D.L. 30 aprile 2020, n. 28
1. Il decreto-legge 30 aprile 2020, n. 28 contiene diverse previsioni attinenti al processo penale e al diritto penitenziario. Esso racchiude una serie di norme che trovano giustificazione nella necessità di intervenire su materie interessate direttamente dall’emergenza cagionata dalla pandemia del coronavirus: si allude, in particolare, all’art. 1, che stabilisce l’ennesimo rinvio all’entrata in vigore della nuova disciplina delle intercettazioni di conversazioni e comunicazioni, all’art. 3, concernente la sospensione dei termini processuali di cui al decreto-legge n. 18 del 2020 e agli artt. 4 e 5, per quel che riguarda la giustizia amministrativa e contabile, nonché, infine, all’art. 6, che introduce la disciplina relativa al sistema di allerta Covid-19. Vi è poi una disposizione – quella dell’art. 2 – che può essere ricollegata solo indirettamente alla situazione contingente, perché introduce una modifica non temporanea alla legge di ordinamento penitenziario e, in particolare, al procedimento di applicazione dei permessi e della detenzione domiciliare surrogatoria nel caso di detenuti per reati di cui agli artt. 51 commi 3-bis e 3-quater c.p.p. o sottoposti al regime di sorveglianza speciale dell’art. 41-bis ord. penit.
2. La prima disposizione del decreto-legge introduce un’ulteriore proroga all’entrata in vigore della (controversa) disciplina relativa alle intercettazioni di conversazioni o comunicazioni. La vicenda presenta i tratti del grottesco. Come noto, una prima riforma – operata dal d.lgs. 29 dicembre 2017, n. 216, in attuazione della delega contenuta nell’art. 1 della l. 23 giugno 2017, n. 103 – avrebbe dovuto entrare in vigore il 26 luglio 2018, ma ha subito tre rinvii con altrettanti provvedimenti normativi: la data del 31 marzo 2019 prevista dall’art. 2 del d.l. 25 luglio 2018, n. 91 è stata prorogata al 31 luglio 2019 (art. 1, comma 1139, lett. a della l. 30 dicembre 2018, n. 145) e poi rinviata al 31 dicembre 2019 (art. 9, comma 2, d.l. 14 giugno 2019, n. 53). Con il cambio di maggioranza, all’ultima curva, il governo ha deciso di non limitarsi più a buttare la palla in tribuna in attesa di migliore ispirazione, ma è intervenuto con un provvedimento intitolato (in modo surreale) «Modifiche urgenti alla disciplina delle intercettazioni di conversazioni o comunicazioni»: tra giugno e luglio 2018, subito dopo il varo del Conte I, il Ministro della giustizia esprimeva pubblicamente l’intendimento di avviare una riforma della riforma in tempi brevi[1]. Evidentemente, dopo un anno e mezzo di riflessione, in spregio a qualsiasi logica costituzionale, si è valutato che permanesse la necessità e l’urgenza di intervenire con un decreto-legge, ossia il d.l. 30 dicembre 2019, n. 161[2]. Dopo più di vent’anni di attesa, l’impellenza di rendere finalmente operativa la riforma – che, peraltro, appare tutt’altro che rivoluzionaria[3] – era tale che il governo aveva previsto il via già per la fine di febbraio: essa avrebbe dovuto trovare applicazione ai procedimenti penali iscritti dopo il 29 febbraio 2020 (art. 1). Naturalmente, era un termine irrealistico, tanto da far sorgere il dubbio che fosse stato inserito solo per asseverare l’urgenza dell’intervento e giustificare il ricorso alla decretazione d’urgenza; puntualmente, in sede di conversione, il Parlamento aveva prospettato tempi ragionevolmente più lunghi, facendo slittare l’entrata in vigore tra il 30 aprile e il 1 maggio[4]. Subito dopo l’approvazione della legge è scoppiata la pandemia che ha impedito evidentemente di completare quelle «complesse misure organizzative in atto, anche relativamente alla predisposizione di apparati elettronici e digitali» e di effettuare «le attività di collaudo dei sistemi presso i singoli uffici giudiziari delle Procure della Repubblica» in modo da «giungere all’entrata in vigore della disciplina con le misure organizzative completamente dispiegate e funzionanti»[5]. Così il decreto in esame sposta per l’ennesima volta in avanti le lancette dell’orologio e stabilisce che la nuova normativa si applicherà nell’ambito dei procedimenti penali iscritti dopo il 31 agosto 2020; mentre la disciplina della pubblicabilità dell’ordinanza cautelare si applicherà a partire dal 1° settembre 2020.
