Legge 19 dicembre 2019, n. 157 – Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 26 ottobre 2019, n. 124, recante disposizioni urgenti in materia fiscale e per esigenze indifferibili (G.U. n. 301 del 24 dicembre 2019)
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1. Pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 24 dicembre 2019, è dallo scorso Natale in vigore la legge 19 dicembre 2019, n. 157, con cui è stato convertito, con modificazioni, il decreto-legge 26 ottobre 2019, n. 124 (c.d. decreto fiscale), il cui art. 39 contempla varie modifiche al sistema penaltributario[1].
Di seguito, evidenziando di volta in volta le modificazioni al decreto apportate dalla legge di conversione, ripercorreremo tutte le novità introdotte dalla riforma: i. l’intervento sul trattamento sanzionatorio dei reati tributari di cui al d.lgs. 74/2000 (infra, § 2); ii. l’introduzione della confisca allargata per i medesimi reati tributari (infra, § 3); iii. la previsione della responsabilità degli enti ex decreto 231 per illeciti penali tributari (infra, § 4).
Prima di addentrarci in tale disamina, è però utile rammentare che l’efficacia delle modifiche in materia penale previste dal decreto-legge era stata ab initio posticipata al momento dell’entrata in vigore della legge di conversione (art. 39, comma 3, d.l. 124/2019). Pertanto, quelle disposizioni del decreto – nella versione elaborata dal Governo – non sono mai state in vigore, risolvendosi in una sorta di “bozza” del disegno di legge di conversione, produttivo non di effetti giuridici innovativi per l’ordinamento, ma solo di effetti politici: una sorta di manifestazione d’intenti, un escamotage che ha avuto l’effetto di assicurare un binario privilegiato all’approvazione parlamentare della riforma, ma che snatura il ruolo assegnato dalla Costituzione alla decretazione d’urgenza, con conseguenti dubbi di legittimità costituzionale. Nel commentare su questa Rivista il testo del decreto-legge n. 124/2019 avevamo infatti osservato, in primo luogo, come il differimento dell’efficacia del decreto palesasse l’insussistenza di quella straordinaria necessità e urgenza che dovrebbe caratterizzare le materie fatte oggetto di decretazione governativa ai sensi dell’art. 77 Cost.; in secondo luogo, come l’impiego stesso del decreto-legge per effettuare riforme in materia penale rappresenti una tendenza che, sebbene ormai diffusa, determina una dequotazione del ruolo dell’istituzione democratica parlamentare, stridente con la ratio della riserva di legge di cui all’art. 25, secondo comma, Cost.[2].
D’altro canto, questo peculiare differimento dell’efficacia del decreto, sventa ogni possibile questione intertemporale attinente alla successione tra decreto-legge e legge di conversione. Non si pone neppure, cioè, il problema dell’applicabilità delle disposizioni del decreto non confluite nella presente legge ai c.d. fatti concomitanti, cioè alle condotte commesse dopo l’emanazione del decreto e prima della sua conversione in legge con modificazioni. In altri termini, ogni disposizione dell’art. 39 del decreto fiscale non confluita nella presente legge può considerarsi tamquam non esset.
Veniamo, dunque, alle novità apportate dalla riforma.
2. Le modifiche in materia di reati tributari di cui al d.lgs. n. 74/2000.
La legge 157/2019 si conferma ispirata ad un inasprimento della politica sanzionatoria in materia penaltributaria: un irrigidimento che si pone in controtendenza rispetto alla precedente riforma del 2015[3] e che si esprime in un duplice senso. In primo luogo si elevano le cornici edittali di pena per molti di questi reati, con ricadute per alcuni di essi anche sui termini di prescrizione; in secondo luogo si abbassano le soglie di punibilità ivi previste, così estendendosi l’area di rilevanza penale dell’evasione fiscale.
Entrambi questi effetti, tuttavia, sono stati smorzati dalle modificazioni apportate dalla legge di conversione, che in questo senso ammorbidisce l’effetto innovativo della riforma. Sotto il primo profilo, si segnala che l’innalzamento delle pene per i reati di cui agli artt. 4 e 5 d.lgs. 74/2000, pur confermato, è stato ridimensionato (infra, § 2.3 e § 2.4). Sotto il secondo profilo, il prospettato abbassamento delle soglie di punibilità, mantenuto all’art. 4, non viene invece confermato rispetto ai reati di omesso versamento ex art. 10-bis e 10-ter, le cui soglie rimangono pertanto invariate (infra, § 2.7). Inoltre, le suindicate novità volte ad irrigidire il sistema penaltributario vengono controbilanciate da un ampliamento dell’ambito applicativo della causa di non punibilità dell’art. 13, comma 2, che viene estesa anche ai reati di cui agli artt. 2 e 3 (infra, § 2.8).
Procediamo però con ordine.
2.1. Innanzitutto, confermandosi quanto previsto nel decreto-legge, con riferimento al reato di “dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti” (art. 2): i) la pena viene elevata dalla reclusione da un anno e sei mesi a sei anni a quella della reclusione da 4 a 8 anni; ii) viene introdotto un comma 2-bis in forza del quale il previgente trattamento sanzionatorio (reclusione da un anno e sei mesi a sei anni) viene mantenuto nella sola ipotesi in cui l’ammontare degli elementi passivi fittizi sia inferiore a 100.000 euro[4].
