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19 Febbraio 2021


La Consulta nuovamente chiamata a pronunciarsi sulla detenzione domiciliare speciale per condannate madri

Mag. Sorv. Siena, ord. 1° febbraio 2021, est. Venturini



1. La Corte costituzionale dovrà ancora una volta sottoporre a scrutinio la disciplina della detenzione domiciliare speciale per le condannate madri. Il Magistrato di sorveglianza di Siena ha, infatti, sollevato questione di legittimità costituzionale dell’articolo 47-quinquies, della legge 26 luglio 1975, n.354 (norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà) nella parte in cui non prevede che il magistrato di sorveglianza possa applicare in via provvisoria e urgente la detenzione domiciliare speciale a norma dell’art. 47-ter, comma 1-quater, della medesima legge, per contrasto con gli artt. 3, 27 comma 3, 30, 31, 117, comma 1, della Costituzione[1]. L’atto di promovimento del giudice senese s’inserisce in quella corale attivazione della Cassazione, dei giudici di merito e di sorveglianza all’indomani del deludente esito della breve stagione riformatrice avviatasi con gli Stati generali dell’esecuzione penale e mestamente conclusasi con la “riforma penitenziaria dimezzata”. Allo sfortunato epilogo di un percorso riformatore che pure aveva suscitato molte aspettative, deluse dai decreti attuativi della legge delega in materia penitenziaria che hanno recepito solo una piccola parte delle articolate proposte di riforma elaborate dalla Commissione ministeriale istituita nel 2017 (“Commissione Giostra”)[2], ha risposto la polifonica voce con cui sempre più numerosi giudici hanno invocato l’intervento della Consulta su quei più evidenti profili di contrasto del nostro sistema di esecuzione penale con i principi costituzionali che il pieno recepimento delle proposte attuative della legge delega n.103/2017 avrebbe - se non del tutto - certamente in buona parte contribuito a superare. La prospettiva riformatrice inaugurata con gli Stati Generali dell’esecuzione penale nel 2015 e proseguita, nel 2017, con i lavori della Commissione Giostra vive, dunque, una sorta di “rinascita culturale” nelle pronunce costituzionali degli ultimi anni, quasi che il testimone dell’ideale riformatore sia idealmente passato al Giudice delle leggi. L’imponente elaborazione della giurisprudenza costituzionale sembra, infatti, autorevolmente riecheggiare alcune delle proposte trasfuse nell’articolato progetto di riforma organica dell’ordinamento penitenziario, attuativa dei princìpi della legge-delega, proposta agli interlocutori istituzionali dalla Commissione Giostra e da questi ultimi lasciata cadere[3]. Non è un caso, quindi, che anche la quaestio sollevata dal magistrato toscano involga un profilo critico della disciplina penitenziaria che aveva trovato attenzione nei lavori della commissione ministeriale con una proposta di modifica dell’art.47-quinquies, comma 1, ord. penit., mirata a consentire –  in consonanza con i principi espressi dalla sentenza costituzionale n.350 del 2003 – l’applicazione della detenzione domiciliare speciale “fin dall’inizio dell’esecuzione se l’interesse superiore del minore lo richiede e non sussiste un concreto pericolo di fuga”[4]. Insieme a molte altre, anche questa indicazione della “Commissione Giostra” era rimasta, tuttavia, inascoltata[5].

 

2. Non è la prima volta che la Consulta è chiamata a pronunciarsi sulla disciplina della detenzione domiciliare speciale: la disposizione dell’art.47-quinquies della legge penitenziaria è stata, infatti, reiteratamente sottoposta al vaglio di costituzionalità, a volte senza esito[6], più spesso uscendo dal crogiolo costituzionale modellata dalla sempre più penetrante sensibilità dimostrata dai giuristi e dal Giudice delle leggi nei confronti dei diritti fondamentali afferenti alla tutela dell’infanzia e della genitorialità[7]. Tratto comune di tutte le pronunce della Corte intervenute sulla disciplina della detenzione domiciliare speciale è il loro concentrarsi sui profili sostanziali di concessione della misura speciale ovvero sulle preclusioni ostative all’applicazione del beneficio. Da questa prospettiva, il peculiare profilo che caratterizza la quaestio sollevata dalla giudice di sorveglianza senese attiene al diverso ambito – quello procedurale – che l’ordinanza di rimessione individua quale oggetto del vaglio di costituzionalità: la “messa a regime costituzionale”, cioè, della procedura che regola la somministrazione del beneficio e la correlata possibilità, per il  magistrato di sorveglianza, di applicare in via provvisoria e urgente la misura domiciliare speciale, anteriormente all’udienza davanti al tribunale di sorveglianza. E’, questo, un profilo particolarmente interessante, anche per la dimensione sistematica coinvolta. L’esito del giudizio di costituzionalità – se favorevole alla prospettazione del giudice a quo – potrebbe, infatti, ulteriormente ampliare quello che, già attualmente, costituisce un articolato sottosistema del diritto processuale penitenziario, comprendente numerosi procedimenti sommari di competenza dell’organo monocratico, caratterizzati da cognitio sommaria sulla sussistenza del fumus di fondatezza della domanda e sull’urgenza (periculum) correlata al pericolo di verificazione di un grave e attuale pregiudizio alla posizione soggettiva dell’interessato, che potrebbe verificarsi nelle more della decisione definitiva assunta dall’organo collegiale, le cui tempistiche di decisione possono non infrequentemente essere incompatibili con la salvaguardia del bene giuridico che la norma invocata mira a tutelare (su tale profilo, cfr. espressamente la sentenza costituzionale n.74/2020 su cui v. infra).

 

