Corte Suprema britannica, AAA e altri c. Secretary of State for the Home Department, sentenza del 15 novembre 2023
1. Il 15 novembre 2023, la Corte Suprema (“Supreme Court”) britannica ha definitivamente annullato il provvedimento ministeriale che prevedeva il trasferimento di almeno sei cittadini stranieri dal Regno Unito al Ruanda[1], in base a un accordo non vincolante stipulato tra i due Paesi nell’aprile del 2022[2]. L’accordo prevedeva la possibilità per le autorità del Regno Unito di trasferire un numero imprecisato di richiedenti asilo in Ruanda affinché fosse quest’ultimo, considerato “paese terzo sicuro”, a valutare le loro domande di protezione internazionale. Il trasferimento poteva interessare stranieri di qualsiasi nazionalità: i ricorrenti nel caso esaminato dalla Corte Suprema provenivano infatti da paesi ad alto tasso di riconoscimento della protezione internazionale come Iran, Iraq, Siria e Sudan.
La Corte ha stabilito che gli ordini di trasferimento erano illegittimi, in quanto vi erano fondati motivi di ritenere che, nonostante le assicurazioni fornite dai due Stati, il sistema di asilo ruandese non fornisse adeguate garanzie per il rispetto dei diritti fondamentali delle persone traferite dal Regno Unito. Più precisamente, la Corte ha stabilito la presenza di un rischio reale che le autorità ruandesi non valutassero adeguatamente le domande di asilo delle persone trasferite, così esponendole ad un concreto rischio di violazione dei loro diritti fondamentali in conseguenza di un rimpatrio o di ulteriore trasferimento verso un altro paese non sicuro.
Il trasferimento di alcuni ricorrenti in Ruanda, oltre ad essere stato bloccato in via cautelare dalla Corte europea dei diritti dell’Uomo nel 2022[3], era già stato annullato dalla Corte d’Appello britannica (“Court of Appeal”), che aveva anche censurato nel merito la decisione dell’autorità giudiziaria di primo grado (“Divisional Court”) che si era limitata ad un controllo più superficiale sulla legittimità formale dei provvedimenti ministeriali di trasferimento. La decisione della Corte Suprema ha posto fine non solo alla vicenda giudiziaria, ma anche di fatto alla possibilità di trasferire nel prevedibile futuro altri richiedenti asilo.
Nel tentativo di superare i profili di illegittimità ravvisati dalla Corte, il 5 dicembre 2023 il governo britannico ha tuttavia stipulato con il governo ruandese un nuovo accordo internazionale[4], questa volta vincolante, che pur prevedendo garanzie aggiuntive per le persone trasferite, lascia tuttavia intatto l’impianto di fondo del sistema e le sue criticità principali. La legge interna di attuazione del nuovo accordo è stata approvata di misura il 12 dicembre dalla Commons Chamber; alla House of Lords è atteso un intenso dibattito, anche interno al partito conservatore del premier Sunak.
Gli accordi tra Regno Unito e Ruanda rappresentano le estrinsecazioni più estreme della ormai diffusa politica di “esternalizzazione” del diritto di asilo, che sempre più caratterizza la gestione dei flussi migratori da parte dei paesi europei. La sentenza della Corte Suprema interviene infatti a breve distanza dall'annuncio del governo austriaco di voler stipulare con il Ruanda un modello simile a quello britannico, dall’annuncio del governo italiano di voler valutare le domande di migliaia di richiedenti asilo in Albania, e alla vigilia delle trattative in seno all’Unione europea sulla riforma del sistema di asilo, in gran parte incardinato sulla possibilità di trasferire richiedenti asilo in “Paesi terzi sicuri”.
La sentenza della Suprema Corte inglese, sebbene non metta in discussione la possibilità tout court di trasferire richiedenti asilo in paesi terzi, è destinata ad incidere almeno in parte su tali politiche, riaffermando da un lato la prevalenza delle norme di diritto internazionale consuetudinario a tutela dei diritti fondamentali su altre norme pattizie, e dall’altro il potere-dovere dell’autorità giudiziaria di valutare approfonditamente dell’impatto di un eventuale trasferimento sulle persone concretamente interessate.