Probabilmente, di tutti i rinvii degli ultimi anni, quello previsto dal decreto-legge n. 28 è l’unico dotato di una giustificazione oggettiva e non riconducibile a valutazioni di ordine politico. Resta però l’amara impressione di una vicenda che evoca il capolavoro del teatro dell’assurdo di Samuel Beckett, Aspettando Godot. Chissà se arriverà mai.
3. La disposizione contenuta nell’art. 2 del provvedimento normativo in esame ha carattere squisitamente politico e nasce dalle aspre polemiche politiche ricollegate alle discusse scarcerazioni – avvenute nei giorni scorsi e ricollegate solo indirettamente all’emergenza coronavirus[6] – di esponenti autorevoli di associazioni di stampo mafioso sottoposti al regime detentivo speciale del 41-bis[7].
La risposta dell’esecutivo passa per l’introduzione di alcune modifiche di carattere procedurale alle disposizioni dell’art. 30-bis e dell’art. 47-ter della l. 26 luglio 1975, n. 354.
Con riguardo alla prima, si prevede che, nel caso in cui la richiesta di concessione di permesso sia avanzata da detenuti per uno dei delitti previsti dall’articolo 51, commi 3-bis e 3-quater, c.p.p. l’autorità competente, prima di pronunciarsi, è tenuta a chiedere «il parere del procuratore della Repubblica presso il tribunale del capoluogo del distretto ove ha sede il tribunale che ha emesso la sentenza e, nel caso di detenuti sottoposti al regime previsto dall'articolo 41-bis, anche quello del procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo in ordine all’attualità dei collegamenti con la criminalità organizzata ed alla pericolosità del soggetto». In entrambi i casi, salvo che «ricorrano esigenze di motivata eccezionale urgenza, il permesso non può essere concesso prima di ventiquattro ore dalla richiesta dei predetti pareri».
Analogo lo schema con riguardo alla concessione o alla proroga della detenzione domiciliare in surroga, contemplata dall’art. 47-ter, comma 1-ter, ord. penit. (ossia nei casi in cui potrebbe essere disposto il rinvio obbligatorio o facoltativo dell’esecuzione della pena ai sensi degli artt. 146 e 147 c.p.), posto che il nuovo comma 1-quinquies, inserito in tale disposizione, contempla come obbligatoria la richiesta di un parere sull’attualità dei collegamenti con la criminalità organizzata e sulla pericolosità del soggetto; il parere va richiesto dal tribunale o dal magistrato di sorveglianza soltanto al procuratore distrettuale, laddove si tratti di detenuti per uno dei delitti previsti dall’art. 51, commi 3-bis e 3-quater, c.p.p. e anche al procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo, nel caso di detenuti sottoposti al regime previsto dall’articolo 41-bis, ord. penit. In entrambi i casi, si stabilisce un duplice termine rispettivamente di due e quindici giorni: termine che ha natura acceleratoria per il rappresentante dell’accusa e dilatoria per il giudice di sorveglianza, che potrà decidere prima soltanto se «ricorrano esigenze di motivata eccezionale urgenza», mentre potrà pronunciarsi liberamente se, decorsi detti termini, il parere non sia arrivato.
Al di là delle motivazioni contingenti e strumentali dell’intervento, che rischia di indebolire il ruolo della magistratura di sorveglianza, in un momento delicato nel quale è divenuta bersaglio di ingiustificati attacchi da parte dell’opinione pubblica[8], l’obiettivo perseguito dalle due disposizioni potrebbe essere condiviso in linea teorica. Nel momento in cui si tratta di applicare dei permessi di necessità o la detenzione domiciliare surrogatoria a un detenuto per reati di mafia si prevede un meccanismo – ossia un parere obbligatorio, se reso entro certi termini, ma ovviamente non vincolante[9] – tale da porre il giudice di sorveglianza nelle condizioni di decidere sulla scorta di elementi cognitivi il più completi e aggiornati possibile[10]. Laddove tale parere fosse davvero un veicolo di informazioni dettagliate ed aggiornate, la norma potrebbe essere salutata favorevolmente.
Non si può, peraltro, sottacere più di qualche perplessità al riguardo.
Anzitutto, sul piano normativo, sarebbe stato preferibile configurare il parere come motivato e dettagliato: in tal modo, si sarebbe prescritto al rappresentante dell’accusa di giustificare il proprio convincimento su elementi informativi realmente perspicui ed effettivamente aggiornati, sulla falsariga di quanto previsto (almeno in teoria) dall’art. 4-bis, comma 2, ord. penit. per la concessione di benefici. In assenza di tale obbligo di motivazione, il rischio è che il procuratore distrettuale e quello nazionale si limitino – anche in considerazione delle tempistiche molto strette – a esprimere pareri negativi immotivati, che non aggiungeranno nulla sul piano cognitivo, ma finiranno per aggravare l’onere motivazionale del giudice di sorveglianza. Magari, sul punto, la disposizione potrebbe essere opportunamente integrata in sede di conversione del decreto-legge.
