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22 Aprile 2021


La prescrizione delle pene detentive brevi approda alle Sezioni unite

Cass., Sez. I, ord. 11 marzo 2021 (dep. 7 aprile 2021), n. 13050, Pres. Casa, Rel. Boni



1. Con l’ordinanza in commento, la prima sezione penale della Corte di cassazione ha rimesso alle Sezioni unite la soluzione di due quesiti relativi alla prescrizione della pena ex art. 172 del codice penale, con specifico riguardo alla particolare disciplina dettata dall’art. 656, comma 5, del codice di procedura penale per le c.d. “pene detentive brevi”[1].

 

2. Conviene innanzitutto riepilogare brevemente i presupposti di fatto della vicenda.

Il pendente giudizio di cassazione trae origine dal ricorso promosso dal Procuratore della Repubblica di Santa Maria Capua Vetere avverso l’ordinanza con cui il G.I.P. locale aveva confermato, a seguito di opposizione proposta dallo stesso pubblico ministero, un proprio precedente provvedimento – pronunciato in qualità di giudice dell’esecuzione – con il quale, ai sensi dell’art. 172 cod. pen., si dichiarava estinta per prescrizione la pena inflitta ad un soggetto con sentenza divenuta irrevocabile il 21 dicembre 2007; si trattava, in particolare, di una pena di due anni di reclusione ed € 3000 di multa.

Il 16 maggio 2013, trascorsi oltre cinque anni dalla data di irrevocabilità della sentenza di condanna, il pubblico ministero aveva emesso l’ordine di esecuzione e il contestuale decreto di sospensione ai sensi dell’art. 656, comma 5, cod. proc. pen.; non era stato possibile, però, notificare gli atti al condannato, in quanto costui – cittadino extracomunitario, evidentemente irregolare nel territorio dello Stato – risultava espulso in forza di decreto prefettizio sin dal 17 marzo 2006.

Il 6 marzo 2017 – a nove anni, due mesi e tredici giorni dalla condanna definitiva – la polizia giudiziaria rintracciava il condannato, appena rientrato in Italia, e gli notificava a mani proprie il già menzionato ordine di esecuzione con l’allegato decreto di sospensione.

Il 9 maggio 2017 – rilevato che il soggetto non aveva presentato alcuna domanda di accesso ad una misura alternativa nel termine prescritto dall’art. 656, comma 5, cod. proc. pen. – il pubblico ministero disponeva la revoca del decreto di sospensione dell’ordine di esecuzione, senza però poter dare concreta attuazione all’atto esecutivo, posto che il condannato risultava nuovamente irreperibile.

Il 12 febbraio 2020 il condannato veniva casualmente rintracciato e immediatamente tradotto in carcere per l’espiazione della pena di due anni di reclusione, inflittagli ormai più di dieci anni prima.

 

3. Il giudice dell’esecuzione, investito del caso, ha ritenuto sin da subito – alla luce del disposto dell’art. 172, primo comma, cod. pen.[2] – che la pena si fosse estinta esattamente dieci anni dopo la definitività della sentenza di condanna, e quindi il 21 dicembre 2017.

Esaminando l’opposizione del pubblico ministero, il giudice ha ribadito il proprio precedente convincimento[3]: in particolare, il G.I.P. ha escluso che la notificazione dell’ordine di esecuzione con sospensione segni l’inizio dell’esecuzione, da individuarsi, invece, solo al momento della privazione della libertà personale del condannato; diversamente argomentando, dalla mancata richiesta di misure alternative da parte del condannato e dalla sua successiva irreperibilità si sarebbe dovuta dedurre la sua volontà di sottrarsi all’esecuzione già iniziata, dando rilievo al diverso termine posto dalla seconda parte dell’art. 172, quarto comma, cod. pen.[4]. Il giudice dell’esecuzione ha inoltre escluso che la fattispecie di cui all’art. 656, comma 5, cod. proc. pen. integri un’ipotesi in cui «l’esecuzione della pena è subordinata alla scadenza di un termine o al verificarsi di una condizione»: fattispecie, questa, che ai sensi dell’art. 172, quinto comma, cod. pen. avrebbe implicato il decorso della prescrizione della pena «dal giorno in cui il termine è scaduto o la condizione si è verificata».

