concreto funzionamento del meccanismo c.d. “di blindatura” e, in particolare, in ordine all’applicabilità delle diminuzioni di pena previste per le attenuanti la cui configurabilità sia eventualmente ritenuta sussistente. Con due sentenze del 1985 (n. 38 del 7 febbraio 1985 e n. 94 del 18 aprile 1985), la Corte costituzionale si è occupata dell’aggravante della finalità di terrorismo e di eversione che, in base all’art. 1, c. 3, l. 15/1980, non poteva che essere dichiarata prevalente, in sede di giudizio di bilanciamento, rispetto alle concorrenti attenuanti. Poiché dalla citata disposizione era stato rimosso l’inciso «le diminuzioni di pena si operano sulla pena conseguente all’applicazione delle circostanze aggravanti», il giudice a quo riteneva che l’unica interpretazione possibile della disposizione fosse quella che sanciva l’applicazione de iure dell’aggravante, escludendo l’applicabilità delle attenuanti (di conseguenza, il rimettente censurava la disposizione per violazione del principio di uguaglianza). La Consulta respingeva la lettura proposta dal rimettente e affermava che, in caso di aggravanti privilegiate, il giudice ha a disposizione due opzioni: procedere al giudizio di bilanciamento, il cui esito sarà però vincolato, non potendo condurre a una dichiarazione di prevalenza [né, in molti casi, di equivalenza]  delle attenuanti; non applicare l’art. 69 c.p. e ricorrere, invece, al meccanismo di cui all’art. 63 c.p., applicando la diminuzione di pena prevista per le attenuanti sulla misura della pena determinata a seguito dell’applicazione dell’aggravante privilegiata. Onde escludere l’illegittimità costituzionale della previsione dell’aggravante privilegiata allora sottoposta al suo vaglio, la Corte costituzionale ha quindi sancito la natura facoltativa del giudizio di bilanciamento. Dopo il 1985, il legislatore, nel prevedere nuove ipotesi di circostanze privilegiate, ha spesso stabilito espressamente che le diminuzioni di pena per le attenuanti non privilegiate si applicano dopo l’aumento conseguente all’applicazione dell’aggravante sottratta al giudizio di bilanciamento, così recependo le indicazioni della Consulta; la lettura adeguatrice della Corte costituzionale deve peraltro essere adottata anche nei casi in cui tale affermazione manchi[4].

Tra le aggravanti privilegiate per le quali è prevista l’esclusione dal giudizio di bilanciamento a base parziale rientrano quelle previste dall’u.c. dell’art. 69 c.p, le quali possono essere dichiarate solo prevalenti o equivalenti (mai subvalenti) rispetto alle concorrenti attenuanti: si tratta della recidiva reiterata (art. 99, c. 4 c.p.), della determinazione al reato di persona non imputabile o non punibile (art. 111 c.p.) e dell’aver determinato al reato un minore degli anni diciotto, o una persona in stato di infermità o deficienza psichica ovvero dell’essersi avvalso di una di tali persone per commettere un delitto per il quale è previsto l’arresto in flagranza (art. 112, c. 1, n. 4 c.p.). La sentenza in commento ha ad oggetto l’art. 69, u.c., nella parte che riguarda la recidiva reiterata.

 