Vanno peraltro segnalati potenziali problemi di coordinamento con la norma dell’art. 4-bis, comma 3-bis ord. penit. che prevede che la concessione dei benefici sia addirittura vietata «ai detenuti ed internati per delitti dolosi quando il Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo o il Procuratore distrettuale comunica, d’iniziativa o su segnalazione del comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica competente in relazione al luogo di detenzione o internamento, l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata».
Come noto, si tratta di una norma assai discutibile sul piano del principio e non proprio perspicua nella sua formulazione[11], sia perché non è chiaro l’ambito di applicazione – che sembrerebbe estendersi a qualsiasi reato e non solo a quelli dell’art. 4-bis ord. penit. –, sia perché sembra attribuire un illegittimo potere di veto al procuratore distrettuale o al procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo, sia, infine, nella parte in cui affida l’attivazione dell’informativa sull’attualità del collegamento con la criminalità organizzata allo stesso organo dell’accusa: è del tutto evidente che, in concreto, costoro non possono conoscere le singole vicende attinenti alle richieste di applicazione di benefici o di misure alternative da parte di detenuti (per reati di cui all’art. 4-bis ord. penit. e non solo) e quindi è sostanzialmente impossibile che si attivino in relazione alle singole istanze. Per questo è difficile ipotizzare che, prima dell’intervento normativo, il procuratore antimafia fosse nelle condizioni di far arrivare l’informativa al giudice di sorveglianza. Ma ciò non è impossibile, soprattutto se si considera che potrebbe essere chiamato in causa dal comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica.
Non sfuggirà dunque che, in relazione ai reati di criminalità organizzata, resta un potenziale conflitto tra le disposizioni. Sembrerebbe doversi comunque ritenere che, nei soli casi contemplati espressamente dai nuovi artt. 30-bis, comma 1 e 47-ter, comma 1-quinquies, non possa trovare applicazione la norma più stringente contemplata dall’art. 4-bis, comma 3-bis, ord. penit.[12].
Sarebbe comunque auspicabile che, in sede di conversione, tale potenziale problema di coordinamento venisse superato[13] e che, soprattutto, fosse esteso l’obbligo del parere anche all’ipotesi di applicazione della misura del rinvio dell’esecuzione di cui agli artt. 146 e 147 c.p.: altrimenti, si potrebbe assistere al paradosso di un giudice di sorveglianza che è obbligato a chiedere il parere al procuratore antimafia quando è in gioco l’applicazione della detenzione domiciliare surrogatoria e può invece prescinderne quando si tratta di disporre il differimento dell’esecuzione[14].
4. La disposizione dell’art. 3 del decreto-legge in esame ha novellato non poche disposizioni contenute nell’art. 83, d.l. 17 marzo 2020, n. 18 (cosiddetto decreto “Cura Italia”)[15], convertito, con modificazioni, dalla l. 24 aprile 2020, n. 27[16], molte delle quali hanno un rilevante impatto sui procedimenti penali.
Sul piano metodologico, va detto che l’intervento suscita forti perplessità se solo si considera che esso è stato approvato dal Consiglio dei Ministri lo stesso giorno della pubblicazione in Gazzetta Ufficiale della citata legge di conversione e a meno di una settimana dall’ultima lettura alla Camera dei Deputati. Il che non fa altro che confermare una situazione di grande confusione legislativa ed alimenta qualche dubbio sull’utilizzo del decreto-legge quale una sorta di “terzo tempo”: a distanza di pochi giorni dal voto sulla legge di conversione di un decreto-legge il Governo ritorna sulla stessa materia introducendo novità non marginali, ma su questioni decisive – come l’ambito di applicazione del processo telematico – e sintomatiche di un (nel caso di specie ragionevole) ripensamento dell’equilibrio tra i diritti di difesa e gli interessi all’accertamento dei reati.
Infatti, sulle misure necessarie per fronteggiare gli effetti negativi dell’emergenza sanitaria COVID-19 in materia di giustizia sono intervenuti prima il d.l. 2 marzo 2020, n. 9 e il d.l. 8 marzo 2020, n. 11[17], poi il citato art. 83, d.l. n. 18 del 2020, e, nelle more di conversione di quest’ultimo, l’art. 36, commi 1 e 2, del d.l. 8 aprile 2020, n. 23[18].
