Trib. Lecce, Sez. Riesame, ord. 27 dicembre 2019 (dep. 10 gennaio 2019), Pres. Cazzella, Est. Gatto
1. Il provvedimento in commento – reso dal Tribunale del Riesame di Lecce, nell'ambito della vicenda giudiziaria originata dall'operazione di riqualificazione ed ampliamento del porto turistico di Otranto – si segnala per una pluralità di spunti d'interesse, affrontando quesiti processuali e sostanziali, non solo penalistici.
La nutrita ordinanza, infatti, come meglio si vedrà, si confronta in primis con il problema dell'ammissibilità dell'istanza di riesame reale da parte dell'indagato che non abbia la proprietà o la disponibilità del bene, aderendo all'orientamento prevalente all'esito di una minuziosa ricostruzione del dibattito ermeneutico in materia [cfr. §§ nn. 6.1., 6.2. e 6.3.]; tenta poi di dirimere la questione ancora insoluta della valenza del giudicato amministrativo nell'ambito del processo penale, offrendo una originale soluzione di compromesso [cfr. §§ 7.1., 7.2., 7.3., 7.4. e 7.5.]; afferma, infine, per la prima volta, che l'art. 1, comma 246, della l. n. 145/2018 (legge di stabilità 2019) – che consente ai concessionari di aree demaniali marittime di mantenere installati i manufatti amovibili per l'intero anno sino al prossimo 31 dicembre – vada disapplicato per contrasto con la Direttiva Servizi (cd. Direttiva Bolkstein) [cfr. § 14].
2. L’ordinanza, come si segnalava in apicibus, s'inserisce nella parentesi cautelare aperta a latere del procedimento di cognizione, ancora in fase indagini, relativo all'opera di riqualificazione del porto turistico del comune di Otranto [cfr. §§ 1 e 5].
Difatti, presentato un progetto di ammodernamento ed ampliamento, che prevedeva l'installazione di cinque pontili paralleli, oltre ad un ulteriore pontile di raccordo, il Comune di Otranto ne otteneva prontamente l'approvazione, con la prescrizione, però, di rimuovere i suddetti pontili galleggianti durante la stagione invernale, con facoltà, cioè, di serbare le strutture installate unicamente per sei mesi all'anno.
Pur a fronte della condizione di amovibilità dei pontili imposta dalla Soprintendenza, l'ente comunale non provvedeva alla rimozione di cui era onerato in base al progetto approvato, adducendo difficoltà di ordine tecnico e finanziario e tentando infruttuosamente di ottenere – sia in sede amministrativa, che giurisdizionale – la revisione della clausola di stagionalità.
Pertanto, il G.i.p. del Tribunale di Lecce, su richiesta della Procura della Repubblica, emetteva decreto di sequestro preventivo dei pontili galleggianti e delle sistemazioni delle aree installate sulla terra ferma dal Comune di Otranto, ritenendo la sussistenza, a carico degli indagati – il sindaco, P.C., e taluni assessori comunali, D.B.C., B.L.E., T.M. e D.D.D. –, del fumus degli addebiti cautelari loro ascritti – reati demaniali ed edilizi [amplius cfr. § 1, p. 3 ss.] – e del periculum in mora, rilevando che la libera disponibilità delle opere potesse aggravare o comunque protrarre le conseguenze dei reati contestati in sede cautelare, anche in considerazione delle rilevanti dimensioni dell'intervento, realizzato in zona sottoposta a vincolo paesaggistico ed archeologico.
Avverso il decreto di sequestro preventivo interponevano gravame ex art. 322 c.p.p. gli indagati, adducendo: la nullità del decreto cautelare genetico per violazione dell'art. 309, comma 9, del codice di rito, così come novellato dalla l. n. 47/2015 – i.e. carenza di autonoma valutazione delle esigenze cautelari, degli indizi e degli elementi forniti dalla difesa, stante un asserito rinvio acritico alle determinazioni formulate dal P.M. nella richiesta di applicazione della misura –; l'insussistenza degli addebiti cautelari; la possibile efficacia esimente dell'art. 1, comma 246, della l. 145/2018 (legge di stabilità 2019) ovvero la possibile incidenza sull'elemento psicologico della entrata in vigore di tale disposizione; l'insussistenza del periculum in mora [amplius cfr. § 3].
