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08 Novembre 2022


L’Italia “ritocca” le norme PIF (e non solo)

A proposito del d.lgs. 4 ottobre 2022, n. 156



1. Rilievi introduttivi. Il precedente del cd. decreto-frodi. Note procedurali. Il 22 ottobre scorso è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il d.lgs. 4 ottobre 2022, n. 156, recante Disposizioni correttive e integrative del decreto legislativo 14 luglio 2020, n. 75, di attuazione della direttiva (UE) 2017/1371, relativa alla lotta contro la frode che lede gli interessi finanziari dell'Unione mediante il diritto penale.

Il provvedimento entrerà in vigore una volta decorso l’ordinario termine di vacatio legis, e dunque il 6 novembre prossimo.

Come qualcuno ricorderà, nel corso del corrente anno, la materia dei cd. reati PIF è già stata oggetto di un altro intervento normativo, attuato - in questo caso - in via d’urgenza con l’art. 2, co. 1, del d.l. 25 febbraio 2022, n. 13, recante Misure urgenti per il contrasto alle frodi e per la sicurezza nei luoghi di lavoro in materia edilizia, nonché sull'elettricità prodotta da impianti da fonti rinnovabili (cd. decreto-frodi)[1].

Prima di (tentare di) abbozzare un quadro di sintesi dei contenuti dei due provvedimenti, può essere di interesse far cenno a talune particolarità delle rispettive procedure di approvazione.

Il decreto-frodi, infatti, risulta abrogato dall’art. 2, co. 2, della L. 28 marzo 2022, n. 25, con cui è stato convertito - con modificazioni - il d.l. 27 gennaio 2022, n. 4, recante Misure urgenti in materia di sostegno alle imprese e agli operatori economici, di lavoro, salute e servizi territoriali, connessi all’emergenza da COVID-19, nonché per il contenimento degli effetti degli aumenti dei prezzi nel settore elettrico (cd. decreto sostegni-ter). Peraltro, nella medesima disposizione, si è altresì previsto che «[r]estano validi gli atti e i provvedimenti adottati e sono fatti salvi gli effetti prodottisi e i rapporti giuridici sorti sulla base del medesimo decreto-legge». Allo stesso tempo, le misure sanzionatorie contro le frodi in materia di erogazioni pubbliche, già introdotte dal decreto-frodi, sono state “recuperate” riproducendone il contenuto all’art. 28-bis interpolato nel decreto sostegni-ter.

In tal modo, nella sostanza, si sono “tagliati” i tempi della ratifica parlamentare, utilizzando la legge di conversione di un precedente decreto-legge al fine di veicolarvi disposizioni di un decreto-legge sopravvenuto.

Quanto al (vero e proprio) “correttivo PIF”, la base giuridica del decreto legislativo si individua nell’articolo 31, co. 5, della l. 24 dicembre 2012, n. 234 (Norme generali sulla partecipazione dell’Italia alla formazione e all’attuazione della normativa e delle politiche dell’Unione europea), che consente al Governo di emanare disposizioni integrative e correttive di decreti legislativi relativi a deleghe legislative conferite con la legge di delegazione europea per il recepimento delle direttive.

Di regola, detto potere va esercitato entro ventiquattro mesi dalla data di entrata in vigore dei decreti legislativi, nel rispetto dei principi e criteri direttivi fissati dalla legge di delegazione europea e secondo la medesima procedura dettata per la loro adozione.

Nel caso di specie, tuttavia, ha trovato applicazione il termine aggiuntivo di tre mesi (in gergo: “bonus”) previsto dal co. 3 dell’art. 31 per varie ipotesi, tra le quali quella in cui il termine di quaranta giorni a disposizione delle Commissioni parlamentari della Camera e del Senato per esprimere il parere di competenza venga a scadenza «nei trenta giorni che precedono la scadenza dei termini di delega […] o successivamente».

                                                                                 

 

2. Il cd. decreto-frodi. Le modifiche introdotte in via di urgenza dal d.l. n. 13 del 2022 riguardano le frodi in erogazioni pubbliche genericamente intese e ricomprendono, quindi, tanto le attività illecite perpetrate in danno dello Stato italiano, quanto quelle lesive degli interessi finanziari UE, ovvero a rilevanza PIF.

La novella dilata l’alveo applicativo della confisca in casi particolari (cd. per sproporzione), di cui all’art. 240-bis c.p., nonché le fattispecie di reato previste dagli artt. 316-bis, 316-ter e 640-bis c.p.