Siffatto irrigidimento sanzionatorio viene tuttavia contemperato dall’applicabilità, esclusa prima della presente riforma, della causa di non punibilità di cui all’art. 13, comma 2 in caso di pagamento del debito tributario (infra, § 2.8).
Può incidentalmente osservarsi come sia stata implicitamente confermata dal legislatore la scelta di configurare la fattispecie di cui all’art. 2 come reato “senza soglia”, vale a dire punibile a prescindere dall’importo dell’imposta evasa. Della legittimità costituzionale di tale scelta, al metro del principio di ragionevolezza e uguaglianza dell’art. 3 Cost., aveva di recente dubitato il Tribunale di Palermo, il quale aveva pertanto sollecitato il sindacato della Consulta, lamentando in sostanza che il delitto in esame non fosse assoggettato alle medesime soglie di punibilità contemplate dall’art. 3 (dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici). Con la sentenza n. 95 del 2019, la Corte costituzionale ha tuttavia ritenuto infondata la questione di legittimità costituzionale. Nella sentenza si osserva che «tramite la norma censurata, il legislatore ha inteso “isolare”, nell’ambito dell’ampia gamma dei mezzi fraudolenti utilizzabili a supporto di una dichiarazione mendace, uno specifico artificio, al quale viene annesso, sulla base dell’esperienza, uno spiccato coefficiente di “insidiosità” per gli interessi dell’erario». Questa «precisa strategia, espressiva dell’ampia discrezionalità del legislatore in materia di politica criminale» non può essere considerata manifestamente irragionevole o arbitraria «tenuto conto del particolare ruolo che la fattura e i documenti ad essa equiparati sul piano probatorio dalla normativa fiscale assolvono nel quadro dell’adempimento degli obblighi del contribuente, nonché della capacità di sviamento dell’attività accertativa degli uffici finanziari che l’artificio in questione possiede».
2.2. Sempre in modo identico rispetto a quanto “annunciato” nel decreto-legge, viene intensificato il trattamento sanzionatorio del reato di “dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici” (art. 3): si passa dalla pena della reclusione da un anno e sei mesi a sei anni alla pena della reclusione da 3 a 8 anni. Non viene in questo caso toccata la soglia di punibilità.
Anche rispetto a questa fattispecie, peraltro, vale quanto detto circa la prevista applicabilità della causa di non punibilità di cui all’art. 13, comma 2 (infra, § 2.8).
2.3. La legge di conversione ha invece apportato alcune modificazioni alle novità relative al reato di “dichiarazione infedele” (art. 4).
Viene confermata, senza alcuna modifica rispetto al decreto, la riduzione delle soglie di punibilità previste tanto alla lettera a (ove la soglia di imposta evasa passa da 150.000 a 100.000 euro), quanto alla lettera b della norma (ove la soglia degli elementi attivi sottratti all’imposizione è ridotta da tre milioni a due milioni di euro). Quest’ultima viene quindi riportata esattamente a quella vigente fino a prima della riforma del 2015, mentre la soglia di punibilità di cui alla lettera a, pure abbassata, viene mantenuta ad un livello comunque superiore a quello precedente al 2015, quando cioè si attestava sui cinquantamila euro.
La legge eleva inoltre la cornice edittale della norma, smorzando però in questo caso l’intervento previsto nel decreto-legge. Quest’ultimo prevedeva che si passasse dalla reclusione da uno a tre anni alla reclusione da 2 a 5 anni, mentre la legge di conversione ha assestato la cornice da un minimo di 2 anni ad un massimo di 4 anni e sei mesi.
Il decreto-legge viene altresì modificato nella parte in cui prevedeva l’abrogazione della disposizione di cui al comma 1-ter dell’art. 4, disposizione in forza della quale si escludeva la punibilità delle “valutazioni” che, singolarmente considerate, differissero in misura inferiore al 10% da quelle corrette, precisando altresì che gli importi compresi in tale percentuale non fossero computati ai fini del superamento delle soglie di punibilità. Sarebbe stata così rimossa una disposizione che di fatto riproduceva in relazione alla sola dichiarazione infedele il disposto dell’abrogato art. 7, comma 2, d.lgs. 74/2000[5] e che aveva destato più di una perplessità per il fatto di limitare quantitativamente delle valutazioni in un ambito nel quale – in forza del disposto del comma 1-bis del medesimo articolo 4 – esse sembrano già escluse dall’area di rilevanza penale [6].
La legge di conversione ha invece mantenuto in vigore il comma 1-ter, prevedendo però che le valutazioni non debbano essere “singolarmente” considerate, bensì “complessivamente” considerate.
2.4. Viene confermato l’aggravamento sanzionatorio anche per il reato di “omessa dichiarazione” (art. 5), il cui minimo edittale viene raddoppiato, portandolo a 2 anni, e il cui massimo edittale – previsto tanto al comma 1, quanto al comma 1-bis – viene elevato a 5 anni.
Si tratta di un aumento inferiore a quello, pari a 6 anni, prospettato nel testo del decreto-legge, e dunque non sufficiente a permettere le intercettazioni (art. 266 c.p.p.), ma cionondimeno idoneo a consentire l’applicazione della misura cautelare della custodia in carcere (art. 280, comma 2, c.p.p.).