3. Venendo ora a esaminare più da vicino la fattispecie, essa riguarda un condannato, padre di una minore infradecenne, in cui favore la difesa aveva chiesto l’applicazione in via provvisoria della detenzione domiciliare speciale, allegando sia l’avvenuta espiazione della quota di pena prevista dal comma 1, art.47-quinquies, ord. penit., per l’accesso alla misura, sia la condizione di impossibilità della madre a prendersi adeguatamente cura della minore[8],  rappresentando, inoltre, il rischio di un pregiudizio grave per la propria figlia e per il pieno esercizio della propria genitorialità dovuto al protrarsi della detenzione in carcere in attesa della pronuncia del tribunale di sorveglianza, destinata a intervenire solo dopo mesi dalla presentazione dell’istanza. Nel sistema vigente, pur sussistendo astrattamente tutti i presupposti normativi per la concessione del beneficio richiesto, il magistrato di sorveglianza non può, tuttavia, applicare in via provvisoria il beneficio (a differenza di quanto avviene negli altri casi di detenzione domiciliare), poiché l’art. 47-quinquies l. 354/75 non prevede espressamente un tale esito procedurale. Rileva, al proposito, il giudice a quo che la evocata disposizione penitenziaria indica, al comma 3, la competenza del tribunale di sorveglianza a disporre la detenzione domiciliare speciale, senza nulla prevedere con riferimento alla possibilità di applicazione provvisoria da parte del magistrato di sorveglianza. Tale lacuna – osserva il magistrato rimettente – caratterizza negativamente la disciplina della detenzione domiciliare speciale rispetto alle altre misure alternative previste dalla l.354/75. Queste ultime, infatti, contemplano tutte la possibilità di essere applicate in via “cautelativa” dal giudice monocratico[9]. Delle due misure che tale meccanismo non prevedevano (semilibertà “surrogatoria” di cui all’art.50, comma 2, ord. penit. e, appunto, la detenzione domiciliare speciale) la prima è stata oggetto della pronuncia costituzionale n.74/2020, in seguito alla quale è divenuto possibile l’intervento del magistrato in via provvisoria e urgente[10]; per la seconda, invece, la ravvisata criticità resta tuttora attuale: rimane, in altri termini, solo l’art. 47-quinquies a non contenere alcuna testuale disposizione sull’applicazione provvisoria del beneficio, né – rileva il magistrato senese – tale possibilità, pure prevista per gli altri casi di detenzione domiciliare dall’art.47-ter, comma 1-quater, ord. penit. potrebbe essere desunta in via di applicazione estensivo-analogica, sia pure in bonam partem, della appena evocata disposizione penitenziaria: tale ipotesi ermeneutica resterebbe, infatti, preclusa dall’impossibilità di rintracciare in materia penitenziaria un principio generale che consenta al magistrato di sorveglianza l’applicazione in via provvisoria delle misure alternative. A riprova, il fatto che si è reso necessario l’intervento additivo del Giudice delle leggi – con la già ricordata sentenza n.74/2020 – per estendere alla semilibertà “surrogatoria” dell’affidamento in prova la possibilità, non espressamente prevista, dell’intervento “cautelare” del magistrato monocratico. Per converso, la l. 40/2001, che ha introdotto la detenzione domiciliare speciale, mentre ha integrato l’art. 70 ord. penit., con l’espressa menzione della suddetta misura tra quelle concedibili da parte del tribunale di sorveglianza, nulla ha previsto circa un analogo potere esercitabile in via “cautelare” dal magistrato di sorveglianza né, del resto, una tale competenza potrebbe essere ricavata in via generale dal riferimento dell’art.69 ord. penit. alle attribuzioni dell’organo monocratico, ove si richiamano, con una generica formula di chiusura, le “altre funzioni attribuitegli dalla legge”. Che la regola effettivamente sia, nel sistema vigente, l’attribuzione al tribunale di sorveglianza della competenza a concedere le misure alternative è, altresì, confermato – continua il ragionamento del giudice senese - dal fatto che, pur essendosi valutata in sede di riforma penitenziaria la possibilità di traslare parzialmente al magistrato di sorveglianza tale competenza, anche in funzione deflattiva del carico dell’organo collegiale e di velocizzazione dei procedimenti, con il D. lgs 123/2018 il legislatore si è limitato a introdurre un rito “semplificato”, che si risolve in ogni caso con una decisione formalmente assunta dal tribunale di sorveglianza, sia pure per mezzo di uno dei suoi componenti (il giudice relatore: art. 678, comma 1-ter, c.p.p.). Ne deriva – così conclude sul punto la rimettente – che il magistrato monocratico può applicare misure alternative disciplinate dalla l. 354/75 nei soli casi espressamente previsti, risultando così confermata la deteriore disciplina che contraddistingue, sotto tale profilo, la detenzione domiciliare speciale rispetto alle altre misure alternative. Tale ravvisata differenza appare al magistrato rimettente ingiustificata e causa di «… un “vulnus” rilevante a diritti di prioritaria importanza».

 

4. La questione di costituzionalità è prospettata dal giudice a quo sotto i seguenti, articolati profili:

contrasto con l’art. 3 Cost.: appare priva di valida giustificazione l’esclusione della detenzione domiciliare speciale dal meccanismo di applicazione provvisoria, a fronte della primaria rilevanza costituzionale e convenzionale attribuita alla tutela dell’infanzia[11], così come già affermato dalla stessa giurisprudenza costituzionale (sent. n. 239/2014) che ha assegnato rilievo prioritario all’interesse del minore d’età, quale soggetto debole, distinto dal condannato e particolarmente meritevole di protezione, nella prospettiva di favorire l’instaurazione di un rapporto quanto più possibile “normale” con la madre (o eventualmente con il padre) in una fase nevralgica del suo sviluppo ed ha evocato proprio il parametro costituzionale dell’art.3 Cost. oltre ai beni giuridici parimenti tutelati a livello costituzionale ricordati dal giudice rimettente (tutela della famiglia, diritto-dovere di educazione dei figli, protezione dell’infanzia: artt. 29, 30 e 31 Cost.)[12]. Elementi di irragionevolezza emergerebbero, inoltre, ad avviso del giudice a quo, se si assumono quale tertium comparationis le disposizioni dell’art. 47-ter, comma 1 lett. a) e b), ord. penit., poiché per tali ipotesi è, bensì, prevista quella possibilità di applicazione provvisoria del beneficio che non è, invece, consentita nel caso della detenzione domiciliare speciale, che pure condivide con le prime la medesima finalità di tutela della prole di tenera età;

violazione dell’art.30 Cost.: la mancata previsione dell’applicazione provvisoria della detenzione domiciliare speciale non appare coerente con il principio costituzionale che tutela i figli, prevedendo che si individuino modalità di assistenza nei loro confronti, laddove necessario;

contrasto con l’art.31 Cost.: il vulnus individuato dal giudice rimettente lede il principio costituzionale posto a tutela della famiglia e dei diritti dei minori, considerati anche nella sentenza n.187/2019 con cui la Consulta ha riaffermato “la speciale rilevanza dell’interesse del figlio minore a mantenere un rapporto continuativo con ciascuno dei genitori”;

- contrasto con l’art.117, comma 1, Cost.: la carenza individuata nella disciplina dell’art.47-quinquies si traduce in una violazione della normativa internazionale che sancisce la tutela del “superiore interesse del fanciullo”;

- violazione dell’art.27, comma 3, Cost.: la disposizione censurata non appare, infine, conforme al principio che impone l’ “umanità” dell’esecuzione della pena, laddove impone al condannato detenuto per il quale vi sono tutti i presupposti di accesso alla misura domiciliare speciale di attendere i tempi di decisione del tribunale di sorveglianza senza che gli sia consentito l’immediato accesso al beneficio esterno. Si nota, per inciso, che, nel caso di attivazione del subprocedimento “cautelare”, il presupposto del “grave pregiudizio” che giustifica l’applicazione provvisoria della misura ben possa consistere nella tempistica necessaria al tribunale di sorveglianza per l’esame della domanda, incompatibile con la salvaguardia della posizione soggettiva del condannato[13].

