* Testo della relazione tenuta dall'Autore al convegno Etica e diritto nella prassi medica – Ordine dei Medici e Odontoiatri tenutosi a Parma il12 aprile 24.
1. Scienza e coscienza come maschera giudiziaria. Di scienza e coscienza si fa talvolta un uso non solo clinico, ma anche giudiziario.
Come pubblico ministero, mi sono sentito dire da un medico parole come queste: ammetto che non ho indagato un dolore toracico tipico, ho prescritto terapia antalgica e ho dimesso il paziente, che poi è morto per infarto. Ma ho agito secondo scienza e coscienza!
È questa scienza e coscienza? No, questa non è né scienza né coscienza. È una giustificazione che maschera quella reale e cioè: ho fatto quello che ho ritenuto meglio.
Qualcosa di simile succede quando si fa impiego di terapia non sperimentata e poi ci si difende con la personale convinzione sull’efficacia della terapia, pur in assenza di relative prove. Prendiamo, ad es., un caso di una sentenza della Corte di Cassazione. Un medico di medicina generale, dietro corrispettivo, pratica ai pazienti cure alternative per diverse patologie, quali dermatosi, tumori e depressione. Cure di tipo nutraceutico, che è termine ottenuto dalla combinazione dei termini nutritivo e farmaceutico. Quindi essenzialmente una dieta, integratori e qualche farmaco. Al medico viene applicata la misura degli arresti domiciliari per il reato di truffa aggravata. Cerca di liberarsi dalla misura sostenendo appunto la sua buona fede, la sua personale convinzione circa l’efficacia della cura che praticava. Ma non ci riesce, perché la Cassazione afferma che ciò che è determinante è che i pazienti abbiano aderito non per una loro libera scelta, ma a seguito di azione induttiva del medico e di un altro indagato, che hanno approfittato della particolare debolezza psicologica di persone affette da patologie anche gravi per suscitare speranze, sicuramente illusorie[1].
Beninteso: a volte scienza e coscienza non sono una maschera giudiziaria, ma il vero volto. Ad es., quando per esigenze di contenimento di spesa il medico vede limitate buone pratiche di cura. La giurisprudenza dà una grande mano di aiuto: ecco le parole della Corte di Cassazione: il medico deve, con scienza e coscienza, perseguire un unico fine: la cura del malato. Nella stessa sentenza si aggiunge che il medico non è tenuto al rispetto di direttive che antepongono esigenze economiche a esigenze di cura del paziente e si rende penalmente responsabile se si attiene a direttiva di questo tipo[2].
2. Vero significato e ricadute sulla responsabilità. Ma che cosa significano scienza e coscienza? L’espressione è per lo più riferita all’attività medica, anche in giurisprudenza.
Come noto, l’espressione è contenuta nel giuramento di Ippocrate: giuro di prestare, in scienza e coscienza, la mia opera, con diligenza, perizia e prudenza e secondo equità, osservando le norme deontologiche che regolano l'esercizio della medicina e quelle giuridiche che non risultino in contrasto con gli scopi della mia professione.
Scienza.
La scienza medica, quella vera e non di comodo, è basata su prove di efficacia, dette anche evidenze, secondo un metodo di studio universalmente accettato. Le prove di efficacia sono indispensabili per oggettivare la scelta clinica. O quantomeno è necessario un razionale, come è avvenuto, ad es., per la prescrizione di eparina ai malati Covid-19[3]. La scienza è un dato oggettivo. Non è una bandiera che può essere agitata per giustificare una scelta clinica priva appunto di prove di efficacia o anche solo di un razionale. Non è una bandiera che può essere agitata per camuffare la propria resistenza a uscire dall’abitudine: mi hanno insegnato così e ho sempre fatto così! La scienza è una bandiera che bisogna meritare se la si vuole sventolare e c’è un solo modo per meritarla: adeguarsi ad essa. Non è certo il contrario: non è la scienza che si deve adeguare a un’opinione indimostrata o peggio, di comodo.
La scienza medica si traspone poi in buone pratiche clinico-assistenziali, siano queste raccomandate o no da linee guida. E nessun medico può essere ritenuto responsabile né penalmente né civilmente, se si attiene alla vera scienza, a buone pratiche, perché così è previsto dall’art. 5 della legge Gelli, che appunto impone al medico di attenersi a buone pratiche clinico-assistenziali, siano raccomandate o no da linee guida. D’altra parte, è stato così anche in passato e non si vede come possa essere diverso in futuro: è intramontabile il principio per il quale il medico si deve attenere alla miglior scienza ed esperienza, nel tradizionale insegnamento di Ferrando Mantovani[4].
Vale lo stesso anche per la responsabilità disciplinare. Ad es., la Commissione Centrale per gli Esercenti le Professioni Sanitarie, in sede di appello contro una decisione di un Ordine del Medici locale, ha ritenuta illecita la prescrizione, contro la depressione, di una mescolanza di whisky, ginepro, origano, senape nera, sedano fresco e radice di trevigiana, trattandosi di terapia non provata scientificamente e non supportata da adeguata sperimentazione e documentazione clinica [5].
Coscienza.
La coscienza, quella vera e non di comodo, è quella che porta a dire è più forte di me. La coscienza impedisce di disobbedire: il suo dettato è ferreo, a contenuto imperativo, senza possibilità di negoziato. Viene in mente quella scena del noto film “Il signore degli anelli”, quando Gandalf si rivolge al Barlog, un demone antico, con la frase: tu qui non puoi passare![6]. Di fronte al dettato della coscienza ci accorgiamo della relatività del vecchio aforisma “Volere è potere”. Qui volere non è potere, perché vorrei anche fare diversamente, ma non ce la faccio.