2.5. Viene confermato, senza alcuna modificazione rispetto al testo del decreto-legge, l’inasprimento sanzionatorio per il reato di “emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti” (art. 8), ove la previgente pena della reclusione da un anno e sei mesi a sei anni viene elevata a quella della reclusione da 4 a 8 anni; con la precisazione – inserita in un nuovo comma 2-bis – che la pena rimane invece quella della reclusione da un anno e sei mesi a sei anni «se l’importo non rispondente al vero indicato nelle fatture o nei documenti, per periodo d’imposta, è inferiore a euro centomila».
2.6. Lo stesso vale per il reato di “occultamento o distruzione di documenti contabili” (art. 10), ove si passa dalla pena della reclusione da un anno e sei mesi a sei anni ad una cornice che va da un minimo di 3 anni a un massimo di 7 anni di reclusione.
2.7. La legge di conversione ha invece posto nel nulla le prospettate modifiche delle soglie di punibilità dei reati di omesso versamento (artt. 10-bis e 10-ter).
Il decreto-legge prevedeva infatti che, nel reato di “omesso versamento di ritenute dovute o certificate” (art. 10-bis), la soglia di 150.000 euro venisse abbassata a 100.000 euro; mentre nel reato di “omesso versamento di IVA” (art. 10-ter) la soglia di 250.000 euro venisse portata a 150.000 euro.
Un simile intervento avrebbe determinato un’estensione dell’area di rilevanza penale di queste condotte illecite, laddove la stessa era invece stata fortemente ridimensionata solo quattro anni prima dalla già citata riforma del 2015. Si rammenterà infatti che, fino ad allora, la soglia era fissata sia all’art. 10-bis che all’art. 10-ter nella misura di 50.000 euro; misura che era stata nel 2015 triplicata all’art. 10-bis e quintuplicata all’art. 10-ter con conseguente abolitio criminis parziale.
L’attuale Governo voleva inizialmente ridurre l’effetto di depenalizzazione prodotto da quella riforma, attestando il confine dell’area di rilevanza penale ad un livello mediano, che avrebbe determinato la necessità di fare applicazione della regola della c.d. legge intermedia ex art. 2, comma 2, c.p.[7]. Questo intento è stato però neutralizzato dagli emendamenti al decreto confluiti nella legge di conversione, che lascia pertanto invariate le soglie di punibilità di cui agli artt. 10-bis e 10-ter.
2.8. Come anticipato, la legge introduce un’ulteriore novità, che non era contemplata dal decreto-legge: la causa di non punibilità del pagamento del debito tributario di cui all’art. 13, comma 2 viene estesa anche ai reati di dichiarazione fraudolenta di cui agli artt. 2 e 3 (mentre era in precedenza riferita ai soli reati di omessa o infedele dichiarazione di cui agli artt. 4 e 5).
Anche i reati di cui agli artt. 2 e 3, dunque, non saranno punibili se i debiti tributari, comprese sanzioni e interessi, siano stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti, a seguito del ravvedimento operoso o della presentazione della dichiarazione omessa entro il termine di presentazione della dichiarazione relativa al periodo d’imposta successivo, sempreché il ravvedimento o la presentazione siano intervenuti prima che l’autore del reato abbia avuto formale conoscenza di accessi, ispezioni, verifiche o dell’inizio di qualunque attività di accertamento amministrativo o di procedimenti penali.
Si conferma in questo modo la tendenza politica a favorire istituti volti a valorizzare la “resipiscenza” del contribuente, sub specie di pagamento all’erario delle somme dovute in conseguenza dell’evasione fiscale. Pagamento che, come si osserverà tra un attimo, è altresì utile ad evitare, ove integrale, o a ridimensionare, ove parziale, il sequestro e la confisca.
3. La confisca “allargata” per i reati tributari.
Fondamentale, all’interno del novellato assetto penaltributario, è l’introduzione di un nuovo art. 12-ter, che prevede l’applicabilità della c.d. confisca allargata ex art. 240-bis c.p. in caso di condanna o patteggiamento per una serie di delitti indicati dalla norma stessa (artt. 2, 3, 8, 11), allorché l’evasione fiscale superi una certa entità valoriale (100.000 euro o 200.000 euro, a seconda dei casi).
3.1. Come noto, la confisca c.d. allargata di cui all’art. 240-bis c.p. – norma in cui è recentemente confluita la misura precedentemente prevista dall’art. 12-sexies l. 356/1992 – ha ad oggetto il denaro, i beni o le altre utilità di cui il condannato non può giustificare la provenienza e di cui, anche per interposta persona fisica o giuridica, risulta essere titolare o avere la disponibilità a qualsiasi titolo in valore sproporzionato al proprio reddito, dichiarato ai fini delle imposte sul reddito, o alla propria attività economica. Questa confisca, dunque, consiste in una forma di ablazione fondata essenzialmente sulla sproporzione patrimoniale, sproporzione che permette una presunzione iuris tantum di origine illecita dei beni, secondo un meccanismo di accertamento non dissimile da quello proprio della confisca di prevenzione di cui al c.d. codice antimafia (d.lgs. 159/2011) [8]. In forza, poi, del rinvio che l’art. 240-bis c.p. opera all’art. 578-bis c.p.p., il giudice di appello o la Corte di cassazione, nel dichiarare il reato tributario estinto per prescrizione o per amnistia, potranno decidere sull’impugnazione ai soli effetti della confisca, purché procedano ad un previo accertamento della responsabilità dell’imputato.