La concorrenza delle prospettive di tutela, nazionale ed eurounitaria, si riflette nelle motivazioni alla base delle nuove disposizioni.

Nel catalogo dei delitti-presupposto per la confisca ex art. 240-bis c.p. vengono ora inclusi i delitti di truffa aggravata in danno dello Stato, di altro ente pubblico o dell’Unione europea (art. 640, secondo co., n. 1, c.p.)[2] e di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche (art. 640-bis, c.p.).

Già su di un piano generale è agevole cogliere come il rafforzamento degli strumenti di contrasto alla sottrazione e alla dispersione delle pubbliche risorse appaia pienamente coerente con l’esigenza di una tutela rafforzata degli interventi finanziari previsti dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR). Tuttavia, in favore di un’integrazione del catalogo dei delitti-presupposto militano, soprattutto, preminenti ragioni di natura logico-sistematica: da un lato, nell’elenco di cui all’art. 240-bis c.p. già compare il delitto di indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato (art. 316-ter c.p.), dall’altro nei confronti dei soggetti indiziati del delitto di cui all’articolo 640-bis c.p. è - come noto - ammessa la confisca cd. di prevenzione, le cui caratteristiche strutturali e funzionali presentano estensivi profili di corrispondenza con quelli propri della misura codicistica.

Tanto osservato con riguardo all’ambito domestico, sul versante del diritto eurounitario va ricordato che l’art. 10 della direttiva PIF richiama in parte qua la direttiva 2014/42/UE[3], che obbliga gli Stati membri ad adottare le misure necessarie a consentire la confisca dei beni strumentali e dei proventi di reato sia per equivalente (art. 4, par. 1)[4], sia per sproporzione (art. 5, par. 1)[5]. Sotto questo profilo, dunque, l’inserimento delle menzionate figure di frode tra i reati per i quali è ammessa la confisca in casi particolari appariva - laddove venissero in rilievo condotte delittuose incidenti sugli interessi finanziari dell’Unione - addirittura doverosa.

Analoga convergenza dei piani di tutela, come già accennato, è dato riscontrare con riferimento alle modifiche apportate agli artt. 316-bis, 316-ter e 640-bis c.p.

Qui, per taluni profili, è dichiarata l’esigenza di un riallineamento contenutistico e sistematico delle tre figure.

Ed infatti si è trattato, innanzitutto, di adeguare le rubriche delle prime due disposizioni alla circostanza che la «malversazione» o, rispettivamente, la «indebita percezione di erogazioni» potessero essere consumate non solo «a danno dello Stato» ma anche, evidentemente, a danno dell’Unione europea. Pienamente condivisibile, dunque, l’eliminazione dell’anzidetta (oramai) impropria specificazione, sostituita indicando la natura pubblica delle erogazioni che costituiscono l’oggetto materiale dei reati in questione. Allo stesso modo, l’eterogenea, non coincidente indicazione casistica a mezzo della quale quest’ultimo veniva descritto nelle diverse fattispecie appariva del tutto priva d’una qualsiasi giustificazione logica, risultando anzi foriera di possibili incertezze interpretative (e, con esse, di lacune di tutela), ed è stata, quindi, superata da interpolazioni funzionali al raggiungimento della necessaria uniformità lessicale.

In ogni caso, a tale secondo proposito, non può non ricordarsi come l’integrazione dell’area di tutela, sotto il profilo d’una più comprensiva descrizione dell’oggetto materiale delle varie figure delittuose, apparisse - anche in questo caso - assolutamente doverosa alla luce delle amplissime definizioni di «interessi finanziari dell’Unione» e, rispettivamente, di «appropriazione indebita» del funzionario pubblico dettate agli artt. 2, par. 1, lett. a), e 4, par. 3 dalla direttiva PIF.

Senz’altro riconducibile solo ed esclusivamente alla necessità di assicurare il più corretto e completo recepimento del medesimo art. 4, par. 3, sempre in relazione alla puntuale connotazione delle erogazioni meritevoli di tutela, risponde invece l’ulteriore intervento operato sull’art. 316-bis c.p.

Ed infatti, secondo la norma eurounitaria, per attività distrattiva deve intendersi qualsiasi azione del funzionario pubblico «tesa a impegnare o erogare fondi o ad [...] utilizzar[e beni] per uno scopo in ogni modo diverso da quello per essi previsto, che leda gli interessi finanziari dell’Unione». Per contro, ai fini della “nostra” malversazione, assumevano rilievo solo le erogazioni «destinat[e] a favorire iniziative dirette alla realizzazione di opere od allo svolgimento di attività di pubblico interesse».