3. Superati agilmente i dubbi circa la nullità del decreto applicativo del sequestro per difetto di motivazione – richiamando una recente pronuncia della Corte di Cassazione, che consacra la possibilità per il giudice di ricorrere alla tecnica redazionale della glossa[1], di assolvere, cioè, più facilmente al proprio obbligo di motivazione, corredando le determinazioni poste a sostegno della misura da parte del P.M., copiate pedissequamente, di proprie considerazioni personali in relazione agli addebiti e alle esigenze cautelari [cfr. § 4] –, il Collegio passa a dirimere la questione preliminare se l'indagato, non proprietario del bene attinto dal provvedimento di sequestro e che non ne abbia neppure la mera disponibilità, possa formulare istanza di riesame.
Il Tribunale del Riesame di Lecce, dunque, passa in rassegna gli orientamenti giurisprudenziali formatisi sul punto, illustrando dapprima l'indirizzo che ritiene certamente possibile che l'indagato interponga richiesta di riesame, a prescindere dalla titolarità di una relazione qualificata con i beni sottoposti a sequestro preventivo.
Un tale orientamento ermeneutico, maturato in seno alla giurisprudenza di legittimità sin dagli anni '90 (cfr. ex multis Cass. pen., Sez. 3, 6 marzo 1996, n. 1052, Mora; Cass. pen., Sez. 3, 1 febbraio 2005, n. 10049, Bonucci e altro), si osserva nella ordinanza in commento, valorizza in primo luogo il dato letterale del primo comma dell'art. 322 c.p.p., secondo il quale "contro il decreto di sequestro emesso dal giudice l'imputato e il suo difensore, la persona alla quale le cose sono state sequestrate e quella che avrebbe diritto alla loro restituzione possono proporre richiesta di riesame, anche nel merito, a norma dell'art. 324", disposizione certamente suscettiva di estensione anche all'indagato in forza dell'art. 61, comma 1, c.p.p. Sulla scorta della lettera dell'art. 322 c.p.p., dunque, si sostiene che non si possa dubitare della legittimazione dell'indagato a proporre riesame avverso il provvedimento cautelare reale, tanto più che l'art. 586, comma 3, c.p.p. stabilisce che "il diritto di impugnazione spetta soltanto a colui al quale la legge espressamente lo conferisce".
Individuata una norma che legittimi astrattamente l'indagato ad impugnare il provvedimento cautelare reale, così assolvendo alla verifica della sussistenza di uno dei presupposti per proporre impugnazione, talune pronunce – osserva il Collegio – si spingono a ricercare un possibile interesse configurabile in capo all'istante non proprietario, in ossequio all'art. 568, comma 4, c.p.p., che precisa che per proporre impugnazione è necessario altresì avervi interesse.
Ed infatti, in alcuni arresti di legittimità si sostiene che, a prescindere dalla sussistenza di una relazione qualificata con il bene attinto dal provvedimento cautelare reale, vi sarebbe "interesse al gravame ogni qual volta venga in discussione la natura del reato o la qualificazione giuridica del fatto o comunque sia configurabile un'influenza sul procedimento penale" (Cass. pen., Sez. 4, 20 aprile 2005, n. 21724, Ventrone) oppure che "l'interesse si misura sulla possibilità del dissequestro, a prescindere dalla spettanza del diritto alla restituzione dei beni" (Cass. pen., Sez. 2, 14 giugno 2011, n. 32977, Chiriaco).
Viceversa, proseguendo nella illustrazione degli orientamenti ermeneutici in materia, il Collegio segnala come altra parte della giurisprudenza di legittimità ritenga di non poter prescindere dalla sussistenza di una relazione qualificata fra indagato e bene attinto dal provvedimento di sequestro ai fini del riconoscimento della legittimazione ad interporre gravame.