3. Veniamo, adesso, al caso oggetto del giudizio. La questione di legittimità costituzionale era stata sollevata dalla Corte d’assise d’appello di Torino[5] – investita in sede di rinvio a seguito di annullamento da parte della Corte di cassazione della pronuncia precedentemente emessa da diversa sezione della medesima Corte d’assise d’appello – nel corso nel procedimento a carico di Alfredo Cospito, riconosciuto responsabile di strage allo scopo di attentare alla sicurezza dello Stato (art. 285 c.p.) per aver collocato due ordigni ad alto potenziale esplosivo nei pressi di uno degli ingressi della scuola Allievi Carabinieri di Fossano. Nel corso dei precedenti gradi di giudizio era stata affermata – e si trattava di affermazione ormai coperta da giudicatola sussistenza dei presupposti per ritenere l’imputato recidivo reiterato ai sensi dell’art. 99, c. 4 c.p.; il rimettente riteneva altresì configurabile l’attenuante del fatto di lieve entità prevista dall’art. 311 c.p., considerato che (per un caso fortunato) l’attentato non aveva provocato danni alle persone e aveva causato limitati danni alle cose. Il giudice a quo affermava che, se egli avesse potuto porre in bilanciamento l’attenuante in parola con la recidiva reiterata, avrebbe ritenuto la prima prevalente, e avrebbe quindi inflitto – applicando l’art. 65 c.p. – una pena compresa tra un minimo di 20 e un massimo di 24 anni in luogo dell’ergastolo previsto dall’art. 285 c.p.: scelta che gli era invece preclusa per effetto dell’operatività del meccanismo c.d. di “blindatura” delle aggravanti privilegiate descritto dall’art. 69, c. 4, che gli imponeva di considerare prevalente o equivalente la recidiva e dunque di infliggere la pena perpetua. Il rimettente censurava, quindi, quest’ultima disposizione per contrasto con gli artt. 3, c. 1, 25, c. 2 e 27, c. 3 Cost., in quanto essa non gli consentiva di mitigare la risposta sanzionatoria (peraltro connotata da notevole severità) prevista per la strage – delitto a consumazione anticipata integrato tanto da condotte che abbiano provocato la morte di una o più persone tanto da atti solo idonei a raggiungere tale risultato – in relazione alla concreta portata offensiva della condotta (che, lo ripetiamo, nel caso concreto non aveva provocato danni significativi). In particolare, la necessaria applicazione della più afflittiva tra le pene privative della libertà personale a prescindere da ogni considerazione in ordine alla gravità dell’offesa arrecata si sarebbe posta in contrasto col principio rieducativo espresso dall’art. 27, c. 3 Cost., mentre la previsione di una sanzione di eguale gravità per condotte connotate da differente lesività (che abbiano provocato la morte di più persone e che siano risultate in concreto inoffensive) avrebbe contrastato col principio di eguaglianza ex art. 3 Cost. e con quello di offensività di cui all’art. 25 Cost. (che impone al legislatore e, poi, al giudice, di valorizzare, al momento della formulazione del giudizio sull’entità di pena da infliggere per un determinato reato, l’oggettiva gravità dei comportamenti serbati, escludendo che il “peso” di tale criterio possa essere neutralizzato da valutazioni che attengano esclusivamente alla pericolosità sociale del reo).

 

4. Superate agevolmente le obiezioni in punto di rilevanza della questione sollevate dall’Avvocatura di Stato, la Corte costituzionale passa al merito della questione e comincia col ripercorrere la propria giurisprudenza in materia di art. 69, c. 4 c.p. ricordando come molte delle questioni di legittimità sollevate in passato con riferimento a questa disposizione nella parte in cui non consentiva la prevalenza delle attenuanti sulla recidiva ex art. 99, c. 4 c.p. erano state dichiarate inammissibili in quanto fondate sul presupposto erroneo dell’obbligatorietà dell’applicazione della recidiva reiterata; riconoscendo, al contrario, che l’aumento di pena previsto dall’art. 99, c. 4 c.p. non si ricollega a uno status dell’autore del reato bensì a un giudizio di maggiore riprovevolezza formulato nei suoi confronti per essersi mostrato insensibile alle precedenti condanne, la Consulta aveva escluso l’automatica elisione delle circostanze attenuanti da parte della circostanza “blindata” della recidiva reiterata (le attenuanti, infatti, qualora la recidiva non fosse stata ritenuta idonea a determinare un aggravamento della pena, non sarebbero nemmeno entrate in bilanciamento con questa), così respingendo le prospettazioni di illegittimità formulate. La Corte puntualizza, però, che, nel caso concreto, la non obbligatorietà della recidiva non poteva rilevare, poiché l’affermazione in ordine alla sussistenza dell’aggravante – formulata nei precedenti gradi di giudizio – era ormai passata in giudicato, vincolando così il rimettente, il quale non poteva che riconoscere l’automatica prevalenza della recidiva rispetto alle attenuanti che avesse eventualmente ritenuto sussistenti. Ci sembra opportuno puntualizzare che la Consulta ripercorre la propria giurisprudenza in punto di facoltatività della recidiva per scopi ricognitivi; come la Corte stessa ricorda, il giudice di merito deve applicare l’aggravante della recidiva qualora ne ricorrano i presupposti e non può, invece, esimersene allo scopo di evitare di innescare il meccanismo previsto dall’art. 69, c. 4, che gli imporrebbe di ritenere la recidiva prevalente o almeno equivalente rispetto alle attenuanti eventualmente sussistenti. In caso contrario, eluderebbe il disposto di cui all’u.c. dell’art. 69 c.p., come la Consulta ha puntualizzato in una sentenza di poco successiva a quella qui in commento[6].

