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16 Gennaio 2024


Hotspot e minori stranieri non accompagnati: la Corte EDU condanna l’Italia per il loro illegittimo trattenimento

Corte eur. dir. uomo, sentenza 23 novembre 2023, A.T. e altri c. Italia, ric. 47287/17



*Contributo pubblicato nel fascicolo 1/2024

 

1. I giudici di Strasburgo tornano a condannare l’Italia per aver trattenuto illegittimamente alcuni minori stranieri non accompagnati nel c.d. hotspot di Taranto, in condizioni considerate lesive del divieto di trattamenti inumani e degradanti.

La Corte si esprime ancora una volta sul trattenimento delle persone migranti con alcune considerazioni da tempo condivise dalla dottrina che si occupa del tema e che risultano più che mai attuali, posto che il trattenimento delle persone migranti all’interno dei c.d. hotspot (così come, sotto diverso aspetto, il trattenimento al fine di eseguire le espulsioni nei Centri di Permanenza per il Rimpatrio) pone una serie di quesiti di interesse per il penalista in ordine al rispetto delle garanzie costituzionali e convenzionali a tutela dei diritti umani fondamentali con particolare riferimento alle situazioni di privazione della libertà personale. Infatti, come si avrà modo di evidenziare anche in questo breve commento, sebbene la materia non sia disciplinata dal diritto penale, ci si trova a confrontarsi con situazioni del tutto analoghe alla detenzione negli istituti penitenziari, pur nella totale assenza in questo settore di garanzie sostanziali e procedurali che disciplinino la privazione della libertà personale[1].

La pronuncia in commento – che va ad aggiungersi a una giurisprudenza già piuttosto ricca sul punto, come si avrà modo di ricordare – si occupa del trattenimento in un Centro di prima accoglienza adibito a hotspot a Taranto, secondo un modello che ha già suscitato varie riflessioni in dottrina[2]. La Corte in questa occasione evidenzia in maniera chiara le carenze di tutela con riferimento alla privazione della libertà personale delle persone migranti e fornisce lo spunto per qualche riflessione sul tema del trattenimento come strumento di gestione dei flussi migratori, anche alla luce delle recenti modifiche normative proprio in tema di accoglienza dei minori stranieri non accompagnati.

 

2. La sentenza in commento origina da un ricorso presentato da un gruppo di minori stranieri non accompagnati arrivati sulle coste italiane nel maggio del 2017 via mare e trattenuti per un lasso considerevole di tempo in un c.d. hotspot a Taranto.[3]

I ricorrenti, arrivati il 22 maggio 2017 su territorio italiano, dichiarano immediatamente di essere minori e manifestano la volontà di presentare domanda di protezione internazionale; il giorno successivo, a seguito dell’identificazione, vengono collocati presso il Centro di Soccorso e Prima Accoglienza (CSPA) adibito a hotspot a Taranto, dove rimarranno fino al loro trasferimento in una struttura dedicata ai minori stranieri non accompagnati, intervenuto solo tra il 13 e il 15 luglio, a seguito di una ricorso in via cautelare ex art. 39 del Regolamento della Corte EDU.

Con riferimento al periodo trascorso nel c.d. hotspot, che ammonta a circa un mese e venti giorni, i ricorrenti prospettano una violazione di alcune norme della Convenzione, in particolare degli artt. 3, 5 e 13: la Corte, tenuto conto della situazione di sostanziale detenzione nella quale erano costretti a vivere i ricorrenti e delle condizioni in cui versava il Centro, giunge all’accoglimento del ricorso con riferimento a tutti e tre i parametri, sulla base degli argomenti che ci accingiamo a illustrare.

 

