Tra tempus regit actum e irretroattività sfavorevole, in attesa della Consulta (ud. 11-12 febbraio)
1. L’11 e il 12 febbraio 2020 la Consulta sarà chiamata a pronunciarsi sulla compatibilità dell'art. 1, comma 6, lett. b), della l. n. 3/2019 (c.d. spazzacorrotti) con il principio di irretroattività in malam partem.
Attraverso tale disposizione, il legislatore ha modificato l’art. 4-bis ord. penit., estendendo il regime ostativo ivi previsto ai delitti di cui agli artt. 318, 319, 319-quater e 321 c.p., ma omettendo di disporre un regime transitorio, idoneo a regolare i procedimenti in corso – in fase di cognizione o di esecuzione – al momento dell’entrata in vigore della legge.
Di qui la questione: la persona che ha commesso un fatto di corruzione prima del 31 gennaio 2019 (data di entrata in vigore della l. 3/2019) è soggetta alle preclusioni derivanti dall’applicazione dell’art. 4-bis o può usufruire dei benefici penitenziari e delle misure alternative, in virtù del principio di irretroattività della legge successiva sfavorevole?
Per consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità (vd. paragrafo 2), le disposizioni concernenti l'esecuzione delle pene detentive e le misure alternative alla detenzione hanno carattere procedurale, non sostanziale, in quanto non riguardano l'accertamento del reato e l’irrogazione della pena, bensì le modalità esecutive della stessa. Pertanto, nel caso in cui manchi una disciplina intertemporale, esse sono sottratte alle regole dettate in materia di successione di norme penali nel tempo dall'art. 2 c.p. e dall'art. 25 Cost., ma sono invece immediatamente applicabili ai sensi dell’art. 11 disp. prel., anche ai fatti commessi prima dell’entrata in vigore della legge. Secondo quello che è considerato “diritto vivente”[1], dunque, anche al soggetto che abbia commesso il reato prima dell’entrata in vigore della l. 3/2019 sarà precluso l’accesso alle misure alternative alla detenzione, a meno che (ove possibile e rilevante) non collabori con l’Autorità Giudiziaria ai sensi dell’art. 58-ter ord. penit. o dell’art. 323-bis, co. 2, c.p.
Ma non solo. Per effetto del richiamo che l’art. 656, co. 9, lett. b) fa all’art. 4-bis ord. penit, i condannati per i reati di cui agli artt. 318, 319, 319-quater e 321 c.p. non potranno più beneficiare della sospensione dell’esecuzione della pena detentiva, che avrebbe consentito al condannato di chiedere una misura alternativa alla detenzione senza prima dover passare dal carcere.
Diverse corti territoriali[2] hanno adito la Corte Costituzionale, chiedendo di dichiarare l’incostituzionalità dell'art. l, comma 6, lett. b), della l. n. 3/2019 nella parte in cui, modificando l’art. 4-bis, in assenza di una disciplina transitoria, consente l’esclusione dai benefici penitenziari anche per coloro che hanno commesso i reati contro la p.a. prima dell’entrata in vigore della legge, in violazione del principio di irretroattività in malam partem [3].
2. Una parte della dottrina[4] ha sempre criticato l’approccio rigidamente formalista adottato dalla giurisprudenza di legittimità, ritenendo che – al di là delle etichette assegnate dal legislatore – le disposizioni riguardanti le misure alternative alla detenzione e i benefici penitenziari avessero natura penale, incidendo direttamente sul tipo e sulla qualità della pena irrogata. In base a tale orientamento, la possibilità di scontare la pena – o parte di essa – in regime extramurario non costituisce mera “modalità esecutiva”, ma rappresenta piuttosto un elemento caratterizzante la sanzione stessa, su cui un soggetto potrebbe legittimamente fare affidamento nel momento in cui decide di commettere un reato. Le misure alternative, modellando il sistema delle sanzioni penali, dovrebbero dunque essere assimilate alle pene e assoggettate al principio di irretroattività della legge penale successiva sfavorevole.
Obiettivo del principio di irretroattività in mala partem è infatti quello di tutelare il cittadino contro gli abusi del potere legislativo, permettendogli di conoscere preventivamente le conseguenze delle sue azioni, e dunque l’an, il quantum e il quomodo della pena: si tratta di un’esigenza perfettamente rinvenibile anche con riferimento all’applicabilità o meno di una misura alternativa che comporti l’esecuzione extramuraria.
