Tribunale di Roma, sez. II, sent. 2 dicembre 2022 (dep. 15 dicembre 2022), n. 14998
1. Con il provvedimento in commento il Tribunale di Roma, in composizione collegiale, ha pronunciato sentenza di non doversi procedere nei confronti degli imputati per intervenuta prescrizione dei reati loro ascritti. Si tratta dell’epilogo processuale di una vicenda che ha avuto, almeno inizialmente, un significativo rilievo mediatico con il drammatico nome di “naufragio dei bambini”: uno dei peggiori nella storia del Mediterraneo, con un bilancio di 286 morti, di cui 60 bambini, quasi tutti dispersi in mare[1]. La sentenza definitiva arriva oltre nove anni dopo i tragici fatti, con una pronuncia che rispetto all’iniziale attenzione della stampa è passata quasi del tutto inosservata.
I fatti hanno inizio nell’ottobre 2013, con la chiamata d’emergenza partita dal telefono satellitare in uso ad un’imbarcazione con a bordo migranti di nazionalità siriana e giunta all’I.M.R.C.C. (Italian Maritime Rescue Coordination Centre di Roma) i cui sviluppi sono costati agli imputati l’imputazione coatta, disposta dal GIP di Roma dopo ben due richieste di archiviazione, per i reati di rifiuto d’atti d’ufficio ed omicidio colposo plurimo: il primo imputato in qualità di Capo sezione operazioni correnti della sala operativa di C.IN.C.NAV. (Comando in Capo della Squadra Navale), ed il secondo quale responsabile della centrale Operativa di I.M.R.C.C. Roma.
Il provvedimento in commento si segnala non tanto per la portata del dispositivo, imposto dalle (purtroppo) lunghe vicissitudini processuali, quanto per l’impostazione adottata in osservanza all’onere motivazionale. Alla luce di una vicenda tanto complessa, la Corte avrebbe ben potuto constatare, in adempimento a quanto imposto dal primo inciso dell’art. 531 c.1 c.p.p., l’insussistenza di circostanze idonee ad una pronuncia di proscioglimento ex art. 129 c. 2 c.p.p.[2], e pertanto proseguire de plano con la pronuncia del dispositivo.
All'opposto, il Tribunale alla luce dell’estrema gravità della vicenda ha sostenuto e argomentato l'astratta configurabilità dei reati contestati indicando tutti gli elementi che, in assenza della prescrizione, avrebbero potuto condurre ad una sentenza di condanna.
2. Il Collegio, dopo una rapida sintesi della genesi del procedimento e delle conclusioni dell’accusa e della difesa, si sofferma subito sul tema della prescrizione, rilevando la disposizione da parte del GUP di due rinvii per prescrizione “formalmente” sospesa in ipotesi che tuttavia non trovano riscontro nella disciplina codicistica: secondo i Giudici in entrambi i casi «si è in presenza di una sospensione facoltativa che non può esplicare i suoi effetti sui termini di prescrizione». Pertanto, in linea con la giurisprudenza costante[3], il Collegio ritiene di non poter considerare i suddetti rinvii ai fini del computo del termine di prescrizione, che ritiene intercorsa per entrambi i reati al 21 febbraio 2022.
3. I Giudici proseguono con un’introduzione alla «normativa applicabile al caso concreto», ai fini della successiva valutazione della sussistenza delle violazioni contestate nel capo di imputazione.
Quanto al piano del diritto internazionale, oltre alla «norma consuetudinaria chiara, precisa e incondizionata» che sancisce l’obbligo di ricerca e soccorso delle persone in mare, viene fatto riferimento a tre fondamentali convenzioni: la convenzione internazionale SOLAS (resa esecutiva nel 1980), in quanto obbliga il comandante venuto in qualsiasi modo a conoscenza di persone in pericolo in mare a prestare assistenza con rapidità e richiede agli Stati di garantire le comunicazioni in tal senso[4]; la convenzione internazionale SAR (ratificata nel 1989 e attuata nel 1994) che obbliga gli Stati a garantire assistenza ad ogni persona in pericolo in mare e stabilisce le regole di cooperazione tra le zone SAR[5] individuando nel Comando Generale del Corpo delle Capitanerie di Porto l’organismo che assicura il coordinamento generale dei servizi di soccorso marittimo (I.M.R.C.C.), attraverso le direttive impartite alle singole direzioni marittime (M.R.S.C.) e le richieste di concorso dei mezzi navali agli alti comandi competenti della marina militare; la convenzione ONU UNCLOS (ratificata nel 1994) che impone ad ogni Stato costiero di garantire un adeguato ed effettivo servizio di ricerca e soccorso relativo alla sicurezza in mare e vincola il comandante battente bandiera di uno stato costiero a soccorrere chiunque sia trovato in mare in pericolo di vita[6].
