Considerazioni a margine del rinvio pregiudiziale nel caso Kinsa
1. È all’esame della Corte di giustizia dell’Unione europea[1] il punctum dolens della definizione ampia di favoreggiamento dell’ingresso, del transito e del soggiorno illegali adottata dall’Unione con il Facilitators Package: ampia nel senso di includere le condotte dovute a solidarietà o senso di umanità, diversamente dal Protocollo addizionale alla Convenzione di Palermo del 2000[2]. Per la precisione, la Corte è chiamata a pronunciarsi sull’incriminazione del favoreggiamento dell’ingresso, del transito e del soggiorno illegali anche quando manchi loro la finalità di lucro, particolarmente senza che siano escluse dall’area della criminalizzazione le condotte di facilitazione aventi come finalità l’assistenza umanitaria dei cittadini di Stati terzi coinvolti[3].
La valutazione richiesta alla Corte dal Tribunale di Bologna[4] poggia interamente sulla Carta UE dei diritti fondamentali. Essa investe da un lato diritti della persona incriminata, nella misura in cui la Corte è chiamata a verificare la compatibilità dell’obbligo di incriminazione e dell’incriminazione medesima (v. subito infra) con il principio di proporzionalità in relazione alla compressione del diritto alla libertà personale e del diritto di proprietà. Infatti, le sanzioni penali da applicare alle condotte di favoreggiamento con finalità umanitaria saranno di regola detentive, poiché l’art. 1, par. 1 della decisione quadro 2002/946/GAI[5] richiede che comportino l’estradizione, sicché risulta compresso il diritto alla libertà personale; il diritto di proprietà è invece interessato dalla confisca del mezzo di trasporto utilizzato per commettere il reato, richiesta dal par. 2 ove questo sia il caso. Dall’altro lato, la valutazione sollecitata alla Corte riguarda l’impatto dell’incriminazione del “favoreggiamento umanitario” su diritti dei cittadini di Stati terzi irregolarmente introdotti, o fatti transitare, o fatti soggiornare, nel territorio di uno Stato membro: il diritto alla vita e all’integrità fisica, il diritto di asilo e il diritto al rispetto della vita privata e familiare.
La valutazione inerente al contrasto con la Carta ha per oggetto due gruppi di norme ben distinti, ancorché sotto gli identici profili appena ricordati: norme del diritto dell’Unione europea, da un lato, e norme nazionali, dall’altro lato. Le prime sono i due atti giuridici del Facilitators Package: la direttiva 2002/90/CE[6] e la citata decisione quadro 2002/946/GAI. Al vaglio delle citate disposizioni della Carta è così sottoposto l’obbligo di incriminare il favoreggiamento dell’ingresso, del transito e del soggiorno illegali anche quando manchi loro la finalità di lucro, senza il contemperamento di un obbligo a escludere condotte siffatte dall’area della criminalizzazione allorché abbiano come finalità l’assistenza umanitaria della cittadina o del cittadino di Stato terzo coinvolti. Non solo, come si sa, la decisione quadro 2002/946/GAI ̶ cioè a dire il “braccio penale” del Facilitators Package ̶ non vincola gli Stati a un’esclusione di tale guisa; invero, prescrivendo espressamente agli Stati membri di colpire con pene di grande severità le condotte di facilitazione preordinate allo scopo di lucro in certe circostanze (art. 1, par. 3), rende inequivoca l’ampiezza dell’obbligo di incriminazione stabilito. Per giunta, è solo grazie al combinato disposto con la direttiva 2002/90/CE ̶ l’atto principale del Package ̶ , che si ricava la facoltà ̶ non l’obbligo, appunto ̶ di escludere sanzioni per le condotte di facilitazione aventi finalità di assistenza umanitaria: l’obbligo di incriminazione sancito dall’art. 1, par. 1 della decisione-quadro si estende alla disposizione della direttiva che stabilisce la facoltà di non sanzionare il “favoreggiamento umanitario” (art. 1, par. 2 della direttiva) con riguardo alle sanzioni di natura non penale.
Dall’altro lato, al vaglio delle citate disposizioni della Carta va pure sottoposto l’art. 12 del decreto legislativo n. 286, che al Facilitators Package dà attuazione incriminando tutte le condotte di favoreggiamento dell’immigrazione illegale tranne, quando preordinato all’assistenza umanitaria della persona interessata, il favoreggiamento del soggiorno illegale. Pertanto, nell’ordinamento italiano facilitare l’ingresso illegale di un cittadino di Stato terzo senza scopo di lucro, con l’intento di aiutare le persone interessate, costituisce reato.
I due profili sono collegati ma distinti, poiché l’art. 51, par. 1 della Carta dei diritti fondamentali vincola tanto le istituzioni dell’Unione, con l’effetto per cui il contrasto del Facilitators Package rispetto alla Carta ne determinerebbe l’invalidità, quanto gli Stati membri nell’attuazione del diritto dell’Unione. Qualora l’Italia abbia violato la Carta nel dare attuazione al Facilitators Package, l’art. 12 del decreto legislativo n. 286 andrebbe disapplicato. In seguito, il giudice remittente potrebbe aprire un ricorso alla Corte costituzionale con l’effetto di determinare l’espunzione dell’art. 12 dall’ordinamento giuridico[7]. Resta comunque la prospettiva che contro lo Stato sia successivamente aperto un ricorso per infrazione: la quale, va detto, alla luce della condotta tenuta per anni dalla Commissione in questo settore appare affatto remota.
