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12 Novembre 2022


Procedibilità a querela e rinvio della riforma Cartabia: sollevata questione di legittimità costituzionale

Trib. Siena, 11 novembre 2022, Giud. Spina



1. Con l’ordinanza che può leggersi in allegato, il Tribunale di Siena ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 6 d.l. 31 ottobre 2022, n. 162, con il quale è stato disposto il differimento al 30 dicembre 2022 dell’intera riforma della giustizia penale (c.d. riforma Cartabia), realizzata con il d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150. A venire in rilievo, nel giudizio a quo, è la riformata disciplina del regime di procedibilità di alcuni reati contro la persona e contro il patrimonio: il d.l. n. 162/2022 protrae fino al 30 dicembre 2022, per quei reati, il più sfavorevole regime di procedibilità d’ufficio, impedendo pertanto l’estinzione del reato per intervenuta remissione della querela, ovvero la declaratoria di improcedibilità per mancanza della querela. La questione viene sollevata dal Tribunale di Siena con tre diversi argomenti. Due di essi riguardano la legittimità costituzionale del ricorso al decreto-legge per il differimento dell’entrata in vigore della riforma Cartabia e, pertanto, sono in linea di principio suscettibili di interessare ogni parte di quella riforma, compresi gli interventi relativi al processo penale. Un terzo argomento, invece, riguarda la sola parte ‘sostanziale’ della riforma, relativa al sistema sanzionatorio penale, ed è capace di estendersi alle previsioni più favorevoli all’indagato o all’imputato ulteriori rispetto a quelle relative al regime di procedibilità.

 

2. Nel giudizio pendente davanti al Tribunale di Siena, originato da un diverbio stradale, l’imputato è chiamato a rispondere di violenza privata (art. 610 c.p.) e di danneggiamento (art. 635, co. 1 c.p.) per avere costretto un altro automobilista a fermarsi e avere quindi sferrato un pugno alla portiera del suo veicolo, proferendo al contempo offese e frasi minacciose. Per entrambi i delitti, procedibili d’ufficio, il d.lgs. n. 150/2022 (art. 2, co. 1, lett. e) e lett. n) prevede la procedibilità a querela, facendo salva la procedibilità d’ufficio solo per alcune ipotesi, non ricorrenti nel caso di specie.

Il mutato e più favorevole regime di procedibilità sarebbe dovuto entrate in vigore il 1° novembre 2022, al termine dell’ordinario periodo di vacatio legis del d.lgs. n. 150/2022. Senonché, come è noto, il d.l. n. 162/2022, pubblicato un giorno prima dello spirare del termine della vacatio legis, ha differito l’entrata in vigore del d.lgs. n. 150/2022 al 30 dicembre 2022. Ciò ha impedito al giudice di definire il procedimento con un non luogo a procedere per remissione della querela, intervenuta il 9 novembre e accettata dall’imputato. L’operatività di una causa di non punibilità, sub specie di causa estintiva del reato, è stata impedita dal d.l. n. 162/2022, della cui legittimità costituzionale il Tribunale dubita.

In punto di rilevanza, va precisato che è in effetti proprio la norma della cui legittimità costituzionale si dubita ad impedire la definizione del procedimento con la remissione della querela e la conseguente estinzione del reato. Ciò a prescindere dalla considerazione che, a ben vedere, non essendo entrato in vigore il d.lgs. n. 150/2022, non può essere ancora presentata e rimessa alcuna querela. Ciò che rileva, pertanto, non è la remissione della querela di cui dà conto l’ordinanza – che a ben vedere è atto giuridicamente inesistente, se si accede dalla tesi dell’entrata in vigore (anche) delle norme penali favorevoli all’agente solo all’esito del periodo di vacatio legis –, bensì la circostanza fattuale della volontà della persona offesa e dell’imputato di non procedere oltre, secondo quanto consentito da una disciplina che sarebbe applicabile in assenza della previsione normativa della cui legittimità costituzionale si dubita. In particolare, l’art. 85, co. 2 del d.lgs. n. 150/2022 stabilisce – con una disposizione transitoria la cui operatività, pure, è stata differita al 30 dicembre 2022 – che quando è già stata esercitata l’azione penale “il giudice informa la persona offesa del reato della facoltà di esercitare il diritto di querela” e che dal giorno in cui la p.o. è stata informata decorre un termine di novanta giorni per la presentazione della querela, presupposto per la eventuale, conseguente, rimessione. Se il d.lgs. n. 150/2022 fosse entrato in vigore il 1° novembre, il giudice a quo avrebbe dovuto informare la persona offesa della facoltà di presentare la querela e il giudizio sarebbe stato definito, verosimilmente, a seguito della presentazione e della contestuale rimessione della querela (ovvero, però dovendo attendere  90 giorni, per mancata presentazione della querela).