Quanto invece alla normativa interna, viene richiamato il Codice della navigazione, che disciplina il soccorso a navi in pericolo e a naufraghi (art. 69), l’obbligo di assistenza e salvataggio (artt. 489 e 490) e le conseguenze relative all’omissione di assistenza a navi o persone in pericolo (art. 1158), ed il Codice penale militare di pace, che punisce l’omissione di soccorso, di assistenza o di protezione in caso di navi o aeromobili, anche straniere, in pericolo (art. 113).
Infine, vengono brevemente distinte le tre fasi emergenziali – fase di INCERFA (dubbio sulla sicurezza di un mezzo navale o di una persona in mare), fase di ALERFA (consapevolezza della menomata efficienza del mezzo navale, senza tuttavia indizi di pericolo), fase di DETRESFA (fondata informazione che un mezzo o una persona sono in grave o imminente pericolo, bisognosi di assistenza) – che caratterizzano le situazioni di pericolo in mare, in cui tipicamente la normativa sopracitata trova applicazione.
4. Il Tribunale prosegue poi con la ricostruzione del fatto, a cui dedica circa quaranta pagine e di cui di seguito si ripropone una breve sintesi. La vicenda ha inizio nella tarda mattinata dell’11 ottobre 2013, quando all’I.M.R.C.C. (Italian Maritime Rescue Coordination Centre) con sede a Roma giungono due chiamate di emergenza provenienti da un telefono satellitare in uso ad un natante: l’interlocutore forniva informazioni sull’imbarcazione –una barca in legno, partita le sera precedente dalla Libia, che si trovava a circa 50 miglia dall’isola di Lampione con a bordo circa 300 persone, tra cui ottanta donne e più di cento bambini (due dei quali feriti), in balia delle onde e in stato di affondamento – chiedendo un aiuto tempestivo. Sul presupposto che tali migranti si trovassero nell’area SAR di competenza di Malta, l’I.M.R.C.C. contattava l’M.R.C.C. maltese affinché assumesse formalmente il coordinamento delle operazioni. L’I.M.R.C.C. contattava inoltre il Comando in Capo della Squadra Navale (C.IN.C.NAV.[7]) avvisando dell’interlocuzione con Malta: venivano riferite, in tale contesto, alcune delle informazioni acquisite in relazione al natante in pericolo, nonché l’indicazione che la Nave Libra – della Marina Militare – si trovava «più o meno in zona». I.M.R.C.C. e C.IN.C.NAV. dunque, anche con formale comunicazione con sistema satellitare indicando “priorità: distress”[8], riferivano alle navi in mare – tra cui Nave Libra, Espero e Cassiopea – la presenza di un’imbarcazione in difficoltà, invitandole a comunicare eventuali avvistamenti.
Avveniva a questo punto l’invio del fax da parte dell’M.R.C.C. di Roma verso l’omonimo maltese per l’assunzione formale del coordinamento delle operazioni da parte di quest’ultimo: si comunicava quanto appreso dai migranti, omettendo tuttavia qualsiasi riferimento al fatto che stavano imbarcando acqua e omettendo che Nave Libra fosse nelle vicinanze (venivano indicate, invece, le posizioni geografiche di due mercantili stranieri).
In tale contesto, con le chiamate d’emergenza dell’imbarcazione piena di migranti dirette all’I.M.R.C.C. che continuavano a susseguirsi, nel silenzio e nell’assenza di direttive da parte del secondo imputato (Capo della sezione operativa dell’I.M.R.C.C.), il primo imputato (Capo sezione dell’Unità operativa C.IN.C.NAV), dopo la terza chiamata di emergenza, impartiva ai propri mezzi delle direttive volte, da un lato, ad impegnare Nave Libra in operazioni apparentemente urgenti, e dall’altro a direzionare gli altri assetti navali utili verso luoghi diversi rispetto a quello in cui i migranti si trovavano.