Si vogliono qui dedicare alcune considerazioni alla questione della conformità dell’obbligo di incriminare le condotte di favoreggiamento preordinate all’assistenza umanitaria, considerato unitamente alla mera facoltà di sottrarre le stesse dall’area della criminalizzazione, rispetto ai diritti dei cittadini di Stati terzi beneficiari del favoreggiamento nominati nell’ordinanza di rimessione. È infatti questo un profilo da valutare in una prospettiva bidimensionale che nel profilo della proporzionalità appare senz’altro minore. Il suo esame richiederà dunque di tenere presente, sebbene solo di riflesso, il diritto nazionale che costituisce attuazione del diritto dell’Unione.
2. La premessa del ragionamento da svolgere è che un atto di diritto secondario deve essere interpretato in modo conforme al diritto primario, il quale almeno a questi fini include la Carta dei diritti fondamentali grazie all’art. 6, par. 2 TUE[8], così da doversi ritenere invalido solo quando una siffatta interpretazione non sia configurabile: in questo senso è costantemente orientata la Corte di giustizia, anche riguardo allo specifico dei rapporti tra diritto derivato e Carta[9]. Circa gli atti giuridici che richiedono l’attuazione da parte degli Stati membri, quali i due del Facilitators Package, è per l’appunto tramite quest’ultima che l’interpretazione conforme deve essere perseguita. Grazie alla doppia sfera di destinatari che caratterizza la Carta ai sensi del suo art. 51, par. 1, rispetto ad atti del genere la tutela dei diritti fondamentali è infatti multilivello. Tale tutela si concretizza cioè secondo lo schema seguente: le istituzioni soddisfano l’obbligo di operare in senso conforme alla Carta ove i loro atti abbiano margini di attuazione a essa favorevoli; gli Stati soddisfano il loro obbligo di adeguarsi agli atti suddetti nel rispetto della Carta ove utilizzino detti margini.
Dalla giurisprudenza della Corte di giustizia emerge tuttavia che non qualsiasi forma di discrezionalità un atto delle istituzioni accordi agli Stati membri, purché comprenda scelte aderenti alla Carta, valga ad assicurare la sua validità. Può darsi infatti che la discrezionalità accordata realizzi essa stessa il contrasto con la Carta, in quanto comporta una possibilità di derogare ai diritti in questa previsti in modo incompatibile con essa. È quanto rilevato nella sentenza Test-Achats[10] riguardo all’art. 6, n. 2 della direttiva 2004/113/CE, sulla facoltà di consentire differenze proporzionate tra donne e uomini nei premi e nelle prestazioni individuali anteriormente a una certa data, in deroga al generale obbligo di contrastare siffatte differenze[11]. Secondo la Corte di giustizia, tale deroga non risultava giustificata in base alla metodologia costantemente utilizzata al riguardo e rischiava inoltre di essere permessa a tempo indefinito: di qui il suo contrasto con gli articoli 21 e 23 della Carta[12]. Una situazione del genere non può essere confusa con quella in cui il diritto derivato accorda agli Stati una discrezionalità che, in casi specifici, può essere esercitata in conformità con la Carta solo in una delle opzioni stabilite, così da risultare concretamente svuotata. Si pensi al notissimo caso N.S., sul trasferimento di un richiedente protezione internazionale nello Stato competente secondo i criteri di Dublino[13]. In N.S. non era la disposizione del regolamento in sé a porsi in contrasto con l’art. 4 della Carta, a causa della scelta lasciata agli Stati membri; vista la situazione presente in Grecia, avrebbe violato la Carta una delle scelte prospettata da quella disposizione agli Stati membri.
Così, nel caso del Facilitators Package è nodale stabilire se la mera facoltà di rinunciare a incriminare il favoreggiamento dell’ingresso illegale allo scopo di prestare assistenza umanitaria sia in linea con i diritti dei cittadini di Stati terzi evocati, o se la tutela degli stessi non avrebbe piuttosto richiesto di stabilire un obbligo al riguardo (ovvero di escludere lo scopo di prestare assistenza umanitaria dalla definizione di favoreggiamento ex art. 1, par. 1 della direttiva 2002/90/CE). Che gli Stati possano adeguarsi alla Carta evitando, se del caso, di esercitare la facoltà suddetta non può risolvere in senso positivo la questione sollevata. Un tale orientamento statale eviterebbe l’illecito da parte degli Stati che lo adottino, ma non avrebbe influenza sul profilo dell’invalidità degli atti dell’Unione: è questo il senso della tutela multilivello in presenza di una precisa facoltà di deroga quando quest’ultima abbia un oggetto in contrasto con la Carta.
Ebbene, la mera facoltà di non incriminazione potrebbe senz’altro stridere con la Carta nella misura in cui l’assistenza umanitaria perseguita tramite il favoreggiamento dell’ingresso, transito o soggiorno illegali consista nell’assicurare il rispetto di diritti inderogabili in quella sanciti. In tal caso essa si risolverebbe infatti nel consentire deroghe statali a mezzo del diritto derivato. Gli obblighi imposti agli Stati dalla Carta, in quanto gerarchicamente sovraordinati, restano naturalmente fermi, senza peraltro che il loro rispetto richieda di disattendere obblighi del diritto derivato il quale stabilisce per l’appunto una facoltà; quest’ultima si porrebbe però in conflitto con l’inderogabilità degli obblighi sanciti dalla fonte superiore.
