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  Scheda  
04 Aprile 2023


La colpa per omessa informazione al paziente che si autodimette

Cass. Sez. IV, sent. 20 ottobre 22 (dep. 24 gennaio 2023) n. 2850, Pres. Dovere, est. Ricci



1. Un principio che scricchiola? – C’è un principio giurisprudenziale consolidato che sta subendo una minaccia. È quel principio per il quale l’obbligo del medico di informare il paziente per il consenso alle cure non è una regola cautelare, perché non è una regola posta a tutela della salute, ma del diritto ad una scelta consapevole del paziente. Con la conseguenza che l’omessa informazione non dà luogo a colpa per morte o lesioni personali del paziente derivati dal trattamento[1]. Ad es., il chirurgo non informa il paziente dell’elevato rischio emorragico quale complicanza dell’intervento. Se il rischio poi si verifica, con esito anche mortale, il chirurgo non è punibile per non avere informato il paziente e sempreché, ovviamente, non ci sia colpa nell’esecuzione dell’intervento.

In che cosa consiste la minaccia a questo consolidato principio? Ci sono due precedenti di legittimità recenti con i quali si è affermata la colpa per non avere il medico informato il paziente sulla necessità di approfondire il quadro clinico. E ciò quando il paziente si è autodimesso contro il parere dei medici ed è poi deceduto per l’evoluzione del quadro non approfondito. Colpa quindi per inosservanza dell’obbligo informativo. Semplicemente per non avere detto al paziente: “Attenzione sig. Rossi: vuole andare via, ma sappia che non abbiamo finito, c’è ancora da fare per arrivare a capire perché non sta bene”.

È giurisprudenza condivisibile o no? È una minaccia reale, nel senso che davvero apre una crepa nel principio? In ogni caso suona come una minaccia da prendere in seria considerazione, perché si sa che i principi giurisprudenziali, anche quelli più solidi, sono a rischio di sgretolamento quando si aprono crepe. Due sono i motivi d’interesse giuridico per l’argomento: la novità di questa giurisprudenza e la minaccia che essa muove a quella consolidata. Ma c’è anche un motivo d’interesse sociale: l’attuale “fuga” dai Pronto Soccorso non è solo dei medici, ma anche dei pazienti, che quando ci vanno sempre più spesso si stancano per l’attesa e si allontanano, prima di avere completato il percorso diagnostico.

Analizziamo ora il precedente più recente. L’analisi è necessaria per non rispondere affrettatamente alle due domande poste. E così anche per evitare la critica che i medici talvolta rimbalzano ai giuristi e cioè quella di “non avere approfondito il quadro”. Non clinico, ma giuridico, ovviamente.

 

2. Il caso e la decisione. – Un paziente accede in Pronto Soccorso lamentando dolore toracico irradiato al braccio sinistro. Viene eseguito un tracciato elettrocardiografico, che evidenzia segni infartuali. Il tracciato non viene refertato e non viene chiesta una consulenza cardiologica. Il paziente decide di allontanarsi. Si autodimette contro il parere dei due medici che se ne stanno occupando. Annotano “toracoalgia” e prescrivono ibuprofene a scopo antalgico. L’indomani il paziente muore. Si accerta con autopsia che la causa di morte è stata un infarto acuto del miocardio. Si procede penalmente contro i due medici, per avere formulato una diagnosi errata: “toracoalgia”, omesso di richiedere una consulenza cardiologica, d’instaurare un’idonea terapia e di ricoverare il paziente. I medici si difendono sostenendo che era stato il paziente a volere essere dimesso, nonostante loro avessero fatto di tutto per trattenerlo e per completare quindi il percorso di cura. Viene ritenuta la loro responsabilità dal Tribunale, con motivazione che la Corte d’Appello condivide, dichiarando prescritto il reato. A base della decisione si pone la massima di esperienza per la quale chi si reca al Pronto Soccorso in piena notte per dolore irradiante al torace difficilmente si allontana, addirittura contro il parere dei medici, senza aver ricevuto una diagnosi tranquillizzante.

La Cassazione conferma. Richiama il recente precedente[2], per il quale è configurabile colpa se il medico, in presenza di un quadro da approfondire, non osservi l’obbligo cautelare informativo di rendere edotto il paziente circa l’insufficienza dei dati diagnostici acquisiti per individuare l’effettiva patologia che lo affligga, così da prevenire il rischio di scelte inconsapevolmente ostative agli approfondimenti diagnostici e alle cure.

 

3. Valutazioni critiche. – Questa giurisprudenza espressamente qualifica cautelare l’obbligo informativo del paziente che non acconsente agli accertamenti diagnostici. È giurisprudenza condivisibile? Sì. Il fine dell’informazione nell’ipotesi del paziente che rifiuta non è solo la tutela del suo diritto ad una scelta consapevole, ma anche la tutela della sua salute, che può subire un danno se è omessa l’informazione. E cioè può subire il danno che può produrre l’evoluzione del quadro non prospettata al paziente. L’ipotesi del paziente non informato che rifiuta le cure è diversa da quella del paziente non informato che ha espresso il consenso alle cure, perché in quest’ultima ipotesi dall’omessa informazione non può prodursi un danno alla salute. Questo è affermato a chiare lettere dalla giurisprudenza consolidata: l’obbligo di acquisire il consenso informato non integra una regola cautelare, non essendo preordinato ad evitare fatti dannosi, ma a tutelare il diritto del paziente alla scelta consapevole[3]. Ad es., un danno emorragico per lesione di vasi arteriosi durante un intervento di chirurgia addominale può essere causato per imperizia nel clivaggio di strutture anatomiche o come complicanza non causata da imperizia, ma dovuta a tenaci aderenze, createsi fisiologicamente dopo un precedente intervento nel sito. Quindi in termini generali, nel caso del paziente non informato che ha espresso il consenso, il danno può essere conseguenza di un trattamento imperito o di una complicanza di un trattamento perito, ma non conseguenza dell’omessa informazione.