 

3. Come può leggersi nell’ordinanza allegata, che presenta un’ampia e ben sviluppata motivazione alla quale si rinvia, tre sono i profili di contrasto con la Costituzione sottoposti al sindacato della Corte costituzionale. I primi due riguardano, come si diceva, il ricorso a un decreto-legge per differire, in zona Cesarini, l’entrata in vigore della riforma della giustizia penale, che per molti aspetti, compreso il regime di procedibilità dei reati per cui procede il giudice a quo, rappresenta una lex mitior. Il terzo profilo riguarda proprio la sterilizzazione degli effetti favorevoli della lex mitior e l’ultrattività delle disposizioni più sfavorevoli, che prevedono il regime di procedibilità d’ufficio per i reati per cui il giudice di Siena procede.

 

3.1. Un primo profilo di contrasto è ravvisato con riferimento all’art. 73, co. 3 Cost. e, in particolare, alla disciplina costituzionale relativa al perfezionamento dell’efficacia degli atti di legge (e di quelli aventi forza di legge). La citata disposizione stabilisce che “le leggi sono pubblicate subito dopo la promulgazione ed entrano in vigore il quindicesimo giorno successivo alla loro pubblicazione, salvo che le leggi stesse stabiliscano un termine diverso”. Secondo il giudice a quo, l’art. 73, co. 3 Cost. non consente a un atto normativo diverso dalla “stessa legge” di stabilire un termine di vacatio legis diverso da quello ordinario. Il Governo ha pertanto interferito sulla fase finale di formazione del d.lgs. n. 150/2022 intervenendo sulla fase di integrazione dell’efficacia. In particolare, si legge nell’ordinanza annotata, “appartenendo la fase di entrata in vigore di una legge al procedimento legislativo, avente disciplina e rilievo costituzionale, non possono allora che confliggere con l’articolo 73, terzo comma, della Costituzione interventi normativi terzi ed esterni, volti ad incidere sulla fase integrativa dell’efficacia di una legge, per contrasto con la disciplina costituzionalmente prevista in materia e riassumibile nella seguente alternativa: o trova applicazione il termine quindicinale disposto dal citato articolo, oppure ‘la Carta costituzionale autorizza il legislatore, nel suo potere discrezionale, a disporre diversamente da quel termine” (Corte cost., sentenza n. 170 del 1983), ma soltanto ad opera della legge stessa e, quindi, nell’ambito del medesimo procedimento legislativo diretto a formare l’atto il cui termine di entrata in vigore si vuole differenziare da quello ordinario’.

 

3.2. Un secondo profilo di contrasto è ravvisato con riferimento all’art. 77, co. 2 Cost. e attiene ai presupposti per il ricorso alla decretazione d’urgenza da parte del Governo. Ciò che lamenta il giudice a quo, in particolare, è l’eterogeneità delle disposizioni del d.l. n. 162/2022 quanto ad oggetto e finalità; un vizio che si ripercuote sui presupposti della necessità ed urgenza delle disposizioni stesse. L’avere inserito in un unico decreto-legge disposizioni di contenuto diverso, sorrette da finalità eterogenee, non consente secondo il Tribunale di Siena di “ricavare una finalizzazione unitaria delle stesse [disposizioni], né una complessiva ratio che giustifichi la valutazione fatta dal Governo dell’urgenza del provvedere, così risultando violata la previsione di cui all’articolo 77, secondo comma, della Costituzione”.