3.2. Questa peculiare forma di confisca “allargata”, più in particolare, sarà applicabile in caso di condanna o patteggiamento:
a) per il delitto previsto dall’art. 2, quando l’ammontare degli elementi passivi fittizi è superiore a 200.000 euro (non più 100.000, come prevedeva il testo del decreto-legge);
b) per il delitto previsto dagli art. 3, quando l’imposta evasa è superiore a 100.000 euro (non più anche per l’art. 5, come prevedeva il testo del decreto-legge);
c) per il delitto di cui all’art. 8, quando l’importo non rispondente al vero indicato nelle fatture o nei documenti è superiore a 200.000 euro (non più 100.000 come prevedeva il testo del decreto-legge);
d) per il delitto di cui all’art. 11, comma 1, quando l’ammontare delle imposte, delle sanzioni e degli interessi è superiore a 100.000 euro;
e) per il delitto di cui all’art. 11, comma 2, quando l’ammontare degli elementi attivi inferiori a quelli effettivi o degli elementi passivi fittizi è superiore a 200.000 euro (non più 100.000 come prevedeva il testo del decreto-legge).
Diversamente da quanto prevedeva il testo del decreto-legge, dunque, rimangono esclusi dall’ambito applicativo della confisca allargata (non solo i reati di omesso versamento ex artt. 10-bis e 10-ter, già esclusi dal decreto, ma anche) i reati di cui agli artt. 4, 5, 10 e 10-quater. Inoltre la soglia di evasione legittimante la confisca viene, in relazione agli artt. 2, 8 e 11, comma 2, portata a 200.000 euro, in rialzo rispetto ai 100.000 euro indicati nel decreto.
Pur ridimensionando in tal senso la sfera operativa della nuova misura ablatoria patrimoniale, la legge di riforma conferma la creazione di un regime differenziato all’interno di ogni singola fattispecie incriminatrice: superata la soglia di rilevanza penale del fatto, per far scattare l’operatività della confisca allargata è necessario superare un’ulteriore soglia. Vi sarà dunque una fascia di condotte sottoposte al solo regime “ordinario” della confisca prevista dall’art. 12-bis, e un’altra fascia di condotte più gravi (che cioè superino anche le soglie indicate dall’art. 12-ter) rispetto alle quali sarà applicabile anche la confisca c.d. allargata di cui all’art. 240-bis c.p.[9]. Si conferma, insomma, l’annunciato irrigidimento del trattamento lato sensu penale per i cosiddetti “grandi evasori”, su cui incide «un ventaglio di misure sempre più ramificato ed incisivo», non solo personale, ma anche patrimoniale[10].
3.3. Un limite all’operatività della confisca è peraltro desumibile dallo stesso art. 240-bis c.p., che contiene una clausola in base alla quale “in ogni caso il condannato non può giustificare la legittima provenienza dei beni sul presupposto che il denaro utilizzato per acquistarli sia provento o reimpiego dell’evasione fiscale, salvo che l’obbligazione tributaria sia stata estinta mediante adempimento nelle forme di legge”. L’inciso è volto ad escludere dall’oggetto della confisca allargata quanto l’imputato abbia già restituito all’erario, evitando una duplicazione di apprensione del provento illecito. Tale precauzione – proprio nell’ambito dei reati tributari – era già adottata nel diritto vivente in forza di un consolidato indirizzo giurisprudenziale[11], ed era stata addirittura “rafforzata” dal legislatore del 2015 prevedendo, al secondo comma dell’art. 12-bis, che la confisca sia esclusa non solo per la parte che il contribuente ha effettivamente già versato all’erario, bensì anche per quella che “si impegna” a versare[12]. A seguito dell’odierna riforma, tuttavia, la rilevanza dell’impegno a pagare l’imposta evasa ex art. 12-bis, comma 2, sembrerebbe poter operare solamente in relazione alla confisca “ordinaria” prevista da quello stesso articolo, mentre per la confisca allargata introdotta all’art. 12-ter sembrerebbe rilevare solamente l’effettiva restituzione all’erario.
Ci sembra peraltro verosimile (e auspicabile) che la giurisprudenza continui, anche in questo settore, a circoscrivere l’applicabilità in concreto della confisca in esame mediante il ricorso al requisito della c.d. “ragionevolezza temporale”. Attraverso questo “limite implicito”, il momento di acquisizione del bene di valore sproporzionato non dovrebbe risultare eccessivamente lontano dall’epoca di realizzazione del reato per cui è intervenuta condanna[13].
3.4. La nuova forma di confisca, per espressa previsione normativa, si applicherà “esclusivamente alle condotte poste in essere successivamente alla data di entrata in vigore della legge di conversione”. Sembrano volersi così scongiurare eventuali applicazioni giurisprudenziali in senso retroattivo di quella che – a torto o ragione – viene ancora generalmente qualificata come misura di sicurezza, pertanto non soggetta al divieto di retroattività in malam partem. Proprio in ragione di tale qualificazione, peraltro, la presente “clausola di irretroattività” potrebbe essere interpretata nel senso di non ostare alla possibilità che la confisca, pur applicata a condotte poste in essere dopo l’entrata in vigore della legge, vada a colpire cespiti acquisiti in epoca anteriore alla medesima data[14]. In questo senso, chi commetta un delitto tributario sopra la soglia indicata dall’art. 12-ter in epoca successiva all’entrata in vigore della presente riforma dovrebbe mettere in conto che gli sarà applicabile una confisca che è in grado di colpire anche acquisti di valore sproporzionato effettuati precedentemente, seppur – come si è accennato – entro il limite implicito della ragionevolezza temporale.
