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27 Giugno 2022


Ricorso per Cassazione avverso la sentenza di concordato in appello in caso di prescrizione del reato: la parola alle Sezioni Unite

Cass. Sez. II, 14 aprile 2022 (dep. 3 maggio 2022), n. 17439, Pres. Verga, est. Pardo, ric. Fazio



1. Si segnala ai lettori l’ordinanza del 14 aprile 2022 con cui la Seconda Sezione Penale della Corte di cassazione, rilevata la sussistenza di un contrasto giurisprudenziale, ha rimesso alle Sezioni Unite la seguente questione: «se avverso la sentenza di concordato in appello ex art. 599-bis c.p.p. sia consentito proporre ricorso per cassazione con il quale si deduca l'estinzione per prescrizione del reato, maturata anteriormente la pronuncia di secondo grado».

Conviene iniziare con una breve sintesi dei fatti. Il ricorrente era stato condannato dalla Corte d’Appello di Palermo con pronuncia emessa ai sensi dell’art. 599-bis c.p.p., per il reato di tentata estorsione, consumato nel settembre 2007, ed aveva poi lamentato violazioni di legge in relazione a due distinti motivi.

Più precisamente: in primo luogo, denunciava l'inesatto «recepimento della proposta di concordato in appello» per mancata espressa esclusione della recidiva reiterata, pur riconoscendo come la Corte d’appello avesse escluso un aumento di pena ai sensi dell’art. 99, c. 4 c.p., in parziale riforma della sentenza del tribunale di Agrigento. Successivamente, il ricorrente si doleva del fatto che la Corte territoriale non avesse, a fronte di una motivata sostanziale esclusione della circostanza aggravante della recidiva reiterata, dichiarato la prescrizione del reato.

 

2. Si impone, così, in via preliminare, di valutare se sia possibile dedurre, tramite ricorso per cassazione, l’omessa declaratoria di prescrizione del reato da parte del giudice d’appello, ove si sia proceduto con il concordato ai sensi dell’art. 599-bis c.p.p.

Sul punto era già sussistente – ante riforma introdotta con l. n. 103 del 23 gennaio 2017[1] – un contrasto giurisprudenziale, a suo tempo risolto dalle Sezioni Unite[2]. Il giudice di legittimità, chiamato a decidere «se la presentazione della richiesta di applicazione della pena da parte dell'imputato e il consenso a quella proposta dal pubblico ministero potessero costituire una dichiarazione legale tipica di rinuncia alla prescrizione non più revocabile», aveva escluso che, nel rito disciplinato dagli artt. 444 ss. c.p.p., queste valessero, di per sé, come rinuncia, restando prioritaria la verifica dell'insussistenza delle cause di non punibilità previste dall'art. 129 c.p.p., tra cui, per l’appunto, l’intervenuta estinzione del reato per prescrizione; verifica da compiersi indipendentemente dalla piattaforma negoziale, nonché sulla base delle risultanze processuali. In breve, la rinuncia alla prescrizione non poteva essere implicita e poteva aversi soltanto con dichiarazione espressa dell’imputato[3].

Sulla base di tale premessa, si era poi affermato un orientamento incline a ritenere che i principi enunciati nella citata sentenza dovessero valere anche per l’istituto del concordato sui motivi d’appello, così come previsto dapprima dal c. 4 dell’art. 599 c.p.p., poi abrogato e reintrodotto nell’attuale art. 599-bis c.p.p.: in altre parole, doveva reputarsi consentito dedurre, mediante ricorso per cassazione, l’estinzione del reato per prescrizione, nel caso in cui il relativo termine fosse decorso prima della pronuncia del giudice di appello e quest’ultimo non avesse erroneamente dichiarato la causa estintiva.

Un simile traguardo segnava il superamento del precedente indirizzo esegetico[4] – formatosi in relazione al previgente art. 599, c. 4 – secondo cui, dopo la definizione concordata della pena in appello, non poteva mai dedursi l’estinzione del reato per prescrizione.

 

3. Tuttavia, proprio a seguito dell’entrata in vigore della l. 103/2017, è andato formandosi un orientamento giurisprudenziale che, poggiando sui presupposti della riforma – quali: il controllo dell’osservanza delle condizioni di legalità della sentenza di concordato, la natura negoziale dell’istituto e la tassatività dei motivi di ricorso[5] della sentenza patteggiata ex art. 448, c. 2-bis c.p.p. – ha ritenuto inammissibile il ricorso per cassazione «volto a contestare l’omessa declaratoria di estinzione di alcuni dei reati ascritti in continuazione, quando ciò non abbia inciso sulla legalità complessiva della pena concordata, in quanto conforme alla volontà delle parti e non esorbitante i limiti edittali previsti per i reati in relazione ai quali non è decorso il termine di prescrizione alla data della pronuncia impugnata»[6].