 

4. Le censure del Procuratore ricorrente nel giudizio di cassazione si possono sostanzialmente riassumere nel senso che egli contesta la ricostruzione in diritto operata dal G.I.P. sul tema della corretta individuazione del dies a quo dal quale computare il termine di prescrizione della pena.

 

4.1. In primo luogo, il pubblico ministero lamenta la violazione di legge in relazione agli artt. 172 cod. pen. e 656, comma 5, cod. proc. pen., «per avere il giudice dell’esecuzione escluso che la notifica [dell’ordine di esecuzione e della relativa sospensione] compiuta in data 6 marzo 2017, prima dello spirare del decennio […], possa incidere sulla prescrizione della pena ed interromperne il decorso del termine». Secondo il ricorrente, «nel caso di specie avrebbe dovuto trovare applicazione l’art. 172, comma 4, cod. pen., per il quale il termine di prescrizione della pena decorre dal “giorno in cui il condannato si è sottratto volontariamente alla esecuzione già iniziata della pena”»; inoltre, alla luce della disciplina di cui all’art. 656, comma 5, cod. proc. pen. – per la quale, in relazione alle pene detentive brevi, il pubblico ministero deve in ogni caso emettere l’ordine di esecuzione con contestuale decreto di sospensione, da revocarsi immediatamente nel caso in cui il condannato non presenti istanze di ammissione a misure alternative nel termine di trenta giorni – l’inizio dell’esecuzione sarebbe segnato dalla notifica al condannato degli atti adottati ex art. 656, comma 5, cod. proc. pen. (costituendo la soluzione opposta un incentivo per condotte elusive) e la successiva irreperibilità del soggetto sarebbe indicativa della sua volontà di sottrarsi all’esecuzione stessa.

 

4.2. In secondo luogo, il ricorrente censura il provvedimento del G.I.P. – sempre per violazione delle norme di legge richiamate al primo motivo di ricorso – «per non avere il giudice dell’esecuzione considerato che il decorso del termine di trenta giorni per la proposizione della richiesta di accesso a misure alternative […] realizz[i] una delle ipotesi in cui l’esecuzione è subordinata alla scadenza di un termine, con la conseguente applicabilità del disposto di cui all’art. 172, comma 5, cod. pen.»; tale assunto sarebbe sostenuto da un isolato precedente di legittimità[5], sempre smentito dalla giurisprudenza successiva[6], che però dovrebbe essere rimeditato alla luce di quanto recentissimamente affermato dalla Corte costituzionale in tema di esecuzione[7].

 

4.3. Infine, con l’ultimo motivo di ricorso il Procuratore della Repubblica contesta la violazione dell’art. 172 cod. pen. dal momento che il giudice dell’esecuzione avrebbe indebitamente rifiutato di applicare al caso di specie il principio espresso dalla sentenza n. 26300 del 2011[8], secondo cui il termine di prescrizione della pena resta sospeso tra la data di esecuzione dell’espulsione dello straniero e quella del ripristino della detenzione in caso di suo rientro in Italia.

 

5. Il collegio rimettente, riepilogate le censure del Procuratore della Repubblica e rammentate le coordinate normative in tema di prescrizione della pena, denuncia la sussistenza di un potenziale contrasto, interno alla prima sezione penale.

Un primo orientamento afferma che, nei casi in cui dopo l’emissione e la notificazione dell’ordine di esecuzione questo non venga attuato per irreperibilità del destinatario, non sussiste il presupposto della “volontaria sottrazione all’esecuzione già iniziata” rilevante ai sensi dell’art. 172, quarto comma, cod. pen.: infatti, secondo questa giurisprudenza, l’inizio dell’esecuzione coincide necessariamente con la carcerazione del condannato[9]. Questo principio, formatosi in un’epoca in cui l’art. 656 cod. proc. pen. ancora non prevedeva l’attuale regolamentazione “speciale” per le pene detentive brevi[10], è stato comunque sostanzialmente confermato da una copiosa giurisprudenza successiva – nella quale si annovera anche una pronuncia a Sezioni unite[11], relativa però ad un profilo della disciplina affatto diverso da quello oggi di interesse – quasi del tutto unanime[12], la quale si è premurata di precisare che «la norma di cui all’art. 172 cod. pen., a differenza delle disposizioni di cui agli artt. 157 e ss. [in tema di prescrizione del reato prima della condanna], non prevede cause di sospensione del termine di prescrizione e, trattandosi di norma penale sostanziale, non è consentito introdurre in via analogica una causa di sospensione del termine»[13].