Nel frattempo Malta, assunto il coordinamento delle operazioni, inviava una motovedetta nella posizione in cui si trovava il barcone, dandone avviso all’I.M.R.C.C. e al C.IN.C.NAV. Proprio in seguito a tale notizia, il primo imputato ordinava che Nave Libra non si avvicinasse troppo al natante ed in ogni caso avesse cura di non farsi vedere dalla motovedetta maltese, per evitare che quest’ultima alla vista di Nave Libra tornasse indietro, demandandole l’intera operazione di soccorso.
L’R.C.C. Malta, dopo aver mandato in perlustrazione oltre alla motovedetta anche un velivolo, alle ore 16.22 inviava un fax all’I.M.R.C.C. informando che il velivolo aveva localizzato il barcone –sovraccarico e instabile– e chiedendo di dare indicazioni alla vicina nave militare italiana avvistata dall’alto –ovvero nave Libra– di dirigersi verso i migranti per valutare la situazione e prestare soccorso se necessario.
A seguito di tale esplicito sollecito, il primo imputato dava ordine ai propri sottoposti di rimanere in stand by in merito alla possibilità di comunicare a Nave Libra la richiesta di intervento; parimenti il secondo imputato confermava al primo di non dare a Nave Libra alcuna indicazione né comando, contattando anzi l’R.C.C. maltese per rappresentare l’importanza strategica di quell’assetto navale e l’inopportunità del suo coinvolgimento nelle operazioni di soccorso.
La situazione si sbloccava, con l’invio definitivo di Nave Libra e poi di Nave Espero in soccorso a massima velocità, solo all’esito della comunicazione all’I.M.R.C.C. da parte di Malta del ribaltamento del barcone; accorrevano poi sul luogo del naufragio altri mezzi di soccorso. Le operazioni si concludevano a notte inoltrata, con un bilancio che nei giorni successivi, anche alla luce dei dispersi, è stato di 286 vittime, di cui 60 bambini.
5. Preso atto dell’intervenuta prescrizione e terminata la ricostruzione in fatto, il Tribunale come anzidetto non si esime dal precisare gli elementi che avrebbero potuto fondare una sentenza di condanna, qualora il termine prescrizionale non fosse già decorso, indagando in prima istanza per entrambe le posizioni la sussistenza dell’elemento oggettivo e soggettivo del reato di cui all’art. 328.
Il Collegio ripercorre le iniziative di entrambi gli imputati, considerandole come «manovre intenzionalmente mirate ad eludere un possibile coinvolgimento nell’evento fin dalle ore 13:34 (situazione di INCERFA)». I Giudici qualificano come elusive tanto le condotte del primo imputato, a capo del C.IN.C.NAV., che impartiva direttive volte a distogliere tutte le forze navali dall’area interessata e dare a Nave Libra «un’importanza strategica per giustificare come extrema ratio un cambio operativo»[9], quanto quelle tenute dal secondo imputato, a capo dell’I.M.R.C.C., che intratteneva con l’omologo maltese comunicazioni incomplete e «tese a non disvelare la posizione del Libra per non dover intervenire su input dell’Autorità che aveva assunto il coordinamento».
I Giudici, concordando con la ricostruzione proposta in imputazione, ritengono che per entrambi gli imputati le condotte di cui al reato di rifiuto di atti d’ufficio ruotino attorno alla comunicazione inviata da Malta via fax alle ore 16.22, con cui si richiedeva di dare indicazione alla nave militare più vicina di dirigersi verso i migranti per valutare la situazione e prestare soccorso se necessario. Secondo i Giudici solo infatti «a partire da tal ultimo momento con valenza centrale» il comportamento attendista ed elusivo assumeva «i connotati propri del rifiuto incriminato dall’art. 328 c.p.». Secondo il Collegio, perciò, le condotte di rifiuto di atti d’ufficio sarebbero consistite per entrambi nel «rifiuto implicito di dare l’ordine [a Nave Libra n.d.r.] di intervento immediato alla massima velocità a pericolo conclamato», il primo in qualità di Capo sezione del C.IN.C.NAV. ed il secondo quale responsabile della Centrale Operativa di I.M.R.C.C. Roma, entrambi in violazione degli obblighi posti a loro carico dalle convenzioni SAR e UNCLOS, nonché dal codice della navigazione e dal codice penale militare di pace.