Il diritto alla vita e quello all’integrità fisica sono derogabili solo in ipotesi precise, enunciate rispettivamente negli articoli 2, par. 2 della CEDU e 2 del Protocollo 6 della stessa, circa il diritto alla vita[14], e nell’art. 3 della Carta circa il diritto all’integrità fisica. Queste ipotesi, le uniche in cui i diritti in questione possono essere compressi, non comprendono la salvaguardia della politica migratoria degli Stati membri, per nessuna ragione. Nessuna possibilità di deroga si applica poi al diritto di asilo ex art. 18, che qui interessa sotto il profilo del diritto a presentare una domanda di protezione internazionale[15]. Ciò è possibile, nel diritto dell’Unione, solo nel territorio di uno Stato membro o almeno alla frontiera o in una zona di transito[16]: sicché, in effetti, evitare di assistere un cittadino di Stato terzo, privo di visto, nell’ingresso o nel transito illegali nel territorio di uno Stato membro, significa non mettere lo stesso in condizione di chiedere la protezione internazionale, ovvero se del caso addirittura impedirglielo. È forse più improbabile che una situazione di tal genere possa verificarsi riguardo al favoreggiamento del soggiorno illegale, ma neppure sembra di poterlo escludere a priori.
Quanto al diritto al rispetto della propria vita privata e familiare (art. 7 della Carta), esso è invece generalmente derogabile da misure previste dalla legge, qual è una fattispecie di reato. L’interferenza con tale diritto si realizza principalmente quando l’ingresso, il transito o il soggiorno siano favoriti allo scopo di rendere possibile un ricongiungimento familiare o di evitare un distacco. Ad esempio, nel giudizio da cui è scaturito il rinvio pregiudiziale, l’imputazione riguarda l’introduzione in modo illegale in territorio italiano di due bambine, di cui una è la figlia dell’imputata e l’altra la nipote, a lei affidata in seguito alla morte della sorella: l’imputata le ha portate con sé, oltre che per proteggere la loro incolumità nel Paese di provenienza, per non doversene distaccare. La deroga è tuttavia soggetta a restrizioni: deve essere necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del paese, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui”[17].
Di conseguenza, la scelta di escludere dall’area del penalmente rilevante il favoreggiamento umanitario può essere facoltativa senza entrare in contraddizione con la Carta, purché non miri a salvaguardare i diritti citati, in termini assoluti ovvero, riguardo al diritto al rispetto della vita privata e familiare, nei suoi profili inderogabili: perché, se fatta a questo scopo, tale scelta dovrebbe essere obbligatoria. Ciò si avvera anzitutto se lo “scopo di prestare assistenza umanitaria”, che è oggetto della facoltà stabilita nel Facilitators Package, non si risolve con l’assicurare il rispetto dei diritti in esame.
Tale condizione sembra effettivamente presente. È infatti palese che non sempre il favoreggiamento dell’ingresso, del transito o del soggiorno illegali di cittadini di Stati terzi nel territorio degli Stati membri senza scopo di lucro serve a consentire loro la fruizione del diritto alla vita, all’integrità fisica, all’asilo e/o alla vita privata e familiare, ovvero a evitarne il pregiudizio. L’esigenza di salvaguardare il diritto alla vita e/o all’integrità fisica degli interessati sussiste solo se questi fuggano da seri rischi a questi attinenti ovvero, riguardo specificamente all’ingresso, se l’accesso al territorio statale al di fuori delle vie legali dia luogo a pericoli concreti o addirittura a incidenti. Quali esempi di questa seconda evenienza, si può pensare alle persone esposte in modo prolungato alle intemperie (ad esempio, in prossimità dei confini alpini o nella foresta tra Polonia e Bielorussia) o a situazioni di pericolo come l’attraversamento di un fiume che segni il confine: sanzionare il sostegno all’ingresso illegale avrebbe un effetto deterrente su chi possa mettere in salvo gli interessati portandoli per l’appunto nel territorio dello Stato membro in cui non siano autorizzati a fare ingresso. Conviene invece tralasciare lo scenario delle operazioni di ricerca e soccorso in mare: nell’interpretazione della Commissione europea, le convenzioni internazionali sul diritto del mare (e il diritto internazionale consuetudinario) le escludono senza dubbi dal perimetro dell’obbligo di incriminazione stabilito nel Facilitators Package[18]. Di conseguenza, il soccorso in mare non può neppure risultare compreso nella mera facoltà di optare per la non incriminazione. Quanto alle ingerenze con il diritto di chiedere l’asilo, evidentemente sussistono solo se gli interessati intendano procedere alla relativa richiesta. Infine, l’interferenza con il diritto al rispetto della vita privata e familiare in linea di principio si realizza ove il mancato ingresso, transito o soggiorno impediscano un ricongiungimento o diano luogo a un distacco all’interno di una famiglia, particolarmente tra coniugi o comunque membri di una coppia o tra uno o ambedue i genitori o tutori e figli o figlie, in specie se minori.
In conclusione, l’interpretazione ampia della locuzione “finalità di assistenza umanitaria”, cioè a dire non limitata all’obiettivo di assicurare il rispetto dei diritti in esame a beneficio dei cittadini di Stati terzi interessati, è necessaria per assicurare l’aderenza alla Carta della facoltà di non incriminazione stabilita dal Facilitators Package. Questa è dunque da preferire, secondo il consolidato metodo interpretativo per cui va privilegiata la soluzione ermeneutica che fa salva la validità di un atto.
