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13 Aprile 2021


“Norma-scudo” o “norma-placebo”? Brevi osservazioni in tema di (ir)responsabilità penale da somministrazione del vaccino anti SARS-CoV-2


1. Con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del d.l. 1° aprile 2021, n. 44 recante «Misure urgenti per il contenimento dell’epidemia da COVID-19, in materia di vaccinazioni anti SARS-CoV-2, di giustizia e concorsi pubblici» irrompe sulla scena del diritto penale pandemico un nuovo istituto, riconducibile alle esigenze di limitazione e contenimento della responsabilità espresse nell’attuale contesto di emergenza sanitaria da diverse categorie professionali[1]: si tratta di quello che nella vulgata giornalistica è stato presentato come lo “scudo penale” per i vaccinatori.

A venire in rilievo è, come noto, l’art. 3 del d.l. n. 44 del 2021, rubricato «Responsabilità penale da somministrazione del vaccino anti SARS-CoV-2», che prevede: «Per i fatti di cui agli articoli 589 e 590 del codice penale verificatisi a causa della somministrazione di un vaccino per la prevenzione delle infezioni da SARS-CoV-2, effettuata nel corso della campagna vaccinale straordinaria in attuazione del piano di cui all’articolo 1, comma 457, della legge 30 dicembre 2020, n. 178, la punibilità è esclusa quando l’uso del vaccino è conforme alle indicazioni contenute nel provvedimento di autorizzazione all’immissione in commercio emesso dalle competenti autorità e alle circolari pubblicate sul sito istituzionale del Ministero della salute relative alle attività di vaccinazione».

La norma introduce un peculiare meccanismo di esclusione della punibilità in relazione alle ipotesi di omicidio o lesioni colpose verificatesi «a causa» della inoculazione di un vaccino anti Covid-19; a tale esimente il decreto governativo affianca ulteriori novità in materia di vaccinazioni, fra le quali si segnala in particolare l’introduzione di un obbligo vaccinale per gli esercenti le professioni sanitarie e gli operatori di interesse sanitario, assistito – in caso di inottemperanza – da misure che possono portare all’assegnazione a diverse mansioni ovvero alla sospensione della retribuzione.

 

2. La scelta governativa di prevedere una siffatta disposizione coinvolge in modo diretto due questioni particolarmente sensibili nell’attuale contesto emergenziale: da un lato, le già richiamate istanze di protezione veicolate dagli operatori sanitari in relazione a un rischio-responsabilità percepito come particolarmente acuito in ragione della crisi epidemiologica; dall’altro, i possibili effetti avversi derivanti dall’inoculazione dei vaccini anti SARS-CoV-2 e il conseguente avvio di procedimenti penali finalizzati all’accertamento delle eventuali responsabilità.

In questa prospettiva, vorrei avanzare in questa sede soltanto alcune brevi osservazioni a prima lettura, cercando di fornire qualche spunto in relazione a tre profili che a me sembrano particolarmente interessanti, e cioè le ragioni che hanno portato all’introduzione del c.d. “scudo penale” per i vaccinatori, la struttura del meccanismo esimente contemplato all’art. 3 e la concreta utilità di una “protezione” così costruita.

 

3. Per quanto concerne la genesi della norma, l’esenzione da responsabilità penale per gli eventi infausti derivanti dalla somministrazione del vaccino anti-coronavirus prevista nel decreto n. 44 del 2021 si colloca a valle del più ampio dibattito in ordine all’opportunità di prevedere “norme-scudo” per il personale sanitario, sino ad oggi invero rimaste allo stadio di mere proposte emendative[2].

È noto come la situazione di grave emergenza organizzativa che il sistema sanitario ha dovuto affrontare, specie in relazione alla prima fase della pandemia, abbia oltremodo enfatizzato la già problematica percezione del “rischio penale” correlato all’esercizio delle professioni mediche; le categorie interessate hanno in questo senso espresso con vigore l’esigenza di una rafforzata protezione legislativa, invocando l’introduzione di uno “scudo” che ponesse gli operatori al riparo dalla criminalizzazione di scelte terapeutiche condotte spesso in circostanze davvero drammatiche.