È davvero appena il caso di aggiungere che la rimozione di tale limitazione appariva, peraltro, del tutto coerente anche rispetto alle esigenze di salvaguardia delle risorse di provenienza “interna”: per le quali, del resto, soprattutto nell’attuale momento storico, non risultava possibile - sul piano logico prim’ancora che giuridico - il mantenimento di un’area ridotta di protezione penale.

 

3. Il più recente intervento “correttivo” (d.lgs. 4 ottobre 2022, n. 156). Vere e proprie “correzioni” dell’originario intervento di attuazione della direttiva PIF si riscontrano, in realtà, nelle modifiche che gli artt. 4 e 5 del decreto apportano, rispettivamente, all’art. 6 del d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, che disciplina il tentativo nelle evasioni IVA su base dichiarativa, e all’art. 25-quinquiesdecies del d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231, in materia di responsabilità amministrativa degli enti per illeciti tributari.

La più parte delle modifiche introdotte dal recentissimo decreto legislativo n. 156 ha invece natura “integrativa” del quadro giuridico preesistente.

Cominciamo dall’esame di queste ultime.

 

3.1. Le integrazioni.

L’art. 1 del decreto legislativo include il delitto di abuso di ufficio nel catalogo dei delitti di cui all’art. 322-bis c.p., con la conseguenza che anche gli agenti pubblici non nazionali ivi elencati potranno essere ritenuti responsabili di detto reato.

In proposito, va rammentato che già nella tabella di concordanza, elaborata a corredo dell’originario schema di decreto legislativo (e trasmessa, tra gli altri, agli uffici della Commissione UE competenti per le verifiche di compliance), si osservava che «…la definizione di appropriazione indebita da parte di funzionario pubblico, fornita dalla Direttiva, corrisponde a quella di “peculato” del nostro ordinamento» e che «[p]er quanto attiene alle condotte di distrazione di fondi si è ritenuto di dover comprendere anche il delitto di abuso d’ufficio di cui all’articolo 323 c.p.».

Ed infatti, come segnalato anche nella Relazione illustrativa al decreto in commento, nonostante l’intervenuta soppressione della fattispecie di peculato per distrazione, la Corte di cassazione ritiene, per un verso, che l’art. 314 continui ad applicarsi «nel caso in cui il denaro o altri beni siano sottratti alla destinazione pubblica ed impiegati per il soddisfacimento di interessi privatistici dell’agente», per altro verso che debba invece farsi applicazione della norma sull’abuso di ufficio «quando si sia in presenza di una distrazione a profitto proprio che [...] si concretizzi in un uso indebito del bene che non ne comporti la perdita e la conseguente lesione patrimoniale a danno dell’ente cui appartiene [...] ovvero qualora l’utilizzo di denaro pubblico avvenga in violazione delle regole contabili e sia funzionale alla realizzazione, oltre che di indebiti interessi privati, anche di interessi pubblici obiettivamente esistenti [...]»[6].

La novella in parola, quindi, adegua l’ambito soggettivo di applicazione dell’art. 323 c.p. alla nozione di «funzionario pubblico» dettata dall’articolo 4, par. 4 della direttiva, consentendo di coprire talune sotto-fattispecie di «appropriazione indebita» sfuggite in sede di prima implementazione dell’art. 4, par. 3.

Le altre due “integrazioni” operate dal decreto sono entrambe pianamente riconducibili all’esigenza di assicurare compiuto adeguamento al citato art. 10 della direttiva PIF, in tema di congelamento e confisca, di cui s’è già detto a proposito delle modifiche apportate dal decreto-frodi all’art. 240-bis c.p.

In particolare:

  • l’art. 2 del decreto legislativo introduce la confisca per equivalente nei delitti di contrabbando, ampliando le previsioni dell’art. 301, co. 1, del decreto del Presidente della Repubblica 23 gennaio 1973, n. 43, che si limitava a prevedere - al co. 1 - la confisca (obbligatoria ma solo diretta) delle cose che servirono o furono destinate a commettere tali delitti, nonché delle cose che di questi ultimi costituiscono l’oggetto ovvero il prodotto o il profitto[7];
  • l’art. 3 rende applicabile sia la confisca per equivalente che la confisca per sproporzione al delitto di cui all’art. 2 della legge 23 dicembre 1986, n. 898, che punisce l’indebita percezione, mediante esposizione di dati o notizie falsi, di aiuti, premi, indennità, restituzioni, contributi o altre erogazioni a carico totale o parziale del Fondo europeo agricolo di garanzia e del Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale[8].