 

5. Provando ora a ipotizzare i possibili esiti della vicenda, non pare, anzitutto, che possano configurarsi seri rischi che la dedotta questione di costituzionalità possa non superare il vaglio di ammissibilità. Sotto il profilo della rilevanza, invero, non può costituire elemento ostativo la circostanza che la pronuncia della Corte possa intervenire successivamente alla decisione del tribunale di sorveglianza chiamato a decidere in via definitiva sull’applicazione della misura speciale. La  rilevanza della quaestio va, infatti, valutata ante iudicium, poiché, diversamente opinando, si finirebbe per sottrarre allo scrutinio di costituzionalità interi settori dell’ordinamento, connotati appunto dal carattere urgente dell’intervento magistratuale, senza contare che, nel caso di specie, nell’ipotesi in cui l’organo collegiale negasse la concessione del beneficio, permarrebbe comunque l’interesse del condannato ad ottenere una pronuncia in linea con la prospettazione del giudice rimettente[14].

 

6. Con riguardo alla non manifesta infondatezza, il primo ostacolo potrebbe porsi per la possibilità che la Corte costituzionale ritenga la dedotta questione inammissibile per l’esistenza di un consolidato diritto vivente favorevole alla possibilità di applicazione in via provvisoria, da parte del magistrato di sorveglianza, della detenzione domiciliare speciale. Si tratta, tuttavia, di una possibilità remota, dal momento che, nella prassi applicativa, i casi di interpretazione analogico-estensiva del disposto di cui al comma 4, art.47, ord. penit., alla detenzione domiciliare speciale sono rimasti ristretto appannaggio di una giurisprudenza minoritaria e che il diritto vivente non ha, dunque, seguito gli auspici che pure si sono registrati in dottrina[15].

 

7. È, altresì, poco probabile che la Corte possa orientarsi per una decisione interpretativa di rigetto adottando, cioè, una lettura della disposizione censurata che individua una norma compatibile con la Costituzione[16]. A tale approdo osta, infatti, l’inequivocabile dato testuale che – omettendo nel caso dell’art.47-quinquies qualsiasi riferimento alle disposizioni in materia di intervento in via provvisoria e urgente del magistrato di sorveglianza - pare indicativo della volontà del legislatore di sottrarre la detenzione domiciliare speciale all’intervento “cautelare” dell’organo monocratico e sembra, dunque, precludere alla Corte l’adozione di una lettura alternativa a quella che il giudice a quo ha individuato e che ha ritenuto non conforme ai principi costituzionali.

 

8. Nel caso in esame, in definitiva, pare residuare un’alternativa secca tra la declaratoria di infondatezza della questione, ovvero di una pronuncia additiva in accoglimento della prospettazione indicata dalla rimettente. Vi sono alcuni buoni argomenti per ritenere che la Corte possa orientarsi per quest’ultima soluzione. Anzitutto, occorre premettere che, nell’attuale configurazione, l’art.47-quinquies non assicura la piena tutela dell’interesse del fanciullo di tenera età a crescere accudito da entrambi i genitori in un ambiente estraneo al carcere, in particolare per due profili critici della disciplina in esame: l’impossibilità, per il condannato, di ottenere la misura domiciliare speciale dalla libertà (occorre, infatti, avere espiato un quantum di pena prima di potervi accedere) e – appunto – l’assenza di uno strumento che consenta l’applicazione provvisoria e urgente del beneficio in favore del genitore detenuto, qualora ricorrano tutti i presupposti di concedibilità della misura. Si tratta, per certi versi, di un vero paradosso, poiché entrambi tali criticità non sono, invece, presenti in due istituti parimenti dedicati alle medesime preminenti finalità della cura della prole di tenera età: si allude al differimento dell’esecuzione della pena (art.147, comma 1, n.3), c.p. in coordinamento con l’art.684, comma 2, c.p.p.) e alla detenzione domiciliare ordinaria nei casi indicati nelle lett. a) e b) dell’art.47-ter, ord. penit. Entrambi i benefici appena ricordati, infatti, sono applicabili anche dalla libertà e sono concedibili anche in via provvisoria e urgente dal magistrato di sorveglianza. Come è noto, il primo profilo critico è stato, in parte, sanato in seguito alla modifica normativa intervenuta per effetto della l. 62/2011 che ha inserito nell’art.47-quinquies il comma 1-bis, a cui mente la quota di pena che deve essere necessariamente espiata dalla persona condannata prima di accedere alla detenzione domiciliare speciale può essere eseguita presso un ICAM ovvero – se non sussistano prevalenti esigenze preventive - in ambiente extracarcerario (privata dimora, luogo di cura  e assistenza o casa famiglia protetta). Il secondo aspetto critico resta, al contrario, ancora presente, a marcare una differenza che non pare giustificata alla luce della medesima ratio che accomuna detenzione domiciliare ordinaria e speciale e delle identiche finalità che i due istituti perseguono sotto il profilo della tutela dell’infanzia. La stretta omogeneità tra le due misure si coglie – come ricorda la già evocata sentenza costituzionale n.239/2014 – «fin dall’incipit della norma speciale («Quando non ricorrono le condizioni di cui all’articolo 47-ter»), che assume natura “sussidiaria” e “complementare” rispetto alla detenzione domiciliare “ordinaria” (e segnatamente a quella prevista dal comma 1, lettere a e b, del citato art. 47-ter), trovando applicazione in assenza dei presupposti che legittimano il ricorso a quest’ultima (attualmente, nell’ipotesi, cioè, che la pena in concreto da eseguire superi il limite dei quattro anni di reclusione).»  Ancora, il Giudice delle leggi ha rilevato che la ratio sottesa alla tipologia “speciale” di detenzione domiciliare è quello di consentire la miglior tutela dell’interesse della prole anche nel caso dei genitori condannati a pene di estensione superiore ai quattro anni o alla pena dell’ergastolo (al proposito, la stessa pronuncia n.239/2014 ricorda che «il senso dell’estensione si rinviene nel rilievo preminente dell’interesse dei bambini, che non devono essere eccessivamente penalizzati dalla differenza di situazione delle rispettive madri in riferimento alla gravità dei reati commessi ed alla quantità di pena già espiata (sentenza n. 177 del 2009).» La rilevata, “quasi omogeneità” tra le due misure domiciliari in raffronto si salda, dunque, nella convergente prospettiva di assicurare al preminente interesse dei minori alle cure genitoriali quella massima tutela imposta non solo dalla Carta costituzionale ma anche dalle fonti convenzionali che anche il magistrato di sorveglianza senese evoca nell’ordinanza di rimessione.  Se, dunque – parafrasando il dictum costituzionale - assume un rilievo del tutto prioritario l’interesse di un soggetto debole, distinto dal condannato e particolarmente meritevole di protezione, quale è il minore in tenera età, ad instaurare un rapporto quanto più possibile “normale” con la madre (o, eventualmente, con il padre) in una fase nevralgica del suo sviluppo, allora appare privo di ragionevole giustificazione – alla luce dell’art. 3 Cost. – il trattamento differenziato e deteriore attribuito dall’attuale configurazione dell’art.47-quinquies, sotto il profilo della possibilità di applicazione provvisoria della misura speciale, giustificato solamente in ragione del quantum di pena da espiare. Tale asserto appare ancor più valido riflettendo che non è (più) dirimente a differenziare i due istituti, dopo la sentenza costituzionale n.239/2014, né il titolo di condanna, né la valutazione del pericolo di recidiva (elemento di valutazione – quest’ultimo – espressamente indicato nella disposizione speciale ma immanente al giudizio sulla personalità del soggetto che il giudice di sorveglianza è chiamato a esprimere in ogni procedimento finalizzato alla concessione di una misura alternativa alla detenzione), né, infine, la meritevolezza del condannato (il beneficio domiciliare, sia nella versione ordinaria che speciale, pur non essendo estraneo alla finalità di risocializzazione del condannato, non è fondato su una valutazione di meritevolezza del medesimo in rapporto alla progressione trattamentale eventualmente effettuata). Tale ingiustificato trattamento deteriore incide anche sugli altri valori costituzionali evocati dal giudice rimettente e, precisamente su quelli presidiati dagli artt. artt. 29, 30 e 31 Cost., posti a tutela della famiglia, del diritto-dovere di educazione dei figli, della protezione dell’infanzia. La considerazione della natura preminente riconosciuta alla tutela del minore infradecenne in rapporto alle cure parentali di entrambi i genitori, che caratterizza ed accomuna le diverse tipologie di detenzione domiciliare dovrebbe, invero, consentire di superare ogni possibile dubbio sulla corretta individuazione del tertium comparationis, indicato dal giudice rimettente nella fattispecie di cui alle lett. a) e b), art. 47-ter ord. penit. (detenuti, genitori di prole di tenera età, condannati a pena non superiore a quattro anni).