Come compiutamente ricostruito nell'ordinanza in commento [cfr. §§ 6.2. e 6.3.], infatti, in primis non pare possibile accontentarsi della sussistenza della legittimazione ad impugnare il provvedimento prevista expressis verbis dall'art. 322, comma primo, c.p.p., rinunciando a rintracciare un precipuo interesse in capo all'indagato non titolare dei beni sequestrati, dal momento che l'interesse ad impugnare rappresenta un requisito ulteriore e necessario, non suscettivo di assorbimento in quello della legittimazione, come chiarito dalla scelta inequivoca di utilizzare la congiunzione disgiuntiva "o" nel corpo dell'art. 591, primo comma, c.p.p., che prevede che l'impugnazione è inammissibile "quando è proposta da non è legittimato o non ha interesse".
D'altra parte, sottolinea il Collegio, aderendo all'orientamento sfavorevole, non sembrano convincenti neppure i tentativi di rintracciare un interesse dell'indagato non titolare dei beni sequestrati nella possibile incidenza dell'impugnazione cautelare sulle determinazioni in tema di natura del reato o qualificazione giuridica del fatto nel procedimento di merito ovvero nella restituzione tout court del bene sottoposto a sequestro (cfr. rispettivamente le richiamate pronunce Ventrone e Chiriaco), stante l'autonomia tra procedimento cautelare e giudizio di merito e la tipizzazione da parte del legislatore del risultato fisiologico cui l'iter procedimentale ex art. 322 c.p.p. tende, vale a dire la restituzione del bene sequestrato in favore del soggetto istante. Considerazione, quest'ultima, confermata dalla scelta di riconoscere la legittimazione ad impugnare ad un terzo, diverso dall'imputato o dal suo difensore, purché si tratti di soggetto al quale le cose sono state sequestrate o che avrebbe diritto alla loro restituzione, proprio in ragione, dunque, della sussistenza di una relazione qualificata con i beni attinti dal provvedimento cautelare.
3.1. In conclusione, confutati gli argomenti a sostegno della tesi favorevole ed aderendo, di conseguenza, all'orientamento da ultimo delineato, il Tribunale del Riesame di Lecce afferma che l'indagato non titolare del bene oggetto di sequestro preventivo, pur astrattamente legittimato a presentare richiesta di riesame del titolo cautelare ai sensi dell'art. 322 del codice di rito, possa proporre il gravame solo ove vanti un interesse concreto ed attuale all'impugnazione, da individuarsi nel risultato fisiologico cui lo schema procedimentale mira – i.e. la restituzione della cosa come effetto del dissequestro.
Coerentemente con il ragionamento svolto, dunque, il Collegio dichiara inammissibili per carenza d'interesse all'impugnazione i ricorsi presentati dagli indagati P.C. (sindaco del comune di Otranto, ma ricorrente anche in qualità di persona fisica), D.B.C., B.L.E., T.M. e D.D.D. (assessori del medesimo comune), in quanto non titolari di alcuna relazione qualificata con i beni sottoposti a sequestro preventivo [cfr. § 6.4.].
Residua, pertanto, al vaglio del Tribunale del Riesame unicamente il ricorso presentato dall'indagato P.C. in qualità di sindaco del comune di Otranto, in quanto rappresentante legale dell'ente, titolare certamente di una relazione qualificata con i beni sottoposti a sequestro preventivo, avendo non solo chiesto ed ottenuto la disponibilità dell'area demaniale al fine di costruire l'approdo turistico, ma vantando altresì a tutt'oggi un valido titolo all'occupazione dell'area, in attesa, peraltro, del vaglio di ulteriori progetti volti al superamento della condizione della stagionalità sinora ignorata.
4. Risolta una prima questione di carattere processuale, il Collegio passa a confrontarsi con l'aporia della valenza del giudicato amministrativo nel processo penale, tenuto conto del rilievo, nel caso di specie, di più pronunce giurisdizionali amministrative definitive sulla legittimità della prescrizione di stagionalità imposta nell'approvato progetto di riqualificazione del porto turistico [amplius cfr. p. 10 ss. e 29 ss.].