2. Prima di analizzare la sentenza, appare opportuno ricostruire il quadro internazionale in cui si inserisce l’accordo tra Regno Unito e Ruanda. Il piccolo paese africano, dopo il genocidio del 1994 da parte degli Hutu ai danni della minoranza Tutsi, ha beneficiato di ingenti aiuti internazionali, conoscendo un rapido sviluppo e presentandosi oggi come un paese economicamente prospero e politicamente stabile, all’interno di una regione viceversa caratterizzata da scarso sviluppo e instabilità. Il Ruanda, quindi, sembra avere un grande interesse, dopo essere stato abbandonato in passato da centinaia di migliaia di profughi, a mostrarsi come paese moderno, accogliente e in grado di fornire, nelle parole del presidente Paul Kagame da anni alla guida del paese, “African solutions to African problems”.
L’accordo con il Regno Unito non rappresenta peraltro la prima occasione in cui il Ruanda ha offerto la propria disponibilità a ospitare richiedenti asilo provenienti da paesi del Nord globale. Tra il 2013 e il 2018, il paese africano ha accolto un numero imprecisato di richiedenti asilo eritrei e sudanesi espulsi da Israele, in base ad un accordo del tutto simile a quello stipulato con le autorità britanniche[5]. Prima ancora del Regno Unito, era stata la Danimarca ad annunciare un accordo politico con il Ruanda per il trasferimento di richiedenti asilo, accordo poi rimasto privo di attuazione concreta. Inoltre, a partire dal 2019, il Ruanda è uno dei due paesi, insieme al Niger, coinvolti nel programma di Emergency Transit Mechanism ("meccanismo di evacuazione di emergenza", o ETM) gestito dall'UNHCR e finanziato anche dall’Italia, volto ad evacuare dalla Libia persone particolarmente vulnerabili[6].
Proprio un rapido confronto con il programma di ETM consente di comprendere meglio la natura e le finalità dell’accordo tra Ruanda e Regno Unito, e quindi la portata della decisione della Corte suprema britannica.
Il programma ETM è un programma di evacuazione di carattere umanitario di persone che si trovano detenute in condizioni inumane in un paese terzo, la Libia, che è uno dei pochi paesi a non aver mai ratificato la convenzione di Ginevra del 1951 sullo status di rifugiato. L’accordo tra Regno Unito e Ruanda interessava invece persone che si erano recate in territorio britannico proprio per chiedervi asilo, ma ne venivano rimosse in base ad una normativa interna secondo la quale un richiedente asilo poteva essere trasferito in Ruanda per il semplice motivo che avrebbe potuto presentare domanda di asilo in un altro paese terzo (nella maggior parte dei casi, la Francia)[7].
Un’ulteriore differenza tra i due programmi è che i richiedenti asilo trasferiti in Ruanda in base all’ETM sono presi in carico dall’UNHCR che, dopo averli collocati in un centro di accoglienza ad hoc, valuta la loro domanda di asilo e si occupa anche di trovare una “soluzione durevole”, nella quasi totalità dei casi rappresentata dal reinsediamento in un paese terzo europeo o nordamericano. L’accordo tra Regno Unito e Ruanda, viceversa, prevedeva che dopo il trasferimento nel paese africano i richiedenti asilo fossero presi in carico esclusivamente dal governo ruandese, senza alcun coinvolgimento né dell’UNHCR né del governo britannico. Inoltre, coloro che erano riconosciuti come rifugiati non avevano alcun diritto di fare rientro nel Regno Unito ma, in base ad una previsione contenuta nel “vecchio” accordo ed assente invece da quello del 5 dicembre 2023, potevano essere trasferite dal governo ruandese verso un paese terzo nel quale avevano diritto di risiedere[8].
In questo senso l’accordo tra Regno Unito e Ruanda appare ancora più draconiano del già restrittivo progetto del Governo italiano di trasferire in Albania persone soccorse o intercettate in mare dalle autorità italiane. In quest’ultimo caso, infatti, sarebbero le autorità italiane a svolgere le procedure per il riconoscimento della protezione internazionale; inoltre, chi venisse riconosciuto come bisognoso di protezione internazionale sarebbe quantomeno ammesso sul territorio italiano, a differenza delle persone, anche poi riconosciute come rifugiate, che sarebbero state trasferite in Ruanda con un volo di sola andata.