3. In primo luogo, i ricorrenti denunciano condizioni di vita inadeguate all’interno del Centro, lamentando una violazione dell’art. 3 CEDU. Un primo aspetto lesivo dei propri diritti viene individuato da parte dei ricorrenti nella loro permanenza per un periodo di tempo considerevole all’interno di un Centro destinato ai soli migranti adulti, nonostante i minori stranieri non accompagnati abbiano diritto a essere accolti presso strutture a loro dedicate, separate da quelle previste per gli adulti: i ricorrenti, così come molti altri minori stranieri non accompagnati presenti nel Centro al momento di presentazione del ricorso, lamentano dunque di essere stati costretti a una sistemazione inadeguata alle loro esigenze. Inoltre, le condizioni del Centro vengono descritte come particolarmente carenti sotto vari aspetti: i ricorrenti evidenziano primariamente un problema di grave sovraffollamento rispetto alla capienza della struttura (più di 1.400 persone a fronte di una capienza di 400) e denunciano inoltre rilevanti mancanze dal punto di vista igienico-sanitario e un’assoluta inadeguatezza dei servizi con riferimento a una permanenza prolungata, essendo il Centro teoricamente preposto esclusivamente a una prima accoglienza. A conferma delle condizioni denunciate dai ricorrenti, oltre alle fotografie allegate dagli stessi, si fornisce alla Corte un Rapporto elaborato dalla Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani presso il Senato il quale, per quanto concerne la situazione del c.d. hotspot di Taranto, evidenzia molte delle carenze già messe in luce dai ricorrenti.[4] Con particolare riferimento all’inadeguatezza del Centro a far fronte a una accoglienza di lungo periodo, il Rapporto rileva varie criticità: il kit di indumenti e prodotti ad uso personale consegnato all’arrivo non risulta idoneo alle esigenze di una permanenza prolungata (a molti ad esempio non viene fornito nemmeno un paio di scarpe); le persone ospitate nel Centro non hanno la possibilità di effettuare telefonate (non viene infatti consegnata una SIM personale né sono previste cabine telefoniche comuni); le tende destinate al pernottamento spesso non sono riscaldate; all’interno del Centro non sono previsti spazi comuni e aree dedicate ad alcun tipo di attività e soprattutto non sono previsti interventi specialistici per far fronte alle esigenze di soggetti che nella maggior parte dei casi hanno riportato numerosi traumi a causa del viaggio e possono rivelarsi particolarmente vulnerabili (a maggior ragione nel caso dei minori stranieri non accompagnati).

Tutto ciò considerato, la Corte ritiene che durante la permanenza dei ricorrenti nel Centro – durata all’incirca un mese e venti giorni – gli stessi siano stati sottoposti a trattamenti inumani e degradanti, accertando dunque una violazione dell’art. 3 CEDU.

Con riferimento a tale circostanza, la Corte riscontra altresì una lesione del diritto a un ricorso effettivo di cui all’art. 13 CEDU in relazione all’impossibilità per i ricorrenti di assicurare effettiva tutela alla loro situazione: infatti, la Corte constata come non vi sia alcun rimedio specifico a disposizione dei ricorrenti per denunciare le scarse condizioni di vita all’interno del Centro e tutelare i propri diritti. Tale problema generalizzato – già oggetto di varie pronunce della Corte, come commenteremo brevemente – è da considerarsi aggravato nel caso di specie poiché i ricorrenti sono soggetti minori per i quali è stato impossibile accedere a qualsiasi tipo di assistenza legale per tutto il tempo di permanenza nel c.d. hotspot. Infatti, risulta che il Tribunale per i minorenni di Taranto abbia disposto la presa in carico da parte dei servizi sociali e la nomina di un tutore legale per tre dei ricorrenti solo il 28 luglio 2017, mentre per l’ultimo ricorrente non si ha notizia di alcuna nomina in questo senso.

 

4. I ricorrenti prospettano poi la violazione dell’art. 5, § 1, 2 e 4 CEDU in considerazione dell’impossibilità per i minori ospitati nel Centro di lasciare la struttura (a differenza dei migranti adulti), così come confermato anche dal citato Rapporto della Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani.[5] Da ciò consegue che la permanenza all’interno del c.d. hotspot finisce per risolversi a tutti gli effetti in una privazione della libertà personale, che la Corte ha giudicato illegittima. Si rileva innanzitutto la mancanza di una base legale chiara e accessibile che giustifichi il trattenimento (art. 5, § 1), in secondo luogo si accerta l’assenza di un’attività informativa nei confronti dei ricorrenti circa le motivazioni a fondamento della misura (art. 5, § 2) e da ultimo si condanna l’assenza di uno strumento idoneo a disposizione dei ricorrenti al fine di contestare la legittimità della loro “detenzione de facto[6] innanzi a un’autorità giudiziaria (art. 5, § 4).

Il ragionamento della Corte evidenzia in maniera chiara come, a prescindere dalla denominazione formale, la privazione delle libertà personale, per considerarsi legittima, debba essere corredata da una serie di garanzie, procedurali e sostanziali, in tema di motivazione dei provvedimenti che dispongono la misura e di possibilità di ricorrere contro la stessa davanti a un organo giurisdizionale. Come anticipato in apertura, il fatto che il trattenimento delle persone migranti non sia oggetto, a differenza della detenzione negli istituti carcerari, di una precisa normativa quanto ai casi e alle modalità della misura dà luogo a una violazione delle norme convenzionali in tema di diritto alla libertà personale, applicabili a qualsiasi forma di privazione della stessa, in modo da evitarne un uso arbitrario e dunque illegittimo.