La seconda linea interpretativa, al contrario, sostiene che con l’emissione dell’ordine di esecuzione, ancorché sospeso temporaneamente, si realizzi la potestà punitiva dello Stato e si avvii l’esecuzione: l’atto di cui all’art. 656 cod. proc. pen. sarebbe in evidente contraddizione con l’inerzia posta a fondamento dell’istituto della prescrizione della pena; inoltre, dopo le modifiche all’art. 656 cod. proc. pen. di cui si è detto poc’anzi, il meccanismo preposto all’esecuzione delle pene detentive brevi non farebbe altro che costituire «una delle ipotesi in cui l’esecuzione è subordinata alla scadenza di un termine o al verificarsi di una condizione, con la conseguente applicabilità del disposto di cui all’art. 172, comma 5, cod. pen.»[14].

 

6. Nonostante l’ordinanza di rimessione non nasconda una perplessità di fondo, affermando candidamente che, «ad avviso del Collegio, l’interpretazione letterale dell’art. 172, comma 4, cod. pen. […] pretende un’esecuzione iniziata, intesa come realizzata mediante la privazione della libertà personale del condannato»[15], i giudici di legittimità non hanno potuto evitare di essere colpiti dalle suggestive affermazioni del Procuratore ricorrente[16], nel momento in cui egli ha evocato a proprio sostegno la sentenza n. 32 del 2020 della Corte costituzionale.

In particolare, la Consulta – nel dichiarare l’illegittimità costituzionale della legge 9 gennaio 2019, n. 3 (c.d. “spazzacorrotti”), così come interpretata dal diritto vivente – avrebbe attribuito valenza sostanziale al disposto dell’art. 656, comma 5, cod. proc. pen. nel momento in cui ha riconosciuto che la sua applicazione (o, meglio, la sua non applicazione nei casi di cui al successivo comma 9 della medesima disposizione) incide sullo stato di libertà personale del condannato. Infatti, secondo l’ordinanza qui in commento, con «il passaggio argomentativo nel quale la Corte costituzionale ha osservato che “sebbene dalla collocazione [dell’art. 656 cod. proc. pen.] il diritto vivente abbia dedotto la [sua] sottoposizione al generale principio tempus regit actum, non v’è dubbio che ess[o] – nel vietare la sospensione dell’ordine di esecuzione della pena in una serie di ipotesi […] – produce l’effetto di determinare l’inizio dell’esecuzione della pena stessa in regime detentivo”»[17], i giudici delle leggi «par[rebbero] aver associato l’inizio dell’esecuzione all’emissione dell’ordine di carcerazione, ammettendo così per implicito che la medesima evenienza possa realizzarsi anche in ambito non detentivo, come nel caso della sospensione dell’ordine di esecuzione ai sensi del comma 5 dell’art. 656 cod. proc. pen.»[18].

 

6.1. Peraltro, per dovere di completezza, si deve segnalare che la sezione rimettente ha arricchito le considerazioni sopra riassunte osservando che lo stesso contrasto giurisprudenziale pare avere rilievo anche in relazione alla disciplina della procedura estradizionale: in particolare, dopo aver ricordato che l’estradizione non può essere accordata se la pena è prescritta[19] e che il termine finale per il calcolo della prescrizione della pena è rappresentato dalla data di presentazione della richiesta di estradizione[20], il collegio ha evidenziato l’aporia contenuta nella sentenza n. 54337 del 2018[21], la quale, «dopo avere affermato che la disciplina della prescrizione della pena non prevede fenomeni sospensivi e interruttivi dei termini analoghi a quelli previsti dagli artt. 159 e 160 cod. pen., non applicabili per analogia, […] ha assegnato all’arresto all’estero dell’estradando valore di atto interruttivo della prescrizione, in grado di determinare il nuovo decorso del termine»: conclusione che, all’evidenza, è in aperto contrasto con la giurisprudenza quasi univoca di cui si era precedentemente dato conto[22].