In sintesi: le uniche doglianze proponibili sarebbero quelle attinenti ad eventuali vizi della sentenza rispetto alla volontà della parte di accedere al concordato, al consenso del pubblico ministero sulla richiesta, al contenuto difforme della pronuncia e all’applicazione della pena illegale[7]. Illegalità che sussiste solo ove la pena non sia conforme a quella in astratto stabilita dalla norma penale: la pena applicata per il reato prescritto va considerata di per sé legale. Al contrario, è illegale l’effetto dell’errato preliminare accertamento del presupposto sostanziale che attiene all’insussistenza di cause di proscioglimento. Ciò integrerebbe un vizio di violazione di legge incapace di investire direttamente l’illegalità della pena e che, pertanto, non può integrare un motivo ammissibile di ricorso per cassazione, poiché non rientrante nelle ipotesi di cui all’art. 448, c. 2-bis c.p.p.[8].

Sulla scorta di questo ragionamento, la prescrizione maturata prima della sentenza impugnata nemmeno potrebbe essere rilevata d’ufficio ai sensi dell’art. 129 c.p.p., limitandosi, anch’esso, ai casi di pena illegale, quali la pena comminata per un reato depenalizzato o la pena dichiarata incostituzionale.

 

4. Nel solco dei due orientamenti descritti, dunque, vi è chi, da un lato, preferisce valorizzare la natura della rinuncia alla prescrizione come diritto personalissimo riservato all’imputato, e chi, dall’altro, non intende contravvenire ai principi ispiratori della riforma delle impugnazioni. Forti di tali premesse, spetta ora alle Sezioni Unite trovare una via idonea alla composizione del contrasto.

 

 

 

[1] Il concordato anche con rinuncia ai motivi di appello è disciplinato dall'art. 599-bis c.p.p. e dall'art. 602, comma 1-bis, c.p.p. inseriti nel codice di rito penale nell'ambito delle modifiche apportate alla disciplina delle impugnazioni dalla legge 23 giugno 2017, n. 103, recante modifiche al codice penale, di procedura penale e all'ordinamento penitenziario, entrata in vigore il 3 agosto 2017. Per un commento sul tema, v. M. Bargis, H. Belluta (a cura di), La riforma delle impugnazioni tra carenze sistematiche e incertezze applicative (Commento alla legge 23 giugno 2017, n. 103 e al d.lgs. 6 febbraio 2018, n. 11), Giappichelli, Torino, 2018; A. Scalfati (a cura di), La riforma della giustizia penale. Commento alla legge 23 giugno 2017, n. 103, Giappichelli, Torino, 2017.

[2] Cass., S.U. 25.2.2016, n. 18953, in Arch. nuova proc. pen., 2016, p. 377.

[3] In questi termini, Cass. S.U. 25.2.2016, n. 18953, cit.: le S.U. hanno affermato che, ai fini del valido esercizio del diritto di rinuncia alla prescrizione, è sempre necessaria la forma espressa, che non ammette equipollenti, sia in virtù del disposto di cui all’art. 157, c. 7 c.p., sia in quanto la rilevanza dell’atto dismissivo e la pregnanza dei suoi effetti sono tali da richiedere particolari modalità di manifestazione.

[4] Ex multis, Cass. pen. sez. V, 15.10.2009, n. 3391, Rv. 245920; Cass. pen. sez. II, 20.11.2003, n. 2900, Rv. 227887.

[5] Infatti, con la l. 23 giugno 2017, n. 103, il legislatore è intervenuto al fine di ridurre le possibilità di ricorso in cassazione contro le sentenze di applicazione della pena su richiesta delle parti, introducendo una previsione da intendersi come norma speciale rispetto al canone generale delineato dall’art. 606 c.p.p. Sul punto, Cass., sez. VI, 11.12.2018, n. 5210, in Cass. pen., 2019, p. 2980.

[6] Ex multis, Cass. pen. sez. V, 20.9.2019, n. 4709, Rv. 278142; Cass. pen. sez. VI, 4.7.2019, n. 41254, in Cass. pen., 2021, p. 2828, con nota di N. G. Orsi, L’erronea qualificazione giuridica del fatto quale causa di ricorribilità per cassazione del concordato sui motivi d’appello ex art. 599 bis c.p.p.

[7] Cass. pen. sez. II, 10.4.2019, n. 22002, in Cass. pen., 12/2019, p. 4404; Cass. pen. sez. II, 1.6.2018, n. 30990, in Arch. nuova proc. pen., 5/2018, p. 441. Sul punto, anche la recentissima Cas. pen. sez. I, 7.10.2021, n.3587.

[8] Cass. pen. sez. V, 20.9.2019, n. 4709, Rv. 278142. Se si accogliesse la tesi più estensiva della nozione di illegalità della pena si tradirebbe la ratio della riforma, che risiede proprio nella limitazione della ricorribilità per cassazione delle sentenze di applicazione della pena su richiesta delle parti.