 

3.3. Un terzo profilo di contrasto è infine ravvisato in rapporto agli artt. 3 e 117, co. 1 Cost., quest’ultimo in relazione all’articolo 7, § 1 CEDU e all’art. 15, co. 1 del Patto internazionale sui diritti civili e politici. Ad essere violato, secondo il giudice a quo, è iI principio di retroattività della legge penale favorevole all’agente. L’art. 6 del d.l. n. 162/2022, sotto tale profilo, è ritenuto costituzionalmente illegittimo “nella misura in cui inibisce l’applicabilità, a decorrere dal 1° novembre 2022, delle modifiche mitigatrici previste dall’articolo 2, primo comma, lettere e) ed n) del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, che dispongono mutamenti nel regime di procedibilità per taluni reati, prevedendone la perseguibilità esclusivamente a querela della persona offesa, così impedendo la possibilità di riconoscere il perfezionamento di già maturate fattispecie estintive della punibilità, quali l’intervenuta remissione di querela da parte della medesima persona offesa e la successiva accettazione della stessa da parte dell’imputato”. Il differimento dell’entrata in vigore della lex mitior, in altri termini, comporta una ultrattività del regime giuridico più sfavorevole e lo fa in modo irragionevole, come sottolinea in modo cristallino l’ordinanza di rimessione:  il Governo avrebbe potuto e dovuto “operare rinvii selettivi di soltanto alcune delle parti di una complessa e organica riforma, lasciando che quest’ultima dispieghi i propri effetti nelle altre parti che dispongono modifiche sostanziali in mitius, la cui applicazione non implica certo misure di carattere tecnico-organizzativo, richiedendo piuttosto che si svolga, da parte degli organi giurisdizionali, l’ordinaria attività interpretativo-applicativa, da versare in una concreta decisione giudiziaria”.

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4.  Nell’ordinanza qui compendiata ci sembra di trovino conferma alcuni dei dubbi di legittimità costituzionale da noi sollevati, a caldo, in un editoriale pubblicato sulle pagine di questa Rivista: in particolare, quelli relativi alla irragionevolezza e alla mancanza dei requisiti di necessità e urgenza del differimento integrale della riforma Cartabia – anche rispetto a previsioni che non richiedono interventi organizzativi di supporto o disposizioni transitorie –, nonché quelli relativi alla sterilizzazione, temporanea (si spera), degli effetti in bonam partem derivanti dalla modifica di disposizioni di natura sostanziale. A tali dubbi l’ordinanza senese aggiunge quello relativo alla possibilità di una modifica del termine ordinario di vacatio legis da parte di una legge diversa da quella della cui integrazione dell’efficacia si tratta.

L’argomento che, tuttavia, più tocca le corde e la sensibilità del penalista è quello relativo al differimento al 31 dicembre degli effetti, plurimi, di mitigazione del sistema sanzionatorio penale (rinviamo al nostro editoriale del 31 ottobre 2022, § 3.2). E’ il caso del mutamento del regime di procedibilità, nel caso di specie, ma è anche quello dell’ampliamento dell’ambito di applicazione della causa di non punibilità di cui all’art. 131 bis c.p., della messa alla prova ex art. 168 bis c.p. e, non da ultimo, delle nuove pene sostitutive delle pene detentive brevi. Se i dubbi di legittimità costituzionale avanzati dal Tribunale di Siena sono fondati, la questione finisce inevitabilmente per interessare tutte le norme sostanziali più favorevoli all’agente, previste dal d.lgs. n. 150/2022. Nel commentare il d.l. n. 162/2022, un penalista autorevole come Domenico Pulitanò ha ben detto che “applicare oggi un trattamento penale più severo, rispetto a quello già prefigurato dalla riforma, sarebbe irragionevolmente lesivo di aspettative ben fondate sul principio di legalità”. Non solo, Pulitanò si è spinto oltre affermando che “il medesimo problema riguarda anche le disposizioni, formalmente processuali ma produttive di effetti sostanziali, che modificano i criteri del giudizio nell’udienza preliminare, richiedendo per il rinvio a giudizio condizioni più restrittive” (D. Pulitanò, Penale party. L’avvio della nuova legislatura, in Giurisprudenza Penale Web, 2022, 11). D’altra parte, osserviamo noi, se sono fondati i primi due argomenti dell’odierna ordinanza, di carattere generale, a risultare potenzialmente travolta da una pronuncia di incostituzionalità è il differimento dell’entrata in vigore della riforma Cartabia anche con riferimento alle innovazioni relative al processo penale.