3. Ed è proprio il trattamento riservato ai richiedenti asilo dopo il loro trasferimento in Ruanda a costituire il punto nodale della decisione della Corte suprema britannica, che ha ravvisato profili di illegittimità non tanto nel trasferimento in sé, quanto nel rischio a cui potrebbero essere esposti i richiedenti asilo in conseguenza di esso.
È bene infatti ricordare che, al netto di possibili violazioni di diritti umani fondamentali, non esiste un principio di diritto internazionale generale che vieti di per sé il trasferimento di cittadini stranieri verso un altro paese, anche diverso da quello di origine. Alla cristallizzazione di uno status quo così permissivo e ictu oculi del tutto irriguardoso delle complesse e dolorose vicende umane delle persone coinvolte, ha contribuito anche l’UNHCR, che non ha mai messo in dubbio la legittimità di accordi volti alla valutazione off shore delle domande di asilo o al trasferimento di richiedenti asilo da uno Stato all’altro[9].
Naturalmente, un limite inderogabile alla potestà di uno Stato di trasferire un individuo ad un altro Stato è il c.d. non refoulement, ossia il divieto di allontanare chicchessia verso un paese dove la sua vita o incolumità sarebbero messe in pericolo. Si tratta di un principio ormai assurto al rango di diritto internazionale consuetudinario (secondo taluni addirittura di jus cogens), e previsto da strumenti pattizi quali la Convenzione di Ginevra del 1951, per tutelare i rifugiati dal rischio di persecuzione, e la Convenzione contro la tortura ed altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti del 1984, per tutelare chi rischierebbe gravi violazioni della propria integrità psicofisica in conseguenza del trasferimento.
Tali divieti sono uniformemente interpretati nel senso che il paese trasferente ha non solo l’obbligo di assicurarsi che tali diritti non vengano violati nel paese di prima destinazione, ma anche che quest’ultimo non trasferisca la persona verso un altro paese nel quale possa sussistere il medesimo rischio (c.d. “refoulement indiretto”).
Sebbene la Convenzione europea dei diritti dell’uomo non contenga un esplicito divieto di refoulement, a partire dalla nota sentenza Soering c. Regno Unito del 1989 la Corte europea dei diritti dell’uomo ha sancito che i divieti di tortura e trattamenti o pene inumani o degradanti contenuti nell’art. 3 CEDU ostano a qualsiasi provvedimento ablativo dal territorio nazionale verso un paese, anche non contraente, dove sussiste un rischio concreto di violazione dei divieti medesimi. Il caso Soering riguardava un provvedimento di estradizione, ma la CEDU ha in più occasioni ribadito il medesimo principio anche in relazione al trasferimento forzato di migranti senza una previa valutazione dei rischi sussistenti nel paese terzo, come ad esempio nel caso Hirsi Jamaa c. Italia del 2012 (respingimento in Libia di migranti soccorsi in acque internazionali) e, più di recente, Ilias e Ahmed c. Ungheria del 2019 (trasferimento di richiedenti asilo in Serbia).
In quest’ultima sentenza, a cui la decisione della Corte Suprema britannica fa più volte riferimento, la Corte EDU ha chiarito che uno Stato parte non può trasferire i richiedenti asilo in un paese terzo senza aver prima determinato il loro status di rifugiato, a meno che non abbia accertato che in quel paese siano in vigore procedure adeguate per garantire che le loro domande di asilo siano correttamente esaminate e che non corrano il rischio di respingimento verso il loro paese di origine, per via di un esame inadeguato della loro domanda di asilo, o per la mancanza di un tale esame tout court.
Proprio in applicazione di tali principi, nel giugno 2022 la stessa Corte ha bloccato in via cautelare il trasferimento di tre richiedenti asilo dal Regno Unito in Ruanda. L’ordinanza cautelare della CEDU ha verosimilmente inciso in modo determinante sulla pronuncia della Supreme Court, il cui iter argomentativo ricalca pienamente quello della Corte europea. Al pari della CEDU, infatti, la Corte britannica ha ritenuto di attribuire un peso determinante alla valutazione approfondita dei rischi successivi al trasferimento nel paese terzo e alle garanzie del suo sistema di asilo.