4. La novità in materia di responsabilità da reato degli enti.
Last but not least l’ingresso di alcuni reati tributari nel catalogo dei reati-presupposto della responsabilità dell’ente ex d.lgs. 231/2001.
4.1. Quella che si presentava nel decreto-legge come una novità, per quanto “storica”, comunque “minimalista”, in quanto limitata al solo reato di cui all’art. 2 d.lgs. 74/2000, viene dalla legge di conversione estesa anche agli artt. 3, 8, 10 e 11 d.lgs. 74/2000.
Più in particolare, viene aggiunto nel decreto 231 un nuovo art. 25-quinquiesdecies (“Reati tributari”) che commina in capo all’ente responsabile:
a) per il delitto di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti previsto dall’art. 2, comma 1, la sanzione pecuniaria fino a cinquecento quote;
b) per il delitto di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti previsto dall’art. 2, comma 2-bis, la sanzione pecuniaria fino a quattrocento quote;
c) per il delitto di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici previsto dall’art. 3, la sanzione pecuniaria fino a cinquecento quote;
d) per il delitto di emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti previsto dall’art. 8, comma 1, la sanzione pecuniaria fino a cinquecento quote;
e) per il delitto di emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti previsto dall’art. 8, comma 2-bis, la sanzione pecuniaria fino a quattrocento quote;
f) per il delitto di occultamento o distruzione di documenti contabili previsto dall’art. 10, la sanzione pecuniaria fino a quattrocento quote;
g) per il delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte previsto dall’art. 11, la sanzione pecuniaria fino a quattrocento quote.
Se l’ente ha conseguito un profitto di rilevante entità, la sanzione pecuniaria è aumentata di un terzo.
In tutti questi casi, si applicano le sanzioni interdittive di cui all’art. 9, comma 2, lettera c (divieto di contrattare con la pubblica amministrazione, salvo che per ottenere le prestazioni di un pubblico servizio), lettera d (esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi e l'eventuale revoca di quelli già concessi) e lettera e (divieto di pubblicizzare beni o servizi).
4.2. Dall’introduzione dell’art. 25-quinquiesdecies discende evidentemente l’esigenza di modificare i modelli organizzativi, adattandoli in funzione della prevenzione del rischio di tale tipologia di reati[15].
Ciò è vieppiù necessario alla luce del fatto che l’ente risulta oggi esposto non solo a sanzioni pecuniarie ed interdittive, ma anche all’applicazione del sequestro e della confisca, diretta e per equivalente, del prezzo o profitto del reato tributario realizzato nell’interesse o a vantaggio dell’ente.
Si tratta di un’importante novità: il profitto del reato tributario, sub specie di risparmio d’imposta, era infatti stato ritenuto sequestrabile e confiscabile solo in via “diretta” in capo all’ente, quest’ultimo non potendo solitamente intendersi “persona estranea al reato”. Tale circostanza, peraltro, aveva verosimilmente condizionato la scelta di accogliere la tesi giurisprudenziale per cui sarebbe sempre “diretta” la confisca di denaro e, quindi, la confisca della somma corrispondente all’imposta evasa[16]. Una tesi però fondata, secondo autorevole dottrina, su di una «forzatura semantica»[17], che potrebbe a questo punto esporsi ad una rimeditazione, senza che ciò implichi necessariamente un indebolimento dei mezzi di contrasto dell’evasione fiscale commessa in ambiti societari.
4.3. L’introduzione dei reati tributari nel catalogo dei reati-presupposto ex d.lgs. 231/2001 rappresenta un esito sollecitato tanto dal diritto dell’Unione europea, in particolare dalla c.d. direttiva PIF[18], quanto da una parte consistente della dottrina[19], seppur spesso attenta anche a sottolineare possibili criticità discendenti dalla necessità di rispettare il principio del ne bis in idem[20].
Sotto il profilo dell’adempimento agli obblighi eurounitari, la riforma sembra fare, al contempo, “troppo e troppo poco”.
Sembra fare “troppo” perché – rinviando in toto alle menzionate norme incriminatrici di cui al d.lgs. 74/2000 – va oltre a quelli che erano gli obblighi sovranazionali, che riguardano solo imposte (in particolare l’IVA) che impattano sulle finanze europee e che attengono a condotte commesse in sistemi fraudolenti transfrontalieri (art. 3 lett. d della direttiva): la responsabilità dell’ente, invero, sorgerà in caso di reati tributari consistenti anche nell’evasione di imposte sui redditi esorbitanti dalla competenza unionale e anche a prescindere dal carattere transfrontaliero della condotta. A ben vedere, questa soluzione, per quanto non imposta dalla direttiva, è senz’altro con essa conforme (lasciando essa liberi gli stati di prevedere misure ulteriori a quelle, minime, richieste) e potrebbe anzi considerarsi giustificata dall’esigenza di assicurare ragionevolezza al sistema complessivamente inteso, senza operare una discriminazione interna in base al tipo di tributo evaso.