La politica, come sempre attenta alle questioni sensibili sul piano del consenso sociale ed elettorale[3], si era fatta carico delle predette istanze avanzando alcune proposte di intervento che spaziavano da forme di generale «lockdown» della responsabilità medica[4] a più circoscritte ipotesi di contenimento della responsabilità ai soli casi di dolo e colpa grave[5].

Con la disposizione contenuta all’art. 3 del decreto n. 44 del 2021 il Governo sembra voler effettivamente tradurre sul piano positivo le esigenze di enforcement di un modello “emergenziale” di contenimento della responsabilità medica, veicolandole tuttavia in un contesto – quello della campagna di vaccinazione anti SARS-CoV-2 – tutt’affatto peculiare rispetto all’inziale e tragica fase di diffusione del contagio che aveva portato alle prime proposte di “scudo” per il personale sanitario.

In quel frangente, infatti, il tema era quello della necessità di introdurre limiti alla possibile responsabilizzazione dei sanitari in relazione a scelte terapeutiche condotte in una situazione caratterizzata dall’insufficienza di mezzi organizzativi e dall’assenza di conoscenze scientifiche, rispetto alla quale la protezione offerta dall’art. 590-sexies c.p. veniva percepita come ampiamente inadeguata.

Il meccanismo esimente contemplato nell’ultimo decreto, invece, opera dichiaratamente (ed esclusivamente) rispetto all’attività di somministrazione dei vaccini, evocando il delicatissimo tema dei possibili effetti collaterali avversi dell’inoculazione, rispetto al quale la comunità scientifica e le stesse Agenzie regolatrici sembrano ancora oggi ben lontane dall’aver assunto una posizione definitiva.

In questo contesto, a fronte dell’avvio di alcuni procedimenti penali in relazione a decessi correlati (almeno cronologicamente) alla somministrazione di un vaccino anti-Covid 19, è stato paventato il rischio che il personale medico assumesse atteggiamenti di tipo “difensivo” di fronte alla prospettiva di una possibile responsabilizzazione per le eventuali conseguenze infauste della vaccinazione, con riflessi negativi sulla buona riuscita del piano nazionale di immunizzazione[6].

Proprio nell’ottica di ovviare ad un siffatto rischio, il legislatore ha modellato una norma che ancora una volta si rivela priva di un’effettiva funzione “regolatrice” e che si caratterizza piuttosto per una più blanda finalità «rassicurativa» o «di indirizzo»[7].

Emblematico in questo senso si dimostra il testo della Relazione illustrativa del decreto, ove si riconosce come l’art. 3 sia «espressione dei principi generali dell’imputazione soggettiva» e dichiaratamente «mir[i] a rassicurare il personale sanitario e in genere i soggetti coinvolti nell’attività di vaccinazione», «in un’ottica di maggiore certezza giuridica».

 

4. Per quanto concerne la natura del meccanismo esimente contemplato dalla norma in parola, dietro la genericità del testo di legge («la punibilità è esclusa quando…») è possibile riconoscere una forma di ri-descrizione del tipo colposo non dissimile dal modello seguito tanto in alcune delle precedenti proposte di “norme-scudo” per il personale sanitario[8], quanto nell’art. 29-bis del d.l. 8 aprile 2020, n. 23 (conv. l. 5 giugno 2020, n. 40) con riferimento alle esigenze di tutela dei datori di lavoro di fronte alla possibile responsabilità penale per la morte o le lesioni incorse ai dipendenti a causa del virus contratto in ambito lavorativo[9].

Anche nel caso dell’art. 3 d.l. n. 44 del 2021, infatti, l’efficacia esimente deriva dalla riconosciuta conformità della condotta dell’agente rispetto alle indicazioni provenienti dalle autorità competenti in ordine allo svolgimento dell’attività rischiosa consentita (che, in questo caso, sarebbe la somministrazione del vaccino); rileva in questo senso il richiamo al «provvedimento di autorizzazione all’immissione in commercio emesso dalle competenti autorità» e alle «circolari pubblicate sul sito istituzionale del Ministero della salute relative alle attività di vaccinazione».