 

3.2. Le “correzioni”.

Come già ricordato, si tratta - innanzitutto - dell’intervento operato sull’art. 6 del decreto legislativo n. 74 del 2000, in tema di tentativo nei reati dichiarativi in materia di IVA.

Espressamente fatto salvo da un’apposita clausola di riserva interpolata in chiusura del co. 1, viene integralmente riformulato il co. 1-bis della disposizione, che ora così recita: «Quando la condotta è posta in essere al fine di evadere l’imposta sul valore aggiunto nell’ambito di sistemi fraudolenti transfrontalieri, connessi al territorio di almeno un altro Stato membro dell’Unione europea, dai quali consegua o possa conseguire un danno complessivo pari o superiore a euro 10.000.000, il delitto previsto dall’articolo 4 è punibile a titolo di tentativo. Fuori dei casi di concorso nel delitto di cui all’articolo 8, i delitti previsti dagli articoli 2 e 3 sono punibili a titolo di tentativo, quando ricorrono le medesime condizioni di cui al primo periodo»[9].

In Relazione illustrativa la modifica viene motivata, innanzitutto, con il richiamo all’esigenza di assicurare la «corretta individuazione del profilo di transnazionalità unionale» ai fini dell’integrazione della fattispecie PIF della frode IVA. In proposito, la Relazione evidenzia come il nuovo wording della disposizione consenta di ritenere soddisfatto sia «[i]l requisito richiesto dall’articolo 2(2) della direttiva ai fini della “gravità” dei reati in materia di IVA, già presente nell’originaria formulazione», sia «l’ulteriore condizione indicata dall’articolo 3(2), lettera d), ai fini della definizione di “frode”, e in particolare […] la circostanza che “l’azione od omissione [sia] commessa in sistemi fraudolenti transfrontalieri”»[10]: non mancandosi di sottolineare che a detti sistemi, addirittura del tutto assenti nella formulazione primigenia, risulta adesso «causalmente riferito il “danno complessivo pari o superiore a euro 10.000.000”, da quantificarsi - in conformità al considerando 4 della direttiva - tenendo conto sia degli interessi finanziari degli Stati membri interessati che dell’Unione»[11].

Le ulteriori modifiche rispondono, invece, alla finalità di conferire maggiore chiarezza e linearità al dettato normativo.

È stato, quindi, innanzitutto soppresso l’avverbio «comunque», immotivatamente sopravvissuto nel co. 1 a dispetto della contestuale introduzione del co. 1-bis.

In secondo luogo, nella descrizione della fattispecie, alla menzione dei soli «atti diretti» s’è sostituito il richiamo alla punibilità «a titolo di tentativo», all’evidenza inteso ad indicare l’integrale applicabilità dell’art. 56 c.p. e, dunque, la necessità di verificare anche l’idoneità degli atti e la non equivocità della loro direzione[12].

Particolarmente opportuna risulta, infine, la modifica apportata alla (non cristallina, per il vero) clausola iniziale volta a far «salvo che il fatto integri il reato previsto dall’articolo 8». L’intervento rende esplicita l’applicabilità della fattispecie del tentativo dei delitti di dichiarazione fraudolenta di cui agli articoli 2 e 3 del decreto legislativo unicamente «fuori dei casi di concorso» nel delitto di emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, e cioè - come rilevato in Relazione illustrativa - esclusivamente nei casi in cui «il (solo) potenziale utilizzatore di documenti o fatture per operazioni inesistenti già non concorra con l’emittente secondo le regole generali di cui agli articolo 110 ss. cod. pen., come riconosciuto dal prevalente e preferibile orientamento della giurisprudenza di legittimità»[13]. E’ alla luce di tale modifica che si spiega, altresì, la diversa ed autonoma considerazione che il nuovo testo riserva al delitto di dichiarazione (solo) infedele ex art. 4 del d.lgs. n. 74, rispetto al quale è – per definizione – inconfigurabile l’ipotesi d’una sovrapposizione con quello previsto dall’art. 8.