 

9. Un’obiezione da tenere in conto rispetto a tale profilo riguarda il profilo della valutazione delle esigenze preventive: il pericolo di reiterazione di condotte di reato in capo ai soggetti condannati ad una pena superiore (quelli, cioè, che potrebbero fruire della detenzione domiciliare speciale ma non di quella ordinaria, poiché condannati ad una pena superiore ai quattro anni) sarebbe – nel caso della detenzione domiciliare speciale – più rilevante e imporrebbe, pertanto, un trattamento differenziato anche dal punto di vista procedurale, riservando la concessione della misura speciale all’esclusivo vaglio del tribunale di sorveglianza. Si tratta, tuttavia, di un argomento solo apparentemente meritevole di essere secondato, poiché – a ben considerare – esso appare intrinsecamente debole sotto il profilo della coerenza logica. E’, invero, agevole confutare, alla luce dell’id quod plerumque accidit, l’assunto che la pericolosità sociale (intesa quale concreta e attuale probabilità che un soggetto compia nuovi fatti previsti dalla legge come reato) sia in concreto misurabile esclusivamente sulla base del dato quantitativo costituito dalla pena residua da espiare (lo si ribadisce: una volta venuta meno qualsiasi rilevanza del titolo di reato a differenziare le due ipotesi – quella ordinaria e quella speciale - in raffronto). In altri termini: non sussiste un’invariabile corrispondenza biunivoca tra pericolosità soggettiva ed entità della pena da scontare. Basti porre in comparazione due situazioni che frequentemente vengono valutate nella prassi: da un lato, una giovane madre il cui stile di vita è connotato, fin dalla giovanissima età e addirittura fino a data prossima alla intervenuta carcerazione, dalla commissione pressoché continua di reati contro il patrimonio, e che si trova incarcerata per espiare una condanna cumulata di cinque anni di reclusione per molti furti commessi perlopiù operando con le modalità del borseggio o del furto al domicilio; dall’altro, una donna, condannata ad una pena ancor più consistente per un unico episodio di importazione – nelle vesti di “corriere della droga” - di sostanza stupefacente, commesso per pagarsi il viaggio di sola andata dal proprio Paese in Sudamerica verso l’Italia, compiuto molti anni or sono e mai più reiterato dopo lo stabile radicamento nel territorio italiano, coronato da uno stabile inserimento lavorativo come badante, dal matrimonio con un cittadino italiano e dalla formazione di uno stabile nucleo familiare. Orbene, a prescindere dal concreto ammontare della condanna cumulata del primo caso e alla più rilevante pena che la seconda deve scontare, è molto probabile che sarà proprio quest’ultima e non la prima a essere valutata favorevolmente sotto il profilo del giudizio prognostico sulla probabilità di commissione di nuovi reati. In altri termini, un corretto bilanciamento delle esigenze preventive con quelle (comunque preminenti) dell’interesse del minore deve essere operato non già con riguardo ad astratte parametrazioni a indici presuntivi (quali appunto il riferimento al mero dato della quantità della pena da espiare, non necessariamente espressivo della pericolosità attuale della persona) bensì affidandolo – così come già afferma la giurisprudenza costituzionale (sentenza n.177 del 2009) – alla valutazione che il giudice opera nel singolo caso, avuto riguardo alla attenta ponderazione di tutti gli elementi penologici rilevanti in concreto. Il bilanciamento dei valori in gioco rapportato al singolo caso e all’attualità è regola di giudizio costituzionalmente imposta, mentre è da considerarsi fuori del perimetro costituzionale ogni valutazione fondata esclusivamente su automatismi normativi. E’ questa, del resto, la prospettiva adottata in un caso, per così dire, speculare a quello esaminato dall’ordinanza del Magistrato di sorveglianza di Siena (questa volta, infatti, è stata la disciplina “speciale” ad essere estesa a quella “ordinaria”), che ha portato la Corte ad equiparare, sul piano delle conseguenze dell’indebito allontanamento dal luogo di esecuzione della misura domiciliare, la condotta realizzata, rispettivamente, dalla persona ammessa al beneficio ordinario e a quello speciale[17].