Per altro verso, escludendosi taluni reati, tra cui quelli di cui agli artt. 4, 5 e 10-quater d.lgs. 74/2000, la riforma sembra fare “troppo poco”. Invero, non paiono pienamente rispettati gli obblighi sovranazionali di incriminazione, oltre che di rispetto del principio di ragionevolezza e uguaglianza[21]. Infatti, ai sensi dell’art. 6 della direttiva PIF, gli Stati membri sono tenuti ad adottare le misure necessarie affinché le persone giuridiche possano essere ritenute responsabili per tutte le frodi che offendano interessi finanziari dell’Unione europea ai sensi degli artt. 3, 4 e 5 della medesima direttiva. In particolare, nel definire il concetto di “frode che offende gli interessi dell’UE”, l’art. 3 § 2, lett. d) della direttiva, fa riferimento: i) all’utilizzo o alla presentazione di dichiarazioni o documenti falsi, inesatti o incompleti relativi all’IVA, cui consegua la diminuzione di risorse del bilancio dell’Unione; ii) alla mancata comunicazione di un’informazione relativa all’IVA in violazione di un obbligo specifico, cui consegua lo stesso effetto; ovvero iii) alla presentazione di dichiarazioni esatte relative all’IVA per dissimulare in maniera fraudolenta il mancato pagamento o la costituzione illecita di diritti a rimborsi dell’IVA.
Tra i primi commenti alla riforma è stato in particolare rilevato come la mancata ricomprensione tra i reati presupposto dell’art. 5 d.lgs. 74/2000, con conseguente impossibilità di far fronte efficacemente a condotte di evasione mediante esterovestizione societaria, costituisca «un vulnus alla coerenza del sistema, rivelando un deficit di comprensione di alcuni dei più gravi fenomeni di evasione fiscale che avrebbero imposto una più severa risposta sanzionatoria»[22].
Resta ad ogni modo da rilevare come la materia della responsabilità dell’ente da reato tributario si presenti in questo momento particolarmente fluida e potenzialmente suscettibile di ulteriori modifiche, data in particolare la pendenza della delega legislativa conferita al Governo dalla legge 4 ottobre 2019, n. 117, il cui art. 3, lett. e) richiede di «integrare le disposizioni del Decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, [...] prevedendo espressamente la responsabilità amministrativa da reato delle persone giuridiche anche per i reati che ledono gli interessi finanziari dell’Unione europea e che non sono già compresi nelle disposizioni del medesimo Decreto legislativo». Potrebbe, quest’ultima, essere una buona occasione per rimettere mano con maggiore coerenza al sistema della responsabilità dell’ente per reati tributari.
[1] Sul “decreto-legge fiscale” n. 124/2019, v. A. Perini, Brevi note sui profili penali tributari del d.l. n. 124/2019 (decreto fiscale), in questa Rivista, 3 dicembre 2019 e, volendo, S. Finocchiaro, Le novità in materia di reati tributari e di responsabilità degli enti contenute nel c.d. decreto fiscale (d.l. n. 124/2019), in questa Rivista, 18 novembre 2019.
[2] Sotto il primo profilo avevamo già osservato che l’art. 15, comma 3, l. 400/1988 – norma che, come affermato dalla Corte costituzionale, «costituisce esplicitazione della ratio implicita nel secondo comma dell’art. 77 Cost.» (sentt. nn. 170 del 2017, 220 del 2013, 22 del 2012) – prescrive che «i decreti devono contenere misure di immediata applicazione e il loro contenuto deve essere specifico, omogeneo e corrispondente al titolo» (corsivo aggiunto). La stessa giurisprudenza costituzionale appare tuttavia al riguardo non proprio univoca: da un lato, osserva che il decreto-legge «entrerebbe in contraddizione con le sue stesse premesse, se contenesse disposizioni destinate ad avere effetti pratici differiti nel tempo» (sent. n. 220 del 2013), dall’altro, afferma che «la straordinaria necessità ed urgenza non postula inderogabilmente un’immediata applicazione delle disposizioni normative contenute nel decreto-legge, ma ben può fondarsi sulla necessità di provvedere con urgenza, anche laddove il risultato sia per qualche aspetto necessariamente differito» (sentt. nn. 16 e 170 del 2017). Sotto il secondo e distinto profilo attinente alla ratio della riserva di legge, non possiamo qui che ribadire il rinvio alle autorevoli e sempre attuali riflessioni, tra gli altri, di E. Dolcini, Leggi ‘ad personam’, riserva di legge e principio costituzionale di eguaglianza, in Riv. it. dir. proc. pen., 1/2004, p. 50 ss.; F. Bricola, Teoria generale del reato, in Nss. Dig. it., vol. XIX, 1973, p. 39 ss.; G. Delitala, Cesare Beccaria e il problema penale, in Riv. it. dir. proc. pen., 1964, p. 965 ss.
[3] Il riferimento è al d.lgs. 24 settembre 2015, n. 158, su cui si veda, tra i molti, I. Caraccioli, I nuovi reati tributari. Commento al D.lgs. 24 settembre 2015, n. 158, Milano, 2016; C. Nocerino, S. Putinati (a cura di), La riforma dei reati tributari. Le novità del d.lgs. n. 158/2015, Giappichelli, 2015. Per un commento allo schema di decreto si rinvia alle riflessioni svolte da S. Cavallini, Osservazioni 'di prima lettura' allo schema di decreto legislativo in materia penaltributaria, in Dir. pen. cont., 20 luglio 2015; nonché, volendo, S. Finocchiaro, Sull'imminente riforma in materia di reati tributari: le novità contenute nello 'schema' di decreto legislativo, in Dir. pen. cont., 16 luglio 2015.