Non più d’un cenno è necessario dedicare alla modifica apportata dall’art. 5 del decreto all’articolo 25-quinquiesdecies del d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231, in tema di responsabilità amministrativa degli enti per delitti tributari, il cui co. 1-bis è stato adeguato alla più puntuale descrizione del profilo di transnazionalità unionale rilevante ai fini PIF che si è appena più sopra ricordata.

 

4. Gli interventi in re EPPO. Il decreto-legge 1° marzo 2022, n. 17. I prossimi appuntamenti in agenda. La particolare attenzione dedicata, nel corso del 2022, dal legislatore alla materia in esame si coglie, indirettamente, anche sul fronte delle modifiche apportate alla disciplina della Procura europea (EPPO), istituzionalmente deputata al perseguimento dei reati PIF, e cioè al d.lgs. 21 febbraio 2021, n. 9, con cui sono state adottate le disposizioni necessarie ad adeguare l’ordinamento interno al regolamento (UE) 2017/1939 del 12 ottobre 2017[14].

Ed infatti, con l’art. 34 del d.l. 1° marzo 2022, n. 17 (conv., con mod., dalla l. 27 aprile 2022, n. 34), recante Misure urgenti per il contenimento dei costi dell'energia elettrica e del gas naturale, per lo sviluppo delle energie rinnovabili e per il rilancio delle politiche industriali, sono stati operati alcuni interventi volti a rimuovere altrettanti possibili profili di difformità della normativa interna rispetto alla sovraordinata fonte eurounitaria.

Non è evidentemente possibile diffondersi, in questa sede, sulle singole modifiche introdotte.

Può essere, tuttavia, senz’altro utile ricordare come la parte più cospicua e significativa della novella riguardi la predisposizione della base giuridica interna necessaria a dare attuazione all’accordo integrativo che - ai sensi dell’articolo 13(2) del regolamento EPPO e dell’articolo 4, co. 5, del decreto legislativo n. 9 - il Ministro della giustizia ha concluso con il Procuratore capo europeo, al fine di riservare l’assolvimento delle funzioni dell’EPPO innanzi alla Corte di cassazione a magistrati già titolari delle funzioni di legittimità.

Tale modifica, auspicata anche dal Consiglio superiore della magistratura nei pareri espressi in data 30 dicembre 2020 e 31 marzo 2021, è stata attuata da un lato riservando ai soli magistrati che svolgono o che abbiano svolto le funzioni di legittimità la possibilità di presentare la dichiarazione di disponibilità per la designazione allo specifico incarico in questione, dall’altro circoscrivendo l’esercizio delle funzioni dei PED di legittimità alle sole udienze penali[15].

Solo un fugace cenno conclusivo può dedicarsi, infine, all’importante previsione contenuta nella legge di delegazione europea 2021 (l. 4 agosto 2022, n. 127), il cui art. 9 prefigura un intervento di modifica delle regole in materia di competenza dettate dal codice di procedura penale volte a «concentrare negli uffici giudiziari distrettuali la trattazione dei procedimenti per i reati che offendono gli interessi finanziari dell'Unione europea in ordine ai quali la Procura europea può esercitare la sua competenza, indipendentemente dalla circostanza che detta competenza sia esercitata»: ciò con la finalità dichiarata di rendere più efficiente l’attività dei PED attraverso la riduzione dei continui trasferimenti cui sono attualmente costretti dall’estrema ampiezza delle aree (ultradistrettuali) di rispettiva “competenza”[16], sterilizzando – al contempo – qualsiasi possibile negativa ricaduta delle modifiche programmate sul rispetto del principio del giudice naturale[17].

 

 

 

[2] È espressamente eccettuata l’ipotesi in cui il fatto sia commesso col pretesto di far esonerare qualcuno dal servizio militare.

[3] Ed infatti: «Gli Stati membri adottano le misure necessarie per consentire il congelamento e la confisca degli strumenti e dei proventi dei reati di cui agli articoli 3, 4 e 5. Gli Stati membri vincolati dalla direttiva 2014/42/UE del Parlamento europeo e del Consiglio vi provvedono in conformità di tale direttiva»

[4] «Gli Stati membri adottano le misure necessarie per poter procedere alla confisca, totale o parziale, di beni strumentali e proventi da reato, o di beni di valore corrispondente a detti beni strumentali o proventi, in base a una condanna penale definitiva, che può anche essere pronunciata a seguito di un procedimento in contumacia»

[5] «Gli Stati membri adottano le misure necessarie per poter procedere alla confisca, totale o parziale, dei beni che appartengono a una persona condannata per un reato suscettibile di produrre, direttamente o indirettamente, un vantaggio economico, laddove l’autorità giudiziaria, in base alle circostanze del caso, compresi i fatti specifici e gli elementi di prova disponibili, come il fatto che il valore dei beni è sproporzionato rispetto al reddito legittimo della persona condannata, sia convinta che i beni in questione derivino da condotte criminose».