 

10. Sotto altro profilo, appare, inoltre, fortemente dubbio – come già si è accennato – che il requisito dell’accertamento dell’assenza del pericolo di commissione di nuovi delitti, esplicitato nell’art. 47-quinquies possa considerarsi presupposto esclusivo di tale speciale beneficio, così da giustificare, in tesi, un trattamento differente tra i due istituti qui in raffronto sul piano delle procedure applicative. Infatti, già l’evocata sentenza costituzionale n.177 del 2009 afferma, ponendo a raffronto le due varianti della detenzione domiciliare per la cura della prole: «2.2. Come si può notare agevolmente, la finalità perseguita dal legislatore, con le due discipline, è identica, anche se diverse sono le fattispecie regolate. Nell'intento di perfezionare ed estendere la tutela dei minori in tenera età, visti nel loro essenziale rapporto con la madre, il legislatore ha ritenuto – con l'intervento attuato nel 2001 – di includere nel beneficio anche le condannate per delitti gravi, cui manchino più di quattro anni per la completa espiazione della pena. Il senso dell'estensione si rinviene nel rilievo preminente dell'interesse dei bambini, che non devono essere eccessivamente penalizzati dalla differenza di situazione delle rispettive madri in riferimento alla gravità dei reati commessi ed alla quantità di pena già espiata.» Benvero la Corte chiosa: «Una completa parificazione di tutti i casi è stata tuttavia esclusa; infatti restano fuori dalla possibilità di ottenere la detenzione domiciliare le madri detenute che abbiano da scontare più di quattro anni e non abbiano espiato almeno un terzo della pena (o quindici anni, nel caso di ergastolo). Mediante le due forme indicate di detenzione domiciliare, di cui la seconda integra e completa la prima, il legislatore ha perseguito un ragionevole bilanciamento tra le diverse esigenze ricordate al paragrafo 2.1, in una visione più attenta alla finalità di tutela delle persone deboli come i minori.» Sembra, pertanto, che l’elemento principale distintivo tra le due fattispecie sul piano della ponderazione delle esigenze preventive si debba rinvenire nell’imposizione della previa espiazione di una significativa quota di pena prima di poter accedere alla detenzione domiciliare speciale)[18]. Ne deriverebbe, a questo punto, che, una volta esercitato il maggior rigore della espiazione obbligatoria di un determinato quantum di pena, a soddisfazione delle esigenze preventive, non potrebbero ravvisarsi ulteriori differenziazioni improntate ad aggravare ulteriormente il percorso di accesso al beneficio speciale, essendo la valutazione del rischio di recidiva un elemento coessenziale al giudizio afferente a qualunque tipologia di beneficio extramurario. La stessa sentenza n. 177 del 2009 pare, del resto, esprimere una tale consapevolezza laddove rileva: «2.3. – Nell'introdurre la disciplina più recente, lo stesso legislatore ha subordinato la concessione del beneficio alle madri condannate per delitti anche molto gravi, che comunque abbiano davanti a sé un periodo di pena da espiare superiore a quattro anni, alla condizione che non sussista «un concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti» (art. 47-quinquies, comma 1). Tale condizione non è prevista esplicitamente [il corsivo è dell’Autore, n.d.A.] nell'art. 47-ter, che regola la detenzione domiciliare «ordinaria», sia per l'ipotesi della madre di prole in tenera età – che viene in rilievo nel presente giudizio – sia per altre fattispecie elencate nella medesima disposizione.» Ma, anche a voler prescindere da tali considerazioni, deve osservarsi che il requisito specifico della valutazione del pericolo di commissione di ulteriori delitti rientrerebbe comunque nel novero dei presupposti di concessione della misura domiciliare speciale e, di conseguenza, tra gli elementi la cui sussistenza il magistrato di sorveglianza dovrebbe verificare – sia pure a livello di fumus – per applicare in via provvisoria il beneficio. Si osserva, infine, su tale profilo che l’eventuale pronuncia di accoglimento, che dovesse integrare il disposto dell’art. 47-quinquies con il richiamo alle disposizioni del comma 1-quater, art. 47-ter ord. penit., mostrerebbe di non trascurare il contemperamento delle esigenze preventive con quelle del minore, dal momento che la disposizione richiamata pur sempre prevede che il magistrato di sorveglianza applichi in via provvisoria il beneficio richiesto – tra l’altro – quando non sussista il pericolo di fuga del condannato.  

 

11. A questo punto, potrebbe profilarsi un’ultima obiezione: proprio per la rilevanza della pena da eseguire è opportuno mantenere, nel caso della detenzione domiciliare speciale, il profilo ostativo alla possibilità di intervento in via “cautelare” del magistrato di sorveglianza per consentire che sia il collegio e non il giudice monocratico a operare la delicata valutazione sulla probabilità di recidiva. Argomento, quest’ultimo, che si palesa alquanto debole, sia per ragioni di natura sistematica (basti riflettere che è affidata proprio all’organo monocratico il vaglio pregnante della pericolosità sociale con riguardo a tutte le ipotesi di natura “cautelare” in materia di misure alternative nonché espressamente di applicazione della esecuzione domiciliare di cui alla l. 199/10 e, infine, in materia di applicazione, trasformazione o revoca delle misure di sicurezza), sia per le considerazioni già svolte sulla intrinseca illogicità di assumere una maggiore pericolosità in capo a una persona sulla sola base della quantità di pena irrogata nei suoi confronti. Non si vede, infine, come tale ipotetica cautela, ispirata dalle esigenze preventive, possa comunque prevalere rispetto a preminente (appunto!) interesse del minore, e non si vede quindi come quest’ultimo possa essere pretermesso nella fase “cautelare” della procedura, laddove, anzi, compete al giudice l’apprezzamento specifico del “grave pregiudizio” che una posizione soggettiva sottesa alla richiesta della misura alternativa possa subire per il protrarsi della detenzione.