La Corte di Cassazione si è tuttavia dimostrata inamovibile e, a partire dalla pronuncia delle Sezioni Unite 30/05/2006, n. 24561, Aloi[5], nel corso degli anni ha costantemente ribadito, pronunciandosi con riferimento alla gran parte degli istituti di esecuzione penale, l’applicabilità del principio del tempus regit actum: con riguardo all'introduzione del divieto di sospensione dell'ordine di esecuzione di cui alla lett. c) dell'art. 656, comma 9, c.p.p. per effetto della l. 251/2005[6]; in materia di modifiche alla disciplina della detenzione domiciliare[7], dell’affidamento in prova ai servizi sociali[8], della semilibertà[9], dei permessi premio ex art. 30-ter ord. penit.[10], in materia di ampliamento dell’elenco dei reati previsti dall’art. 4-bis[11]. Le stesse corti territoriali hanno sostanzialmente aderito all’orientamento espresso in sede di legittimità[12].
Una prima crepa nella rigorosa posizione formalistica della suprema corte si è concretizzata in materia di modifiche normative delle misure cautelare. In particolare, due sentenze della Corte di Cassazione hanno lasciato intendere un cambio di sensibilità della giurisprudenza di legittimità: le Sezioni Unite, con sent. 31 marzo 2011, n. 27919, Ambrogio, hanno stabilito che le modifiche normative alle misure cautelari in corso di esecuzione sono soggette al principio di irretroattività in malam partem; la sent. 8 ottobre 2013, n. 48462 ne ha stabilito il corollario, ossia che le sopravvenienze normative favorevoli all’indagato sono sempre applicabili retroattivamente[13].
Si trattava, evidentemente, di un primo tentativo di attenuare la rigida dicotomia tra norme sostanziali e norme procedurali, abbracciando un criterio più teleologico che formalistico, volto cioè a valorizzare il carattere intrinsecamente afflittivo degli istituti del processo e dell’esecuzione penale, indipendentemente dalla qualificazione assegnata dal legislatore[14].
3. Con l’approvazione della l. 3/2019, il coro di autorevoli voci favorevoli ad un definitivo cambio di rotta da parte della Cassazione si è infittito[15], complice anche l’influenza della giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, che ai fini del riconoscimento delle garanzie convenzionali attribuisce alla nozione di pena una connotazione sostanzialistica, privilegiando alla qualificazione formale assegnata dall'ordinamento una valutazione in ordine al tipo, alla durata e alle modalità di esecuzione della sanzione o della misura applicata.
Significativa, in tale senso, è la pronuncia resa nell’ambito del caso Del Rio Prada c. Spagna (21 ottobre 2013), nella quale la Grande Camera arriva a ravvisare una violazione dell'art. 7 della CEDU nell’applicazione retroattiva di un mutamento giurisprudenziale contra reum, con riferimento ad un istituto assimilabile alla nostra liberazione anticipata. L’affidamento del cittadino circa la prevedibilità della sanzione penale, garantito dal principio di irretroattività in malam partem, deve potersi esplicare non soltanto rispetto alla pena irrogata, ma anche alla sua esecuzione («per rendere effettiva la protezione offerta dall'articolo 7, la Corte deve rimanere libera di andare oltre le apparenze e valutare da sola se una particolare misura equivale in sostanza a una pena, ai sensi di questa disposizione»; vd. anche Welch c. Regno Unito, 9 febbraio 1995).
Che i tempi possano essere maturi per un revirement giurisprudenziale lo conferma l’attivismo che, in questa materia, le corti territoriali hanno dimostrato nei mesi precedenti, promuovendo le questioni di legittimità costituzionale dell’art. l, comma 6, lett. b), della l. n. 3/2019 che saranno affrontate dalla Consulta l’11 e il 12 febbraio[16].
Si segnalano, inoltre, le soluzioni adottate dal GIP di Como (ordinanza dell’8 marzo 2019), e dalla Corte di Appello di Reggio Calabria (ordinanza del 10 aprile 2019) che hanno ritenuto non necessario adire il Giudice delle leggi e, adottando un’interpretazione convenzionalmente conforme, hanno ritenuto legittima la sospensione dell’ordine di carcerazione per condannati che avevano commesso il fatto illecito prima dell’entrata in vigore della l. 3/2019.
In particolare, secondo il giudice lariano, «quelle che vengono considerate norme meramente processuali, perché attinenti alle modalità di esecuzione della pena, sono in realtà norme che incidono sostanzialmente sulla natura afflittiva della pena» e, pertanto, una loro eventuale applicazione retroattiva comporterebbe una violazione «[del]l'art. 117 Cost., integrato dall'art. 7 CEDU nonché [de]gli art. 25 c. 2 Cost. e [del]l'art. 2 c.p., norme il cui raggio di operatività non può non estendersi a tutte le disposizioni che, a prescindere dalle etichette, abbiano, come nel caso di specie, un contenuto afflittivo o intrinsecamente punitivo»[17].