 

5. La Corte costituzionale ripercorre poi i casi nei quali, invece, aveva dichiarato parzialmente illegittimo l’u.c. dell’art. 69 c.p. nella parte in cui non consentiva la prevalenza di alcune specifiche circostanze attenuanti sulla recidiva reiterata. Si era trattato, in particolare, di circostanze incentrate sulla tenuità dell’offesa (fatto di lieve entità in materia di stupefacenti ex art. 73, c. 5 t.u. stupefacenti[7], particolare tenuità della ricettazione ex art. 648, c. 4 c.p.[8] e della violenza sessuale ex 609 bis, c. 3[9], danno patrimoniale di particolare tenuità in relazione alla bancarotta semplice e fraudolenta – art. 219, c. 3 l. fall. in relazione agli artt. 217 l. fall., ora art. 323 d.lgs. n. 14/2019 e art. 216 l. fall., ora art. 322 d.lgs. n. 14/2019[10] – e al ricorso abusivo al credito – art. 218 l. fall., ora art. 325 d.lgs. n. 14/2019[11], particolare tenuità in relazione al sequestro di persona a scopo di estorsione di cui all’art. 630 c.p.[12]), nonché delle attenuanti del ravvedimento postdelittuoso in materia di stupefacenti previsto dall’art. 73, c. 7 t.u. stup.[13], del vizio parziale di mente ex art. 89 c.p.[14] e della circostanza prevista, in caso di concorso anomalo, in favore di colui che volle il fatto meno grave (art. 116 c. 2 c.p.)[15].

 

6. Il breve excursus tra le questioni di legittimità costituzionale aventi ad oggetto il c. 4 dell’art. 69 in passato accolte serve alla Corte per osservare che tutte le sentenze – seppur riferite a reati e a circostanze attenuanti tra loro anche profondamente diverse – sottendono rationes decidendi riconducibili a principi comuni, declinabili lungo una triplice direttrice: 1) nel caso di disposizioni che si caratterizzino per un ampio divario tra la pena prevista per la fattispecie base e quella prevista al ricorrere di un’attenuante, l’operatività del divieto di prevalenza della circostanza attenuante rispetto alla recidiva reiterata conduce a esiti tendenzialmente in contrasto con i principi di eguaglianza, offensività e proporzionalità della pena tendente alla rieducazione del condannato: tale divario segnala, infatti, che il legislatore ha ritenuto che condotte pur integranti la medesima fattispecie di reato siano suscettibili, in concreto, di differenziarsi anche nettamente sotto il profilo del disvalore, e risponde, quindi, alla necessità che la pena inflitta sia proporzionata alla gravità delle condotte realizzate: esito cui sarebbe impossibile pervenire qualora l’operatività dell’attenuante fosse automaticamente paralizzata per effetto del riconoscimento della sussistenza della recidiva; 2) una ratio simile si rinviene nel caso di fattispecie di reato non circostanziate caratterizzate da particolare ampiezza, suscettibili, quindi, di essere integrate da condotte anche molto diverse quanto a gravità: la previsione di attenuanti applicabili in caso di “minore gravità” è dovuta alla necessità di valorizzare tali differenze al momento della commisurazione della pena; 3) una terza ragione che ha portato a ritenere il meccanismo di cui all’art. 69, c. 4 c.p. incostituzionale è stata che esso non consentiva di mitigare il trattamento sanzionatorio in ragione della ridotta rimproverabilità soggettiva dell’autore del reato.