3. L’analisi va completata con un ultimo tassello: la valutazione della possibilità che l’obbligo di prevedere un reato di favoreggiamento dell’ingresso, transito e soggiorno illegale di cittadini di Stati terzi nel territorio degli Stati membri possa davvero entrare in contrasto con i diritti citati. L’approfondimento si rende opportuno perché l’interferenza della previsione di una fattispecie di reato con tali diritti ha carattere indiretto. In concreto, il loro pregiudizio è infatti causato dalla scelta individuale ̶ in particolare, dell’autore/autrice del reato, o del potenziale tale ̶ di volersi sottrarre alla responsabilità penale. Ne deriva che è necessario individuare condizioni precise affinché l’impatto negativo dell’incriminazione e del relativo obbligo sui diritti della Carta si qualifichi effettivamente come violazione della stessa. Riguardo al diritto al rispetto della vita privata e familiare, per la ricostruzione di una violazione si richiede inoltre di verificare se la specifica scelta di “crimmigration” contenuta nel Facilitators Package possa ritenersi giustificata in nome di uno degli interessi pubblici prima ricordati; se sì, occorre infine precisare le condizioni in cui la compressione del diritto alla vita privata e familiare da essa realizzata possa dirsi bilanciata rispetto alla tutela degli interessi suddetti.
Si cercheranno spunti nella giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, nonostante questa sembri non essersi mai occupata di valutare violazioni dei diritti alla vita, all’integrità fisica e al rispetto della vita privata e familiare ad opera di fattispecie astratte di reato, perlomeno non nel quadro delle politiche migratorie degli Stati parti.
Riguardo al diritto alla vita, in un paio di sentenze recenti la Corte EDU ha trattato situazioni in cui cittadini di Stati terzi sono rimasti uccisi nel contesto di tentativi di ingresso in uno Stato membro dell’Unione senza il relativo titolo. Ancorché la condotta valutata ai sensi dell’art. 2 non sia mai stata la previsione del favoreggiamento umanitario dell’immigrazione illegale come reato, importa che essa non sia consistita nell’uccisione di un/una migrante ad opera di individui-organi dello Stato convenuto e in ogni caso nella loro diretta responsabilità al riguardo, ma sia derivata da loro comportamenti in modo indiretto. Nello specifico, in M.H. e altri c. Croazia, una bambina afghana è stata travolta da un treno sui binari che percorreva con i propri familiari, in territorio serbo nei pressi del confine con la Croazia, in seguito all’ordine impartito alla famiglia dalla polizia croata di allontanarsi lungo i binari in esito al rifiuto di ricevere la loro domanda di protezione internazionale[19]. In Alowhais c. Ungheria, un cittadino siriano è affogato nelle acque del fiume Tisza, al confine serbo-ungherese, nel tentativo di tornare sulla sponda serba dopo che il gruppo di persone cui apparteneva (compresi gli smugglers) aveva ricevuto un’intimazione al riguardo dalla polizia ungherese[20]. A questi casi la Corte ha applicato la propria interpretazione dell’art. 2, sviluppata nell’arco di oltre venti anni in relazione a casi molto eterogenei ma accomunati dal fatto che la morte della vittima non fosse direttamente riconducibile alla condotta di organi statali.
L’idea centrale di questa interpretazione è che l’assenza di una responsabilità diretta degli organi statali per la morte di una persona o per il relativo rischio non escluda di per sé l’inadempimento dello Stato interessato rispetto all’art. 2 della Convenzione. Si intende infatti che questa disposizione comprenda anche obblighi positivi, sull’adozione di misure atte a proteggere la vita di coloro che si trovano nella giurisdizione statale. Le situazioni in cui tali obblighi positivi hanno trovato applicazione sono davvero variegate, ma tra esse spiccano le attività rischiose intraprese o organizzate dallo Stato medesimo[21]: tali attività non sono di per sé incompatibili con l’art. 2, ma nel porle in essere lo Stato è tenuto a “ensure through a system of rules and through sufficient control that the risk is reduced to a reasonable minimum”[22]. Non sembra fuori luogo estendere questo ragionamento alla previsione di un reato di favoreggiamento dell’immigrazione illegale esteso al punto di comprendere la finalità di salvare la vita o l’integrità fisica ai cittadini di Stati terzi i quali, per tentare l’ingresso nel territorio statale, rischino di mettere in pericolo la propria incolumità. Una previsione normativa non può che ingenerare un rischio indiretto, ma d’altro canto quest’ultimo può senz’altro concretizzarsi anche a causa di tale previsione. Gli obblighi positivi che, nel mitigarlo, valgono a ricomporre il contrasto con l’art. 2 potrebbero riguardare la predisposizione di controlli ai confini preordinati a prevenire incidenti o a soccorrere le persone che si mettano in pericolo, in specie in luoghi rischiosi come ad esempio taluni valichi di montagna, soprattutto d’inverno, o i fiumi. In presenza di attori privati disponibili a fornire assistenza ai migranti in loco, come ad esempio avviene nelle cittadine liguri nelle zone di confine con la Francia, all’assolvimento degli obblighi positivi potrebbe bastare il non frapporre ostacoli all’attività di tali soggetti. Un ulteriore strumento di minimizzazione del rischio potrebbe essere l’apposizione di cartelli volti segnalare i pericoli concreti, formulati nelle lingue di maggiore diffusione tra coloro che aspirano a raggiungere il territorio dell’Unione senza titolo di ingresso.