[6] Quanto alla prima ipotesi, si menziona la pronuncia di sez. VI, n. 36496 del 30/09/2020, dep. 18/12/2020, Vasta Mario, in motivazione (par. 6 del Diritto, ove si richiamano le ulteriori decisioni di sez. VI, n. 12658 del 02/03/2016, Tripodi, rv. Ced 26687101, e n. 19484 del 23/01/2018, Bellinazzo e altri, rv. Ced 27378301); quanto alla seconda, è citata sez. VI, n. 41768 del 22/06/2017, P.G., P.C. in proc. Fitto e altri (rv. Ced 27128301) e n. 27910 del 23/09/2020, Perricone (rv. Ced 27967701).

 

[7] Alla disposizione viene infatti aggiunto un secondo periodo, con cui si prevede che «[q]uando non è possibile procedere alla confisca delle cose di cui al periodo precedente, è ordinata la confisca di somme di danaro, beni e altre utilità per un valore equivalente, di cui il condannato ha la disponibilità, anche per interposta persona». La Relazione illustrativa puntualizza altresì che non si è ritenuto necessario «[…] procedere ad analoga integrazione anche con riferimento al delitto di evasione dell'IVA, di cui all’articolo 70 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, dal momento che è del tutto pacifico in giurisprudenza che il rinvio che tale disposizione opera alle sanzioni previste dalle leggi doganali relative ai diritti di confine “è da intendersi come rinvio all'intero titolo VII del testo unico delle disposizioni legislative in materia doganale” e, dunque, anche alla previsione di cui al citato articolo 301 T.U.L.D.» (è richiamata sez. III, n. 404 del 25/09/2018, dep. 08/01/2019, Piccolo Livio, rv. Ced 274568 - 01, da ultimo confermata da sez. IV, n. 25765 del 09/06/2021, dep. 07/07/2021, Tarquini Fernando Antonio, in motivazione).

[8] Il nuovo co. 3-bis della norma prevede: «Nei casi di condanna o di applicazione della pena su richiesta a norma dell’articolo 444 del codice di procedura penale per il delitto di cui al co. 1, si osservano le disposizioni contenute negli articoli 240-bis e 322-ter del codice penale, in quanto compatibili».

[9] L’originaria formulazione del co. 1-bis, introdotto dall’art. 2 del d.lgs. 75 del 2020, era la seguente: «Salvo che il fatto integri il reato previsto dall’articolo 8, la disposizione di cui al co. 1 non si applica quando gli atti diretti a commettere i delitti di cui agli articoli 2, 3 e 4 sono compiuti anche nel territorio di altro Stato membro dell’Unione europea, al fine di evadere l’imposta sul valore aggiunto per un valore complessivo non inferiore a dieci milioni di euro».

[10] La prima disposizione stabilisce che: «[i]n materia di entrate derivanti dalle risorse proprie provenienti dall'IVA, la presente direttiva si applica unicamente ai casi di reati gravi contro il sistema comune dell'IVA. Ai fini della presente direttiva, i reati contro il sistema comune dell'IVA sono considerati gravi qualora le azioni od omissioni di carattere intenzionale secondo la definizione di cui all’articolo 3, paragrafo 2, lettera d), siano connesse al territorio di due o più Stati membri dell'Unione e comportino un danno complessivo pari ad almeno 10 000 000 EUR». A sua volta, l’art. 3, par. 2 della direttiva, alla lett. d) prevede che «[a]i fini della presente direttiva si considerano frode che lede gli interessi finanziari dell'Unione: d) in materia di entrate derivanti dalle risorse proprie provenienti dall'IVA, l'azione od omissione commessa in sistemi fraudolenti transfrontalieri in relazione: (i) all'utilizzo o alla presentazione di dichiarazioni o documenti falsi, inesatti o incompleti relativi all'IVA, cui consegua la diminuzione di risorse del bilancio dell'Unione; (ii) alla mancata comunicazione di un'informazione relativa all'IVA in violazione di un obbligo specifico, cui consegua lo stesso effetto; ovvero (iii) alla presentazione di dichiarazioni esatte relative all'IVA per dissimulare in maniera fraudolenta il mancato pagamento o la costituzione illecita di diritti a rimborsi dell'IVA».