 

5. La sentenza in commento risulta particolarmente significativa poiché si aggiunge a una serie di altre pronunce di condanna da parte della Corte EDU nei confronti dell’Italia proprio con riferimento al trattenimento delle persone migranti nella fase di prima accoglienza. È da ricordare la celebre pronuncia Khlaifia e altri c. Italia del 2016,[7] riguardante il trattenimento di alcune persone migranti nel c.d. hotspot di Lampedusa, con la quale la Corte condannava l’Italia sia sotto il profilo sostanziale, riscontrando una illegittima privazione della libertà personale ai sensi dell’art. 5 CEDU, sia sotto quello procedurale, riscontrando l’assenza di strumenti idonei a tutelare i propri diritti in relazione alle condizioni di detenzione davanti a un organo giurisdizionale, ai sensi dell’art. 13 in combinato disposto con l’art. 3 CEDU.[8] Proprio a seguito di questa pronuncia veniva istituita una procedura di supervisione da parte del Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa per verificare annualmente i progressi normativi volti al raggiungimento di un livello di tutela dei diritti umani fondamentali delle persone migranti adeguato ai principi convenzionali. Tuttavia, questa procedura è stata chiusa nel 2021 poiché il Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa ha ritenuto adeguati gli strumenti prospettati dal Governo italiano per far fronte alle carenze rilevate dalla Corte EDU cinque anni prima. Pur non essendo questa la sede per soffermarsi sul punto,[9] giova sottolineare come l’inadeguatezza delle condizioni di trattenimento e l’assenza di rimedi giurisdizionali specifici sia stata oggetto negli anni seguenti di svariate altre pronunce di condanna da parte della Corte EDU (di cui due recenti pronunce che rilevano le medesime violazioni proprio in relazione allo stesso c.d. hotspot di Lampedusa[10]), facendo dunque sorgere alcuni dubbi sull’effettiva tutela apprestata dall’ordinamento in questo senso.

Risulta inoltre interessante soffermarsi su due recenti pronunce della Corte EDU – le quali ravvisano violazioni analoghe a quella della sentenza del 2016 e della pronuncia oggetto del presente commento – che si occupano nello specifico del trattenimento di minori stranieri non accompagnati all’interno dei Centri di accoglienza: ci riferiamo in particolare alla pronuncia Darboe e Camara c. Italia del 21 luglio 2022[11] e alla pronuncia M. A. c. Italia del 31 agosto 2023[12]. In entrambi i casi la Corte ha riscontrato una violazione dell’art. 3 CEDU – oltre che degli artt. 8 e 13 CEDU nel caso Darboe e Camara – con motivazioni analoghe a quelle riportate dalla sentenza in commento, in considerazione delle condizioni in cui versavano i Centri in cui erano accolti i ricorrenti – assolutamente inadeguate alle esigenze di un minore – e dell’assenza di rimedi specifici per far valere tali doglianze innanzi a un’autorità giudiziaria. Dalle pronunce si evince dunque come la carenza di strutture idonee all’accoglienza delle persone migranti – e in particolare dei minori – sia un problema diffuso e sistematico in Italia, che interessa sia i c.d. hotspot (come nel caso in esame) sia i Centri di Accoglienza Straordinaria (CAS), all’interno dei quali non risultano soddisfatte le basilari condizioni di vita, a causa del costante sovraffollamento delle strutture, delle scarse condizioni igieniche e della carenza di assistenza sanitaria e psicologica. La situazione è da considerarsi ulteriormente aggravata dalla presenza in questi Centri, destinati ai soli adulti, di moltissimi minori stranieri non accompagnati, la cui situazione di vulnerabilità rende ancora più evidenti le carenze del sistema, cui si sommano alcune problematiche specifiche connesse alla condizione di minore, quali la sommarietà delle procedure per l’accertamento dell’età (affrontata nel caso Darboe e Camara) e la possibilità che venga impedito ai minori, anche nei Centri considerati “aperti”, di lasciare la struttura, verificandosi nei fatti una detenzione che rischia di risultare illegittima (come nel caso che ci occupa).

