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09 Marzo 2020


Alle Sezioni unite la questione relativa alla applicabilità della confisca facoltativa ex art. 240 co. 1 c.p. in caso di proscioglimento per intervenuta prescrizione

Cass., Sez. V, ord. 12 febbraio 2020 (dep. 27 febbraio 2020), n. 7881 Pres. Vessichelli, Rel. Guardiano, ric. Cipriani



1. Con la sentenza impugnata, la Corte d’assise di appello di Milano, in qualità di giudice del rinvio, ha confermato la confisca ex art. 240 co. 1 c.p. dei beni dell'imputato, ritenuti profitto del reato di cui all'art. 416 c.p., per il quale era tuttavia intervenuta medio tempore la prescrizione.

L'articolato iter processuale, relativo al noto caso Telecom-Sismi[1], ha visto l'imputato riportare condanna in primo grado per i reati di cui agli artt. 416 c.p. e 262, co. 1 e 4, c.p., con confisca di circa 14 milioni di euro (consistenti in conti esteri ed una villa, reimpiego del profitto originario del reato associativo), ritenuti parte del profitto ricavato grazie alla sua partecipazione alla associazione a delinquere, di cui aveva assunto il ruolo di organizzatore.

Nel successivo grado d'appello la Corte d'assise ha tuttavia dichiarato, in data 13.12.2016, non doversi procedere in ordine al reato associativo per essere maturata la prescrizione, pur confermando le statuizioni relative alla confisca.

La difesa dell'imputato ha quindi proposto ricorso per cassazione relativamente al mantenimento di tale misura, parzialmente accolto dalla Corte di legittimità, che ha annullato con rinvio richiedendo al giudice di merito di chiarire se la misura fosse stata adottata quale confisca facoltativa (art. 240 co. 1) o obbligatoria (art. 240 co. 2), rigettando nel resto il ricorso, confermando in particolare l'accertamento operato dai giudici del merito che vedeva il pieno coinvolgimento dell'imputato nei fatti per cui si procedeva.

 

2. Il giudice del rinvio, qualificata la misura quale confisca facoltativa ex art. 240 co. 1 c.p., ha a questa esteso i principi affermati dalla sentenza a Sezioni Unite Lucci, n. 31617 del 26.6.2015, che ha legittimato l'applicazione delle confische ex artt. 240 co. 2 e 322 ter c.p. in presenza di una declaratoria di prescrizione del reato, purché tale pronuncia non contraddica il contenuto di una precedente sentenza di condanna dell'imputato per i medesimi fatti (costituendo in tal modo "condanna in senso sostanziale"), né sia rimessa in discussione la qualifica dei beni da confiscare come prezzo o profitto del reato.

Tale estensione è stata operata sul presupposto di una finalità comune a tali forme di confisca, costituita dalla volontà del legislatore (evincibile dalle sempre maggiori ipotesi di confisca obbligatoria) di sterilizzare in chiave specialpreventiva ogni vantaggio economico conseguito attraverso la commissione di reati: tale finalità renderebbe irrilevante, ai fini del rapporto con una pronuncia prescrizionale, ogni distinzione tra confisca facoltativa e obbligatoria[2].

 

3. Avverso tale pronuncia propone ricorso per cassazione l'imputato, lamentando, per ciò che rileva in questa sede, l'indebita estensione del principio delle Sezioni Unite appena richiamato all'ipotesi in esame.

In particolare, rileva la difesa che il concetto di profitto citato in tale arresto è riferito ex art. 322 ter c.p. alle ipotesi di confisca obbligatoria diretta e per equivalente, non potendo valere per il diverso caso di confisca facoltativa ex art. 240 co. 1 c.p., pena la violazione del principio di stretta legalità, laddove la disposizione di parte generale opera un tassativo riferimento ad una sentenza di condanna o applicazione della pena quale presupposto per l'adozione della misura di sicurezza (in presenza, ulteriormente, del nesso di pertinenzialità).