 

12. E, dunque, ancora una volta e in primo luogo il necessario riferimento alla preminenza dell’interesse del minore che dovrebbe costituire il sicuro punto di riferimento nella soluzione alla quaestio legitimitatis. Si osserva, invero, che una tale prospettiva pare essere stata abbracciata, di recente, anche dalla Corte di Cassazione che, proprio riecheggiando i princìpi già affermati dalla giurisprudenza costituzionale, ha stabilito, in tema di detenzione domiciliare speciale, che l’interesse superiore del minore debba essere valutato come preminente anche rispetto alle esigenze di sicurezza della collettività[19]. In quest’ottica, non sembra, quindi, giustificarsi l’attuale strutturazione dell’art.47-quinquies che appare contraddittoria nella misura in cui, da una parte, non prevede l’applicazione in via provvisoria e urgente del beneficio da parte del magistrato di sorveglianza (soprattutto se una tale preclusione venga giustificata in nome della tutela delle esigenze preventive) e, dall’altra parte, consente poi l’applicazione del medesimo beneficio dal parte del tribunale di sorveglianza in esito ad un giudizio in cui quelle stesse esigenze devono ordinariamente recedere rispetto a quelle preminenti dell’interesse del minore[20]. In definitiva, a fronte, per un verso, della identica finalità delle due tipologie di detenzione domiciliare (quella di cui alle lett. a) e b) dell’art.47-ter e quella di cui all’art. 47-quinquies) e, per l’altro verso, della medesima preminenza che, in entrambe le ipotesi applicative, deve essere conferita all’interesse del minore, non appare più giustificabile un diverso trattamento sul piano delle procedure applicative.

 

 

[1] La disposizione dubitata di incostituzionalità è stata introdotta dall’art. 3, comma 1, della l. 8.3.2001, n. 40 (“Misure alternative alla detenzione a tutela del rapporto tra detenute e figli minori”). L’attuale testo è, invece, quello risultante dalla modifica recata dall’art. 3 della l. 21.4.2011, n. 62 (“Modifiche al codice di procedura penale e alla l. 26.7.1975, n. 354, e altre disposizioni a tutela del rapporto tra detenute madri e figli minori”). Per un primo commento, si rinvia a S. Marcolini, Legge 21 aprile 2011, n. 62 (Disposizioni in tema di detenute madri), in Dir. pen. cont., 5 maggio 2011 e, più recentemente, a A. Menghini, Sub art. 47-quinquies l. 354/75, in F. Fiorentin- F. Siracusano (a cura di), L’Esecuzione penale, Giuffrè Francis Lefebvre, coll. Le Fonti del Diritto, Roma 2019. L’introduzione della detenzione domiciliare speciale nella legge di ordinamento penitenziario conferma il particolare favore accordato dall’ordinamento al valore della maternità, della cura e dell’assistenza dei figli. L’istituto si configura quale strumento speciale ad elevata duttilità applicativa, volto a salvaguardare quelle situazioni esulanti dall’area di operatività delle norme ordinarie operanti in materia (C. Fiorio, Libertà personale e diritto alla salute, Cedam, Padova 2002, 210) e costituisce attuazione del dettato di cui all’art. 31, comma 2, Cost., perseguendo la finalità di abolire la carcerazione dei minori e di assicurare l’assistenza materna in modo continuato ed in ambiente familiare (G.M. Pavarin, Le ipotesi di detenzione domiciliare, in F. Fiorentin (a cura di), Misure alternative alla detenzione, Giappichelli, Torino 2012, 281). La destinazione della misura a chi abbia avuto figli nell’imminenza o nel corso di esecuzione della pena (esplicitata dalle relazioni parlamentari) è l’elemento che caratterizza maggiormente la “specialità” della detenzione domiciliare prevista dall’art. in esame. La strutturazione della norma rende l’istituto speciale applicabile ove non ricorrano i presupposti della detenzione domiciliare di cui all’art. 47-ter ord. penit., che rappresenta l’archetipo cui si è ispirata la tipologia speciale. Per alcuni particolati profili v. anche Pierro, La nuova disciplina della detenzione domiciliare nel quadro della trasformazione del sistema dell’esecuzione penale, in Iovino-Kalb-Massaro-Normando-Pierro-Ranieri, Sospensione della pena ed espiazione extra moenia, Giuffrè, Milano 1998, 287 e ss.).

[2] Si tratta della Commissione legislativa istituita presso il Ministero della giustizia, presieduta dal prof. Glauco Giostra, incaricata di redigere una proposta di attuazione delle direttive di delega enunciate nella legge legge-delega 23 giugno 2017, n. 103, recante “Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e all’ordinamento penitenziario”, su cui v., tra i molti, A. Marandola – T. Bene, La riforma della giustizia penale, Giuffrè, Milano 2017.

[3] Senza pretesa di esaustività, si possono ricordare: la sentenza n. 41 del 2018 (che ha portato a quattro anni il limite di pena che consente la sospensione dell’ordine di carcerazione ai sensi del comma 5, art. 656 c.p.p.); la n. 149 del 2018 (che ha censurato la previsione per cui il condannato all’ergastolo per il delitto di sequestro di persona a scopo di estorsione che abbia cagionato la morte del sequestrato non è ammesso ai benefici penitenziari se non abbia effettivamente espiato almeno ventisei anni di pena); la n. 174 del 2018 (che ha eliminato le preclusioni all’accesso al beneficio dell’assistenza all’esterno dei figli minori); la n. 99 del 2019 (che ha aperto la strada alla concessione della detenzione domiciliare per i condannati affetti da infermità psichica sopravvenuta nel corso dell’esecuzione); la n. 187 del 2019 (che ha dichiarato illegittima la preclusione triennale all’accesso alla detenzione domiciliare “speciale” e ordinaria nei casi delle lett. a) e b) dell’art. 47-ter ord. penit., stabilita dai commi 1, 2 e 3 dell’art. 58-quater ord. penit. per coloro nei cui confronti è stata disposta la revoca di uno dei benefici indicati nel comma 2 dello stesso art. 58-quater); la n. 253 del 2019, che ha superato in parte qua gli automatismi preclusivi posti dal c.d. “doppia binario penitenziario”; la n. 18 del 2020 (che ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 47-quinquies, comma 1, ord. penit., cit., nella parte in cui non prevede la concessione della detenzione domiciliare speciale anche alle condannate madri di figli affetti da handicap grave ai sensi dell’art. 3, comma 3, della l. 5 febbraio 1992, n. 104); la n.74 del 7-24 aprile 2020, in Giur. Cost., 2020, 2, 834 e ss., che ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 50, comma 6, l. 26 luglio 1975, n. 354, nella parte in cui non consente al magistrato di sorveglianza di applicare in via provvisoria la semilibertà, ai sensi dell’art. 47, comma 4, ord. penit., in quanto compatibile, anche nell’ipotesi prevista dal terzo periodo del comma 2 dello stesso art. 50 (su tale pronuncia, in rapporto al profilo delle modifiche procedurali in materia di giurisdizione cautelare del magistrato di sorveglianza, v. L. Degl’innocenti-F. Faldi, La Consulta estende i poteri cautelari del magistrato di sorveglianza anche alla semilibertà in caso di pena superiore a sei mesi ma non a quattro anni, in Il Penalista, Riv. web 27 maggio 2020, 5 e ss.