 

7. Di qui, dunque, la formulazione delle due questioni rimesse alle Sezioni unite:

a) se, ai fini dell’applicazione dell’art. 172 cod. pen., l’inizio dell’esecuzione della pena detentiva breve ai sensi dell’art. 656, comma 5, cod. proc. pen. vada individuato nel momento della emissione dell’ordine di esecuzione con contestuale decreto di sospensione, oppure in quello di materiale apprensione del condannato con la conseguente limitazione della libertà personale; e

b) se, nel caso previsto dall’art. 656, comma 5, cod. proc. pen. l’accordata sospensione temporanea dell’esecuzione per consentire al condannato di fare richiesta al Tribunale di sorveglianza di applicazione di una misura alternativa alla carcerazione per il periodo di trenta giorni, o comunque sino a che intervenga la decisione sulla richiesta, rientri nelle ipotesi previste dall’art. 172, comma 5, cod. pen., per il quale, se l’esecuzione della pena è subordinata alla scadenza di un termine o al verificarsi di una condizione, il tempo necessario per l'estinzione della pena decorre dal giorno in cui il termine è scaduto o la condizione si è avverata.

 

* * *

 

8. Pare a chi scrive che la soluzione più corretta, a cui le Sezioni unite dovrebbero auspicabilmente pervenire, sia nel senso di confermare gli orientamenti assolutamente prevalenti in giurisprudenza. Ritengo, infatti, che si debba inequivocabilmente individuare l’inizio dell’esecuzione delle pene detentive (brevi o non brevi che siano) nel momento dell’incarcerazione del condannato e che la particolare disciplina dettata dall’art. 656, comma 5, cod. proc. pen. costituisca semplicemente una tappa obbligata del percorso processuale prescritto dalla legge per poter eseguire la condanna, non rilevante ai fini della prescrizione della pena.

 

9. Relativamente prima questione, si deve premettere che il fatto che il condannato non debba essere soggetto alla pretesa punitiva dello Stato per un tempo indefinito costituisce un principio di civiltà giuridica: è proprio a questo fine, d’altronde, che è ispirata la ratio dell’istituto di cui all’art. 172 cod. pen. In generale, il tempo impiegato dalle autorità pubbliche per compiere quanto loro imposto dalla legge non dovrebbe mai ritorcersi in danno del condannato[23]; in quest’ottica, lasciare nelle mani del pubblico ministero l’individuazione del dies a quo per il computo del termine di prescrizione della pena – dominando l’ufficio della Procura il momento in cui emettere l’ordine di esecuzione (pur se sospeso ai sensi dell’art. 656, comma 5, cod. proc. pen.) – vanificherebbe del tutto la ratio appena ricordata: l’unico, univoco, punto di riferimento per il condannato non può che essere la data di irrevocabilità della sentenza di condanna che ha subito.

La descritta dipendenza del condannato dall’attività del pubblico ministero sarebbe tanto più inaccettabile nel momento in cui si arrivasse ad affermare – come pare chiedere il Procuratore ricorrente nel primo motivo di ricorso[24]che la notifica dell’ordine di esecuzione costituisce una causa interruttiva del decorso del termine di prescrizione della pena: per assurdo, il pubblico ministero potrebbe emettere l’ordine di esecuzione un giorno prima dello spirare del termine di prescrizione della pena, così interrompendo la prescrizione e costringendo il condannato a rimanere in balia dello Stato per un termine che sarebbe sostanzialmente – e inopinatamente – raddoppiato. Ad ogni modo, un’interpretazione in questo senso pare scontrarsi frontalmente con il divieto di analogia in malam partem: attesa l’autonomia dei due istituti, in assenza di rinvii esplicitamente previsti dalla legge, sarebbe inammissibile estendere alla prescrizione della pena i fenomeni sospensivi e interruttivi che il codice disciplina solo per la prescrizione del reato; in quest’ottica, il precedente contrario indicato nell’ordinanza in commento[25] non può che essere oggetto di durissima critica.

L’osservazione che lo stesso pubblico ministero ha proposto nel proprio ricorso, secondo la quale la soluzione qui sostenuta incentiverebbe condotte elusive, pare priva di rilevanza: l’istituto della prescrizione della pena, infatti, è esplicitamente previsto anche in beneficio di chi si sottragga all’esecuzione (finanche con condotte costituenti esse stesse reato, ad esempio mediante evasione dal carcere).