[4] Una simile riduzione di pena legata all’entità della passività fittizia era in passato già stata prevista (con una soglia di euro 154.937,07) al terzo comma della disposizione, ma era successivamente stata rimossa a seguito dell’abrogazione di tale comma ad opera d.l. 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla l. 14 settembre 2011, n. 148.
[5] Con la precisazione che, a differenza che nell’art. 7, al comma 1-ter dell’art. 4 si fa(ceva) riferimento genericamente alle valutazioni e non solo a quelle “estimative”. Sul punto cfr. anche E.D. Basso-A. Viglione, I nuovi reati tributari, Giappichelli, 2017, p. 114 s.
[6] In questo senso S. Cavallini, Osservazioni, cit., p. 9.
[7] Ai sensi dell’art. 2, comma 2, c.p. è infatti sufficiente che il fatto non costituisca reato secondo “una” legge posteriore. Sulla lex intermedia, in dottrina, per tutti, C. Pecorella, Legge intermedia: aspetti problematici e prospettive de lege ferenda, in Dolcini-Paliero (a cura di), Studi in onore di Giorgio Marinucci, I, Milano, 2006, p. 611 ss., nonché G. L. Gatta, Abolitio criminis e successione di norme "integratrici": teoria e prassi, Milano, Giuffrè, 2008, p. 124. In giurisprudenza cfr. ad esempio Cass., sez. II pen., 7 luglio 2009, n. 35079.
[8] Confisca “allargata” e confisca “di prevenzione” costituiscono «altrettante species di un unico genus», secondo quanto da ultimo affermato da Corte cost., sent. 24 gennaio 2019 (dep. 27 febbraio 2019), n. 24, con nota, tra gli altri, di V. Maiello, La prevenzione ante delictum da pericolosità generica al bivio tra legalità costituzionale e interpretazione tassativizzante, in Giur. cost., fasc. 1/2019, p. 332; di F. Mazzacuva, L’uno due dalla Consulta alla disciplina delle misure di prevenzione: punto di arrivo o principio di un ricollocamento sui binari costituzionali?, in Riv. it. dir. proc. pen., p. 987 ss.; e, volendo, di S. Finocchiaro, Due pronunce della corte costituzionale in tema di principio di legalità e misure di prevenzione a seguito della sentenza de Tommaso della Corte Edu, in Dir. pen. cont., 4 marzo 2019.
[9] È stato osservato in dottrina (M. Bontempelli, La confisca o le confische da illecito (penale) tributario?, in questa Rivista, 4 dicembre 2019, p. 25) come le due forme di confisca si distinguerebbero in base all’oggetto della misura patrimoniale: la confisca “ordinaria” ex art. 12-bis avrebbe ad oggetto il prezzo o il profitto del reato tributario; mentre la confisca “allargata” ex art. 12-ter avrebbe ad oggetto i beni di valore sproporzionato. Al modello della confisca del profitto (o del prezzo) del reato si affiancherebbe cioè un modello di “confisca senza il profitto del reato”, ricomprendente la confisca “per sproporzione”, ma anche la confisca “per equivalente” e quella “per reimpiego” di cui all’art. 24 cod. antimafia.
[10] Cfr. G. Ruta, La riforma dei reati tributari, una prima lettura, in Questione giustizia, 23 dicembre 2019.
[11] Cfr., ex multis, Cass. pen., sez. III, 15 aprile 2015, n. 20887; cfr., nello stesso senso, Cass. pen., sez. III, 16 maggio 2012, n. 30140; Cass. pen., sez. III, 3 dicembre 2012, n. 46726.
[12] Sul punto cfr. ad esempio N. Pisani, Impegno al pagamento del debito tributario ai sensi dell’art. 12 bis d.lgs. 74/2000: riflessioni sulla natura giuridica della confisca in materia tributaria, in Riv. resp. amm. soc. enti, 2017, I, p. 73 ss.; S. Delsignore, Commento all’art. 12-bis, in Nocerino-Putinati (a cura di), La riforma dei reati tributari. Le novità del d.lgs. n. 158/2015, Giappichelli, Torino, 2015, p. 288; e, volendo, S. Finocchiaro, L’impegno a pagare il debito tributario e i suoi effetti su confisca e sequestro, in Dir. pen. cont. – Riv. trim., fasc. 4/2015, p 163 ss.
[13] Cfr., ad esempio, Cass. pen., sez. I, 16 aprile 2014, n. 41100; Cass. pen., sez. IV, 7 maggio 2013, n. 35707; Cass. pen., sez. I, 11 dicembre 2012, n. 2634; Cass. pen., sez. I, 5 febbraio 2001, n. 11049; Cass. pen., sez. V, 23 aprile 1998, n. 2469. In questo senso si è anche espressa Corte cost., sent. 21 febbraio 2018, n. 33, su cui si permetta un rinvio a S. Finocchiaro, La Corte costituzionale sulla ragionevolezza della confisca allargata. Verso una rivalutazione del concetto di sproporzione?, in Dir. pen. cont., fasc. 2/2018.
[14] A favore della confiscabilità di beni acquistati precedentemente all’entrata in vigore della norma che prevede la confisca allargata – proprio perché qualificata come misura di sicurezza non avente “sicura natura sanzionatoria” – è orientata la prevalente giurisprudenza: si veda, ad esempio, Cass., sez. II pen., sent. 12 ottobre 2018 (dep. 14 dicembre 2018), n. 56374.