Va quindi chiarito se e quale impatto la ricostruzione suddetta produca sulla norma dell’Unione relativa alla facoltà di non incriminare il “favoreggiamento umanitario” dell’ingresso illegale (abbinata, s’intende, all’obbligo di incriminare il favoreggiamento tout court). Le considerazioni precedenti riguardano infatti le accortezze richieste agli Stati affinché la loro scelta di incriminare tali condotte non realizzi una violazione dei diritti esaminati. Esse non risolvono invece la questione di sapere se, per non entrare in conflitto con i diritti in questione, attribuire agli Stati la mera facoltà di rinunciare all’incriminazione debba accompagnarsi all’indicazione di qualche cautela; ovvero se, per la coerenza con tali diritti, possa ritenersi sufficiente il ruolo lasciato agli Stati membri ex art. 51, par. 1 della Carta. L’obbligo di rispettare le disposizioni della Carta nell’attuazione del diritto dell’Unione, sancito a carico degli Stati dalla disposizione citata, ha carattere di obbligo di risultato: è giocoforza, pertanto, che l’individuazione dei mezzi per conseguirlo sia a carico degli Stati. Rileva inoltre che lo spazio per la predisposizione di cautele a contrappeso dell’istituzione dei reati in esame sia garantito da altre norme di diritto dell’Unione applicabili in caso di ingresso di cittadini di Stati terzi privi di titolo: segnatamente, dal Codice Frontiere Schengen, recentemente ridenominato Codice dell’Unione relativo al regime di attraversamento delle frontiere da parte delle persone[23]. Alcune clausole di questo ammorbidiscono considerevolmente gli obblighi che potrebbero ostacolare la messa in atto di cautele a tutela del diritto della vita e dell’integrità fisica delle persone che si presentino al confine esterno. Si pensi all’art. 5, par. 2, lett. b), il quale apre all’attraversamento delle frontiere esterne anche al di fuori dei valichi e degli orari stabiliti “in caso di un’imprevista situazione d’emergenza”. Rileva inoltre l’art. 6, par. 5, che consente di derogare alla richiesta delle condizioni stabilite per l’ingresso dei cittadini di Stati terzi attraverso le frontiere esterne, onde ammetterlo “per motivi umanitari … o in virtù di obblighi internazionali”. Si può ritenere pertanto che nessun ostacolo possa derivare agli Stati dal diritto dell’Unione nell’esercitare il ruolo di tutela dei diritti fondamentali loro riservato dall’art. 51, par. 1 della Carta, con riferimento al diritto alla vita e all’integrità fisica in concomitanza con l’ingresso senza titolo.
4. Riguardo al diritto di asilo, rivestono interesse le sentenze della Corte EDU sui casi N.D. e N.T. c. Spagna[24] e M.H. e altri c. Croazia[25]. In queste sentenze era in discussione non il diritto di (chiedere l’)asilo, che la CEDU non comprende, ma l’art. 3 della Convenzione e/o l’art. 4 del Protocollo n. 4, in circostanze tali da poter fornire spunti utili. Ebbene, al fine di verificare la presenza di una violazione la Corte EDU ha considerato determinante la mancata disponibilità di procedure di ingresso legale nonché l’impossibilità di presentare domanda di protezione internazionale al confine[26]. Circa l’art. 18 della Carta, la naturale conclusione è che l’obbligo di incriminare il favoreggiamento dell’ingresso e del transito senza titolo al fine di chiedere la protezione internazionale vi entra in contrasto solo in assenza della possibilità di presentare la domanda al confine. Dovendo valutare la validità di atti del diritto dell’Unione, rileva che tale possibilità sia prevista nel diritto dell’Unione, appunto. L’eventuale assenza dell’effettiva possibilità di avvalersi della procedura prevista a livello normativo, per esempio per mancanza di sportelli adeguati al confine esterno o per il rifiuto degli agenti di frontiera, ha interesse solo per valutare il comportamento degli Stati membri[27]. Quanto all’obbligo di incriminare il favoreggiamento del soggiorno illegale anche se ispirato a finalità umanitarie, non si vede come potrebbe avere impatto con il diritto di (chiedere l’)asilo.
Com’è noto, sia il regolamento 64/2013/UE, c.d. “Dublino III”[28], sia la direttiva 2013/32/UE, c.d. “procedure”[29], si applicano anche alle domande di protezione internazionale presentate alla frontiera, come previsto nei rispettivi art. 3, par. 1. Il regolamento (UE) 2016/399, c.d. “Codice Frontiere Schengen”, non si spinge a stabilire l’obbligo di ricevere domande di protezione internazionale alle frontiere esterne; non sembrano potersi nutrire dubbi, tuttavia, che esso non consenta di negare la presentazione delle domande in questione. Infatti, in deroga alla previsione sulle condizioni di ingresso, il regolamento stabilisce che i cittadini di Stati terzi possano essere autorizzati da uno Stato membro a “entrare nel suo territorio per motivi umanitari … o in virtù di obblighi internazionali” (art. 6, par. 5), e che l’obbligo di respingere chi non debba o possa (proprio ex art. 6, par. 5) essere ammesso non debba recare pregiudizio al diritto di asilo e alla protezione internazionale (art. 14 par. 1)[30]. Si intende che l’ingresso dei cittadini di Stati terzi in ottemperanza al diritto di asilo e alla protezione internazionale non possa che essere finalizzato a presentare la relativa richiesta. Anche una modifica di recente introdotta al regolamento contribuisce a fornire un contrappeso, nella prospettiva dell’art. 18 della Carta, rispetto all’obbligo di incriminare il favoreggiamento dell’immigrazione illegale con finalità di assistenza umanitaria: in caso di chiusura dei valichi di frontiera in situazioni di strumentalizzazione dei migranti, gli Stati sono comunque obbligati a tenere conto dei richiedenti protezione internazionale[31].
Le valutazioni relative al diritto di asilo si confanno anche ai diritti alla vita e all’integrità fisica, allorché l’interferenza con questi dell’obbligo di incriminare il favoreggiamento dell’ingresso illegale, esteso anche all’assistenza umanitaria, si debba alla necessità degli stranieri di sottrarsi a seri rischi nel loro Paese di provenienza. Infatti, in tal caso la richiesta di protezione internazionale coincide con la possibilità di mettersi al riparo dai rischi.