La volontà di operare sul piano del giudizio di rimprovero colposo emerge anche dalla già richiamata relazione illustrativa, che riconosce come «l’esclusione della responsabilità – e in particolare della colpa» contemplata dall’art. 3 sia «ancorata all’osservanza delle regole cautelari che vengono in rilievo specificamente rispetto all’attività di vaccinazione»[10]. Si tratta, a ben vedere, di una platea di «indicazioni» piuttosto ampia ed eterogena, che comprende tanto regole relative alla dimensione “clinica” del vaccino (posologia, modalità di conservazione e somministrazione, controindicazioni, avvertenze e precauzioni d’uso) quanto prescrizioni di tipo “organizzativo” (gruppi target della vaccinazione, priorità di somministrazione, modalità di manifestazione del consenso).

La conformità a tali indicazioni inibisce completamente la possibilità di un rimprovero colposo in caso di eventi infausti: l’art. 3 infatti, a differenza di quanto era previsto in molte delle precedenti proposte di “scudo” per il personale sanitario, non contempla un modello di gradazione della colpa che circoscriva la responsabilità penale alle sole ipotesi di «colpa grave» definite attraverso il richiamo a parametri costruiti sul peculiare contesto emergenziale[11].

Di contro, un limite al meccanismo esimente viene introdotto sul piano della efficacia temporale della norma, posto che la stessa opera con riferimento alle sole somministrazioni di vaccino Covid-19 effettuate «nel corso della campagna vaccinale straordinaria in attuazione del piano di cui all’articolo 1, comma 457, della legge 30 dicembre 2020, n. 178». Anche sotto questo profilo viene dunque confermata la vocazione “emergenziale” dell’esimente, pensata per operare esclusivamente nel peculiare contesto del piano nazionale di vaccinazione anti SARS-CoV-2[12].

 

4. Il modello seguito dal legislatore nella costruzione dell’art. 3 d.l. n. 44 del 2021 induce infine ad interrogarsi circa la reale efficacia di “protezione” che lo stesso è in grado di esplicare; da questo punto di vista possono essere individuati già in questa sede almeno due profili di criticità dell’istituto, l’uno legato direttamente alla formulazione testuale della norma, l’altro più in generale derivante dalla stessa scelta di ricorrere ad una “norma-scudo” al fine di governare le preoccupazioni espresse dal personale sanitario.

In questo senso occorre in primo luogo evidenziare come la lettera della legge lasci intendere che presupposto imprescindibile per l’operatività dell’esimente in parola sia l’accertata sussistenza di un nesso causale fra l’evento morte o lesioni e la somministrazione di un vaccino Covid-19: soltanto in questo senso può infatti essere letto il riferimento ai «fatti di cui agli articoli 589 e 590 del codice penale verificatisi a causa della somministrazione di un vaccino per la prevenzione delle infezioni da SARS-CoV-2».

Ebbene, al di là dello sconcerto generato dal fatto che il decreto contempli pacificamente la possibilità di un nesso eziologico fra inoculazione del vaccino e morte del paziente in un momento in cui la questione è ancora ampiamente dibattuta a livello di comunità scientifica e autorità regolatorie competenti, è evidente come l’accertamento del rapporto causale fra evento infausto e vaccinazione – sempre che lo stesso sia davvero possibile secondo gli standard probatori richiesti dall’ordinamento – non possa che avvenire nella sede a ciò deputata, e cioè quella processuale.

Una siffatta formulazione della norma, dunque, non può che tradursi in una rilevante limitazione all’effettiva applicabilità della stessa, specie considerando il fatto che un’esimente così costruita non può in alcun modo realizzare quella protezione “dal” processo che era stata invece auspicata, posto che è proprio “nel” processo che deve essere verificata la sussistenza di quel rapporto causale fra somministrazione del vaccino e lesioni o morte che si caratterizza come presupposto imprescindibile per l’operatività dello “scudo”[13].