4. A tal fine, la Supreme Court ha dato rilevanza decisiva alle posizioni dell’UNHCR, che è intervenuto nel procedimento dinanzi alle autorità giudiziarie britanniche, fornendo prove schiaccianti di difetti sistemici palesati dal sistema di asilo del Ruanda in occasione del trasferimento di richiedenti asilo da Israele tra il 2013 e il 2018. Nonostante la piena conformità della legislazione ruandese agli standard internazionali, e le rassicurazioni fornite dal governo alle autorità israeliane, infatti, il funzionamento pratico del sistema ruandese ha palesato gravi carenze, quali la potenziale mancanza di indipendenza della magistratura e degli avvocati, l’assenza di un sistema effettivo di ricorso, e un tasso di rigetto del 100% per le persone provenienti da zone di conflitto, in particolare Afghanistan, Siria e Yemen - probabili paesi di origine dei richiedenti asilo trasferiti dal Regno Unito[10]. Inoltre, l’UNHCR ha riferito di aver riscontrato almeno cento casi di trasferimenti clandestini verso l’Uganda di richiedenti asilo trasferiti da Israele, pratica che è continuata anche dopo la conclusione dell'accordo con il Regno Unito. Ulteriori profili di allarme hanno suscitato alcuni casi recenti di espulsione di persone che hanno chiesto asilo all'arrivo all’aeroporto di Kigali, e la scarsa padronanza della materia del diritto dei rifugiati da parte delle autorità ruandesi.
Naturalmente la posizione del governo britannico costituitosi nel giudizio era che il Ruanda dovesse essere considerato un “paese terzo sicuro”, come sia l’accordo internazionale tra i due paesi, sia le decisioni ablative dal territorio britannico si premuravano di esplicitare[11], e che eventuali violazioni commesse dal governo ruandese non dovessero considerarsi sintomatiche di futuri ulteriori inadempimenti all’accordo. Ciò non è stato ritenuto sufficiente dalla Corte Suprema che, in linea con le valutazioni della CEDU in casi simili, ha ritenuto di non poter considerare come sufficienti le rassicurazioni dei due governi, e di dover viceversa svolgere una propria autonoma valutazione dell’esistenza di rischi per le persone trasferite.
La qualificazione del Ruanda come “sicuro” non era stata messa in discussione dal giudice di prime cure britannico, che si era limitato a vagliare se la valutazione delle autorità governative britanniche fosse ragionevole. La Corte d’Appello e la Corte Suprema inglese hanno invece interpretato il proprio ruolo in modo assai più pregnante, ritenendosi obbligate a svolgere una propria approfondita valutazione prognostica sull’effettivo trattamento che gli stranieri potrebbero ricevere in Ruanda. Un approccio che riecheggia quello adottato da quella parte della magistratura italiana che ha ritenuto non solo possibile, ma doveroso, disapplicare il decreto ministeriale contenente un elenco di “paesi di origine sicuri” in una situazione individuale che a seguito di un’autonoma valutazione compiuta dal giudice di merito indicava che il paese in questione, la Tunisia, non era affatto sicuro[12].
5. Presto la magistratura britannica sarà prevedibilmente chiamata di nuovo a pronunciarsi sui medesimi temi. Infatti, all’indomani della pronuncia della Corte Suprema il governo del Regno Unito, per nulla intenzionato a rinunciare alla propria idea di trasferimenti forzati di richiedenti asilo in Ruanda, ha proceduto a stipulare con quest’ultimo un nuovo accordo, attraverso il quale si cerca di superare proprio gli elementi più critici evidenziati dalla Supreme Court. L’accordo (che questa volta è un trattato internazionale a tutti gli effetti) e la normativa interna di attuazione (significativamente intitolata “Safety of Rwanda - Asylum and Immigration - Bill”, finora approvata da una delle due camere del parlamento britannico) creano una presunzione normativa di sicurezza per il Ruanda, tentando così di vincolare l’attività di autonomo apprezzamento di un futuro giudice. Inoltre, nello sforzo di superare anche nella sostanza i profili più critici delineati dalla Supreme Court, il trattato tra le altre cose prevede la creazione di una corte d’appello ruandese specializzata in materia di asilo e composta anche da giudici internazionali, istituisce un comitato congiunto di monitoraggio sull’attuazione dell’accordo, e pone un divieto esplicito per il Ruanda di rimuovere dal proprio territorio qualsiasi persona trasferita dal Regno Unito.