[15] Sottolinea questo aspetto anche Paolo Ielo, in un’intervista di Giovanni Negri sulle pagine del Sole 24 ore, ove si osserva altresì la maggiore utilità del contrasto economico e della previsione di una responsabilità dell’ente nel settore della criminalità da profitto rispetto ai ben meno efficaci aumenti edittali delle pene detentive.
[16] In questo senso si era orientata la giurisprudenza prevalente, in particolare a seguito della sentenza delle Sezioni unite Gubert (Cass., Sez. Un. pen., 30 gennaio 2014-dep. 5 marzo 2014, n. 10561, Gubert; sul punto ribadita da Cass., Sez. Un. pen., 26 giugno 2015-dep. 21 luglio 2015, n. 31617, Lucci).
[17] Al riguardo, per tutti, F. Mucciarelli, C. E. Paliero Le sezioni unite e il profitto confiscabile: forzature semantiche e distorsioni ermeneutiche, in Dir. pen. cont., 30 luglio 2015
[18] Sulla direttiva PIF (Direttiva UE/2017/1371 del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alla lotta contro la frode che lede gli interessi finanziari dell’Unione mediante il diritto penale) cfr., tra gli altri, E. Basile, Brevi note sulla nuova Direttiva PIF. Luci e ombre del processo di integrazione UE in materia penale, in Dir. pen. cont., 12 dicembre 2017, e F. La Vattiata, La nuova direttiva PIF. Riflessioni in tema di responsabilità da reato degli enti giuridici, gruppi societari e reati tributari, in Giurisprudenza penale, 2019, 9.
[19] Al riguardo, non senza varietà di accenti, R. Alagna, I reati tributari ed il regime della responsabilità da reato degli enti, in Riv. trim. dir. pen. econ., 2012, p. 397; P. Aldrovandi, I profili evolutivi dell’illecito tributario, Padova, 2005, p. 230 ss.; S. Beltrani, Responsabilità degli enti e reati tributari (Commento a Cass. Pen., n. 25774, 4 luglio 2012), in Resp. amm. soc. enti, 2013, III, p. 205 ss.; F. D’Arcangelo, La responsabilità degli enti per i delitti tributari dopo le SS.UU. 1235/10, in Resp. amm. soc. enti., 2011, IV, p. 125 ss.; G.L. Gatta, I profili di responsabilità penale nell’esercizio della corporate tax governance, in Dir. pen. cont., 4 giugno 2018, p. 5; A. Perini, Brevi considerazioni in merito alla responsabilità degli enti conseguente alla commissione di illeciti fiscali, in Resp. amm. soc. enti, 2006, II, p. 88; C. Santoriello, I reati tributari nella responsabilità da reato degli enti collettivi: ovvero dell’opportunità di configurare la responsabilità amministrativa delle società anche in caso di commissione di reati fiscali, in Archivio penale, fasc. 1/2017, p. 82 ss.; P. Sorbello, Evasione fiscale e politica criminale: considerazioni sull’inopportunità sistemica della mancata corresponsabilizzazione degli enti nei reati tributari, in Ind. pen., 1/2011, p. 167 ss. Sul punto si veda anche la c.d. commissione Greco del 2007 (Commissione di studio per la riforma del d. lgs. 231/2001) e, al riguardo, P. Ielo, Commissione Greco: dall’usura alla frode verso una più ampia responsabilità degli enti, in Guida dir., 2010, fasc. 1, p. 23; nonché la Relazione al disegno di legge di delegazione europea 2018 in cui pure si osservava che “a termini di direttiva, è doveroso l’ampliamento del catalogo dei reati-presupposto della responsabilità degli enti collettivi ex decreto legislativo n. 231 del 2001 alle frodi in materia di IVA […]”.
[20] Con accento critico, attirando l’attenzione su un potenziale attrito con il principio del ne bis in idem e, più in generale, su di un cumulo sanzionatorio sproporzionato: A. Ingrassia-S. Cavallini, Brevi riflessioni sulla relazione tra il d.lgs. 231/2001 e i reati tributari, cit., p. 109 ss.; I. Caraccioli, Reati tributari e responsabilità degli enti, in Riv. resp. amm. enti, 2007, I, p. 155, nonché, più di recente, A. Perini, Brevi note sui profili penali tributari del d.l. n. 124/2019 (decreto fiscale), cit., e F. M. Magnelli, Sulla (in)compatibilità del sistema repressivo degli illeciti fiscali con lo statuto transnazionale del ne bis in idem: tra proporzionalità e 231, in Giurisprudenza Penale Web, 2019, 12.
[21] Sul punto si rinvia nuovamente alle osservazioni critiche di E. Basile, Riflessioni de lege ferenda sul recepimento della direttiva PIF: la repressione delle frodi e lo strano caso dell'art. 316-ter c.p., in Dir. pen. cont., 31 maggio 2019, in ptc. pp. 18 e 19. Può essere inoltre utile rammentare il considerando n. 14 della Direttiva, a tenore del quale: “Nella misura in cui gli interessi finanziari dell'Unione possono essere lesi o minacciati dalla condotta imputabile a persone giuridiche, queste dovrebbero essere responsabili dei reati commessi in loro nome, quali definiti nella presente direttiva”.
[22] Così G. Ruta, La riforma dei reati tributari, una prima lettura, cit.