Si contesta altresì il ricorso, da parte del giudice del rinvio, all'art. 578 bis c.p.p., in quanto tale norma, legittimando nei giudizi di impugnazione la decisione sulla confisca pur in presenza della prescrizione del reato, opera soltanto con riferimento alla confisca c.d. allargata ex art. 240 bis c.p.[3], svincolata dalla prova del nesso di pertinenzialità e riferita a reati diversi da quello rilevante nel caso di specie[4].

 

4. La Suprema Corte mostra di condividere l'assunto difensivo, e nell'investire della questione le Sezioni Unite richiama il diritto vivente che a livello interno e convenzionale si è formato sul tema.

Muovendo dalla sua stessa giurisprudenza, la Corte ricorda come il principio affermato dalle Sezioni Unite Lucci costituisca in realtà un superamento di due arresti precedenti, sempre emessi dal Supremo collegio nella sua più autorevole composizione.

Nel più risalente (Sezioni Unite, n. 5 del 25.3.1993, Carlea), avente ad oggetto la confisca facoltativa di cui all'art. 240 co. 1 c.p., si era sostenuta la ferma necessità di una sentenza formale di condanna, posti anche i limiti di accertamento insiti nella sentenza di prescrizione; relativamente alla confisca obbligatoria del prezzo, parimenti, l’autorevole consesso (Sezioni Unite, n. 38834 del 10.7.2008, De Maio) ha propugnato la più rigorosa soluzione, pur facendo salva la volontà del legislatore di modulare diversamente i poteri cognitivi del giudice rispetto al fatto ai fini dell'irrogazione della misura ablativa[5]: tale lettura, prosegue la Corte, aveva del resto ottenuto il recente avallo della Corte costituzionale (sentenza n. 85 del 2008), che aveva negato qualsiasi anomalia nell'esservi accertamento di responsabilità in una sentenza di proscioglimento per prescrizione.

È con la sentenza Lucci del 2015 che si perviene invece ad una diversa soluzione, facendo leva su una lettura del presupposto-condanna, rilevante ai fini dell'applicazione della confisca, non più in senso formale, ma sostanziale, "da intendersi come potere di accertamento, rivendicato in capo al giudice anche a prescindere da una formale attribuzione da parte del legislatore nella materia de qua, e compatibile col sistema processuale e sostanziale vigente".

Tale approdo sarebbe giustificato, come si è detto, dalla comune finalità delle ipotesi di confisca obbligatoria, e troverebbe conferma nelle sentenze Varvara c. Italia della CEDU e Corte cost. n. 49 del 2015[6].

 

5. Senonché, osserva problematicamente la Corte, tali pronunce avevano riguardato l'ipotesi di confisca urbanistica (art. 44 d.P.R. 380/2001), rispetto alla quale è stato il legislatore stesso a subordinare l'adozione della misura (in questo caso ispirata da finalità non preventive ma sanzionatorie) non già ad una pronuncia di condanna, ma al mero accertamento di responsabilità in capo all'autore della lottizzazione abusiva[7].

L'applicazione espansiva del principio al diverso caso della confisca obbligatoria ex artt. 240 co. 2 e 322 ter c.p. sarebbe stata giustificata in forza di un argomento a fortiori, per cui se lo sganciamento da una formale sentenza di condanna deve valere per il caso più "grave" (confisca-sanzione penale), allora non può non valere anche rispetto al caso "meno grave" in cui la confisca costituisce una misura di sicurezza.

Pur mostrando di condividere un simile percorso argomentativo, il Collegio si interroga tuttavia in termini fortemente dubitativi in ordine alla legittimità dell'applicazione di tale ragionamento al diverso caso della confisca facoltativa del profitto, operazione costituente “ulteriore applicazione estensiva di una precedente interpretazione che era già essa stessa estensiva, essendo, le materie disciplinate, niente affatto omogenee se non altro per essere l'una confisca facoltativa e l'altra obbligatoria".

In definitiva, ritiene la Corte, una applicazione generalizzata del principio di diritto della sentenza Lucci trova quale ostacolo insormontabile il principio di legalità, che abbraccia costituzionalmente non solo le pene ma anche le misure di sicurezza[8].