 

5. Vi è da chiedersi se la strada seguita dal Tribunale di Siena, sollevando questione di legittimità costituzionale, sia l’unica percorribile per il giudice che ravvisi un vulnus ai principi costituzionali nel differimento dell’entrata in vigore della legge penale più mite o, secondo una diversa angolazione, nell’ultrattività, fino alla fine dell’anno, di quella più sfavorevole. La via maestra, per evitare un giudizio di inammissibilità davanti alla Corte costituzionale e, ancor prima, per garantire l’efficienza del processo e la più pronta difesa dei diritti e dei principi costituzionali, è notoriamente quella dell’interpretazione conforme a Costituzione. Nel caso di specie, si tratterebbe di un’interpretazione che, limitatamente alle norme penali sostanziali, sterilizza il differimento dell’entrata in vigore della riforma Cartabia – o, detto altrimenti, il prolungamento della relativa vacatio legis, ritenendo immediatamente applicabili le disposizioni riconducibili al principio di retroattività della lex mitior, che, afferma a ragione il giudice a quo, implica il divieto di ultrattività della legge più sfavorevole. Come abbiamo ricordato nel già citato editoriale, una soluzione analoga è stata accolta dalla Corte di Cassazione in un due sentenze massimate: l’una relativa a un’ipotesi di abolitio criminis; l’altra all’ampliamento dei margini di applicazione della scriminante della legittima difesa. Senonché, secondo il Tribunale di Siena la via dell’interpretazione conforme sarebbe preclusa: prima dello spirare del termine della vacatio legis il procedimento di formazione della legge, e di integrazione della relativa efficacia, non si è concluso. La lex mitior non si potrebbe pertanto applicare nel periodo di vacatio legis. D’altra parte, sempre secondo il Tribunale di Siena, i precedenti della Cassazione non sarebbero invocabili perché relativi a ipotesi diverse, in cui veniva in rilievo l’applicabilità dell’art. 2, co. 2 c.p. (perdita di rilevanza penale del fatto) e non dell’art. 2, co. 4 c.p. (modifica della disciplina penale, con perdurante rilevanza penale del fatto).

A nostro avviso, i margini per una interpretazione costituzionalmente orientata sussistono e possono essere valutati con attenzione da parte della giurisprudenza, anche con riferimento ai citati precedenti della Cassazione. Decisivo può essere, in tal senso, valorizzare in rapporto alle norme penali la ratio di garanzia della vacatio legis di cui all’art. 73, co. 3 Cost.; una ratio che non ha ragion d’essere in rapporto a leggi penali più favorevoli, la cui immediata applicazione è coerente con i principi di retroattività e di ragionevolezza. Questa soluzione, a ben vedere, può meglio garantire la tutela dei principi e dei diritti, nonché l’efficienza del processo. Sotto il primo profilo, un eventuale vulnus inferto dal differimento di due mesi dell’entrata in vigore della riforma Cartabia potrebbe essere efficacemente riparato solo se la Corte costituzionale, come è auspicabile, calendarizzasse con urgenza la trattazione della questione odierna e delle altre che dovessero essere eventualmente sollevate. Sotto il secondo profilo, che va al cuore delle finalità della riforma Cartabia, in linea con gli obiettivi del P.N.R.R., l’immediata applicazione di disposizioni volte alla deflazione del carico processuale, come quelle che riguardano il regime di procedibilità, è capace di produrre nell’immediato effetti positivi sul sistema; effetti esattamente contrari a quelli che comporta la sospensione del procedimento a seguito della rimessione alla Corte costituzionale. Emblematico il caso senese: con l’interpretazione conforme, ritenuta impossibile, il procedimento sarebbe stato definito; sollevando la questione, il procedimento rimane pendente e sospeso.

Vi è certo una terza via, suggerita dall’esperienza di chi conosce la prassi: rinviare le udienze a dopo gennaio. E’ una soluzione normativamente non prevista e suggerita dal buon senso, anche per ragioni di economia nella gestione del lavoro del giudice, che però finisce per avere un serio impatto negativo sui tempi del processo penale intasando i ruoli d’udienza del 2023, come in non pochi uffici giudiziari, da quanto ci risulta, già sta avvenendo. Ai fini del PNRR il Governo e il Ministero della Giustizia dovranno esibire presto e periodicamente alla Commissione europea i dati sui tempi medi di definizione dei processi penali. Quei dati, per effetto dell’inopinato rinvio integrale della riforma Cartabia, e di un prevedibile numero di udienze rinviate a dopo gennaio, sono destinati non a migliorare, nell’interesse del Paese, ma a peggiorare. Lo conferma, a noi pare, anche e proprio l’ordinanza annotata.