Anche in questo caso, il Collegio ritiene utile, ai fini della decisione, mettere preliminarmente sul tappeto gli orientamenti ermeneutici formatisi sul punto.
Nel provvedimento in commento, dunque, viene illustrato in primis l'indirizzo della tendenziale vincolatività del giudicato amministrativo nel processo penale, evidenziandone la derivazione da una presa di posizione originaria assai meno temperata e le più recenti formulazioni [cfr. § 7.2.].
Da un lato, quindi, il Tribunale del Riesame sottolinea come, dapprincipio, la Corte di Cassazione avesse imposto al giudice penale una assoluta preclusione valutativa rispetto al provvedimento amministrativo già vagliato dall'autorità giudiziaria amministrativa con sentenza passata in giudicato (cfr. ex multis Cass. pen., Sez. 3, 11 gennaio 1996, n. 54, Ciaburri; Cass. pen., Sez. 3, 5 giugno 2006, n. 39707, Lubrano di Scorpianello; Cass. pen., Sez. 3, 14 dicembre 2006, n. 1894, Bruno e altro); dall'altro, rileva come, più recentemente, detta tesi sia stata smussata, escludendo che una tale preclusione si estenda a profili di legittimità non dedotti innanzi al giudice amministrativo (Cass. pen., Sez. 3, 18 luglio 2014, n. 44077, Scotto Di Clemente) e ritenendo che non possano dispiegare alcun effetto le considerazioni formulate dalla autorità giudiziaria amministrativa con riferimento a situazioni che, sebbene analoghe, hanno riguardato soggetti e circostanze diverse (Cass. pen., Sez. 3, 4 giugno 2015, n. 30171, P.M. in proc. Serafini).
Il Collegio analizza, poi, due diversi orientamenti che, pur partendo da una premessa antitetica, finiscono per convergere sulla regola valutativa da applicare, nel senso di una assoluta non vincolatività della sentenza extrapenale definitiva.
Una prima posizione – si osserva nell'annotando provvedimento – ravvisa nell'art. 238 bis c.p.p. la norma d'ingresso delle pronunce amministrative irrevocabili nel processo penale, così mutuandone anche la regola di valutazione [cfr. § 7.3.]. Tale disposizione del codice di rito, infatti, che pacificamente consente alle pronunce penali passate in giudicato di confluire in processi penali diversi da quelli in cui sono state pronunciate, stabilisce che "le sentenze divenute irrevocabili possono essere acquisite ai fini della prova di fatto in esse accertato e sono valutate a norma degli articoli 187 e 192, comma 3". Pertanto, secondo tale orientamento giurisprudenziale, alle pronunce definitive del giudice amministrativo andrebbe applicata la regola stabilita dal terzo comma dell'art. 192 c.p.p. – dettata per le dichiarazioni rese dal coimputato o dall'imputato in un procedimento connesso o collegato –, secondo la quale "sono valutate unitamente agli altri elementi di prova che ne confermano l'attendibilità".
Diversamente da quanto sostenuto dai fautori della vincolatività del giudicato amministrativo nel processo penale, dunque, gli arresti definitivi del g.a. non imbriglierebbero in alcun modo il giudice penale, che ben potrebbe discostarsi dalle determinazioni assunte nel precedente giudizio amministrativo (cfr. Cass. pen., Sez. 6, 24 febbraio 2011, P.C. in proc. Musumeci e altro).