Ciò premesso, tra gli interventi apportati dal decreto-legge in esame, specificamente attinenti alla materia penale, va segnalato prima di tutti – in considerazione del rilievo politico dello stesso – quello rinvenibile nell’art. 3, comma 1, lett. d), il quale ha stabilito un’importante deroga alla disciplina dello svolgimento del procedimento da remoto, sancita, come regola generale, dal comma 12-bis dell’art. 83 d.l. n. 18 del 2020, così come convertito dalla l. n. 27 del 2020. Più specificamente, la nuova previsione prevede l’inapplicabilità delle disposizioni sul procedimento a distanza, «salvo che le parti vi acconsentano, alle udienze di discussione finale, in pubblica udienza o in camera di consiglio e a quelle nelle quali devono essere esaminati testimoni, parti, consulenti o periti».
Del pari, in stretta correlazione con ciò, è stata introdotta un’ulteriore, importante deroga – mediante l’art. 3, comma 1, lett. g), dell’atto de quo – al comma 12-quinquies dell’art. 83. La novella esclude la facoltà, ivi prevista in termini generali, che le deliberazioni collegiali in camera di consiglio vengano svolte a distanza, nelle ipotesi in cui esse facciano seguito alle «udienze di discussione finale, in pubblica udienza o in camera di consiglio, svolte senza il ricorso a collegamento da remoto».
Le due novità vanno salutate positivamente e dimostrano che il Governo ha accolto le istanze formulate dall’avvocatura[19]. Sia il Consiglio Nazionale Forense[20], sia l’Unione delle Camere Penali Italiane[21] si erano, infatti, opposti con forza a qualsiasi forma di “smaterializzazione” del processo, considerata gravemente lesiva dei principi costituzionali e, in particolare, del diritto di difesa e del contraddittorio[22].
Altre disposizioni rilevanti in materia penale sono quelle previste dal comma 1, lett. f), dell’art. 3 del decreto-legge, con cui sono stati introdotti nell’art. 83 i nuovi commi 12-quater.1 e 12-quater.2. La novità normativa, sulla falsariga di quanto già predisposto dai commi 13-15 del medesimo art. 83, interviene nell’ottica di un chiaro favor per il ricorso alle forme del processo penale telematico.
In particolare, la prima disposizione prevede la facoltà, fino al 31 luglio 2020 e nel caso in cui l’ufficio del pubblico ministero ne faccia richiesta, di depositare, con modalità telematica, memorie, documenti, istanze previste dall’art. 415-bis, comma 3, c.p.p., secondo le disposizioni fissate dal Direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati del Ministero della giustizia, anche in deroga alla disciplina vigente. Si tratta certamente di una previsione da salutare con favore. Se, da una parte, essa trova una giustificazione nel limitare il più possibile i contatti tra le persone al fine di fronteggiare l’emergenza emidemiologica, dall’altra parte, può costituire un importante passo avanti nell’informatizzazione del processo penale.
Va ad ogni modo precisato che un limite di non poco conto, che rischia di svuotare di contenuto la novella, va rinvenuto nella scelta di condizionare l’operatività del sistema a uno o più decreti del Ministro della giustizia, i quali sono adottati solo «previo accertamento […] della funzionalità dei servizi di comunicazione dei documenti informatici».
Il nuovo comma 12-quater.2 è costruito in termini analoghi alla previsione appena analizzata. Viene, in particolare, prevista, secondo le medesime condizioni operative sopra descritte, la possibilità di autorizzare, sempre fino al 31 luglio 2020, gli ufficiali e agenti di polizia giudiziaria di «comunicare agli uffici del pubblico ministero atti e documenti in modalità telematica».
Con la lett. a) del comma 1 dell’art. 3 è stato inoltre interpolato il comma 3, lett. b) dell’art. 83. La novella è, in particolare, intervenuta sulla formulazione di una delle categorie di procedimenti considerati urgenti e che, in ragione di ciò, fanno eccezione alla regola generale del differimento delle udienze e della sospensione dei termini di cui ai commi 1 e 2 del medesimo articolo. Più nel dettaglio, le parole «procedimenti nei quali nel periodo di sospensione scadono i termini di cui all’art. 304 del codice di procedura penale» sono state sostituite con quelle «procedimenti nei quali nel periodo di sospensione o nei sei mesi successivi scadono i termini di cui all’art. 304, comma 6 del codice di procedura penale».
La novità sembra così aver superato i problemi interpretativi che aveva sollevato il precedente rinvio al solo art. 304 c.p.p., senza ulteriori specificazioni. Difatti, sebbene una parte degli interpreti avesse interpretato il richiamo generale all’art. 304 c.p.p. come riferito unicamente ai termini massimi di cui al comma 6 della disposizione[23], si erano, al contempo, sviluppate opzioni ermeneutiche differenti[24].
Ebbene, per effetto della novella, si può ritenere che sono sottratti ex lege alla disciplina generale di sospensione tutti i procedimenti in cui i termini di durata massima della custodia cautelare ex art. 304, comma 6, c.p.p. scadono tra il 9 marzo e l’11 maggio 2020[25], nonché nel semestre successivo. Per completezza, va altresì osservato che l’aggiunta alla disposizione dell’inciso «nei sei mesi successivi» pare essere stata dettata da una necessità di coordinamento con il d.l. n. 23 del 2020, il quale aveva già previsto tale estensione temporale[26].