[11] Il testo del considerando 4 è il seguente: «La tutela degli interessi finanziari dell'Unione richiede una definizione comune di frode che rientri nell’ambito di applicazione della presente direttiva, che dovrebbe ricomprendere la condotta fraudolenta dal lato delle entrate, delle spese e dei beni ai danni del bilancio generale dell'Unione europea («bilancio dell'Unione»), comprese operazioni finanziarie quali l'assunzione e l’erogazione di prestiti. La nozione di reati gravi contro il sistema comune dell'imposta sul valore aggiunto («IVA») istituito dalla direttiva 2006/112/CE del Consiglio (8) («sistema comune dell’IVA») fa riferimento alle forme più gravi di frode dell’IVA, in particolare la frode carosello, la frode dell’IVA dell'operatore inadempiente e la frode dell’IVA commessa nell'ambito di un'organizzazione criminale, che creano serie minacce per il sistema comune dell’IVA e, di conseguenza, per il bilancio dell'Unione. I reati contro il sistema comune dell’IVA dovrebbero essere considerati gravi qualora siano connessi al territorio di due o più Stati membri, derivino da un sistema fraudolento per cui tali reati sono commessi in maniera strutturata allo scopo di ottenere indebiti vantaggi dal sistema comune dell’IVA e il danno complessivo causato dai reati sia almeno pari a 10 000 000 EUR. La nozione di danno complessivo si riferisce al danno stimato che derivi dall'intero sistema fraudolento, sia per gli interessi finanziari degli Stati membri interessati sia per l'Unione, escludendo interessi e sanzioni. La presente direttiva mira a contribuire agli sforzi per combattere tali fenomeni criminali».

[12] Per il rilievo, formulato già nel corso dei lavori preparatori del d.lgs. n. 75 del 2020, secondo cui «l’emanando co. 1-bis dell’art. 6 non si limiterebbe a rendere operante anche rispetto ai reati dichiarativi la disciplina del tentativo, ma configurerebbe una disciplina del tutto autonoma e svincolata dai requisiti di fattispecie del delitto tentato siccome previsti dall’art. 56 c.p., finendo con il delineare i delitti dichiarativi come veri e propri delitti di attentato», v. le Osservazioni del Centro di diritto penale tributario sull’atto del governo n. 151, riportato anche in M. Garavoglia (a cura di), Scritti in onore di Ivo Caraccioli, Milano, 2020, p. 693.

[13] In proposito, la Relazione menziona sez. III, n. 41124 del 22/05 - 08/10/2019, Grossi Marina (rv. Ced 277978 - 01), che esclude l’applicazione dell’art. 9 del d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, quando il destinatario dei documenti o fatture per operazioni inesistenti non li abbia utilizzati nella presentazione della dichiarazione, o non abbia proprio presentato la dichiarazione, dal momento che la deroga alle regole ordinarie sul concorso di persone ha ragione di operare unicamente ove si tratti di «evitare il bis in idem sanzionatorio nei casi in cui vengano a consumazione sia il delitto dichiarativo, sia quello - prodromico - di cui all’articolo 8».

[14] Per una prima approfondita lettura delle molteplici problematiche correlate all’adattamento della normativa nazionale all’istituzione dell’EPPO, v. G. Barrocu, La Procura europea. Dalla legislazione sovranazionale al coordinamento interno, Milano, 2021.