La stessa Corte di Cassazione, nel decidere i ricorsi sull’applicazione intertemporale della l. Spazzacorrotti, si è attestata su posizioni più morbide, giungendo a conclusioni pro reo, pur non rinunciando al perdurante binomio esecuzione penitenziaria – tempus regit actum. In particolare, la Suprema Corte, in diverse sentenze[18], ha stabilito che la modifica dell’art. 4-bis non interessa i procedimenti per i quali, al momento dell’entrata in vigore della legge, era già stato emesso l’ordine di carcerazione e il relativo decreto di sospensione. Nello specifico, in base al principio tempus regit actum, viene considerata illegittima la revoca del decreto di sospensione dell’ordine di esecuzione della pena che era stata legittimamente disposta dal pubblico ministero a seguito dell’approvazione della l. n. 3/2019.
Ma una vera e propria breccia nell’orientamento formalistico della giurisprudenza di legittimità sembra essersi aperto con la sent. Cass., Sez. VI, 14/03/2019, n. 12541, ric. Ferraresi, nella quale la Corte ha affermato che «non parrebbe manifestamente infondata la prospettazione difensiva secondo la quale l'avere il legislatore cambiato in itinere le ‘carte in tavola’ senza prevedere alcuna norma transitoria presenti tratti di dubbia conformità con l'art. 7 CEDU e, quindi, con l'art. 117 Cost., là dove si traduce, per il [ricorrente], nel passaggio – ‘a sorpresa’ e dunque non prevedibile – da una sanzione patteggiata ‘senza assaggio di pena’ ad una sanzione con necessaria incarcerazione, giusta il già rilevato operare del combinato disposto degli artt. 656, comma 9 lett. a), cod. proc. pen. e 4-bis ord. penit.»[19].
4. La Corte Costituzionale si è già dimostrata sensibile all’indirizzo “sostanzialista” espresso dalla Corte di Strasburgo, estendendo la garanzia di irretroattività sancita dall'art. 25, comma 2, Cost. ad alcune disposizioni aventi carattere "intrinsecamente punitivo": è il caso della confisca obbligatoria prevista dell'art. 186, comma 2, lett. c), cod. strada, (vd. sentenza 196/2010) e della confisca per equivalente prevista dall'art. 187-sexies del T.U.F (vd. sentenza 223/2018). In entrambi i casi il Giudice delle leggi ha ritenuto che tali categorie di confisca, al di là delle qualificazioni formali usate dal legislatore, rivestissero una funzione non preventiva, ma punitivo-afflittiva, e che, dunque, dovessero sottostare al principio di irretroattività in malam partem.
Si attendono, dunque, le determinazioni della Consulta, nella speranza che possano aggiungere un ulteriore tassello alla complessiva opera di adeguamento del nostro diritto penale alla concezione sostanzialistica adottata dalla Corte EDU.
[1] In forza della sua diffusione, tale viene ritenuto da diversi autori; vd. V. Manes, L’estensione dell’art. 4-bis ord. penit. ai reati contro la p.a.: profili di illegittimità costituzionale, in Dir. pen. cont., 2/2019, p. 113; L. Baron, ‘Spazzacorrotti’, art. 4-bis ord. pen. e regime intertemporale, in Dir. pen. cont., 5/2019, p. 156; S. Fiore, Norme dell’ordinamento penitenziario e principio di irretroattività. L’ipocrisia (smascherata) dei formalismi definitori e le «cose che accadono al di sopra delle parole», in Arch. pen., fasc. 3, 2019, p. 22.
[2] Ordinanze di rimessione alla Corte Cost. dell’art. 1, co. 6, lett. B) legge 3/2019, sollevate dal Tribunale di Sorveglianza di Venezia (ord. 114/2019, 8 aprile 2019), dalla Corte di Appello di Lecce (ord. 115/2019, 4 aprile 2019), dal Tribunale di Cagliari (ord. 118/2019, 10 giugno 2019), dal Tribunale di Napoli (ord. 119/2019, 2 aprile 2019) dal Tribunale di Sorveglianza di Taranto (ord. 157/2019, 7 giugno 2019), dal Tribunale di Brindisi (ord. 160/2019 e ord. 161/2019, entrambe del 30 aprile 2019), dal GIP di Caltanissetta (ord. 193/2019 e ord. 194/2019, entrambe del 16 luglio 2019), dal Tribunale di Sorveglianza di Potenza (ord. 210/2019, 31 luglio 2019), dal Tribunale di Sorveglianza di Salerno (ord. 220/2019, 12 giugno 2019).