Sarebbe del resto il legislatore stesso ad aver recepito lo stato dell'arte giurisprudenziale senza volerne generalizzare la portata, dal momento che l’art. 578 bis c.p.p. si riferisce esclusivamente a specifiche ipotesi di confisca obbligatoria; e l’applicazione extra ordinem di tale norma al diverso caso di prescrizione del reato urbanistico dichiarata dal giudice della impugnazione è stata comunque legittimata da una pronuncia della Corte di Strasburgo (sentenza 28 giugno 2018, GIEM ed altri c. Italia[9]).

Alla luce di tali considerazioni, la Quinta sezione rimette la questione alle Sezioni Unite, affinché venga ridefinita la portata del principio di diritto della sentenza Lucci in modo da non operare relativamente al caso di confisca facoltativa ex art. 240 co. 1 c.p.; la rimessione sarebbe comunque giustificata anche ove le Sezioni Unite condividessero le premesse del giudice del rinvio, vertendosi in ipotesi di attualità di contrasto giurisprudenziale ai sensi dell'art. 618, co. 1 bis c.p.p.

 

 

[1] Si tratta di un importante caso giudiziario che ha coinvolto primariamente le società Telecom e Pirelli, pubblici ufficiali ed investigatori privati, relativamente ad attività sistematiche di spionaggio illegale e dossieraggio di dipendenti, personalità politiche, economiche, dello sport e dello spettacolo.

[2] Così la S.C., ricostruendo l'iter argomentativo del giudice d'appello: "la finalità special preventiva, che si attua attraverso la sterilizzazione delle utilità del reato in capo al suo autore, non può certo dirsi estranea alla confisca del profitto ex art. 240, comma primo, c.p., mentre non dovrebbe rilevare che in essa difetti una presunzione iuris et de iure di pericolosità formulata dal legislatore" (p. 9).

[3] Tale previsione è stata recentemente interpolata, ad opera della legge 9 gennaio 2019 n. 3, con l’aggiunta della ipotesi di confisca prevista dall’art. 322 ter c.p.

[4] In particolare, pur rientrando il reato di cui all'art. 416 c.p. tra i reati presupposto della confisca "per sproporzione", rimane estraneo il richiamo a tale forma di confisca nel caso di specie in ragione della non inclusione, tra i reati fine rilevanti ex art. 240 bis, di quello di cui all'art. 262 c.p.

[5] Ciò costituirebbe infatti espressione di un modello già collaudato in disposizioni codicistiche (art. 578 e 425 c.p.p.) e nella legislazione speciale (confisca edilizia ex art. 44 d.P.R. 380 del 2001).

[6] Il giudice delle leggi ha sostenuto come nel nostro ordinamento "la sentenza che accerta la prescrizione di un reato non denuncia alcuna incompatibilità logica o giuridica con un pieno accertamento di responsabilità", assumendo rilevanza non già la forma della pronuncia, ma la sostanza dell’accertamento.

[7] Si prevede infatti, a norma del primo capoverso della norma incriminatrice, che "la sentenza definitiva del giudice penale che accerta che vi è stata lottizzazione abusiva, dispone la confisca dei terreni, abusivamente lottizzati e delle opere abusivamente costruite".

[8] Aggiunge la Corte, d'altra parte, che la garanzia che la confisca segua necessariamente ad una pronuncia definitiva di condanna "non può essere sostituita dall'accertamento raggiunto in primo grado e posto in discussione dai motivi di appello, in ipotesi anche di natura istruttoria. Motivi che la ormai maturata prescrizione sacrifica, lasciando al giudice il solo potere di motivazione approfondito in relazione alla misura di sicurezza".

[9] Si legge in sentenza che, "qualora i tribunali investiti constatino che sussistono tutti gli elementi del reato di lottizzazione abusiva pur pervenendo a un non luogo a procedere, soltanto a causa della prescrizione, tali constatazioni, in sostanza, costituiscono una condanna nel senso dell’articolo 7, che in questo caso non è violato" (par. 261).