Tale soluzione, come illustra il Collegio, è stata da ultimo accolta in una pronuncia di legittimità[2], in cui la Suprema Corte, affermato che le sentenze extrapenali sono utilizzabili nel processo penale, ove trovano ingresso a mezzo dell'art. 238 bis c.p.p., si premura di chiarire le ragioni sottese al mancato riconoscimento di una efficacia vincolante delle stesse nel giudizio penale. In primo luogo, i giudici di legittimità ritengono che una conferma della libera valutazione del giudicato amministrativo possa rinvenirsi nell'art. 2 c.p.p., che stabilisce che il giudice penale abbia il potere di risolvere autonomamente, sia pure incidenter tantum, ogni questione da cui dipenda la decisione, con l'unica eccezione, sancita dal quarto comma dell'art. 3 c.p.p., della valenza irretrattabile della sentenza irrevocabile del giudice civile che ha deciso una questione sullo stato di famiglia o di cittadinanza. Allo stesso modo, la possibilità di una libera valutazione del giudicato amministrativo potrebbe trarsi dalla disposizione ex art. 479 c.p.p., che, letta con l'aiuto dei lavori preparatori, sembrerebbe suggerire che solo e soltanto le pronunce individuate dall'art. 3, comma 4, c.p.p. spiegherebbero efficacia vincolante nel processo penale, rimanendo rimessa al libero convincimento del giudice la valutazione di ogni altra pronuncia definitiva[3].
Ad identica conclusione, vale a dire alla assoluta mancanza di vincoli per il giudice penale nella valutazione del giudicato amministrativo, giunge poi, secondo il Collegio, un altro indirizzo giurisprudenziale, pur partendo da una diversa premessa, escludendo, cioè, che l'art. 238 bis c.p.p. sia applicabile anche alle sentenze definitive extrapenali.
Sulla insussistenza di una preclusione valutativa e sulla vigenza del principio del libero convincimento del giudice previsto dall'art. 192, comma 1, c.p.p., si concorda, infatti, in una pronuncia di legittimità[4], pur obiettando che “l’utilizzazione delle sentenze irrevocabili, acquisite ai fini della prova dei fatti in esse accertati ai sensi dell’art. 238 bis cod. proc. pen., riguarda esclusivamente le sentenze pronunziate in altro procedimento penale e non anche quelle pronunziate in un procedimento civile”, sulla scorta di considerazioni diverse, osservando, cioè, che “il principio dell’autonomia dei giudizi trova la sua giustificazione nella necessità di evitare che l’esito del giudizio civile - regolato da principi relativi alla prova, alla sua ripartizione e valutazione completamente diversi rispetto a quello penale - possano avere efficacia in un processo che, pur divenuto processo di parti, continua a presentare una forte connotazione pubblicistica che impone alla parte pubblica di attenersi, nelle richieste di ammissione delle prove, a principi di stretta legalità e non a ragioni di mera opportunità come è invece consentito alle parti private sia nel processo civile che in quello penale”.
4.1. Ricostruiti, dunque, i diversi orientamenti ermeneutici sulla efficacia delle sentenze del giudice amministrativo che abbiano acquisito l'autorità di cosa giudicata nel processo penale, il Tribunale del Riesame di Lecce ritiene di non poter aderire a nessuno degli indirizzi illustrati e si cimenta nella ricerca di una soluzione di compromesso fondata su una "ponderata composizione degli interessi giuridici in gioco che vedono contrapposti, da un lato, l’autonomia del giudizio penale, specie in materia di acquisizione e valutazione della prova, secondo regole di rango costituzionale, dall’altro, la necessità di tutelare il principio di affidamento dei consociati nelle decisioni cristallizzate nei giudicati e, ancor più in generale, nella certezza del diritto" [cfr. § 7.5., p. 28].