Sul diritto al rispetto della vita privata e familiare, la Corte EDU non ha avuto remore nell’ammettere che un’incriminazione per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina sia in principio giustificabile allo scopo di contrastare questo fenomeno e le reti organizzate che vi sono implicate: l’interesse pubblico evocato è stato la prevenzione del disordine e dei reati[32]. D’altro canto, la stessa Corte ha dimostrato sensibilità nel riconoscere l’interferenza nel diritto alla vita privata e familiare, andando anche oltre la tutela diretta dei legami familiari più stretti: nel caso Mallah c. Francia, è stato valutato come interessato alla compressione del diritto anche il rapporto con un familiare acquisito, quale il genero, probabilmente in ragione del legame tra questi e la figlia dell’accusato.
Sulla questione se la facoltà di incriminare il “favoreggiamento umanitario” richiederebbe, ai fini dell’aderenza con l’art. 7 della Carta, di fissare cautele e limitazioni, sembrano valere le considerazioni già proposte per gli altri diritti in gioco. Da un lato, cioè, conta che il rispetto dei diritti fondamentali da parte degli Stati che attuano il diritto dell’Unione sia oggetto di un obbligo di risultato. Dall’altro lato, altre norme del diritto dell’Unione lasciano agli Stati la flessibilità necessaria a garantire l’aderenza all’art. 7, nelle circostanze in cui tipicamente potrebbero maturare le condotte di favoreggiamento. Così, riguardo all’ingresso illegale, va ricordato l’art. 6, par. 5 del Codice Frontiere dell’Unione (già Codice Frontiere Schengen). Riguardo al favoreggiamento del soggiorno illegale, secondo la direttiva 2008/115/CE[33] il rimpatrio del cittadino di Stato terzo illegalmente presente nel territorio statale deve avvenire tenendo “nella debita considerazione” la sua vita familiare e l’interesse superiore del minore (art. 5). Seguendo la metodologia della Corte EDU, in principio la previsione di un reato di favoreggiamento “umanitario” dell’ingresso e/o del soggiorno senza titolo non potrebbe considerarsi in contrasto con l’art. 7 della Carta ove la normativa nazionale salvaguardasse il diritto in questo sancito.
5. In sintesi, l’obbligo di incriminare il favoreggiamento dell’ingresso, del transito e del soggiorno illegale di cittadini di Stati terzi in uno Stato membro, unitamente alla mera facoltà di rinunciarvi in presenza di una finalità di assistenza umanitaria, non possono considerarsi invalidi per violazione di alcuni diritti inderogabili degli stranieri interessati a patto di intendere la nozione di “assistenza umanitaria” in modo più ampio della finalità di rendere possibile il godimento di tali diritti. Spetta poi agli Stati membri di delineare le fattispecie incriminatrici in modo da escludervi il “favoreggiamento umanitario” ove preordinato, appunto, a tutelare i diritti che non tollerano alcuna interferenza, ovvero nella misura in cui una deroga non sia ammessa. Non pare che l’assenza di precise indicazioni al riguardo nel Facilitators Package possa compromettere la validità delle sue disposizioni, tanto più che il diritto dell’Unione lascia spazi agli Stati membri per derogare agli obblighi sulla gestione delle frontiere esterne e sul rimpatrio dei cittadini di Stati terzi che si trovino sul loro territorio senza titolo, al fine di tutelare i diritti evocati.
Le risultanze dell’analisi condotta non riguardano l’opportunità politica della scelta di comprendere, nella definizione di favoreggiamento dell’ingresso, transito e soggiorno illegali, anche le condotte finalizzate all’assistenza umanitaria[34]. Peraltro, la soluzione di allentare la tensione con i diritti fondamentali dei cittadini di Stati terzi interessati grazie alla previsione di una mera facoltà di rinunciare all’incriminazione ha dimostrato gravi limiti. Da un lato, essa ha fornito la cornice giuridica a scelte statali marcatamente ispirate a una politica di crimmigration, che oggi caratterizza l’Unione; dall’altro lato, ha consentito una grande eterogeneità delle normative nazionali, che è tale anche sotto il profilo della tutela dei diritti fondamentali[35]. Questo esito appare criticabile anche su un piano tecnico-giuridico, poiché la dimensione multilivello è preordinata a garantire un maggiore e più sofisticato livello di tutela dei singoli, non viceversa. La proposta di direttiva che sostituirebbe il Facilitators Package, presentata dalla Commissione a novembre 2023, corregge questa stortura: sulla falsariga del protocollo alla Convenzione di Palermo, elimina la facoltà qui commentata e inserisce tra gli elementi costitutivi dei reati di favoreggiamento dell’immigrazione illegale il “vantaggio finanziario o materiale” sollecitato, ricevuto, accettato o perseguito[36].
[1] Causa C-460/23, Kinsa. Con ordinanza del 10 ottobre 2023, il Presidente della Corte ha respinto la domanda di procedimento accelerato ex art. 105 del Regolamento di procedura. L’udienza si è svolta in data 18 giugno 2024.
[2] Si tratta del Protocollo addizionale alla Convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità organizzata transnazionale per combattere il traffico di migranti via terra, via mare e via aria, adottato dall’Assemblea generale con Risoluzione A/RES/55/25 del 15 novembre 2000 ed entrato in vigore il 28 gennaio 2004.