Il conflitto è insanabile e sceglie come teatro di scontro l’interiorità più profonda. Come è stato efficacemente descritto si tratta di un no profondo, un non possum, di un fatto morale, non umorale[7]. È un conflitto fra due titani. Sofferto. Ma il dettato che si oppone alla coscienza ne esce alla fine sempre irrimediabilmente sconfitto, perché la coscienza proietta una luce di valore abbagliante, che indica solo una via. Come nel tradizionale esempio di Antigone, che nella tragedia di Sofocle, seppellisce la salma del fratello contro la volontà del re. Immagine risalente di un conflitto umano senza tempo, a tinte romantiche. Per piegare la coscienza non servono a nulla neppure le altrui ragioni, alle quali la coscienza è del tutto indifferente: quello della coscienza è un dramma a un solo personaggio, perché la coscienza nasce e lascia nella solitudine. E non serve a nulla neppure il dettato esterno alla coscienza che giunge dalla legge penale, perché la coscienza esclama: questa non è giustizia! Ogni frattura che crea la coscienza è insuscettibile di osteosìntesi, anche quella con la legge penale.
Questa è la vera coscienza.
Ricordo quello che successe nel noto caso Nuvòli, del quale mi sono occupato prima della legge 219/17, quando il paziente, affetto da sclerosi laterale amiotrofica, chiedeva il distacco del respiratore artificiale al direttore del reparto dove era ricoverato[8]. Il direttore diceva che non ce l’avrebbe mai fatta a fare una cosa del genere. Si toccava con mano la sua vera coscienza.
“Una coscienza pulita è il miglior guanciale”, dice un vecchio aforisma.
Ma la coscienza, diversamente dalla scienza, non è un dato oggettivo, è soggettivo. E questo segna il suo limite di utilizzabilità nelle aule giudiziarie, dove può giustificare solo nei casi espressamente previsti dalla legge. Giustifica, ad es. e come risaputo, per l’interruzione volontaria di gravidanza (art. 9 l. 194/78). Ma non giustifica, ad es., per l’interruzione di una terapia salvavita, quando il paziente revoca il consenso (art. 1 co. 5 l. 219/17) e non esime quindi da responsabilità per rifiuto d’atti d’ufficio per ragioni di sanità (art. 328 cod. pen.). È infatti vero che esiste il generale diritto costituzionale all'obiezione di coscienza, che la Corte costituzionale basa sugli artt. 2, 19 e 21 Cost., ma questo diritto ha bisogno dell’interposizione legislativa, cioè di una legge che preveda il singolo caso[9]. Si vuole evitare l'obiezione anarchica di coscienza: il diritto all'obiezione di coscienza è in sostanza il diritto di sottrarsi alla legge penale, il che non è certo cosa da poco. Una legge specifica appare dunque imprescindibile.
Se la coscienza è contraria alla legge, il medico che vuole evitare la responsabilità penale quindi non può fare altro che chiedere un’organizzazione del lavoro che non lo metta contro la propria coscienza, ma che affidi a colleghi il caso che genera il conflitto di coscienza. Ovviamente alla base della richiesta ci deve essere una coscienza vera: anche questa richiesta diventa a sua volta una questione di coscienza.
3. Mutabilità di scienza e coscienza. L’oggettività quindi caratterizza la scienza, mentre la soggettività caratterizza la coscienza. E in questo divergono. Ma né l’una né l’altra sono immutabili.
Per la scienza la mutabilità è evidente e non a caso è previsto l’aggiornamento professionale, che si auspica più desiderato che obbligato.
Per la coscienza la mutabilità è meno evidente, ma riflettendoci un po’ più a fondo talvolta, per acquisita abitudine, la coscienza consente di fare oggi scelte che impediva di fare in passato, come negarsi a eseguire una visita clinica o prescrivere inutili accertamenti per fare medicina difensiva. Ma quando la si sente traballare la si può sempre rinforzare. La coscienza si nutre di valori. Per un medico è facile trovare i valori che fondano la professione. Li trova in quel codice deontologico, al quale ha giurato fedeltà all’inizio della professione. Si può immaginare un sottotitolo al codice di deontologia medica, dato da una piramidale anàfora: Valori, Valori della coscienza, Valori della coscienza del medico.
[1] Cass. Sez. II, 5053-21, Casini, est. Agostinacchio
[2] Cass. Sez. IV, 8254-11, Grassini, est. Foti
[3] Il razionale è stato basato sugli esami istologici di reperti di parenchima polmonare prelevati al tavolo settorio su pazienti con diagnosi tanatologica Covid-19. Quegli esami hanno evidenziato microtrombosi e hanno portato a ipotizzare che il SARS-CoV-2, oltre che una comune risposta infiammatoria, potesse causare anche coagulopatia protrombotica. V. Libby P., Lüscher T., COVID-19 is, in the end, an endothelial disease, European Heart Journal, Vol. 41, Issue 32, 21 August 2020, 3038.
[4] F. Mantovani, Libertà della cura e responsabilità del medico, in Toscana medica, 3, 9
[6] Per la visione della scena: www.youtube.it
[7] G. Cembriani e F. Cembriani, Luci e ombre del parere Obiezioni di coscienza e bioetica approvato dal Comitato Nazionale per la Bioetica il 12 luglio 2012, in Rivista Italiana di Medicina Legale e del Diritto in campo Sanitario, 2012, 4, 1849
[8] Per dettagli sul caso, P. Piras, L'interruzione delle terapie salvavita: il caso Nuvoli prima e dopo la legge 219 del 2017, in questa Rivista, 15 gennaio 2020
[9] Impostazione tradizionale della Corte costituzionale, già dalla sent. n. 58/60, n. 64/85, n. 422/93