In conclusione, vanno richiamate le modifiche intervenute nell’ambito dei procedimenti penali dinanzi alla Corte di cassazione. L’art. 3, comma 1, lett. e) del decreto-legge n. 28 ha interpolato il comma 12-ter dell’art. 83 del d.l. n. 18 del 2020, il quale prevede, come regola generale, la trattazione di tutti i ricorsi in camera di consiglio con forma de plano, vale a dire «senza l’intervento del procuratore generale e dei difensori delle altre parti». Ebbene, la novella ha esteso la legittimazione a richiedere, per iscritto, la discussione orale alle parti private e al procuratore generale. Prima della modifica, la facoltà era, infatti, limitata alla sola «parte ricorrente».
A chiusura del quadro delineato, è opportuno rilevare che l’intervento normativo, preso atto dell’estensione della pandemia e della necessaria gradualità di ripresa delle attività nella cosiddetta “fase 2”, ha sostituito tutte le parole «30 giugno 2020», contenute nell’art. 83 del d.l. n. 18 del 2020, con quelle «31 luglio 2020».
5. Merita, infine, un cenno l’art. 6 del decreto-legge n. 28, rubricato «sistema di allerta Covid-19». Si tratta, indubbiamente, di una delle previsioni più importanti dell’atto in esame, mediante la quale il Governo ha finalmente dettato una base normativa articolata in punto di applicazioni di tracciamento, finalizzate ad allertare le persone che siano entrate in stretto contatto con soggetti positivi al Covid-19. Ciò che appare indispensabile onde rispettare la riserva di legge imposta dai principi generali in materia di tutela della riservatezza e dei dati personali, tra cui in particolare gli artt. 2 e 117 Cost., 8 C.e.d.u., 7 e 8 Carta di Nizza.
In estrema sintesi, l’Esecutivo ha, a tal proposito, deciso di istituire una piattaforma unica nazionale per la gestione del sistema di allerta dei soggetti che abbiano installato, su base volontaria (un aspetto su cui la previsione in questione meritoriamente insiste a più riprese), siffatte applicazioni, affidando al Ministero della salute la qualità di titolare del trattamento dei dati raccolti.
Per quanto qui rileva, merita in proposito compiere un’unica considerazione, con riguardo al comma 3, laddove si stabilisce, da un lato, un divieto generale di trattamento dei dati personali raccolti con l’applicazione di tracciamento per finalità diverse da quella di avvisare le persone di essere entrate in contatto con un malato, e, da un altro lato, una – assai ridotta e da ritenersi tassativa – serie di eccezioni allo stesso: si stabilisce infatti che è consentito comunque utilizzare siffatte informazioni «per soli fini di sanità pubblica, profilassi, statistici o di ricerca scientifica [corsivo aggiunto]». Ebbene, già a una prima lettura non sfugge che tra le finalità consentite di utilizzo dei dati raccolti tramite applicazioni di tracciamento non compare quella di law-enforcement.
In altre parole, stando alla lettera dell’art. 6, comma 3, del decreto in esame pare che le autorità di contrasto non possano richiedere la trasmissione (oppure comunque avvalersi) dei dati personali raccolti dalle applicazioni di tracciamento al fine di reprimere reati di qualsiasi genere (siano essi comuni o, ad esempio, legati alla violazione delle misure disposte per fronteggiare l’emergenza o, più specificamente, i reati di epidemia dolosa o colposa, di cui agli artt. 438 e 452 c.p.). Si tratta, di certo di un aspetto molto positivo della norma, che potrebbe fugare i dubbi di chi aveva espresso il timore di un utilizzo surrettizio delle applicazioni in questione per motivi di contrasto alla criminalità.
Nondimeno, occorre capire quali possono essere le conseguenze sul piano processuale di un’eventuale violazione di tale regola e, più in particolare, se la stessa possa essere letta quale vero e proprio “divieto probatorio”, ex art. 191 c.p.p. In altre parole, il dubbio al quale si dovrà dare una risposta a seguito di un approfondimento della materia, è il seguente: laddove – in violazione dell’art. 6, par. 2 – venissero comunque impiegati in un procedimento penale dati raccolti tramite un’applicazione di tracciamento anticovid – magari qualificandoli come documento – si potrebbe ritenere che si incorra in un’inutilizzabilità?
Ebbene, su una base della formulazione letterale dell’art. 6, par. 2, del decreto-legge n. 28 la risposta sembrerebbe dover essere positiva: lo stesso infatti, non solo è strutturato in forma di divieto espresso («i dati raccolti [….] non possono essere trattati»), ma racchiude anche un richiamo esplicito al concetto di “utilizzabilità” (consentita soltanto a determinate condizioni).