Tenuto conto di tali contrapposte esigenze, il Collegio giunge a ritenere che il giudicato amministrativo non vincoli il giudice penale, salvo che ricorrano quattro "profili di identità" fra giudizio amministrativo e giudizio penale. Affinché, cioè, una sentenza amministrativa, resa su una questione dalla cui risoluzione dipenda in tutto o in parte l’esito del giudizio penale, spieghi efficacia dinnanzi al giudice penale, è necessario riscontrare una medesimezza oggettiva, nel senso che la sentenza definitiva pronunciata in sede giurisdizionale amministrativa deve avere avuto ad oggetto esattamente il medesimo provvedimento amministrativo che viene in rilievo nel giudizio penale o un provvedimento meramente confermativo dello stesso, non precedentemente e tempestivamente impugnato; soggettiva, il procedimento penale deve, cioè, riguardare lo stesso soggetto che ha impugnato il provvedimento della pubblica amministrazione innanzi al giudice amministrativo; devolutiva, vincolando il giudicato amministrativo il giudice penale solo in relazione agli specifici profili di illegittimità dedotti innanzi a quello amministrativo, coprendo, pertanto, solo il dedotto, ma non anche il deducibile e non potendosi riconoscere alcuna efficacia vincolante a sentenze pronunciate su questioni meramente formali; probatoria, nel senso che il giudice penale deve essere chiamato a decidere sulla base degli stessi elementi istruttori addotti nel precedente giudizio amministrativo, ritenendo, pertanto, che il giudicato amministrativo risulti superabile in sede penale sia alla luce di nuove prove precedentemente non valutate dal giudice amministrativo, sia in base ad elementi istruttori preesistenti, ma non presi in considerazione nel giudizio extrapenale [cfr. § 7.5., p. 28 e 29].
La sussistenza dei quattro "profili d'identità" delineati in premessa viene ravvisata nel caso oggetto di giudizio, dal momento che, evidenzia il Collegio, la decisione che si chiede di adottare passa necessariamente per la disamina della legittimità della prescrizione della rimozione stagionale dei pontili, vagliata e ribadita in più pronunce giurisdizionali passate in giudicato del Consiglio di Stato. Unico profilo mai portato all'attenzione del giudice amministrativo, e, pertanto, fuori dalle coordinate delineate nel provvedimento in commento e liberamente valutabile, conclude il Tribunale del Riesame, attiene all'interpretazione dell'art. 1, comma 246, della legge di stabilità 2019 [cfr. § 7.6.].
5. La questione sottoposta ad una valutazione incisiva del Tribunale del Riesame di Lecce risulta, dunque, la definizione dei possibili spazi di applicazione dell'art. 1, comma 246, della l. n. 145/2018 – che stabilisce che “i titolari delle concessioni demaniali marittime ad uso turistico ricreativo e dei punti di approdo con medesime finalità turistico ricreative, che utilizzino manufatti amovibili di cui alla lettera e.5) del comma 1 dell’articolo 3 del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, possono mantenere installati i predetti manufatti fino al 31 dicembre 2020, nelle more del riordino della materia previsto dall’articolo 1, comma 18, del decreto-legge 30 dicembre 2009, n. 194, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 2010, n. 25” (n.d.r.: il grassetto è nostro) –, disposizione centrale nella ricostruzione difensiva, nella quale si sostiene che gli indagati avrebbero omesso di avviare lo smontaggio dei pontili, oltre che per ragioni tecniche e finanziarie, perché animati dalla convinzione di agire lecitamente, nell'ambito, cioè, di una facoltà loro riconosciuta dall'ordinamento.
La tesi difensiva, però, non trova accoglimento nell'annotando provvedimento, sulla scorta, peraltro, di considerazioni diverse e logicamente antecedenti rispetto a quelle, pur di segno negativo, formulate nel decreto di applicazione della misura[5]. A parere del Collegio, infatti, l'applicazione della disposizione pare impedita, prima ancora che da un problema di sussumibilità del caso concreto nella fattispecie astratta prevista dalla disposizione citata, da una valutazione di carattere preliminare circa la compatibilità della stessa con i principi dell’ordinamento dell'Unione europea.
Secondo una lettura non atomistica della norma richiamata dalle difese, osserva il Tribunale, pare chiaro che la stessa – attribuendo un'ulteriore facoltà ai soggetti già titolari di concessioni demaniali, vale a dire quella di non effettuare lo smontaggio di strutture amovibili, pur a fronte di una condizione di stagionalità – costituisca "il “precipitato storico” di una normativa in materia di proroghe automatiche che si sviluppa ormai da oltre un decennio e che è pacificamente ritenuta contrastante con i principi comunitari di concorrenza e libertà di stabilimento" (n.d.r.: il grassetto è nostro) sanciti dalla Direttiva servizi del 2006 (c.d. direttiva Bolkestein), che all’articolo 12 prevede il necessario ricorso a procedure di selezione dell’aspirante mediante gara o altro procedimento ad evidenza pubblica [p. 44; amplius cfr. § 14].