[3] Alcune ordinanze lamentano anche la violazione dell’art. 3 Cost., adducendo che l'art. l, comma 6, lett. b), della l. n. 3/2019 «determina una irragionevole disparità di trattamento tra soggetti che, giudicati colpevoli per gli stessi delitti, per mera casualità o per il difforme carico di lavoro dei tribunali di sorveglianza sul territorio nazionale, abbiano visto decisa la propria istanza di misura alternativa prima della data in vigore della legge n. 3/2019 o successivamente a tale data» (ord. Trib. Sorv. Salerno; vd. anche ord. Trib. Sorv. Venezia; ord. Trib. Sorv. Potenza; ord. Corte di Appello di Lecce, ord. Trib. Di Cagliari, ord. Trib. Taranto). Viene altresì sollevata la questione di compatibilità con l’art. 27 Cost., commi 2 e 3, nella parte in cui la legge non prevede che i benefici penitenziari non possano essere concessi nei confronti dei condannati che abbiano raggiunto, sulla base della normativa previgente, un grado di rieducazione adeguato ai benefici richiesti (principio di non regressione del trattamento rieducativo per fatto incolpevole del condannato, vd. ord. Trib. Sorv. Venezia; ord. Trib. Sorv. Potenza e ord. Trib. Sorv. Salerno)
[4] Vd. F. Bricola, Il 2° e il 3° comma dell’art. 25, in G. Branca (a cura di), Commentario della Costituzione - vol. Rapporti civili, Bologna - Roma, Zanichelli – Il foro italiano, 1981, p. 299, che affermava che era necessario «riportare al tempo della commissione del fatto il quadro di riferimento normativo dell’esecuzione»; G. Esposito, Brevi osservazioni in ordine alla legittimità della nuova disciplina delle misure alternative alla detenzione, in Archivio penale, 1993, p. 139; contra A. Pagliaro, voce Legge penale, c) Legge penale nel tempo, in Enc. dir., vol. XXIII, Milano, 1973, 1067-1068, secondo cui il principio del tempus regit actum regolerebbe tutta l’esecuzione penale e, in particolare, l’esecuzione delle pene detentive: «[...] l’espressione “punito in forza di una legge” indica che il testo costituzionale si riferisce solo alle leggi la cui “forza” consiste nel creare reati e comminare sanzioni penali: perciò non anche alle leggi che statuiscono le modalità del procedimento penale»; M. Chiavario, voce Norma processuale penale, in Enc. dir., vol. XXVII, Milano, 1978, p. 467.
[5] In quel caso la Corte affermava che, a causa del sopravvenuto inserimento del delitto di violenza sessuale nel catalogo dei reati previsti dall’art. 4-bis ord. penit., per effetto dell’art. 15 l. 38/2006, il condannato per tale delitto non poteva beneficiare della sospensione dell’esecuzione, benché avesse commesso il reato prima dell’entrata in vigore della legge.
[6] Cass., sez. I, 19/09/2006, n. 33062; Cass., sez. I, 11/07/2006, n. 25113; Cass., sez. I, 14/07/2006, n. 29508; Cass., sez. I, 16/11/2006, n.42403; anche la modifica del 656 c.p.p. operata dalla l. 24 luglio 2008, n. 125 era stata ritenuta immediatamente efficace, vd. Cass., sez. 1, 29/09/2010, n. 37083, Cipriano.
[7] Cass., sez. I, 09/05/2006, n.20035; Cass., sez. I, 22/06/2006, n.31430
[8] Cass., sez. I, 06/06/2006, n.30792;
[9] Cass., sez. I, 05/07/2006, n.24767.
[10] Cass., sez. I, 18/09/2009, n.41567; Cass., sez. I, 03/02/2016, n.37578.
[11] Cass., sez. I, 11/11/2009, n.46649
[12] Sezione Sorveglianza Milano, 21/09/2009, in materi di istanza volta ad ottenere la dichiarazione di estinzione della pena pecuniaria ex art. 47 comma 12 ord. penit.; Tribunale Torino, 11/04/2006 - in materia di divieto di sospensione dell'esecuzione (656 c.p.p.).
[13] Il paragone tra misure alternative alla detenzione e misure cautelari è prospettato da V. Manca, Dubbi di costituzionalità sulla qualificazione “sostanziale” delle norme penitenziarie (a proposito di art. 4-bis ord. penit. e legge “spazza-corrotti”), in Arch. Pen., 2019, n. 1.