[3] Sul caso si vedano già L. Bernardini, Il delit de solidarité davanti alla corte di giustizia: il caso Kinshasa come game changer per le politiche migratorie europee, in Diritto, immigrazione e cittadinanza, n. 1/2024, p. 18 ss.; C. Costello, S. Zirulia, Pushing Back: How to Limit Overcriminalisation of Assistance to Those in Need of Protection, in VerfBlog, 29 febbraio 2024; V. Mitsilegas, Editorial. Reforming the ‘Facilitators’ Package’ through the Kinsa litigation: Legality, Effectiveness and taking International Law into account, in Eurojus, 3/2024; S. Zirulia, The Criminalization of Facilitating Irregular Immigration before the CJEU, in VerfBlog 10 giugno 2024; S. Zirulia, Giornata mondiale del rifugiato: l’occasione per avviare un dibattito sulla depenalizzazione del favoreggiamento dell’ingresso irregolare per ragioni umanitarie. Riflessioni in vista della sentenza della Corte di giustizia UE sul caso Kinsa e della proposta della Commissione europea di riforma del Facilitators package, in Sist. Pen 6/2024, p. 93 ss. Prima del rinvio pregiudiziale, dei profili penali del Facilitators Package si erano occupati, tra gli altri, S. Zirulia, Non c’è smuggling senza ingiusto profitto, in Diritto penale contemporaneo – Rivista trimestrale, n. 3/2020, p. 143 ss.; R. Landry, The ‘humanitarian smuggling’ of refugees Criminal offence or moral obligation?, in Refugee Studies Centre, University of Oxford, Working Paper Series no. 119; A. Spena, Human Smuggling and Irregular Immigration in the EU: From Complicity to Exploitation?, in S. Carrera and E. Guild (eds.), Irregular Migration, Trafficking and Smuggling of Human Beings, Brussels, 2016, p. 37, nonché altri saggi citati nelle note successive.
[4] Tribunale di Bologna, Prima Sezione Penale, Ordinanza di rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia dell’Unione europea ex art. 267 TFUE, depositata il 21 luglio 2023, n. 10034/2019 R.G.N.R.
[5] Decisione quadro 2002/946/GAI del Consiglio del 28 novembre 2002, relativa al rafforzamento del quadro penale per la repressione del favoreggiamento dell’ingresso, del transito e del soggiorno illegali, in GUCE L 328 del 5 dicembre 2002, p. 1.
[6] Direttiva 2002/90/CE del Consiglio del 28 novembre 2002, volta a definire il favoreggiamento dell'ingresso, del transito e del soggiorno illegali, in GUCE L 328 del 5 dicembre 2002, p. 17.
[7] V. le pronunce della Corte costituzionale da cui deriva l’assetto sintetizzato in B. Nascimbene, Carta dei diritti fondamentali, applicabilità e rapporti fra giudici. La necessità di una tutela integrata, in C. Amalfitano, M. D’Amico e S. Leone (cur.), La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea nel sistema integrato di tutela. Atti del convegno svoltosi nell’Università degli Studi di Milano a venti anni dalla sua proclamazione, Torino, 2022, p. 55 ss.
[8] V. infatti R. Adam, A. Tizzano, Manuale di diritto dell’Unione europea, Giappichelli IV ed. 2024, che, nel sottolineare come il sistema di fonti facente capo all’ordinamento giuridico dell’Unione sia “ben più ampio e articolato della coppia diritto primario-diritto derivato” (p. 153), colloca la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione è inclusa tra le norme di diritto primario diverse dai Trattati (p. 162).
[9] Sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea (Grande Sezione), 15 febbraio 2016, causa C 601/15 PPU, JN, ECLI:EU:C:2016:84, punto 48, nonché le due sentenze ivi citate.
[10] Sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea (Grande Sezione), 1° marzo 2011, causa C-236/09, Association belge des Consommateurs Test-Achats ASBL, ECLI:EU:C:2011:100.
[11] Direttiva del Consiglio 13 dicembre 2004, 2004/113/CE, che attua il principio della parità di trattamento tra uomini e donne per quanto riguarda l’accesso a beni e servizi e la loro fornitura, in GU L 373, p. 37.
[12] Test-Achats, cit., §§ 28-32.
[13] Sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea (Grande Sezione), 21 dicembre 2011, procedimenti riuniti C‑411/10 e C‑493/10, NS, ECLI:EU:C:2011:865.
[14] Cfr. la Spiegazione all’art. 2 della Carta.
[15] Riguardo all’impatto di certe condotte che impediscono l’ingresso nel territorio statale sul right to seek asylum v. A. Marchesi, Placing barriers against the disembarkation of rescued migrants: brief remarks on recent Italian practice from a human rights perspective, in A. Di Stasi, I. Caracciolo. G. Cellamare, P. Gargiulo (eds.), International Migration and the Law. Legal Approaches to a Global Challenge,London and New York, Torino, 2024, p. 418 ss.
[16] Cfr. art. 3, par. 1, del regolamento (UE) n. 604/2013 del 26 giugno 2013 che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un apolide (rifusione) (c.d. Dublino III), il quale sarà in vigore fino al 30 giugno 2026. Questa condizione non conoscerà modifiche con il regolamento che abroga Dublino III: regolamento (UE) 2024/1351 del Parlamento europeo e del Consiglio del 14 maggio 2024, sulla gestione dell’asilo e della migrazione, che modifica i regolamenti (UE) 2021/1147 e (UE) 2021/1060 e che abroga il regolamento (UE) n. 604/2013 (art. 4 lett. d)). Si noti che l’Unione non ha neppure adottato una normativa secondaria sui visti di lunga durata finalizzati ad accedere al territorio di uno Stato membro per presentare domanda di protezione internazionale: perciò, secondo la sentenza della Corte sul caso X e X, le domande relative a visti siffatti non rientrano nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione, ma solo del diritto nazionale (sentenza del 7 marzo 2017, causa C-638/16 PPU, ECLI:EU:C:2017:173, §§ 42-44).