Questa la conclusione cui approda il Tribunale del Riesame di Lecce, che opta, di conseguenza, per la disapplicazione della disposizione viziata, non prima di aver escluso che quest'ultima sia suscettiva di una interpretazione riduzionista, come prospettato da parte della giurisprudenza amministrativa. Se, infatti, in talune recenti pronunce (cfr. pp. 47 e 48), i T.A.R. Abruzzo e Puglia hanno tentato di depotenziare l'art. 1, comma 246, l. 145/2018, ritenendo che il mantenimento dei manufatti amovibili installati sia comunque subordinato alla presentazione di una apposita istanza, cui deve seguire un'accurata istruttoria che coinvolga tutte le amministrazioni interessate, comprese quelle preposte alla tutela del paesaggio, nel provvedimento in esame si obietta che una tale interpretazione, nonostante prenda di mira il condivisibile obiettivo di rendere la norma più compatibile con i principi comunitari, finisca per restituirla come inutiliter data, perché la configura come meramente ricognitiva di una facoltà – quella di presentare una apposita istanza di revisione della condizione di stagionalità – pacificamente riconosciuta ab origine al concessionario che abbia ottenuto un titolo per l'installazione solamente stagionale di manufatti amovibili[6].
6. In conclusione, il Tribunale del Riesame di Lecce – effettuato un preliminare scrutinio circa l'ammissibilità delle impugnazioni interposte, impiegando il criterio della sussistenza di una relazione qualificata tra ricorrente e beni oggetto di sequestro preventivo; ritagliato un ristretto ambito del petitum sottratto all'efficacia vincolante delle statuizioni definitive del giudice amministrativo in applicazione dei quattro criteri di identità enucleati nello stesso provvedimento in commento; disapplicato l'art. 1, comma 246, l. 145/2018 per contrasto con il diritto dell'Ue – rigetta la richiesta di riesame proposta nell'interesse del Comune di Otranto, condannando i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
[1] Il richiamo, nel corpo dell'annotando provvedimento, è a Cass. pen., Sez. 2, 24 novembre 2015, n. 2778, Papaluta; più in generale, quanto all'ammissibilità della motivazione per relationem e dell'uso dello strumento informatico del c.d. “copia ed incolla”, che si concreta nel rinvio per uno o più punti della decisione al contenuto motivazionale di altro provvedimento, la giurisprudenza di legittimità ne ha chiarito i limiti, ritenendo che tale tecnica di redazione del provvedimento non risulti censurabile ove ricorrano talune condizioni, e, segnatamente, la congruità della motivazione del provvedimento cui è fatto rinvio rispetto all’esigenza di giustificazione propria di quello di destinazione; la conoscenza e l'esame scrupoloso da parte del giudice del contenuto sostanziale delle ragioni poste alla base dell’atto a cui si fa richiamo; la conoscenza da parte dell'interessato dell’atto di riferimento, o quantomeno l'ostensibilità dello stesso, laddove non allegato o trascritto nel provvedimento da motivare (Cass., Sez. Un., 28 novembre 2001, Policastro; Cass., Sez. Un., 21 giugno 2000, Primavera; Cass., Sez. I, 17 giugno 1999, Scarabello; Cass., Sez. VI, 21 gennaio 1998, Scollo).
[2] Cass. pen., Sez. 3, 19 marzo 2019 (dep. 30 aprile 2019), n. 17855, Cavelli, Rv. 275702-01.