[14] Una parte della dottrina ha successivamente tentato di applicare tali principi alle norme di esecuzione penitenziaria, in particolar modo, in relazione alle modifiche normative operate dal d.l. n. 78/2013, conv. con modif. in l. n. 94/2014 all’art. 656 c.p; vd. A. Della Bella, Emergenza carceri e sistema penale. I decreti legge del 2013 e la sentenza della Corte Cost. n. 32/2014, Giappichelli, Torino, 2014, p. 20 ss.
[15] G.L. Gatta, , Estensione del regime ostativo ex art. 4 bis ord. penit. ai delitti contro la p.a.: la cassazione apre una breccia nell'orientamento consolidato, favorevole all'applicazione retroattiva , in Dir. pen. cont., 26 marzo 2019; V. Manes, op. cit., p. 117; L. Baron, op. cit.; D. Pulitanò, Tempeste sul penale. Spazzacorrotti e altro, in Dir. pen. cont., 26 marzo 2019; L. Masera, Le prime decisioni di merito in ordine alla disciplina intertemporale applicabile alle norme in materia di esecuzione della pena contenute nella cd. legge Spazzacorrotti – nota a Trib. Napoli, VII sez., 28 febbraio 2019 (dep. 1 marzo 2019); GIP Como, 8 marzo 2019, in Dir. Pen. Cont., 14 marzo 2019; O. Mazza, La carcerazione immediata dei corrotti: una forzatura di diritto intertemporale nel silenzio complice del legislatore, in Arch. pen. web, maggio-agosto 2019, n. 2, p. 4.; V. Alberta, L’introduzione dei reati contro la pubblica amministrazione nell’art. 4 bis, co. 1, OP: questioni di diritto intertemporale, in Giurisprudenza Penale Web, 2019, 2, p. 4; G. Trinti, Principio del tempus regit actum nel processo penale ed incidenza sulle garanzie dell’imputato, in Dir. Pen. Cont., fasc. 9/2017, p. 27.; M. Gambardella, Il grande assente nella nuova “legge spazzacorrotti”: il microsistema delle fattispecie di corruzione, in Cass. pen., 1/2019, doc. 1.5; C. Cataneo, L’assenza di disciplina intertemporale della legge spazzacorrotti al vaglio della giurisprudenza di merito – commento a Corte App. Napoli, Sez. II, ord. 3 aprile 2019, Pres. Grassi, Rel. Grasso, in Dir. Pen. Cont., 21 giugno 2019.
[16] Non sono mancate comunque pronunce di adesione alla posizione formalistica espressa dalla Corte di Cassazione, vd. Corte App. Milano, Sez. IV, 27 marzo 2019, su Giur. Pen. Web («priva di rilevanza è, pertanto, ogni questione di legittimità̀ che muova dal presupposto che non può̀ trovare applicazione retroattiva una legge che modifichi in senso sfavorevole al reo la disciplina di istituti che in vario modo incida- no sul trattamento penale, tra i quali le misure alternative alla detenzione, ciò̀ in aperto contrasto con il consolidato orientamento della Corte di Cassazione che esclude la riconducibilità̀ di dette misure all’art. 25, secondo comma, Cost. e all’art. 2, primo comma, c.p., argomentando in base alla natura processuale della disciplina di dette misure, che le sottrarrebbe al divieto di irretroattività»); Corte App. Catania, Sez. II penale, 22 marzo 2019, disponibile su De Jure.
[17] Vd. commento L. Masera, op cit.
[18] Cass., Sez. I, 3 maggio 2019, n. 25212, Pullo; Cass, Sez. I, 19 luglio 2019, n. 39609; Cass., sez. I, 20 settembre 2019, n. 48499; per un commento a quest’ultima si consenta un rinvio a B. Fragasso, Art. 4-bis ord. penit., reati contro la p.a. e tempus regit actum: per la Cassazione la sospensione dell’ordine di carcerazione non è travolta dall’entrata in vigore della l. 3/2019, in Sistema Penale, 16 gennaio 2020.
[19] La questione tuttavia era stata dichiarata irrilevante per il giudizio oggetto di ricorso poiché afferente «all'esecuzione della pena applicata con la stessa sentenza, dunque ad uno snodo processuale diverso nonché logicamente e temporalmente successivo, di talché ai fini della decisione di questa Corte non rileva, potendo se del caso essere riproposta in sede di incidente di esecuzione». Vd. nota di G.L. Gatta, op. cit.