Quanto, infine, all’argomento per il quale anche la Corte costituzionale – con la sentenza n. 32 del 2020 – avrebbe suggerito di “spostare” l’inizio dell’esecuzione delle pene detentive brevi al momento dell’adozione dell’ordine di esecuzione, mi pare che si sia voluto leggere nelle parole della Consulta ciò che in realtà esse non dicono: è ben vero che la Corte ha riconosciuto un valore sostanziale alla disciplina dettata dall’art. 656 cod. proc. pen.; ma questa “estensione”, nella sentenza, è evidentemente effettuata in bonam partem, ed è orientata solamente a prevenire quell’“assaggio di carcere” che – riconducendo la norma all’alveo delle disposizioni squisitamente processuali, soggette al principio tempus regit actum – il condannato sarebbe stato insensatamente costretto a subire. Di qui ad affermare – peraltro piegando gli intenti della Corte ad un’interpretazione in malam partem – che la Consulta avrebbe implicitamente associato l’inizio dell’esecuzione all’emissione dell’ordine di carcerazione, il passo sembra assai lungo; senza contare che l’individuazione di un momento iniziale dell’esecuzione differenziato tra pene detentive “brevi” e “non brevi” – in questo senso sembra deporre il quesito posto alle Sezioni unite, ove esso circoscrive la questione all’«inizio dell’esecuzione della pena detentiva breve ai sensi dell’art. 656, comma 5, cod. proc. pen.» – potrebbe anche suscitare dubbi di compatibilità con il principio di uguaglianza di cui all’art. 3 della Costituzione.

 

10. Quanto alla seconda questione, credo che non sia possibile ricondurre l’art. 656, comma 5, cod. proc. pen. all’ipotesi prevista dall’art. 172, comma 5, cod. pen., se non adottando un’interpretazione della lettera della legge a dir poco forzata: mi pare evidente, infatti, che lo spirito della norma sostanziale – ove parla di “esecuzione della pena subordinata alla scadenza di un termine o al verificarsi di una condizione” – alluda a termini o condizioni strettamente relativi alla condanna e non alla sua fase esecutiva. In altre parole, la norma evidentemente si riferisce a casi in cui il termine o la condizione impediscano in radice l’esecutività della sentenza irrevocabile di condanna, escludendo il potere del pubblico ministero di attivarsi per l’esecuzione (esempi tipici sono i benefici della sospensione condizionale o dell’indulto condizionato, in costanza dei quali non è possibile dare avvio alla fase esecutiva fino a che essi non vengano meno per qualche causa[26]); la sospensione dell’ordine di esecuzione ex art. 656, comma 5, cod. proc. pen. configura – al contrario – una fattispecie il cui presupposto è proprio l’assenza di cause impeditive del potere di impulso all’esecuzione assegnato al pubblico ministero, il quale – sin da subito – è libero di attivarsi: il termine sospensivo concesso dalla norma in questione per evidenti fini deflattivi ha, in quest’ottica, natura strettamente procedimentale.

In un caso come quello del giudizio ormai pendente avanti alle Sezioni unite, semmai, verrebbe da dire che la patologia più evidente insiste nell’eccessivo lasso di tempo impiegato dal pubblico ministero per emettere l’ordine di esecuzione: più di cinque anni, a fronte di una condanna definitiva che – in quanto tale – avrebbe immediatamente permesso l’adozione degli atti prescritti dall’art. 656 cod. proc. pen.

 

 

[1] Art. 656, comma 5, cod. proc. pen.: «Se la pena detentiva, anche se costituente residuo di maggiore pena, non è superiore a tre anni, quattro anni nei casi previsti dall’articolo 47 ter, comma 1, della legge 26 luglio 1975, n. 354, o sei anni nei casi di cui agli articoli 90 e 94 del testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, e successive modificazioni, il pubblico ministero, salvo quanto previsto dai commi 7 e 9, ne sospende l’esecuzione. L’ordine di esecuzione e il decreto di sospensione sono notificati al condannato e al difensore nominato per la fase dell'esecuzione o, in difetto, al difensore che lo ha assistito nella fase di giudizio, con l’avviso che entro trenta giorni può essere presentata istanza, corredata dalle indicazioni e dalla documentazione necessarie, volta ad ottenere la concessione di una delle misure alternative alla detenzione di cui agli articoli 47, 47 ter e 50, comma 1, della legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni, e di cui all’articolo 94 del testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, e successive modificazioni, ovvero la sospensione dell’esecuzione della pena di cui all’articolo 90 dello stesso testo unico. L’avviso informa altresì che, ove non sia presentata l’istanza o la stessa sia inammissibile ai sensi degli articoli 90 e seguenti del citato testo unico l’esecuzione della pena avrà corso immediato».