Per di più, anche sulla base di una lettura attenta delle fonti europee emerge come l’impiego nell’ambito di un procedimento penale corrisponderebbe a un vero e proprio trattamento che dovrebbe rispettare le tutele di cui all’art. 7 e 8 della Carta di Nizza e poi anche quelle della direttiva 2016/680/UE, che altrimenti verrebbero aggirate. In estrema sintesi, ci vorrebbe una disciplina normativa ad hoc, che vada a definire i casi e i modi in cui quei dati personali possono entrare nel procedimento penale in ossequio alla riserva di legge e al principio di proporzionalità (in astratto e concreto).
Non è però del tutto scontato che la giurisprudenza arrivi a considerazioni così rassicuranti. È, del resto, noto che la Cassazione, dal canto suo, partendo dal presupposto secondo cui «solo la violazione delle norme processuali che presidiano alla formazione della prova può dare luogo alla sanzione di inutilizzabilità» afferma costantemente che «le disposizioni contenute nel codice della privacy sono […] imposte a tutela della riservatezza, la cui tutela è sub-valente rispetto alle esigenze di accertamento del processo penale, non costituendo la disciplina sulla privacy (e le relative istruzioni del Garante) sbarramento all’esercizio dell’azione penale»[27]. Un tanto porta a ritenere che non è da escludersi che considerazioni analoghe possano essere traslate anche alla fattispecie in cui il materiale raccolto tramite una app di tracciamento anticovid venga utilizzata per finalità di repressioni di reati (e, pertanto, per uno scopo non formalmente consentito dall’art. 6, par. 2).
Ebbene, per risolvere alla radice questo interrogativo, meglio avrebbe fatto l’esecutivo a stabilire all’interno della previsione de qua un divieto normativo esplicitamente rivolto al processo penale, che togliesse ogni possibile dubbio circa l’inutilizzabilità processuale dei dati personali raccolti per scopi legati alla tutela della salute degli individui. Anche sul punto, magari il Parlamento potrebbe migliorare la disposizione.
[1] Il 22 giugno 2018, intervenendo a un convegno organizzato dal Consiglio Superiore della Magistratura il Ministro della Giustizia aveva dichiarato: «il mio impegno prioritario è capire le linee della riscrittura del provvedimento e su questo avvierò un confronto già la prossima settimana con procure e avvocati» (così, F. Caccia, Bonafede all’Anm: intercettazioni, bloccherò la riforma, in Corriere della Sera, 2018, 23 giugno 2018, p. 11).
[2] In termini giustamente critici sull’uso dello strumento del decreto-legge, W. Nocerino, Prime riflessioni a margine del nuovo decreto legge in materia di intercettazioni, in questa rivista, 1/2020, p. 64; A. Scalfati, Intercettazioni: spirito autoritario, propaganda e norme inutili, in www.archiviopenale.it, 7 gennaio 2020, p. 1.
[3] Il nuovo testo si limita infatti a codificare un assetto desumibile dalle circolari delle Procure, a rivisitare regole già contenute nel codice, in alcuni casi tenendo conto di alcune soluzioni innovative inserite nella riforma Orlando: sulla riforma, cfr. in particolare F. Caprioli, La procedura di filtro delle comunicazioni rilevanti nella legge di riforma della disciplina delle intercettazioni, in Cass. pen., 2020, p. 1384; L. Filippi, D.l. intercettazioni: abrogata la riforma Orlando, si torna all’antico, in Il quotidiano giuridico, 10 gennaio 2020; G. Pestelli, La controriforma delle intercettazioni di cui al d.l. 30 dicembre 2019 n. 161: una nuova occasione persa, tra discutibili modifiche, timide innovazioni e persistenti dubbi di costituzionalità, in questa Rivista, 2/2020, p. 109; D. Pretti, La metamorfosi delle intercettazioni: la contro-riforma Bonafede e l’inarrestabile mito della segretezza delle comunicazioni, in questa rivista, 2/2020, p. 71; Id., La metamorfosi delle intercettazioni, ultimo atto? La legge n. 7/2020 di conversione del d.l. n. 161/2019, ibidem, 2 marzo 2020; G. Santalucia, Il diritto alla riservatezza nella nuova disciplina delle intercettazioni. Note a margine del decreto legge n. 161 del 2019, in questa Rivista, 1/2020, p. 47; G. Spangher, Dl intercettazioni: una controriforma dall’avvio incerto, in Guida dir., 2020, n. 10, p. 14.
[4] V. G. Spangher, La riforma sconta due mesi di proroga, in vigore dal 1° maggio, in Guida dir., 2020, n. 13, p. 34.