Più in generale, venendo al modello seguito dal Governo nella costruzione dell’esimente, mi sembra lecito dubitare della reale portata innovativa dell’art. 3, che si caratterizza piuttosto come meramente ricognitivo dei principi che assistono l’imputazione del fatto colposo. In questo senso è evidente come la conformità della condotta dell’operatore sanitario alla vasta e multiforme platea di «indicazioni» richiamate dalla norma in questione valga già ad escludere la possibilità della formulazione di un rimprovero colposo.

È proprio in questo senso che emerge la richiamata natura meramente orientativa della norma in parola, alla quale può a tutto concedere essere riconosciuta una funzione di stimolo ad una più attenta soggettivizzazione del giudizio di colpa medica, che tenga conto del peculiare contesto in cui l’attività dell’operatore sanitario viene resa[14].

 

5. Le brevi considerazioni che precedono consentono di dubitare del fatto che l’art. 3 d.l. n. 44 del 2021 abbia davvero quella efficacia di “scudo” per la responsabilità da somministrazione dei vaccini Covid-19 che allo stesso viene attribuita nel linguaggio massmediatico. Piuttosto, potremmo qualificare la disposizione in parole come una sorta di “norma-placebo”, funzionale a perseguire l’obiettivo – in sé certamente nobile – di «non aggravare professionisti ed operatori del settore dediti al loro lavoro e già seriamente provati dall’impegno profuso durante la pandemia, di ulteriori preoccupazioni che possano intralciare il delicato compito cui sono stati chiamati»[15].

Se così è, occorre allora rilevare come l’art. 3, almeno nella sua formulazione attuale, abbia invero fallito nel suo intento, posto che già all’indomani della pubblicazione della bozza del decreto i rappresentanti della categoria interessata si sono detti profondamente insoddisfatti della soluzione proposta, nella misura in cui la stessa riguarda soltanto la fase della somministrazione dei vaccini anti-Covid, aspetto che «se ha fatto molta presa sui media, non preoccupava più di tanto i medici, abituati ad assumersi responsabilità in tutte le campagne vaccinali»[16].

In questo senso, mi sembra che l’introduzione del (preteso) “scudo penale” per i vaccinatori – così come è stato per gli analoghi meccanismi di limitazione della responsabilità di recente realizzati o solo proposti nell’attuale contesto pandemico – sottolinei l’urgenza di una seria riflessione in ordine tanto all’utilizzo del diritto penale quale strumento di gestione e governo delle preoccupazioni espresse dalle diverse realtà professionali (non solo dai medici) circa l’eccessivo rischio-responsabilità sotteso al loro operato, quanto alle ragioni ultime sottese alle predette preoccupazioni, che proprio per la categoria degli operatori sanitari continuano a riproporsi ciclicamente.

Punto di partenza, a mio avviso, non può che essere la consapevolezza del fatto che gli istituti “classici” della causalità e della colpa costituiscano già di per sé uno “scudo” sufficientemente efficace rispetto alle possibili derive degli eccessi di responsabilizzazione. Certo, è necessario che tali istituti siano declinati in sede giurisdizionale secondo un modello realmente garantista, così da non lasciare spazio a quelle istanze di flessibilizzazione che, a ben vedere, costituiscono la ragione ultima per la quale oggi si discute dell’opportunità di queste “norme-scudo”.

La crisi sanitaria, sociale ed economica generata dalla diffusione del virus SARS-CoV-2, se da un lato ha reso ancor più necessario questo attento esercizio di iuris prudentia[17], dall’altro mi pare ci abbia portato a riflettere sul fatto che il nostro ordinamento penale possiede già gli anticorpi per fronteggiare il rischio di una epidemia di responsabilità, senza che si rivelino necessarie nuove inoculazioni di “scudi” normativi, che anzi rischiano di essere controproducenti per il messaggio che veicolano. Mi riferisco non soltanto al profilo puntuale, già evidenziato, del riconoscimento normativo di un possibile rapporto causale fra vaccini e decessi dei pazienti; più in generale, mi pare infatti rilevi il rischio che il ricorso a strumenti emergenziali “di favore” possa finire per veicolare l’idea di una diffusione delle condotte criminose nei settori interessati, che ordinariamente giustificherebbe il ricorso ad un modello semplificato di accertamento della responsabilità[18].