 

7. Tutte queste ragioni – afferma la Corte – ricorrono nel caso in cui il divieto di prevalenza delle attenuanti comporta che l’unica pena irrogabile è l’ergastolo, quale che sia stata la condotta dell’imputato, rientrante in quella prevista dall’art. 285 c.p. In un caso come quello di specie, infatti: 1) il divario tra la pena prevista per l’ipotesi “base” (ergastolo) e quella che sarebbe applicabile qualora il giudice ritenesse prevalente l’attenuante (reclusione da 20 a 24 anni per effetto dell’applicazione dell’art. 65 c.p.) è senz’altro ampio; ricorre infatti una differenza sostanziale (con le parole della Corte “c’è un fossato”[16]) tra una pena temporanea e una che, quantomeno al momento della sua inflizione, è perpetua e quindi “senza speranza”; 2) la fattispecie prevista dall’art. 285 c.p. («fatto diretto a portare […] la strage») è ad ampio spettro, in quanto include (prevedendo un reato a consumazione anticipata) tanto comportamenti che abbiano causato la morte di più persone quanto condotte che – come avvenuto nel caso che ha dato origine all’ordinanza di rimessione – non abbiano provocato che danni di scarsissima entità alle cose; per tutte queste condotte è anzi prevista la pena dell’ergastolo, la cui inflizione diventa inevitabile a causa dell’operatività del divieto di cui all’art. 69, c. 4. (con la conseguenza che l’ergastolo risulta, in concreto, una pena fissa e indefettibile). La previsione di pene fisse è ritenuta da giurisprudenza costituzionale unanime «non in linea con il volto costituzionale del sistema penale»[17]; la presunzione della loro illegittimità costituzionale è, tuttavia, solo relativa, in quanto può essere superata qualora si riesca a dimostrare che, per nessuna delle condotte concrete suscettibili di integrare la fattispecie, la pena fissa prevista dal legislatore appare sproporzionata per eccesso: ma ciò non può dirsi – continua la Corte – quando questa sia comminata in relazione ad atti che, pur integrando il delitto consumato, si differenzino sul piano oggettivo per condotte di più avanzato compimento dell’attività delittuosa; l’esigenza di modulazione della risposta sanzionatoria in relazione alla gravità della condotta concreta si rivela, poi, particolarmente impellente nei delitti di attentato (o “a consumazione anticipata”); 3) il divieto di prevalenza delle attenuanti sulla recidiva reiterata comporta che il condannato per un reato per il quale è prevista la pena dell’ergastolo subisca un trattamento deteriore rispetto a quello riservato all’autore di reato sanzionato con una pena diversa da quella perpetua: nel caso di reato punito con la reclusione, le attenuanti – suscettibili, in base all’art. 69, c. 4 c.p. di essere dichiarate equivalenti rispetto alla recidiva – consentono almeno di schermare dall’aumento di pena; nel caso di delitto sanzionato con la pena perpetua, le attenuanti non producono nemmeno questo limitato effetto, in quanto la sanzione dell’ergastolo non potrebbe in ogni caso essere aumentata per il ricorrere di aggravanti.

 

8. La Corte condivide, in definitiva, le censure mosse dal rimettente. Rispetto all’art. 285 c.p., punito con la pena dell’ergastolo, il divieto di prevalenza dell’attenuante di cui all’art. 311 c.p. sulla recidiva reiterata che consegue all’applicazione dell’art. 69, c. 4 c.p. comporta l’impossibilità, per il giudice, di infliggere la reclusione da 20 a 24 anni in luogo dell’ergastolo, impedendogli, quindi, di modulare l’afflittività della risposta sanzionatoria in relazione alla gravità della condotta in concreto realizzata: il che viola – ad avviso della Consulta – gli artt. 3, c. 1, 25, c. 2, 27, c. 3 della Costituzione.

La medesima violazione sussiste – prosegue la Corte – in ogni caso in cui il reato sia sanzionato con la pena dell’ergastolo e l’operatività del meccanismo di cui all’art. 69, c. 4 c.p. non consenta al giudice di ritenere un’attenuante (qualsiasi attenuante: non solo quella prevista dall’art. 311 c.p.) prevalente sull’aggravante privilegiata della recidiva reiterata, e dunque gli precluda di “trasformare” l’ergastolo in reclusione ogniqualvolta le circostanze del caso concreto lo richiedano. La Corte dichiara, in definitiva, l’illegittimità costituzionale dell’art. 69, c. 4 c.p. nella parte in cui prevede il divieto di prevalenza delle circostanze attenuanti sull’aggravante della recidiva reiterata di cui all’art. 99, c. 4 c.p. in relazione ai delitti puniti con la pena edittale dell’ergastolo.