In sintesi e per l’omessa informazione:

  • l’ignoranza del paziente che ha acconsentito alle cure non può uccidere,

invece:

  • l’ignoranza del paziente che ha rifiutato le cure può uccidere.

Stante ciò, la nuova giurisprudenza non è una minaccia a quella consolidata, che si è invece formata su casi di paziente che ha acconsentito, su casi quindi nei quali l’omessa informazione ha solo leso il diritto ad una scelta consapevole. Anzi, ad andare ancora più a fondo, la nuova giurisprudenza è in piena sintonia con quella consolidata, perché quest’ultima esclude la natura cautelare dell’obbligo informativo, in quanto è obbligo strumentale al diritto ad una scelta consapevole e non al diritto alla salute. E riconosce così indirettamente la natura cautelare dell’obbligo informativo nelle ipotesi in cui venga in gioco anche il diritto alla salute[4]. Tuttavia, questa nuova giurisprudenza non appare condivisibile su un punto e cioè quando immotivatamente nega che sia una regola scritta l’obbligo informativo al paziente che rifiuta le cure[5]. Infatti l’art. 1 co. 3 legge 219/2017 prevede espressamente che il paziente vada informato delle “conseguenze di un eventuale rifiuto del trattamento sanitario e dell’accertamento diagnostico”. La regola è quindi legislativamente posta[6] e se si afferma la natura cautelare della regola, la conclusione è obbligata: l’omessa informazione al paziente che rifiuta gli accertamenti diagnostici dà luogo a colpa specifica.

Sul piano degli effetti giuridici non cambia nulla: la colpa si configura comunque, generica o specifica che la si ritenga. Tuttavia la citazione dell’art. 1 co. 3 cit. e l’affermazione di colpa specifica renderebbe questa giurisprudenza tecnicamente più precisa. Prenderebbe atto del seppellimento legislativo di quella sparuta giurisprudenza precedente alla legge, che riteneva sufficiente l’informazione al paziente sulla sola natura, ad es. cardiologica, degli accertamenti rifiutati, senza necessità di dovere precisare le conseguenze del rifiuto[7]. Infine, cosa che non guasta mai, la citazione legislativa renderebbe anche migliore l’estetica motivazionale.

 

 

 

 

[1] Il principio è stato formulato per la prima volta da Cass. Sez. IV, 37077-08, M., est. Piccialli, in Giunta e altri, Il diritto penale della medicina nella giurisprudenza di legittimità, E.S.I., 2011. A seguire: Id, 37875-09, Jaus, est. Massafra; Id, 4541-13, Carlino, est. Massafra; Id, 18180-13, Noviello, est. Esposito; Id, 43454-13, Savasta, est. Ciampi; Id, 21537-15, Di Giulio, est. Piccialli; Cass. Sez. V, 16678-16, Crotti, est. Settembre; Cass. Sez. IV, 2354-18, Huscher, est. Piccialli; Id, 48619-22, Aldigretti, est. Dovere.

In dottrina la questione della natura cautelare o no dell’obbligo informativo è poco affrontata in modo diretto. In termini generali, v. per tutti: F. Viganò, Commento all’art. 50 c.p., in E. Dolcini, G. Marinucci, G. Gatta, Codice Penale Commentato, Wolters Kluwer, 2015, 817.

[2] Cass. Sez. IV, 8464-22, Pennacchio, est. Serrao

[3] Cass. Sez. IV, 37077-08, M., cit.

[4] Quando viene in gioco il diritto alla salute crolla il principio dell’irrilevanza dell’omessa informazione. La stessa giurisprudenza consolidata esclude l’applicazione del principio quando l’omessa informazione è dovuta ad un’incompleta anamnesi, che ha impedito una corretta diagnosi. Un chiaro esempio di questa eccezione è dato da Cass. Sez. IV, 21537-15, Di Giulio, cit.

[5] Cass. Sez. IV, 8464-22, Pennacchio, cit., p. 12

[6] Questo l’intero testo dell’art. 1 co. 3 l. 219/2017 “Ogni persona ha il diritto di conoscere le proprie condizioni di salute e di essere informata in modo completo, aggiornato e a lei comprensibile riguardo alla diagnosi, alla prognosi, ai benefici e ai rischi degli accertamenti diagnostici e dei trattamenti sanitari indicati, nonche' riguardo alle possibili alternative e alle conseguenze dell'eventuale rifiuto del trattamento sanitario e dell'accertamento diagnostico o della rinuncia ai medesimi”.

[7] Cass. Sez. IV, 4957-14, Liotti, est. Foti