6. L’inadempimento in fase di DETRESFA, a seguito del pericolo conclamato e dell’intervento esplicitamente richiesto dal M.R.C.C. Malta via fax, rappresenta poi lo snodo centrale per l’integrazione dell’elemento soggettivo; il Tribunale valorizza la ricostruzione dei comportamenti, delle comunicazioni e del linguaggio utilizzato dai due coimputati nei momenti immediatamente precedenti per sottolineare la consapevolezza dell’imminente pericolo e, quindi, del carattere doloso dell’attendismo serbato dopo la richiesta esplicita di intervento, quale dimostrazione della sussistenza dell’elemento soggettivo richiesto dal reato[10].
7. Quanto agli addebiti di cui all’art. 589 c.p., il Collegio – dando per provate le «rispettive posizioni di garanzia» degli imputati e preso atto in fase di ricostruzione del fatto del tragico bilancio di vite perse nonché dell’incontrovertibile morte per annegamento delle vittime[11] – approfondisce in primis il nesso di causa tra la condotta omissiva tenuta dai coimputati e il decesso dei migranti. La minuziosa ricostruzione del fatto e le osservazioni operate in tema di responsabilità ex art. 328 c.p. permettono di affermare che, innanzitutto, il ribaltamento del barcone sarebbe stato scongiurato se i coimputati avessero assicurato tempestivamente, fin da quando erano venuti a conoscenza delle condizioni precarie dell’imbarcazione (ovvero ben prima della comunicazione esplicita di Malta), l’avvicinamento di Nave Libra; inoltre, il Collegio aggiunge come il complessivo bilancio sarebbe stato, in ogni caso, quantitativamente diverso se, a seguito dell’espresso ordine di Malta, i coimputati avessero immediatamente ordinato a Nave Libra di dirigersi a massima velocità verso il barcone. Per i Giudici non sussiste pertanto alcun dubbio in merito alla fondatezza del nesso causale rispetto almeno ad alcune delle morti verificatesi, sebbene secondo la ricostruzione dei fatti né il numero né talvolta l’identità delle vittime risultano certe (molti i dispersi non ritrovati).
8. Quanto all’elemento soggettivo della colpa, in merito alla violazione delle condotte cautelari non realizzate, il Collegio non si dilunga in ulteriori considerazioni: siffatta violazione rappresenta il presupposto di fatto per la contestazione della responsabilità ex art. 328 c.p., ritenuta ampiamente sussistente in capo agli stessi; inoltre, anche le condotte antecedenti al rifiuto di atti d’ufficio secondo la ricostruzione operata hanno rappresentato la violazione di precisi obblighi posti a carico degli imputati dalla normativa internazionale e nazionale.
In merito invece ai profili di concretizzazione del rischio il Collegio osserva che nel caso di specie il ribaltamento, la dispersione in mare e l’annegamento dei migranti rappresentano proprio il pericolo che le cautele imposte dalla legge mirano a contenere. La condotta doverosa che i coimputati avrebbero dovuto tenere «avrebbe comunque significativamente diminuito il rischio di verificazione dell’evento o avrebbe avuto significative, non trascurabili probabilità di salvare il bene protetto»[12], e questo secondo la valutazione che gli stessi avrebbero potuto operare al momento dell’omissione, raffigurandosi – come l’agente modello avrebbe fatto – i danni che le omesse garanzie erano volte ad evitare o contenere.
Per quanto concerne, infine, la natura della violazione, i Giudici individuano sia profili di incauta inerzia, riconducibili a colpa generica, che violazioni di specifiche regole cautelari rimproverabili a titolo di colpa specifica. In particolare, in merito a questo secondo aspetto, il Collegio afferma che «il dolo dell’art. 328 c.p., quale coscienza e volontà di non adempiere l’obbligo giuridico, oltre che a integrare gli estremi del delitto di rifiuto di atti d’ufficio, si atteggia anche ad elemento costitutivo della colpa per inosservanza di leggi che connota l’omicidio plurimo ex art. 589 c.p., una colpa con previsione ma senza mai accettare preventivamente il rischio che il barcone potesse affondare o capovolgersi», confermando la rimproverabilità dell’evento a titolo di colpa.
9. Il Collegio esclude infine che la condotta ed in particolare le asserite inadempienze delle autorità maltesi possano interrompere il nesso eziologico tra i comportamenti dei coimputati ed il tragico evento, rilevando che qualora sussistano più posizioni di garanzia, il successivo mancato intervento di un garante non fa venir meno il nesso di causalità tra la condotta dell’altro garante e l’evento, rilevando tuttalpiù quale concorso di cause[13].