[4] Cfr. Commissione Giostra, Il Progetto di riforma penitenziaria, NEU, Roma 2019, p. 220.

[5] Per un quadro sinottico delle novità introdotte dalla riforma si rimanda, volendo, a F. Fiorentin – C. Fiorio, La riforma dell’Ordinamento penitenziario, Giuffrè Francis Lefebvre, Milano 2019.

[6] È quanto accaduto, a es., con l’ordinanza n.211 dell’8 luglio 2009, con cui la Corte ha dichiarato la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 47-quinquies, comma 7, della l. n. 354/75, nella parte in cui prevede che la misura alternativa della detenzione domiciliare speciale possa essere concessa al padre di prole infradecenne – qualora la madre sia impossibilitata a prendersene cura – soltanto se “non vi è modo di affidare la prole ad altri che al padre medesimo” (Cfr. C. Fiorio, Detenzione domiciliare speciale e padre detenuto: una pronuncia di manifesta inammissibilità che lascia irrisolte le questioni di fondo, in Giur. Cost., 2009, 2442 e ss.).

[7] Procedendo in ordine cronologico: la Corte ha dichiarato incostituzionale, per violazione degli artt. 3, 29, 30 e 31 Cost., la norma dell’art. 4-bis, comma 1, l. 26.7.1975, n. 354, nella parte in cui non esclude dal divieto di concessione dei benefici penitenziari, da esso stabilito, la misura della detenzione domiciliare prevista dall’art. 47-quinquies, della medesima legge, ferma restando la condizione dell’insussistenza di un concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti (Corte cost., 22 ottobre 2014, n.239,in Arch. Pen. 2014, n. 3, con nota di A. M. Capitta, Detenzione domiciliare per le madri e tutela del minore: la Corte costituzionale rimuove le preclusioni stabilite dall’art. 4-bis, co. 1, Ord. penit. ma impone la regola di giudizio; v. anche l’approfondito commento di F. Siracusano, Detenzione domiciliare e tutela della maternità e dell’infanzia: primi passi verso l’erosione degli automatismi preclusivi penitenziari, in Giur. cost., 5/2014, p. 3940 ss.). Successivamente, la Consulta ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art.47-quinquies, comma 1-bis, ord. penit., limitatamente alle parole «Salvo che nei confronti delle madri condannate per taluno dei delitti indicati nell’articolo 4-bis» (Corte cost., sent. 12 aprile 2017, n.76, in Dir. pen. cont., fasc. 5/2017, p. 321 ss., con nota di G. Leo, Un nuovo passo della Consulta per la tutela dei minori con genitori condannati a pene detentive, e contro gli automatismi preclusivi nell’ordinamento penitenziario). La Corte è, quindi, intervenuta con la sentenza 22 maggio 2019 (dep.18 luglio 2019), n. 187, cit., che ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 58-quater, commi 1, 2 e 3, della legge n.354/75, nella parte in cui detti commi, nel loro combinato disposto, prevedono che non possa essere concessa, per la durata di tre anni, la detenzione domiciliare speciale, prevista dall’art. 47-quinquies della medesima legge, al condannato nei cui confronti è stata disposta la revoca di una delle misure indicate nel comma 2 dello stesso art. 58-quater, dichiarando, altresì, in via consequenziale, illegittimo l’art. 58-quater, commi 1, 2 e 3, ord. penit., nella parte in cui detti commi, nel loro combinato disposto, prevedono che non possa essere concessa, per la durata di tre anni, la detenzione domiciliare, prevista dall’art. 47-ter, comma 1, lettere a) e b), della stessa legge n. 354 del 1975, al condannato nei cui confronti è stata disposta la revoca di una delle misure indicate al comma 2 dello stesso art. 58-quater, sempre che non sussista un concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti. Infine, il Giudice delle leggi, con la sentenza 14 febbraio 2020, n. 18, in questa Rivista, 17 febbraio 2020, con nota di G. Leo, La madre di persona affetta da grave disabilità può accedere alla detenzione domiciliare speciale qualunque sia l'età del figlio svantaggiato, ha dichiarato costituzionalmente illegittima la disciplina della detenzione domiciliare speciale, di cui all’art. 47-quinquies, comma 1, ord. penit., nella parte in cui esclude dal suo ambito di applicazione le madri detenute di figli gravemente disabili di qualunque età, portatori di disabilità grave ai sensi dell’art. 3, comma 3, della legge n. 104 del 1992.

[8] Come è noto, il beneficio speciale può essere concesso anche al padre detenuto se la madre è impossibilitata a prendersi cura della prole. Per una attenta disamina di tale profilo v. F. Martin, Cass. Pen., Sez. 1, 8 febbraio 2021, n.4796, sulla concessione della detenzione domiciliare ex art.47-quinquies O.P. al padre detenuto, in Jus in itinere, 12 febbraio 2021.

[9] Cardine di tale meccanismo è il comma 4, art. 47 ord. penit. che, in tema di affidamento al servizio sociale, stabilisce l’applicazione provvisoria della misura da parte del magistrato di sorveglianza al ricorrere dei presupposti del fumus (“quando sono offerte concrete indicazioni in ordine alla sussistenza dei presupposti per l’ammissione all’affidamento in prova al servizio sociale”) e del periculum (“… e al grave pregiudizio derivante dalla protrazione dello stato di detenzione) e non sussiste pericolo di fuga. Per la detenzione domiciliare ordinaria soccorre l’art. 47-ter, comma 1-quater, che, ricorrendo la situazione di grave pregiudizio dalla protrazione dello stato di detenzione, consente l’applicazione provvisoria della misura domiciliare nei casi di cui ai commi 01,1, 1-bis e 1-ter della medesima disposizione. A sua volta, l’art. 47-quater, ord. penit., che prevede misure alternative nei confronti dei soggetti affetti da aids conclamata o da grave deficienza immunitaria, stabilisce al comma 8 un rinvio alle disposizioni dell’art. 47-ter della stessa legge “per quanto non diversamente stabilito”, così consentendo anche l’applicazione provvisoria della misura alle stesse condizioni previste dal già ricordato comma 1-quater dell’art. 47-ter, ord. penit. Infine, analoga possibilità è prevista con riferimento alle misure alternative “terapeutiche” di cui agli artt. 90 e 94 del d.P.R. n.309/90 con l’espresso rinvio al comma 4 dell’art. 47 ord.penit. (operato, rispettivamente, dall’art.91, comma 4 e dall’art. 94, comma 2, del citato t.u.stup.). L’unico beneficio che – oltre alla detenzione domiciliare speciale – resta escluso dalla possibilità di applicazione provvisoria è la liberazione condizionale, istituto che, tuttavia, presenta indiscutibili profili di eccentricità e peculiarità rispetto alle misure alternative disciplinate dalla legge di ordinamento penitenziario.