 

6. Alla luce di quanto esposto è possibile apprezzare con maggiore consapevolezza le possibili conseguenze delle novità normative in tema di accoglienza dei minori stranieri non accompagnati: è infatti da poco avvenuta la conversione con alcune modificazioni del d.l. n. 133/2023 recante, tra le altre, alcune norme in tema di minori[13]. Il legislatore, secondo quanto si evince dalle recenti novità in esame, non sembra tenere in considerazione le ripetute condanne da parte della Corte EDU intervenute sul punto. Il decreto infatti prevede, in determinate situazioni, “l’attivazione di strutture ricettive temporanee”,[14] ammettendo però anche la possibilità, in caso di momentanea indisponibilità di queste ultime, di disporre l’accoglienza temporanea del minore di età non inferiore ai sedici anni in strutture per adulti per un significativo lasso di tempo (secondo quanto stabilisce l’art. 5 del decreto, novanta giorni prorogabili di ulteriori sessanta).[15] Nonostante la misura sia destinata a operare in casi eccezionali, rappresentati da “arrivi consistenti e ravvicinati” di minori non accompagnati, c’è il rischio che si risolva nella trasposizione in legge di una prassi che, come è evidente dalle sentenze analizzate, è ormai largamente attuata con conseguenze che a parere della Corte si risolvono spesso nella lesione di diritti umani fondamentali. Infatti, la Corte non manca di sottolineare come la soglia minima di gravità richiesta perché possa considerarsi integrata una violazione dell’art. 3 CEDU dipende anche dall’età e dalla particolare condizione di vulnerabilità della vittima[16]: tale condizione di vulnerabilità è senza dubbio riscontrabile in un minore che si trova ad arrivare in Italia solo, a seguito di un viaggio spesso lunghissimo e pericoloso, motivi per il quale si renderebbe necessario un sistema di accoglienza idoneo alle esigenze di questi soggetti.

 

7. Allargando un po’ lo sguardo – dunque oltre alla specifica situazione dei minori stranieri non accompagnati e della prima accoglienza negli hotspot – dagli ultimi interventi normativi sembra emergere una propensione all’utilizzo dello strumento del trattenimento con frequenza sempre maggiore nei confronti delle persone migranti: a partire dal trattenimento nella fase di accoglienza (anticipandolo addirittura a un momento precedente all’arrivo sul territorio italiano, come prevede la recente proposta di protocollo d’intesa tra Italia e Albania) fino a terminare con quello pre-espulsivo nei Centri di Permanenza per il Rimpatrio, con un livello sempre più elevato di tensione con i principi costituzionali e convenzionali.

In questo contesto risulta dunque opportuno ribadire quanto affermato dalla Corte EDU, la quale, partendo dal presupposto del carattere assoluto dell’art. 3 CEDU, riconosce come le difficoltà derivanti dall’aumento degli arrivi di migranti “non possano esonerare lo Stato convenuto dal suo obbligo di garantire che ogni persona che viene ad essere privata della sua libertà possa godere di condizioni compatibili con il rispetto della sua dignità umana”.[17] Riteniamo dunque che una riflessione approfondita sul tema sia doverosa al fine di conformare la normativa italiana al rispetto delle norme costituzionali e convenzionali e evitare che la gestione dei flussi migratori sia affidata a sistemi di illegittima e arbitraria privazione della libertà personale.

 

 

 

[1] Per un’analisi dell’istituto della detenzione amministrativa e alcune criticità in ordine ad analogie e distinzioni con la condizioni di detenzione negli istituti carcerari cfr. G. Campesi, La detenzione amministrativa degli stranieri, Carocci editore, 2013; A. Della Bella, Trattenimento, in questa Rivista, 12 giugno 2023. Pur se con particolare riferimento al trattenimento pre-espulsivo si rimanda altresì a L. Masera, La nozione costituzionale di materia penale, Giappichelli, 2018, pp. 222 ss.; A. Di Martino, Centri, campi, Costituzione. Aspetti di incostituzionalità dei C.I.E., in Dir. imm. citt., 1/2014, pp. 17 ss.; A. Caputo, Sicurezza e immigrazione tra controllo dei flussi migratori e diritti fondamentali della persona, in Dir. pen. proc., 11/2019, pp 1492 ss.; A. Cavaliere, Le vite dei migranti e il diritto punitivo, in Sist. pen., 4/2022, pp. 43 ss.