[17] Così la Spiegazione relativa all’art. 7, la quale riprende il testo dell’art. 8 CEDU.
[18] Comunicazione della Commissione, Orientamenti della Commissione sull’attuazione delle norme dell’UE concernenti la definizione e la prevenzione del favoreggiamento dell’ingresso, del transito e del soggiorno illegali (2020/C 323/01), in GUUE C 323 del 1° ottobre 2020, p. 5. Cf. il commento in A. Marletta, The Commission ‘Guidance’ on facilitation and humanitarian assistance to migrants, in EU Law Analysis, Tuesday 29 September 2020, nonché le considerazioni critiche di V. Moreno-Lax, Punishing Civil Obedience as an Abuse of Power, in VerfBlog, 17 aprile 2024.
[19] Sentenza della Corte EDU [First Section], M.H. e altri c. Croazia, Applications nos. 15670/18 e 43115/18, 18 novembre 2021, punto 10.
[20] Corte EDU [First Section], Alhowais c. Ungheria, Application no. 59435/17, 2 febbraio 2023, §§ 5-10.
[21] Alhowais, cit., punto 114.
[22] Alhowais, cit., punto 117 (dove si cita una precedente sentenza per un confronto).
[23] Regolamento (UE) N. 604/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un apolide (rifusione), in GUUE L 180 del 29 giugno 2013, p. 31.
[24] Corte EDU [Grand Chamber], N.D. e N.T. c. Spagna, Applications nos. 8675/15 e 8697/15, 13 febbraio 2021.
[25] M.H. e altri c. Croazia, cit.
[26] N.D. e N.T. c. Spagna, cit., punto 211; M.H. e altri c. Croazia, cit., §§ 295-304.
[27] Nei due casi esaminati dalla Corte EDU, l’effettiva fruibilità di procedure di richiesta di asilo o di vie di ingresso legale ha avuto rilievo solo per valutare le specifiche censure relative al divieto di espulsione collettiva (N.D. e N.T. c. Spagna, cit., §§ 123 ss.; M.H. e altri c. Croazia, cit., §§ 300-304). In N.D. e N.T. c. Spagna, la conclusione di negare la violazione di tale divieto è stata raggiunta in quanto gli stranieri entrati illegalmente nello spazio controllato dallo Stato convenuto avrebbero preferito questa modalità all’uso delle procedure messe a disposizione per l’ingresso regolare in territorio spagnolo, al fine di potersi giovare della situazione di gran numero di persone presenti in frontiera (punto 231): un tale elemento è evidentemente inutilizzabile per valutare una disposizione generale e astratta come un obbligo di incriminazione (nonché l’incriminazione medesima).
[28] V. supra, nel paragrafo precedente.
[29] Direttiva 2013/32/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale (rifusione), in GUUE L 180 del 29 giugno 2013, p. 60.
[30] A questo regolamento sono recentemente state apportate importanti modifiche dal regolamento (UE) 2024/1717 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 giugno 2024, recante modifica del regolamento (UE) 2016/399 che istituisce un codice dell’Unione relativo al regime di attraversamento delle frontiere da parte delle persone, in GUUE, serie L del 20.6.2024. Le disposizioni citate sono rimaste immutate.
[31] Cfr. il nuovo par. 4 c) dell’art. 5. Il par. 14 del preambolo spiega così la disposizione: “In una situazione di strumentalizzazione, allo Stato membro interessato dovrebbe essere data in particolare la possibilità, se necessario, di limitare al minimo il traffico di frontiera chiudendo temporaneamente alcuni valichi, pur assicurando un accesso reale ed effettivo alle procedure di protezione internazionale” (corsivo mio).
[32] Corte EDU [Section V], Mallah c. Francia, Applications no. 29681/08, 10 novembre 2011.
[33] Direttiva 2008/115/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2008, recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare, in GUUE L348 del 24 dicembre 2008, p. 98.
[34] Sulle scelte di crimmigration dell’Unione, con particolare riferimento al Facilitators Package, cf. V. Mitsilegas, The normative foundations of the criminalization of human smuggling: Exploring the fault lines between European and international law, in New Journal of European Criminal Law, p. 68 ss.; Id., The Criminalisation of Migration in Europe. Challenges for Human Rights and the Rule of Law, Cham Heildeberg New York Dordrecht London, 2015, pp. 57-58.
[35] Sulla normativa italiana si veda, per tutti, E. Lanza, Diritto penale dell’immigrazione, in P. Morozzo della Rocca (cur.), Immigrazione, asilo e cittadinanza, Santarcangelo di Romagna, 2024, p. 330 ss., con la dottrina ivi citata, e S. Zirulia, Il favoreggiamento dell’immigrazione irregolare. Tra overcriminalisation e tutela dei diritti fondamentali, Torino, 2023.
[36] Cf. la proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che stabilisce regole minime per la prevenzione e il contrasto del favoreggiamento dell'ingresso, del transito e del soggiorno illegali nell’Unione e che sostituisce la direttiva 2002/90/CE del Consiglio e la decisione quadro 2002/946/GAI del Consiglio, 28 novembre 2023, COM(2023) 755 final, art. 3. Per un primo commento alla proposta v. V. Mitsilegas, Reforming the EU ‘Facilitators’ Package’: The new Commission proposal in the light of the Kinshasa litigation, in eumigrationlawblog.eu, 13 febbraio 2024. La proposta di direttiva mantiene comunque ampi margini di discrezionalità che non precluderebbero la criminalizzazione del “favoreggiamento umanitario”: Moreno-Lax, Punishing Civil Obedience, cit.