[10] Corte cost., con la sentenza 7-24 aprile 2020, n. 74, cit.

[11] L’ordinanza ricorda le sollecitazioni provenienti dalla Raccomandazione del Consiglio d’Europa n° 1469 del 2000 su “madri e bambini in carcere” e attuativo dei principi della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo del 20 novembre 1989, resa esecutiva in Italia con legge 27 maggio 1991, fondante “l’interesse superiore del fanciullo”, che deve ricevere una considerazione preminente ed anche attuazione dei principi delle Convenzioni europee (tra queste la convenzione europea di Strasburgo del 25 gennaio 1996 sull’esercizio dei diritti dei fanciulli, ratificata e resa esecutiva con legge 20 marzo 2003).

[12] Il giudice rimettente ricorda anche le pronunce costituzionali n.31/2012 e n.7/2013 con le quali si è affermata la “speciale rilevanza” dell’interesse del figlio minore a vivere e crescere nell’ambito della propria famiglia, mantenendo un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori, dai quali ha diritto di ricevere cura, educazione, istruzione; tale bene giuridico, qualificato come “interesse complesso”, è articolato in diverse posizioni giuridiche, che hanno ritrovato riconoscimento e tutela sia nell’ordinamento internazionale, sia in quello interno (oltre all’art. 3, comma 1, della Convenzione sui diritti del fanciullo, resa a New York il 20 novembre 1989, è richiamato l’art. 24, comma 2, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea del 7 dicembre 2000, adottata il 12 dicembre 2007 a Strasburgo). Tutte queste disposizioni qualificano come “superiore” l’interesse del minore, che deve sempre essere considerato “preminente” in tutte le decisioni relative a minori.

[13] Si riporta, sul profilo in esame, la citazione di autorevole dottrina riportata nella articolata istanza della Difesa nel procedimento a quo, per cui: «la rilevanza di una questione va considerata in partenza, e non in arrivo, tanto che la questione è ammissibile anche quando l’annullamento di una norma pregiudiziale al momento della proposizione della questione non incida sull’esito finale del giudizio a quo, ma ne condizioni il percorso motivazionale» (V. Manes, La legge penale illegittima. Metodo, itinerari e limiti della questione di costituzionalità in materia penale, Giappichelli, Torino 2019, 223). In questa prospettiva, è dunque sufficiente che la disposizione censurata sia applicabile nel giudizio principale, per rendere ammissibile la quaestio. In tal senso, si veda la sentenza n.253/2019, laddove vi si legge che «il presupposto della rilevanza non si identifica con l’utilità concreta di cui le parti in causa potrebbero beneficiare a seguito della decisione».

[14] Favorevoli ad una applicazione analogico-estensiva alla detenzione domiciliare speciale del meccanismo di applicazione provvisoria della misura nei casi di urgenza sono F. Fiorentin - C. Fiorio, Manuale di Diritto penitenziario, Giuffrè Francis Lefebvre, Milano 2020, 294, mentre L. Cesaris, Sub art. 47-quinquies o.p., in F. Della Casa – G. Giostra (a cura di), Ordinamento penitenziario commentato, 714, con riguardo alla mancata previsione di un potere di intervento “cautelare” del magistrato di sorveglianza, giustamente si domanda: «se l’intento è quello di assicurare una tutela pronta, specie per il minore, allora non si spiega l’omissione del legislatore sul punto».

[15] Cfr. Corte cost., sentenza (7 aprile 2020) 24 aprile 2020 n. 74, cit., §7: «Nei casi ora ricordati si discuteva, tuttavia, della disciplina dei presupposti sostanziali per l’ammissione alla misura. Il caso oggi in esame è diverso e merita una differente soluzione. La discriminazione tra semilibertà e affidamento in prova censurata dal magistrato di sorveglianza rimettente concerne, infatti, non già le condizioni di accesso alla misura — che, per quanto attiene al limite di pena, risultano già da tempo allineate, in forza di quanto dispone l’art. 50, comma 2, terzo periodo, ordin. penit. —, ma la possibilità di beneficiare di un accesso “accelerato”, tramite una procedura di applicazione provvisoria che eviti al condannato i tempi di attesa della decisione del tribunale di sorveglianza e i pregiudizi ad essi connessi».

[16] Cfr. F. Viganò, Il diritto giurisprudenziale nella prospettiva della Corte costituzionale, in questa Rivista, 19 gennaio 2021.

[17] Cfr. Corte cost., sentenza 25 ottobre - 22 novembre 2018, n.211 e, ancor prima, la sentenza n. 177 del 20 maggio - 10 giugno 2009, che hanno equiparato ai fini della disciplina di cui all’art. 47-sexies, commi 2 e 4, ord. pen. le condotte di allontanamento ingiustificato dal luogo di detenzione commesse dai soggetti ammessi, rispettivamente, alla detenzione domiciliare ordinaria e speciale. Tale equiparazione è stata ulteriormente ribadita, ai fini delle conseguenze indicate nell’art. 58-quater, commi 1, 2 e 3, ord. pen., con la sentenza n.187 del 2019, cit.

[18] Anche la giurisprudenza di legittimità, del resto, individua in tale profilo il principale elemento distintivo tra la detenzione domiciliare ordinaria e la tipologia speciale: cfr. Cass., Sez. I, 11 febbraio 2015, n. 8860, P.G. in proc. F., CED 262557.

[19] Cass., Sez. I, 25 maggio 2020 (dep. 4 giugno 2020), n. 16945, in questa Rivista, 17 giugno 2020, con nota di N. Cardinale, Detenzione domiciliare speciale e interesse superiore del minore.

[20] Si osserva che la medesima ponderazione volta a salvaguardare il preminente interesse del minore si proietta anche in situazioni che vedono la persona già ammessa alla detenzione domiciliare speciale incorrere in vicende che possono comportarne la revoca. Perfino in questi casi, nell’accertamento pericolo di reiterazione di nuovi delitti «… non potrà non tenersi conto della tipologia e della concreta gravità della condotta che ha determinato la revoca della precedente misura. Laddove il tribunale giunga alla conclusione che un tale pericolo sussista, l'interesse del minore dovrà essere necessariamente salvaguardato con strumenti alternativi rispetto al ristabilimento della convivenza con il genitore, quale, ad esempio, l'affidamento ad un altro nucleo familiare idoneo» (A. Menghini, Sub art. 47-quinquies, l. 354/75, in L’Esecuzione penale, cit., 641).