[2] Art. 172, primo comma, cod. pen.: «La pena della reclusione si estingue col decorso di un tempo pari al doppio della pena inflitta e, in ogni caso, non superiore a trenta e non inferiore a dieci anni».

[3] Oltre alle osservazione di seguito esposte, il giudice ha sottolineato che nel caso di specie deve essere esclusa anche l’applicabilità dell’art. 7, comma 12-quater, del d.l. n. 416 del 1989, che prevedeva la sospensione dell’esecuzione della pena nel periodo compreso tra l’esecuzione dell’espulsione dello straniero e la sua risottoposizione a detenzione a seguito del rientro in Italia: il rilevo può apparire sovrabbondante, stante il fatto che la norma richiamata risulta abrogata dal 1998, ma all’evidenza risponde ad una delle censure del pubblico ministero (v. infra, § 4.3.).  Nel corpo dell’attuale testo unico dell’immigrazione (d.lgs. 25.7.1998, n. 286), una norma che tende a perseguire lo stesso scopo sospensivo della norma abrogata – sebbene attraverso una formulazione, per così dire, “indiretta” – è l’art. 16, comma 8: «La pena è estinta alla scadenza del termine di dieci anni dall’esecuzione dell’espulsione di cui al comma 5 [espulsione alternativa alla detenzione, n.d.a.], sempre che lo straniero non sia rientrato illegittimamente nel territorio dello Stato. In tale caso, lo stato di detenzione è ripristinato e riprende l’esecuzione della pena».

[4] Art. 172, quarto comma, cod. pen.: «Il termine decorre dal giorno in cui la condanna è divenuta irrevocabile, ovvero dal giorno in cui il condannato si è sottratto volontariamente all'esecuzione già iniziata della pena».

[5] Corte di cassazione, prima sezione penale, sentenza 16.1.2007 (dep. 8.3.2007), n. 9854: tra le ipotesi di subordinazione dell’esecuzione della pena alla scadenza di un termine deve essere ricompresa anche la sospensione dell’esecuzione disposta dal pubblico ministero ai sensi dell’art. 656, comma 5, cod. proc. pen., e in tal caso il termine di prescrizione decorre dalla data in cui il Tribunale accerti la causa di inammissibilità o di rigetto dell’applicazione della misura alternativa, perché solo in tale data si ha la certezza sulle modalità di espiazione della pena.

[6] L’ordinanza in commento segnala, in particolare, Corte di cassazione, sezione prima penale, sentenza 29.4.2014 (dep. 27.5.2014), n. 21627; ancora più di recente, Corte di cassazione, sezione prima penale, sentenza 26.6.2018 (dep. 30.10.2018), n. 49747: ai fini dell’estinzione della pena per decorso del tempo, nel caso di sospensione dell’esecuzione disposta dal pubblico ministero ai sensi dell’art. 656, comma 5, cod. proc. pen. il termine di prescrizione decorre dalla data di irrevocabilità della condanna, ai sensi dell'art. 172, comma quarto, cod. pen., e non da quella del provvedimento di revoca della sospensione. Nell’affermare tale principio, la Corte ha osservato che l’istituto della sospensione dell’esecuzione della pena, in quanto applicabile solo nel caso di condanna eseguibile, è estraneo alla “ratio” dell'art. 172, comma quinto, cod. pen., che disciplina i casi di condanna non eseguibile per la pendenza di un termine o di una condizione; né lo stesso configura alcuna causa di sospensione del predetto termine prescrizionale.

[7] Il riferimento è alla nota sentenza n. 32 del 2020 – ossia la pronuncia sulla legge 9 gennaio 2019, n. 3 (c.d. “spazzacorrotti”) – con la quale ci si confronterà infra, §§ 6 e 9.

[8] Corte di cassazione, sezione prima penale, sentenza 19.4.2011 (dep. 6.7.2011), n. 26300. Si devono però notare due particolari circostanze: da una parte, nel caso di specie il condannato era già stato sottoposto a detenzione per quella causa, e fu scarcerato proprio ai fini dell’espulsione dall’Italia (e, dunque, non potevano sussistere dubbi circa l’avvenuto inizio dell’esecuzione); d’altra parte, il principio di diritto affermato nella sentenza fu evidentemente condizionato dal fatto che, nella fattispecie oggetto di quel giudizio, si era fatta applicazione dell’art. 7, comma 12-quater, del d.l. n. 416 del 1989, ancora vigente all’epoca dei fatti, risalenti al 1995 (di qui, probabilmente, l’argomento apparentemente sovrabbondante sviluppato dal giudice dell’esecuzione: v. supra, nota 3).