Nella situazione attuale, a fronte della ragionevole speranza che il buon esito della campagna vaccinale possa condurre al più presto all’agognato ritorno alla normalità, risulta ancora (e forse vieppiù) valido l’invito rivolto ai diversi operatori “istituzionali” coinvolti all’utilizzo del «buon senso», di modo che «la magistratura compia la sua attività andando alla ricerca delle vere e proprie responsabilità», «la politica si astenga dallo strumentalizzare a fini politici inchieste giudiziarie»[19], e la dottrina, dal canto suo, «svilupp[i] la capacità di misurarsi con una pubblicistica meno accademica nel linguaggio e nei contenuti, ma forse più efficace sul piano della trasmissione di alcuni messaggi»[20].

 

 

[1] Per un approfondimento sul tema sia consentito il rinvio a E. Penco, Esigenze e modelli di contenimento della responsabilità nel contesto del diritto penale pandemico, in questa Rivista, 15 febbraio 2021.

[3] Sul rapporto tra scelte di politica criminale e consenso sociale v. in particolare le considerazioni di M. Pelissero, Politica, consenso sociale e dottrina: un dialogo difficile sulle riforme attuate e mancate del sistema sanzionatorio, in Arch. pen., 1/2019.

[4] L’espressione è di G. Losappio, Responsabilità penale del medico, cit., 7.

[5] Sul punto, volendo, v. E. Penco, Esigenze e modelli di contenimento della responsabilità, cit., 15 ss.

[6] Un siffatto rischio è stato prospettato, fra gli altri, da Cristiano Cupelli: v. in particolare l’intervento «Tuteliamo i medici o il piano vaccinale rischia di implodere», in ildubbio.news, 16 marzo 2021. Sul tema v. anche la videointervista Covid-19 s.r.l. – sicurezza a responsabilità limitata, in giustiziainsieme.it, 22 marzo 2021, con la partecipazione della Prof.ssa M.A. Sandulli, dell’On. Avv. Francesco Paolo Sisto e del Prof. C. Cupelli.

[7] In questo senso, con riferimento alla “norma-scudo” rivolta ai datori di lavoro di cui all’art. 29-bis del d.l. 8 aprile 2020, n. 23 (conv. l. 5 giugno 2020, n. 40), C. Cupelli, Obblighi datoriali di tutela contro il rischio di contagio da Covid-19: un reale ridimensionamento della colpa penale?, in questa Rivista, 15 giugno 2020 e M. Scoletta, Il position paper di Confindustria sulla responsabilità ex crimine degli enti ai tempi del Covid-19: ragionevoli conferme e scivolose rassicurazioni, ivi, 22 giugno 2020.

[8] Così, con riferimento alle proposte di “norme-scudo” funzionali ad un contenimento della responsabilità professionale mediante il richiamo alla gradazione della colpa e una definizione ad hoc del concetto di colpa grave, A. Roiati, Esercizio della professione sanitaria e gestione dell’emergenza Covid-19, cit., 11.

[9] In questo senso M. Pelissero, Covid-19 e diritto penale pandemico. Delitti contro la fede pubblica, epidemia e delitti contro la persona alla prova dell’emergenza sanitaria, in Riv. it. dir. proc. pen., 2020, 541, riconosce come la norma di cui all’art. 29-bis d.l. n. 23 del 2020 operi sul piano della tipicità oggettiva del reato colposo.

[10] Contra, ritiene che la norma in parola introduca una scriminante N. Rossi, Sanitari: è possibile uno “scudo penale” più efficace dell’attuale?, in questionegiustizia.it, 10 aprile 2021.