Si dovrà attendere l’emissione dei primi nuovi provvedimenti di trasferimento e le relative impugnazioni per comprendere se questi cambiamenti saranno sufficienti per far modificare l’opinione della Corte Suprema. Quest’ultima, nel bloccare i trasferimenti, aveva già anticipato che la propria posizione era fondata su di una valutazione contingente del sistema ruandese attuale e delle sue attuali inadeguatezze, ma non ha osato spingersi ad attaccare l’impianto di fondo, ossia la possibilità di trasferire richiedenti in Ruanda tout court.
L’accordo tra Regno Unito e Ruanda era stato etichettato dalla quasi totalità della società civile britannica come “crudele” e “illegittimo”. La pronuncia della Supreme Court ha affermato sì la sua illegittimità, ma non ha preso alcuna posizione sulla crudeltà insita nel fatto di trasferire forzatamente individui, spesso già vulnerabili, in un paese straniero in cui non avevano mai progettato di recarsi, con cui non hanno alcun collegamento, che è geograficamente e culturalmente molto distante dalle loro origini, e dal quale potranno verosimilmente allontanarsi in modo legale solo accettando di fare rientro nel proprio paese di origine.
Un simile trattamento appare, appunto, crudele, oltre che irrispettoso della dignità e della vita privata delle persone coinvolte: la conseguenza giuridica che se ne sarebbe dovuto far discendere è che si tratti di un trattamento che viola la dignità individuale, così ricadendo nello stesso divieto di cui all’articolo 3 CEDU che ha indotto a bloccare già una volta i voli verso il Ruanda, o che quantomeno viola il diritto al rispetto della vita privata tutelato dall’art. 8 della medesima Convenzione.
La Corte Suprema britannica ha quindi avuto il pregio di riaffermare la centralità del ruolo del giudice e di evidenziare i limiti attuali del sistema ruandese, ma ha perso un’occasione per stabilire, anche sfruttando quel margine di creatività giuridica di cui dispone il giudice nei sistemi di common law, che non è possibile trasferire all’estero chi si trova già sul suolo di un altro paese dichiarandosi come rifugiato, senza violare i suoi diritti fondamentali.
[1] Corte Suprema britannica, AAA e altri c. Secretary of State for the Home Department, sentenza del 15 novembre 2023 presso: https://www.supremecourt.uk/cases/docs/uksc-2023-0093-etc-judgment.pdf.
[2] Il documento principale dell’accordo è il Memorandum of Understanding between the UK and Rwanda for the provision of an asylum partnership arrangement, disponibile presso https://committees.parliament.uk/publications/30322/documents/175339/default/. Il memorandum è esplicitamente qualificato come strumento non vincolante in base al diritto internazionale, che non crea o conferisce alcun diritto a nessun individuo e che la sua osservanza non è sindacabile in nessun tribunale. Esso si accompagna a due note verbali diplomatiche riguardanti procedura di asilo e misure di accoglienza per i richiedenti trasferiti in Ruanda.
[3] Corte europea dei diritti dell’uomo, N.S.K. c. Regno Unito, procedimento n. 28774/22, decisione del 14 giugno 2022; Corte europea dei diritti dell’uomo, R.M. c. Regno Unito, procedimento n. 29080/22 e H.N. c. Regno Unito, procedimento n. 29084/22, decisioni del 15 giugno 2022.
[4] Agreement between the Government of the United Kingdom of Great Britain and Northern Ireland and the Government of the Republic of Rwanda for the provision of an asylum partnership to strengthen shared international commitments on the protection of refugees and migrants, presso: https://assets.publishing.service.gov.uk/media/656f51d30f12ef07a53e0295/UK-Rwanda_MEDP_-_English_-_Formatted__5_Dec_23__-_UK_VERSION.pdf.
[5] Israele ha infatti stipulato un accordo con il Ruanda alla fine del 2013, in base al quale le persone provenienti dall'Eritrea e dal Sudan che avevano richiesto asilo in Israele venivano trasferite in Ruanda per l’esame delle loro richieste. L'accordo è rimasto in vigore fino al 2018.