 

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9. La dottrina maggioritaria assegna al giudizio di bilanciamento fra circostanze eterogenee previsto dall’art. 69 c.p. la funzione di consentire al giudice di esprimere un giudizio complessivo e sintetico sul reato e sul suo autore, che tenga conto di tutte le peculiarità del caso concreto, allo scopo di infliggere una pena “individualizzata”[18]. Si tratta di un giudizio caratterizzato da ampi margini di discrezionalità, in quanto i criteri che lo ispirano non sono e non possono essere totalmente predeterminati a livello legislativo, e questo proprio per consentire al giudice di infliggere una pena calibrata sulle peculiarità della condotta concreta e del suo autore[19]. L’ampia discrezionalità che connota il giudizio di bilanciamento è ridotta dalla previsione di circostanze privilegiate, cui il legislatore assegna, già sul piano astratto, un particolare significato in termini di disvalore, e il cui un peso non consente venga neutralizzato in sede di giudizio di bilanciamento[20]; tra queste rientra la recidiva reiterata che, in base all’u.c. dell’art. 69 c.p., non può – lo abbiamo ricordato più volte – essere dichiarata subvalente rispetto a concorrenti attenuanti.

 

10. La selezione della recidiva ex art. 99 c. 4 quale circostanza privilegiata ha sollevato più di un dubbio presso la dottrina e la giurisprudenza costituzionale: si è sostenuto, infatti, che l’esclusione dal giudizio di bilanciamento dell’aggravante in parola comportasse «un’abnorme enfatizzazione»[21] di elementi attinenti alla storia criminale dell’agente, a scapito di considerazioni in ordine alla scarsa gravità della condotta e dei suoi effetti come anche alla personalità dell’imputato, e che tale enfatizzazione – tipica del “diritto penale d’autore” [22] – fosse suscettibile di condurre all’inflizione di una pena inadeguata al disvalore del fatto e alla personalità dell’autore[23], incomprensibilmente afflittiva ai suoi occhi e quindi incapace di rieducarlo[24].

 

11. Di per sé, però, la limitazione alla discrezionalità giudiziale insita nel meccanismo c.d. di “blindatura” è stata – fino a oggi – ritenuta legittima, purché non determinasse un’alterazione degli equilibri costituzionalmente imposti sulla strutturazione della responsabilità penale: ciò si è verificato in una serie di casi portati all’esame della Consulta, la quale ha, nel tempo, dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 69 u.c. (nella parte che si riferisce alla recidiva), in relazione a specifiche ipotesi di reato e a specifiche circostanze attenuanti, rispetto alle quali l’esclusione della recidiva dal giudizio di bilanciamento dava luogo a esiti arbitrari, in quanto imponeva al giudice di infliggere una pena inadeguata al caso concreto, eguale a fronte di condotte diverse quanto a disvalore, sproporzionata per eccesso rispetto alla gravità del comportamento serbato e quindi incapace di rieducare, il cui rigore era da attribuirsi all’eccessiva enfatizzazione della storia criminale dell’autore del fatto rispetto alla consistenza oggettiva del suo comportamento (le pronunce si fondavano, oltre che sui principi di eguaglianza e funzione rieducativa della pena, sull’art. 25, c. 2 Cost.)[25]. È quanto si verificava anche nel caso oggetto della pronuncia in commento, con la quale la Consulta riconosceva che il rispetto del divieto di prevalenza della recidiva previsto dall’u.c. dell’art. 69 c.p. sull’attenuante di cui all’art. 311 c.p. conduceva il giudice all’inflizione di una sanzione sproporzionata per eccesso rispetto alla gravità del fatto realizzato dall’imputato (la cui condotta, pur integrante il reato a consumazione anticipata di devastazione, saccheggio e strage allo scopo di attentare alla sicurezza dello Stato, non aveva cagionato alcun danno alle persone e aveva provocato limitati danni alle cose), identica a quella che sarebbe stata applicata qualora dal fatto fossero derivate conseguenze gravissime (come la morte di una o più persone), inefficace allo scopo rieducativo in quanto sentita come ingiustificatamente afflittiva da parte del condannato e motivata esclusivamente dalla enfatizzazione di elementi attinenti alla storia criminale dell’autore del reato. A ognuno degli aspetti di irrazionalità elencati corrispondeva – nell’opinione del rimettente, poi condivisa dalla Consulta – il vulnus di un principio costituzionale: quello di eguaglianza ex art. 3, c. 1 (per l’inflizione dell’ergastolo sia per fatti risultati inoffensivi sia per fatti che avessero provocato la morte almeno di una persona), quello di offensività ex art. 25, c. 2 Cost. (per l’enfatizzazione delle componenti personologiche su quelle attinenti alla gravità delle condotte sul piano obiettivo) e quello di rieducazione ex art. 27, c. 3 (per la frustrazione delle esigenze rieducative sottese all’inflizione della pena).