[5] Con queste motivazioni era stato giustificato lo slittamento dell’entrata in vigore alla fine di febbraio: v. Relazione tecnica al d.d.l. n. 1659 di conversione in legge del decreto-legge 30 dicembre 2019, n. 161, recante modifiche urgenti alla disciplina delle intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, p. 7. V. al riguardo G. Amato, Un differimento per ragioni tecniche e organizzative, in Guida dir., 2020, n. 6, p. 65.
[6] In particolare, sulla controversa applicazione della misura alternativa della detenzione domiciliare umanitaria da parte del magistrato di sorveglianza di Milano e del Tribunale di sorveglianza di Sassari, si legga A. Della Bella, Emergenza COVID e 41 bis: tra tutela dei diritti fondamentali, esigenze di prevenzione e responsabilità politiche, in questa Rivista, 1 maggio 2020.
[7] Secondo il Ministro della giustizia il governo «ha risposto con un segnale molto forte. Questo decreto che intendiamo approvare va a rafforzare ulteriormente il contrasto alle mafie nel pieno rispetto della magistratura»: così, in L. De Carolis, “Sui boss fuori non ho colpe. Ora parere dei pm antimafia”, in Il Fatto Quotidiano, 30 aprile 2020, p. 9. V. anche L. Milella, Bonafede: "Stasera via libera al decreto legge contro le scarcerazioni facili dei boss". Ma è scontro, in www.repubblica.it, 29 aprile 2020.
[8] Cfr. il Comunicato del Coordinamento nazionale magistrati di sorveglianza (CONAM), adottato il 28 aprile 2020: http://www.ristretti.it/commenti/2020/aprile/29aprile.htm.
[9] È del tutto evidente che la previsione del carattere vincolante del parere del procuratore sarebbe palesemente incostituzionale per violazione degli artt. 13, 27 comma 3 e 101, comma 2, Cost. D’altronde, dottrina e giurisprudenza sono sostanzialmente unanimi nel configurare le informazioni del Comitato per l’ordine pubblico e la sicurezza, nonché la stessa informativa del procuratore distrettuale o nazionale come non vincolanti (si legga, L. Caraceni, Commento all’art. 4 bis, in F. Della Casa - G. Giostra, Ordinamento penitenziario commentato, Cedam, 6a ed., Padova, 2019, p. 85 ss.; A. Marandola, Commento all’art. 4-bis, in L’esecuzione penale. Ordinamento penitenziario e leggi complementari, a cura di F. Fiorentin e F. Siracusano, Milano, 2019, p. 78, 81).
[10] In senso contrario si è espresso il presidente emerito della Consulta G.M. Flick, secondo il quale la sola circostanza di dover chiedere il parere al procuratore antimafia fa «precipitare il piatto della bilancia tutto dalla parte delle esigenze di sicurezza sociale. È come se ci fosse una chiara scelta di considerare il diritto alla salute nettamente subordinato a tali esigenze» (V. E. Novi, Giovanni Maria Flick: “Al 41bis la salute è un optional, diritti banditi dal carcere”, in Il Dubbio, 1 maggio 2020).
[11] Cfr., tra i tanti, E. Bertolotto, Le competenze penitenziarie della procura antimafia introdotte dal d.l. n. 306/92: configurabilità di un potere di veto o di una mera collaborazione a fini probatori?, in Cass. pen., 1993, p. 2387; F. Della Casa, Le recenti modificazioni dell’ordinamento penitenziario: dagli ideali smarriti della “scommessa” anticustodialistica agli insidiosi pragmatismi del “doppio binario”, in Aa.Vv., L’ordinamento penitenziario tra riforme ed emergenza, a cura di V. Grevi, Padova, 1994, p. 132; V. Grevi, Premessa. Verso un regime penitenziario progressivamente differenziato: tra esigenze di difesa sociale ed incentivi alla collaborazione con la giustizia, in Aa.Vv., L’ordinamento penitenziario, cit., p. 11; P.C. Iovino, Osservazioni sulla recente riforma dell’ordinamento penitenziario, in Cass. pen., 1993, p. 1265; A. Presutti, La disciplina del procedimento di sorveglianza dalla normativa penitenziaria al nuovo codice di procedura penale, in Riv. it. dir. proc. pen., 1993, p. 135, nt. 18.
[12] Secondo la giurisprudenza, infatti, il giudice può disattendere la valutazione del procuratore nazionale o distrettuale antimafia, ma solo all’esito di uno specifico vaglio da parte del medesimo, con la conseguenza che l'omissione di tale doveroso scrutinio comporta la nullità del provvedimento di concessione di benefici (v. Cass., sez. I, 20 marzo 2015, n.16374, in DeJure).