[2] Per un approfondimento in tema del c.d. “approccio hotspot” con riferimento allo scenario italiano si rimanda a F. Cancellaro, Dagli hotspot ai “porti chiusi”: quali rimedi per la libertà “sequestrata” alla frontiera?, in questa Rivista, 28 settembre 2020; G. Felici, M. Gancitano, La detenzione dei migranti negli hotspots italiani: novità normative e persistenti violazioni della libertà personale, in questa Rivista, 1/2022, pp. 45 ss. Cfr. inoltre L. Masera, Il “caso Lampedusa”: una violazione sistemica del diritto alla libertà personale, in Diritti umani e diritti internazionali, 1/2014, pp. 83 ss. per alcune considerazioni, ancora estremamente attuali, in tema di detenzione amministrativa nei centri di prima accoglienza. Per un commento sull’esperienza greca con il sistema di prima accoglienza a seguito di una condanna della Corte EDU si veda invece G. Mentasti, Hotspots, trattenimento e diritti: una sentenza della Corte di Strasburgo condanna la Grecia per violazione dell’art. 5 par. 4 della Convenzione, in questa Rivista, 10 dicembre 2019.

[3] Si precisa che rispetto ai ricorsi inizialmente presentati, solo quattro vengono effettivamente esaminati dalla Corte.

[4] Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani presso il Senato, Rapporto sui Centri di identificazione ed espulsione, gennaio 2017, pp. 24 ss.

(https://www.senato.it/application/xmanager/projects/leg17/file/Cie%20rapporto%20aggiornato%20(2%20gennaio%202017).pdf )

[5] Ivi, p. 25.

[6] Corte eur. dir. uomo, A.T. e altri c. Italia, n. 47287/17, 23 novembre 2023, § 27.

[7] Corte eur. dir. uomo, Khlaifia e altri c. Italia, n. 16483/12, 15 dicembre 2016.

[8] Per un commento alla sentenza, tra gli altri, cfr. F. Cancellaro, Migranti, Italia condannata dalla CEDU per trattenimenti illegittimi, in Quest. giust., 11 gennaio 2017; A. Giliberto, La pronuncia della grande camera della Corte EDU sui trattenimenti (e i conseguenti respingimenti) di Lampedusa del 2011, in Dir. pen. cont., 23 dicembre 2016.

[9] Per alcune considerazioni in merito alla chiusura della procedura di supervisione si veda A. Della Bella, Trattenimento, cit., pp. 5 ss.

[10] Corte eur. dir. uomo, J.A. e altri c. Italia, n. 21329/18, 30 giugno 2023 e Corte eur. dir. uomo, A.B. c. Italia, n. 13755/18, 19 ottobre 2023. Entrambi i casi riguardano alcuni migranti trattenuti per diversi giorni nel c.d. hotspot di Lampedusa, Contrada Imbriacola, accertando una violazione dell’art. 3 CEDU in relazione alle condizioni del centro e dell’art. 5, §§ 1, 2 e 4 CEDU in relazione all’illegittima privazione della libertà personale, oltre che dell’art. 13 CEDU con riferimento alla mancata previsione di adeguati strumenti di tutela.

[11] Corte eur. dir. uomo, Darboe e Camara c. Italia, n. 5797/17, 21 luglio 2022.

[12] Corte eur dir. uomo, M.A. c. Italia, n. 70583/17, 31 agosto 2023.

[13] Ci riferiamo al d.l. 5 ottobre 2023, n. 133, convertito con modificazioni dalla l. 1 dicembre 2023, n. 176, entrata in vigore il 5 dicembre 2023.

[14] Art. 5 d.l. 5 ottobre 2023, n. 133, come modificato dalla l. 1 dicembre 2023, n. 176, che interviene sull’art. 19 del d.lgs. 18 agosto 2015, n. 142 rubricato “Accoglienza dei minori non accompagnati”. Sempre in tema di minori stranieri non accompagnati lo stesso art. 5 del decreto introduce la misura dell’espulsione dal territorio nazionale come sanzione sostitutiva alla pena detentiva ai sensi dell’art. 16 TU immigrazione nel caso di condanna per il reato di cui all’art. 495 c.p.

[15] Secondo i dati del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, i minori stranieri non accompagnati sopra i sedici anni rappresentano almeno il 70% del numero totale.

https://analytics.lavoro.gov.it/t/PublicSIM/views/HomePage/HomePage-SIM?%3Aembed=y&%3Aiid=1&%3AisGuestRedirectFromVizportal=y

[16] Corte eur. dir. uomo, Darboe e Camara c. Italia, cit., § 169.

[17] Corte eur. dir. uomo, Khlaifia e altri c. Italia, cit., § 128; nello stesso senso, ex multis, Corte eur. dir. uomo, Darboe e Camara c. Italia, cit., § 182 e Corte eur. dir. uomo, J.A. e altri c. Italia, cit., § 65.