[11] In questa direzione andavano, ad esempio, alcuni emendamenti al d.l. 17 marzo 2020, n. 18 (c.d. decreto “Cura Italia”, conv. in l. 24 aprile 2020, n. 27), quali il n. 1.0.4. (testo 2), il n. 16.2, il n. 13.2 (testo 2), nonché l’emendamento n. 1.07 formulato in sede di conversione del d.l. 19 maggio 2020, n. 34 (c.d. decreto “Rilancio”). Sul punto v. ancora E. Penco, Esigenze e modelli di contenimento della responsabilità, cit., 15-16.

[12] La medesima caratteristica era propria anche delle già citate proposte di limitazione della responsabilità del personale sanitario nell’attuale contesto pandemico, che risultavano costruite per operare esclusivamente in una prospettiva temporalmente limitata all’attuale crisi epidemiologica; sul punto v. G.M. Caletti, Emergenza pandemica e responsabilità penali in ambito sanitario, cit., 18. Con riferimento a questo profilo il Dossier del Servizio Studi relativo al disegno di legge di conversione del d.l. n. 44 del 2021 evidenzia «l’opportunità di chiarire il termine temporale finale del periodo oggetto della limitazione della punibilità, considerato che il presente articolo 3 fa riferimento esclusivamente alle somministrazioni effettuate durante la campagna vaccinale in corso e che le disposizioni concernenti il piano strategico nazionale per la vaccinazione in oggetto non prevedono termini finali» (p. 42).

[13] Proprio in questo senso N. Rossi, Sanitari: è possibile uno “scudo penale”, cit., evidenzia piuttosto l’opportunità di introdurre, più che uno “scudo penale”, «una sorta di “scudo procedimentale”», che da un lato porti a riconoscere al pubblico ministero la «facoltà di procrastinare l’iscrizione nel registro degli indagati delle persone potenzialmente responsabili» e dall’altro preveda la possibilità che siano gli Ordine professionali dei sanitari interessati, opportunamente e tempestivamente avvisati, a «nominare (…) un consulente tecnico tenuto a partecipare agli accertamenti tecnici irripetibili oltre ad un difensore d’ufficio», ferma comunque la facoltà dei «sanitari “interessati” agli esiti degli accertamenti» di «chiedere al pubblico ministero di parteciparvi anche a titolo individuale, nominando un proprio consulente tecnico e un difensore di fiducia».

[14] Auspicano una più attenta ed effettiva soggettivizzazione del rimprovero colposo quale rimedio al rischio di una eccessiva responsabilizzazione del personale medico nella situazione attuale di emergenza epidemiologica, fra gli altri, A. Gargani, La gestione dell’emergenza “Covid-19”: il “rischio penale” in ambito sanitario, in Dir. pen. proc., 893; G. Bovi, La colpa del medico ai tempi del Covid-19: la soluzione nei principi generali?, in www.giustiziainsieme.it, 27 maggio 2020.

[15] Così la Relazione tecnica al decreto n. 44 del 2021, con riferimento all’art. 3.

[16] Sono le dichiarazioni del Presidente della Federazione nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e Odontoiatri, Filippo Anelli: v. Nuovo Decreto-Legge, medici delusi da “scudo penale” e “obbligo vaccinale, in portale.fnomceo.it, 31 marzo 2021.

[17] In questo senso v. l’autorevole contributo di F. Palazzo, Pandemia e responsabilità colposa, in questa Rivista, 26 aprile 2020.

[18] Per un analogo giudizio critico in ordine alle proposte di “scudo penale” per il personale medico v. A. Gargani, La gestione dell’emergenza “Covid-19”, cit., 889; con riferimento invece alla limitazione di responsabilità datoriale di cui all’art. 29-bis d.l. n. 23 del 2020 v. nello stesso senso O. Di Giovine, Coronavirus, diritto penale e responsabilità datoriali, in questa Rivista, 22 giugno 2020.

[19] Così R. Bartoli, Il diritto penale “a contrasto del Coronavirus”: problematiche e prospettive, in questa Rivista, 24 aprile 2020, 14

[20] M. Pelissero, Politica, consenso sociale e dottrina, cit., 14.