[3] Valutazioni, queste, non condivise dal Tribunale del Riesame di Lecce, che, per confutare le argomentazioni addotte a sostegno, osserva che, quanto all'art. 2 c.p.p., "è norma di portata generalissima, che attribuisce al Giudice penale il potere-dovere di decidere incidentalmente ogni questione extrapenale da cui dipenda la decisione finale del processo, ma che, in nessun modo, si fa carico di chiarire se e in che termini il predetto potere-dovere risulti limitato dalla preesistenza di un giudicato civile o amministrativo" (cfr. p. 25 ss.); e che, rispetto all'art. 479 c.p.p., oltre alla necessità di una rivalutazione a ribasso della decisività dei lavori preparatori, "appare irragionevole ritenere che il disposto dell’art. 479 c.p.p. consenta al Giudice penale di sospendere il processo per un notevole lasso temporale (che può protrarsi fino a un anno), in attesa che sulla pregiudiziale questione civile o amministrativa intervenga una “sentenza passata in giudicato” (non una semplice sentenza, dunque, ma un provvedimento definitivo), per poi consentire allo stesso Giudice di valutare discrezionalmente la sentenza extrapenale irrevocabile, potendo liberamente discostarsi dalla decisone in essa contenuta", e che se "un tale rilievo è riconosciuto ad una sentenza extrapenale pronunciata a seguito di sospensione del processo penale, non può ritenersi che, qualora invece la sentenza civile o amministrativa che decide una questione incidentale del processo penale intervenga prima dell’inizio del giudizio penale o nelle more dello stesso (ma senza che questo venga sospeso), essa possa essere, sempre e comunque (a prescindere dagli specifici caratteri della stessa), liberamente disattesa dal Giudice penale".
[4] Cass. pen., Sez. 4, n. 28529 del 26/06/2008 - dep. 10/07/2008, Mezzera e altro, Rv. 240316 – 01.
[5] Il G.i.p., si legge nel provvedimento in commento, aveva ritenuto che la norma non potesse trovare applicazione nel caso di specie "per un duplice ordine di ragioni: una di carattere soggettivo (il Comune di Otranto non è “concessionario” demaniale, in quanto la sua disponibilità dell’area non si basa su una “concessione”, bensì su una “occupazione anticipata”, provvedimento differente rispetto alla richiesta “concessione”); un’altra di carattere oggettivo, (i pontili che compongono la struttura di cui si tratta non sarebbero “amovibili”, non più, almeno)" (cfr. p. 40).
[6] Per completezza di esposizione, giova segnalare che, in data primo febbraio 2020, è stata depositata una sentenza del T.A.R. Puglia, Sez. Lecce, ric. Capo di Leuca S.r.l., con la quale, contrariamente a quanto sostenuto nell'ordinanza in commento, si afferma che il comma 246 dell’art. 1 della l. n. 145/2018 nulla abbia a che vedere con la cd. Direttiva Bolkestein, non prevedendo di per sé alcuna proroga di concessioni demaniali, restando, pertanto, fuor di discussione una sua possibile disapplicazione per contrasto con la predetta Direttiva (p. 6). Nella sentenza del T.A.R. Puglia si precisa altresì – in contrasto con l'indicata lettura riduzionista operata da talune pronunce amministrative – che tale disposizione conferisca ai titolari di concessioni demaniali marittime la facoltà potestativa di mantenere installati i manufatti amovibili anche per la stagione invernale fino al 31/12/2020, senza che vi sia necessità né di una “istanza” né di una “comunicazione” alle Pubbliche Amministrazioni interessate (Comune, Soprintendenza, ecc.), precisando che "la facoltà o diritto di non procedere allo smontaggio delle strutture amovibili al termine della stagione estiva e solo fino al 31 dicembre 2020, attribuito ex lege ai titolari delle concessioni demaniali marittime così come individuati dalla norma, può essere fatto valere anche per così dire “in via di eccezione”, atteso che - non essendo previsto alcun procedimento o necessità di conseguimento di titoli e pareri – l’effetto sospensivo consegue ex lege ed in via automatica; non occorre pertanto alcuna previa dichiarazione o manifestazione della volontà di volersi avvalere dell’effetto previsto in via automatica dalla norma in esame" (p. 13).