[15] Cfr. co. 1, lett. d), ove si interviene sull’art. 9, co. 1, del d.lgs. n. 9 richiamandovi unicamente la lett. a) dell’articolo 76 del R.D. 30 gennaio 1941, n. 12. Le ulteriori novità introdotte riguardano: - l’innalzamento del limite di età per la presentazione della dichiarazione disponibilità, finalizzato all’ampliamento della platea degli aspiranti all’incarico di PED e, dunque, ad agevolare la copertura dei posti (lett. a), punto 1), con cui viene modificato l’art. 5, co. 3, del d.lgs. n. 9); - la precisazione secondo cui, conformemente a quanto già previsto dalla normativa consiliare in materia, la riassegnazione del magistrato alla cessazione dell’incarico di PED «non comporta, in alcun caso, il conferimento delle funzioni direttive o semidirettive, ove in precedenza svolte» (lett. b), punto 3), che sostituisce il co. 3 dell’art. 6); - l’ulteriore chiarimento, relativo alla materia dei contributi previdenziali, con cui si è escluso il rimborso della quota contributiva a carico del PED quando essa sia stata già computata nel trattamento economico erogato da EPPO (lett. c), con cui si modifica l’art. 7, co. 3); - la correzione apportata alla disciplina della rimozione dall’incarico o di adozione di provvedimenti disciplinari nei confronti del PED per motivi non connessi alle responsabilità derivanti dal regolamento, con la (doverosa) anticipazione della preventiva informativa al procuratore capo europeo, in conformità all’articolo 17(4) del medesimo regolamento (lett. f), recante modifica dell’art. 12, co. 1); - l’analogo adeguamento operato nel procedimento disciplinare nei confronti del PED per motivi connessi alle responsabilità derivanti dal regolamento, per il quale - nel confermare che «[a]ll’acquisizione del consenso del procuratore capo europeo provvede, in ogni caso, il procuratore generale presso la Corte di cassazione» - pure s’è stabilito che dell’intenzione di promuovere il procedimento il Ministro della giustizia debba informare il procuratore generale presso la Corte di cassazione «prima di trasmettere la richiesta di indagini di cui all'articolo 14, comma 2, del decreto legislativo 23 febbraio 2006, n. 109» (lett. g), che sostituisce l’art. 13, co. 2; come noto, infatti, detta richiesta già segna l’inizio dell’azione disciplinare).

[16] In proposito, già nella Relazione illustrativa al d.lgs. n. 9 del 2021 s’era rilevato che il numero dei magistrati investiti delle funzioni di PED appariva «piuttosto ridotto a fronte della necessità - prevista [...] dalla lettera i) della norma di delega - che le funzioni requirenti loro assegnate siano esercitate innanzi ai “tribunal[i] ordinariamente competent[i] per i delitti di cui alla direttiva (UE) 2017/1371”». A fronte di ciò, proprio nella prospettiva di «recuperare un significativo margine di flessibilità operativa al nuovo organismo europeo», con l’art. 9, co. 2, del decreto legislativo si era previsto che «dette funzioni, così come i poteri ad esse connessi, [potessero essere] “esercitati da ciascun procuratore europeo delegato sull’intero territorio nazionale indipendentemente dalla sede di assegnazione”». Dopo l’entrata in vigore del decreto, il Ministro della giustizia ha concluso con il Procuratore europeo l’accordo previsto dall’art. 13(2) del regolamento EPPO (nonché dall’art. 4 del d.lgs. n. 9), attraverso il quale sono stati determinati il numero complessivo dei PED (20 unità full time), nonché la relativa distribuzione territoriale, articolata su 9 procure distrettuali. L’organico delle sedi di Roma e Milano è stato fissato in 3 PED; a ciascuna delle altre sedi sono stati assegnati 2 magistrati. Ebbene, come ricordato anche nella Relazione illustrativa alla legge di delegazione, «il numero delle sedi di servizio dei procuratori europei delegati [è] pari a circa un terzo del numero complessivo dei distretti di corte di appello», sicché «a ciascuna sede sono stati ricollegati - sotto un profilo di natura puramente organizzativa (e non […] di vera e propria “competenza”) - due o più distretti», addirittura 4 per quelli di Roma e Palermo: con la conseguenza, rimarcata anche nel parere reso il 25 marzo 2021 dal CSM in merito alla proposta di accordo con il procuratore capo europeo formulata dal Ministro della giustizia, i PED «dovranno coordinare le indagini in ambiti territoriali molto vasti, ma soprattutto garantire la presenza in udienza, in primo e secondo grado, presso numerosi uffici giudiziari, tra loro distanti, e non sempre raggiungibili con i mezzi di trasporto in dotazione all’Amministrazione della Giustizia (si pensi ai PED assegnati alla sede di Roma che comprende anche la Sardegna)».

[17] V., anche su tale aspetto, la Relazione illustrativa alla legge di delegazione: «[i]n proposito, pare sufficiente precisare che la modifica è da attuarsi anche nel caso in cui a procedere sia una delle procure nazionali, piuttosto che la Procura europea, dal momento che una diversa soluzione, limitata alle sole ipotesi di assunzione delle indagini da parte dell’EPPO, porrebbe seri problemi di compatibilità con il principio del giudice naturale sancito dall’articolo 25, co. 1, della Costituzione».