[13] Analogamente, G. Santalucia, Un altro decreto legge – n. 28 del 30 aprile 2020 – in materia di giustizia penale per l’emergenza sanitaria e non solo, in https://www.giustiziainsieme.it/it/diritto-dell-emergenza-covid-19/1053-decreto-legge-30-aprile-2020-n-29?hitcount=0.
[14] Al riguardo, cfr. anche A. Della Bella, Emergenza COVID e 41 bis, cit.
[15] Per un commento al d.l. n. 18 del 2020, con particolare riferimento alle disposizioni che interessano la materia penale, cfr. E. Dolcini – G.L. Gatta, Carcere, coronavirus, decreto “cura Italia”: a mali estremi, timidi rimedi, in questa Rivista, 20 marzo 2020; L. Fidelio – A. Natale, Emergenza COVID-19 e giudizio penale di merito: un catalogo (incompleto) dei problemi, in Quest. giust., 16 aprile 2020; G. Picaro, Il virus nel processo penale. Tutela della salute, garanzie processuali ed efficienza dell'attività giudiziaria nei d.l. n. 18 e n. 23 del 2020, in questa Rivista, 17 aprile 2020; G. Santalucia, L’impatto sulla giustizia penale dell’emergenza da COVID-19: affinamenti delle contromisure legislative, in Giustizia insieme, 18 marzo 2020.
[16] In merito, v. G.L. Gatta – F. Lazzeri, Emergenza Covid e processo penale 'da remoto'. In G.U. la legge di conversione del D.L. n. 18/2020 ("cura Italia"), in questa Rivista, 30 aprile 2020.
[17] In merito, v. G. Battarino, Misure straordinarie ed urgenti per contrastare l’emergenza da COVID-19, in Quest. giust., 9 marzo 2020; F. Lazzeri, Il decreto-legge 11/2020 su “coronavirus”, attività giudiziaria e carcere: le nuove misure a livello nazionale, in questa Rivista, 9 marzo 2020.
[18] V. B. Petralia, Emergenza COVID-19, processo penale e proroga dei termini all’11 maggio 2020: note sparse sull’art. 36 del d.l. n. 23 dell’8 aprile 2020, in questa Rivista, 15 aprile 2020.
[19] Cfr. la presa d’atto della Giunta dell’Unione delle Camere Penali Italiane, con la quale è stato salutato con favore il forte ridimensionamento della disciplina generale sulla celebrazione del procedimento penale da remoto. I due comunicati, datati 29 e 30 aprile 2020, sono rinvenibili al sito ufficiale dell’UCPI https://www.camerepenali.it/.
[20] Cfr. la lettera inviata dal Presidente del CNF Masi al Ministro della giustizia, 29 aprile 2020, consultabile nel sito ufficiale del CNF https://www.consiglionazionaleforense.it/.
[21] V. lo stato di agitazione deliberato dall’Unione delle Camere Penali Italiane in data 24 aprile 2020, consultabile in https://www.camerepenali.it/.
[22] In argomento, v. le riflessioni espresse da V. Maiello, La smaterializzazione del processo penale e la distopia che diventa realtà, in Arch. pen., 2020, n. 1 (versione web).
[23] Cfr. L. Fidelio – A. Natale, Emergenza COVID-19 e giudizio penale di merito, cit.; G. Picaro, Il virus nel processo penale, cit.
[24] Per un quadro generale sui contrasti interpretativi sorti sul punto, si vedano L. Fidelio – A. Natale, Emergenza COVID-19 e giudizio penale di merito, cit.
[25] La data dell’11 maggio 2020 è stata, in particolare, prevista dal d.l. n. 23 del 2020. Va, peraltro, osservato che l’art. 83, commi 1 e 2, d.l. n. 18 del 2020, convertito dalla l. n. 27 del 2020 continua a fare riferimento al 15 aprile 2020. Sicché sono emerse preoccupazioni in merito ai dubbi interpretativi che potrebbero eventualmente sorgere da un difetto di coordinamento delle due previsioni: cfr. Dossier del Servizio studi del Senato e della Camera dei deputati, Misure per fronteggiare l'emergenza epidemiologica da Covid-19 cd. “Cura Italia”, Volume II – Articoli 71-127, 22 aprile 2020, pp. 105 e 106.
[26] V. art. 36, comma 2, d.l. 8 aprile 2020, n. 23.
[27] Testualmente, Cass., sez. II, 21 aprile 2017, n. 28367, in DeJure, la quale però si riferiva a un’ipotesi (ben diversa) di utilizzo di video riprese realizzate all’interno, all’esterno di un ufficio postale e in strada, pur in mancanza dell’apposizione dell’avviso “area video sorvegliata” prescritto dagli artt. 11 e 13 del D.Lgs. n. 196 del 2003. Analogamente, Cass., sez. II, 31 gennaio 2013, n. 6812, ibidem.