 

12. Con la pronuncia qui in commento, la Consulta si spinge, però, oltre il perimetro del petitum sottopostole dal rimettente, per giungere a dichiarare che il meccanismo di “blindatura” della recidiva reiterata produce esiti irrazionali – e che, dunque, l’art. 69, c. 4, che lo prevede, è costituzionalmente illegittimo – ogniqualvolta operi in relazione a delitti puniti con l’ergastolo.

In quel caso, infatti – a ben vedere – tutti i vulnera riscontrati nelle sentenze dichiarative dell’illegittimità costituzionale parziale dell’art. 69, u.c., ricorrerebbero “a maggior ragione”. In particolare: 1) la lesione del principio di eguaglianza ex art. 3 Cost. sarebbe più intensa in quanto, mentre nel caso di reati puniti con la reclusione il giudice, pur costretto a dichiarare la prevalenza o l’equivalenza della recidiva rispetto alla o alle circostanza/e concorrente/i, sarebbe poi libero di muoversi all’interno della forbice edittale per modulare la risposta sanzionatoria in relazione alle esigenze concrete (potendosi, dunque, orientare verso l’inflizione di una pena prossima al minimo come “surrogato” della dichiarazione di prevalenza di un’attenuante), nel caso di delitto punito con l’ergastolo al divieto di dichiarare subvalente l’aggravante conseguirebbe automaticamente l’inflizione della pena perpetua, che si presenterebbe quale fissa e indefettibile, da applicarsi quindi in ogni caso, anche a fronte di condotte profondamente differenti tra loro sul piano del disvalore oggettivo; 2) tale conseguenza deriverebbe da un'abnorme considerazione delle componenti soggettive della condotta (lesione del principio di offensività ex art. 25 Cost.) 3) la lesione del principio di proporzionalità e di finalismo rieducativo della pena (art. 27 Cost.) dovuta all’enfatizzazione delle componenti personologiche risulterebbe più grave nel caso in cui in cui il meccanismo di “blindatura” operasse rispetto a reati puniti con l’ergastolo, proprio a causa della natura estremamente afflittiva di questo tipo di pena, che impone al condannato un sacrificio ben più grave di quello che consegue all’inflizione della reclusione.

 

 

 

[1] Per due nuove pronunce in tema di art. 69, c. 4 c.p. e recidiva reiterata v. Corte cost. 21 giugno 2023 (dep. 11 luglio 2023), n. 141, Pres. Sciarra, rel. Viganò e Corte cost. sent. 27 settembre 2023 (dep. 12 ottobre 2023), n. 188, Pres. Sciarra, rel. Viganò.

[2] Oltre al reato di Devastazione, saccheggio e strage commessi allo scopo di attentare alla sicurezza dello Stato, i delitti previsti dagli artt. 242 c.p. – Cittadino che porta le armi contro lo Stato italiano, 276 c.p. – Attentato contro il Presidente della Repubblica, 284, c. 1 – Insurrezione armata contro i poteri dello Stato, 286 c.p. – Guerra civile e 438 c.p. – Epidemia.

[3] In tema di circostanze c.d. “privilegiate” cfr., per tutti, A. Peccioli, Le circostanze privilegiate nel giudizio di bilanciamento, Giappichelli, Torino, 2010.