[6] Nel 2019 viene firmato un Memorandum di intesa tra UNHCR, governo del Ruanda e Unione africana per stabilire un programma dalla Libia valido fino al 31 dicembre 2023. L'UNHCR ha lanciato un appello globale per il finanziamento dell'ETM e l'Unione europea è stata tra i primi sostenitori a rispondere con un contributo di 12,5 milioni di euro dal Fondo fiduciario dell'UE per l'Africa. Anche l’Italia ha contribuito, attraverso il Fondo migrazioni, con un totale di 2 milioni di euro.
[7] Per contro, l’inclusione di un cittadino straniero nel programma ETM è una decisione puramente discrezionale da parte dell’UNHCR che non prevede alcun provvedimento formale né di accoglimento né di rigetto, rendendo così impossibile qualsivoglia controllo giurisdizionale. La deportazione in base all’accordo UK-Ruanda prevede invece l’emissione di un provvedimento amministrativo di allontanamento che può essere, come lo è stato, impugnato di fronte all’autorità giudiziaria nazionale. Proprio per questo l’ETM si palesa come un programma di dubbia legittimità e utilità, in quanto ha coinvolto finora 1500 richiedenti asilo, una piccola frazione di coloro che si trovano in Libia in condizioni inumane, selezionati dall’UNHCR in modo insindacabilmente discrezionale, e che nell’oltre 99% hanno ottenuto una forma di protezione internazionale e avrebbero quindi potuto essere trasferiti dalla Libia direttamente nel paese di reinsediamento, senza una permanenza spesso di molti mesi in una struttura provvisoria in Ruanda.
[8] Ai sensi del paragrafo 16 del Memorandum, il Regno Unito ha concordato che “una parte dei rifugiati più vulnerabili del Ruanda” sarà insediata nel Regno Unito.
[9] L’UNHCR ha definito tali accordi tutt’al più “inopportuni” laddove per loro tramite lo Stato trasferente tenti di sottrarsi alla propria responsabilità di esaminare le domande di asilo delle persone trasferite. L’UNHCR ritiene quindi che, al fine di “rafforzare la protezione dei rifugiati” gli Stati ben possano stipulare accordi per il loro trasferimento anche forzato. Cfr. UNHCR, Guidance Note on bilateral and/or multilateral transfer arrangements of asylum-seekers, 2013.
[10] Secondo la Supreme Court, si tratta di un tasso di rigetto sorprendentemente alto per i richiedenti provenienti da tali paesi. A titolo di confronto, le statistiche dell'Home Office britannico per lo stesso periodo mostrano che le richieste di asilo nel Regno Unito sono state accolte nel 74% dei casi per l'Afghanistan, nel 98% dei casi per la Siria e nel 40% dei casi per lo Yemen. L'UNHCR attribuisce il rifiuto di tali richieste da parte delle autorità ruandesi alla convinzione che le persone provenienti dal Medio Oriente e dall'Afghanistan dovrebbero chiedere asilo nella propria regione.
[11] Ai sensi del paragrafo 9 del Memorandum attuativo dell’accordo, il Ruanda si impegnava a "trattare ogni individuo trasferito, e a processare la loro richiesta di asilo, in conformità con la Convenzione sui Rifugiati, le leggi sull'immigrazione del Ruanda e gli standard internazionali e ruandesi, incluso il diritto internazionale e ruandese sui diritti umani, e includendo, ma non limitandosi a, garantire la loro protezione da trattamenti inumani e degradanti e dal refoulement". Il paragrafo 9 stabiliva anche una serie di garanzie procedurali, tra cui l'accesso a un interprete e all'assistenza procedurale o legale, e a un processo di appello indipendente e imparziale. Il paragrafo 10 prevedeva disposizioni per le persone le cui richieste di asilo vengono rifiutate. A meno che non venga riconosciuta loro un'altra necessità di protezione umanitaria, o non venga concesso il permesso di rimanere in Ruanda secondo la legge sull'immigrazione del paese, il Ruanda rimuoverà tale persona solo verso un paese in cui essa abbia il diritto di risiedere.
[12] Cfr. il commento di N. Datena e G. Vicini, La procedura di designazione del ‘paese di origine sicuro’ e i poteri di valutazione del giudice ordinario, in questa Rivista, 23 ottobre 2023.