[9] La sentenza “capostipite”, richiamata anche nell’ordinanza in commento, è Corte di cassazione, sezione prima penale, sentenza 10.6.1997 (dep. 24.6.1997), n. 4060.

[10] In origine, l’esecuzione della pena era caratterizzata dalla centralità dell’ordine di esecuzione emesso dal pubblico ministero per tutte le tipologie di pena; l’attuale formulazione dell’art. 656, comma 5, cod. proc. pen. – a tenore della quale, come si è detto, in caso di pene detentive brevi il pubblico ministero deve emettere l’ordine di esecuzione con contestuale decreto di sospensione, revocando immediatamente quest’ultimo quando nel termine di 30 giorni non sia presentata istanza di ammissione a misure alternative o questa sia respinta o dichiarata inammissibile – è dovuta all’intervento della legge 27 maggio 1998, n. 165.

[11] Si tratta di Corte di cassazione, sezioni unite penali, sentenza 30.10.2014 (dep. 2.1.2015), n. 2, la quale si è occupata però del diverso profilo relativo al caso in cui l’esecuzione della pena sia subordinata alla revoca dell’indulto, stabilendo che il termine di prescrizione della pena, a norma dell’art. 172, quinto comma, cod. pen., decorre dalla data in cui è divenuta definitiva la sentenza di condanna che costituisce il presupposto dal quale dipende la revoca del beneficio e non dalla data in cui è divenuta definitiva la decisione che accerta la sussistenza della causa di revoca.

[12] Da ultimo, recentissimamente, Corte di cassazione, sezione prima penale, sentenza 6.7.2020 (dep. 22.7.2020), n. 21963.

[13] In questi termini si esprime l’ordinanza in commento, quando – al punto 2.3.1. del Considerato in diritto – riassume gli arresti della giurisprudenza maggioritaria.

[14] Questa ricostruzione è isolatamente contenuta nella già citata sentenza n. 9854 del 2007 (v. supra, nota 5), che sostanzialmente costituisce la base per le argomentazioni del pubblico ministero ricorrente.

[15] Ordinanza in commento, punto 2.3.3. del Considerato in diritto.

[16] È quantomeno degna di nota, a riprova dello scarso convincimento del collegio, la chiosa utilizzata dai giudici rimettenti in calce alle proprie osservazioni, quasi a prenderne al contempo le distanze: «Questo del resto è l’assunto del Procuratore ricorrente».

[17] Così l’ordinanza in commento, punto 2.3.3. del Considerato in diritto, riportando brani della sentenza n. 32 del 2020 della Corte costituzionale (specificamente tratti dal punto 4.4.4. del Considerato in diritto).

[18] Così, nuovamente, l’ordinanza in commento, sempre al punto 2.3.3. del Considerato in diritto.

[19] Corte di cassazione, sentenza n. 21627 del 2014, cit.

[20] Corte di cassazione, sentenza 15.9.2015 (dep. 4.11.2015), n. 44604 e successive conformi.

[21] Corte di cassazione, sentenza 20.11.2018 (dep. 5.12.2018), n. 54337: in tema di prescrizione della pena, l’arresto del condannato effettuato all'estero in esecuzione di una richiesta di estradizione dello Stato italiano determina l’inizio dell’esecuzione della pena e la decorrenza “ex novo” del termine di prescrizione della stessa, a nulla rilevando la successiva scarcerazione del condannato per mancata concessione dell’estradizione da parte dell'autorità giudiziaria estera.

[22] V. supra, § 5, in particolare alle note 9 e 12.

[23] In questi termini già Corte di cassazione, sentenza n. 21963 del 2020, cit.

[24] V. supra, § 4.1.

[25] Corte di cassazione, sentenza n. 54337 del 2018, cit. (v. supra, § 6.1., in particolare alla nota 21).

[26] In relazione all’individuazione del dies a quo per il computo della prescrizione della pena beneficiata da indulto condizionato, successivamente revocato, si veda – nuovamente – la già citata sentenza delle Sezioni unite n. 2 del 2015 (v. supra, nota 11).