[4] Cass. pen., SS.UU., 18 novembre 2021, n. 42414 e C. cost., 19 febbraio 2019, n. 88. In dottrina v., da ultimo, I. Merenda, Le circostanze del reato tra prevenzione generale e speciale, Giappichelli, Torino, 2022, p. 34 ss., che sottolinea come, attraverso il meccanismo descritto, il giudice possa giungere a esiti molto simili a quelli cui sarebbe pervenuto qualora avesse potuto dichiarare l’equivalenza tra aggravanti e attenuanti.

[6] C. cost. 21 giugno 2023 (dep. 11 luglio 2023), n. 141, Pres. Sciarra, Red. Viganò.

[7] Corte cost., 5 novembre 2012 (dep. 15 novembre 2012), n. 251.

[8] C. cost., 14 aprile 2014 (dep. 18 aprile 2014), n. 105.

[9] C. cost., 14 aprile 2014 (dep. 18 aprile 2014), n. 106.

[10] C. cost., 21 giugno 2017 (dep. 17 luglio 2017), n. 205.

[11] Ancora C. cost., 21 giugno 2017 (dep. 17 luglio 2017), n. 205.

[12] C. cost., 26 maggio 2021 (dep. 8 luglio 2021), n. 143.

[13] C. cost., 24 febbraio 2016 (dep. 7 aprile 2016), n. 74.

[14] C. cost., 7 aprile 2020 (dep. 24 aprile 2020), n. 73.

[15] C. cost., 25 febbraio 2021 (dep. 31 marzo 2021), n. 55.

[16] § 11, ultimo periodo.

[17] C. cost., 2 aprile 1980 (dep. 14 aprile 1980), n. 50, Pres. Amadei, Rel. Malagugini, con nota di C. E. Paliero, Pene fisse e Costituzione: argomenti vecchi e nuovi, in Riv. It. Dir. Proc. Pen., 1981, p. 726 ss. e C. cost., 25 settembre 2018 (dep. 5 dicembre 2018), n. 222, Pres. Lattanzi, Red.Viganò, con nota di A. Galluccio, La sentenza della Consulta su pene fisse e “rime obbligate”: costituzionalmente illegittime le pene accessorie dei delitti di bancarotta fraudolenta, in Dir. Pen. Cont., 10 dicembre 2018.

[18] C. Bernasconi, Giudizio di bilanciamento, circostanze c.d. privilegiate e principio di proporzione: il caso della recidiva reiterata, in Giurisprudenza costituzionale, fasc. 6/2012, p. 4057 ss. Esiste, però, un’altra opinione dottrinale, in base alla quale il giudizio di bilanciamento fra circostanze eterogenee avrebbe la funzione di rideterminare la cornice edittale; per un excursus tra le diverse posizioni dottrinali cfr. F. Rocchi, La discrezionalità della recidiva reiterata “comune”: implicazioni sul bilanciamento delle circostanze e sugli altri effetti ad essa connessi, in Cass. pen., 2007, 4097 ss.

[19] I. Merenda, Le circostanze del reato tra prevenzione generale e speciale, Giappichelli, Torino, 2022, p. 33.

[20] I. Merenda, Le circostanze del reato tra prevenzione generale e speciale, Giappichelli, Torino, 2022, p. 34 e A. Peccioli, Le circostanze privilegiate nel giudizio di bilanciamento, Giappichelli, Torino, 2010, p. 73.

[21] C. cost., 5 novembre 2012 (dep. 15 novembre 2012), n. 251, Pres. Quaranta, Red. Lattanzi.

[22] T. Padovani, Una novella piena di contraddizioni che introduce disparità inaccettabili, in Giuda al diritto, dossier 1, p. 32 ss.

[23] G. Amato, Il recidivo va a caccia di “generiche”, in Giuda al diritto, dossier 1, p. 56 ss.

[24] E. Dolcini, La recidiva riformata. Ancora più selettivo il carcere in Italia, in Riv. It. Dir. Proc. Pen., 2007, p. 515.

[25] F. Viganò, La proporzionalità della pena. Profili di diritto penale e costituzionale, Giappichelli, Torino, 2021, p. 73 ss.