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10. Quanto sin qui riferito rappresenta come anzidetto il sunto di un provvedimento molto articolato che, in ultima istanza, pronuncia l’intervenuta prescrizione di entrambi i reati contestati. Si vuole innanzitutto sottolineare nuovamente l’apprezzabile scelta operata dall’Organo Giudicante di redigere una sentenza articolata e complessa pur potendosi limitare a motivare una pronuncia di non doversi procedere. Una scelta probabilmente dettata dall’esigenza di ripercorrere ed analizzare una vicenda che, a prescindere dall’intercorsa prescrizione, è stata così grave e drammatica al punto da esser stata oggetto di attenzione anche in ambito internazionale. Infatti, a seguito del ricorso presentato da alcuni profughi sopravvissuti, il Comitato ONU per i Diritti Umani con la decisione del 27 gennaio 2021 ha stabilito la responsabilità dell’Italia rilevando «a violation by the State party of article 6, read alone and in conjunction with article 2 (3), of the Covenant»[14]. Pur riconoscendo in capo a Malta la responsabilità principale delle operazioni di salvataggio, il Comitato evidenzia la risposta tardiva da parte dell’Italia alle prime richieste di soccorso, l’incompletezza delle informazioni fornite a Malta, il ritardo nell’impiego di Nave Libra nei soccorsi e gli ordini impartiti a quest’ultima al fine di allontanarla dal natante in pericolo, e innanzi a questi rilievi «considers that Italy has failed to show that it has met its due diligence obligations under article 6 (1) of the Covenant». Una decisione netta che rappresenta un “precedente” difficile da ignorare, anche innanzi all’intervenuta prescrizione.
11. D’altra parte, a parere di chi scrive, proprio l’intercorsa prescrizione potrebbe aver rappresentato la ragione di una motivazione “di condanna”, quasi come se il Collegio, nella valutazione di cui all’art. 531 c.1 c.p.p., preso atto anche delle vicende internazionali, avesse voluto non far cadere nel vuoto le drammatiche evidenze emerse in dibattimento. L’esito del procedimento, infatti, arriva oltre nove anni dopo un evento che avrebbe sicuramente meritato una più celere definizione. La stessa decisione ONU ha ritenuto inadeguate le spiegazioni fornite dall’Italia sulla durata del procedimento ed ha ribadito che la sola complessità della vicenda non vale a giustificare pericolose lungaggini processuali[15].
Nonostante le numerose udienze dibattimentali (ben 30), l’intervenuta prescrizione appare perlopiù riconducibile al tempo intercorso prima dell’apertura del dibattimento[16]. Tenuto conto anche del rallentamento e delle inefficienze dovute al periodo pandemico, si osserva tuttavia che le effettive complessità in fase di individuazione della giurisdizione (del Tribunale Militare o del Tribunale Ordinario), in fase d’indagine (prima svolte presso le Procure di Agrigento e Palermo, poi di Roma), nonché nella fase del concreto esercizio dell’azione penale (due le richieste di archiviazione prima dell’imputazione coatta formulata dal GIP) non giustificano i sei anni intercorsi tra l’evento e l’apertura del dibattimento.
12. Si osserva inoltre come la corposa sentenza, mentre si dilunga sulle considerazioni in tema di elemento oggettivo, dedica poca attenzione al tema dell’elemento soggettivo degli omicidi, quando invece la rimproverabilità dei decessi a titolo di dolo piuttosto che di colpa avrebbe comportato un termine di prescrizione ben più lungo, e dunque la possibilità di evitare l’esito dell’estinzione del reato. Invece solo pochissime righe vengono dedicate alla sussistenza in capo agli imputati della colpa anziché del dolo, quando a nostro avviso la dettagliata ricostruzione del fatto sopra riferita, che dà conto di molti comportamenti talvolta eclatanti degli imputati, dovrebbe fare sorgere quantomeno il dubbio di una responsabilità a titolo di dolo eventuale[18].
In primis pone qualche dubbio il tenore delle telefonate tra l’I.M.R.C.C. di Roma e l’omonimo maltese: la Capitaneria di Porto era infatti consapevole sin dal primo contatto con i profughi delle condizioni precarie e di pericolo dell’imbarcazione[19], purtuttavia nelle comunicazioni con Malta si dimostrava reticente proprio su tali aspetti che riconosceva, implicitamente ed inevitabilmente, come critici. La rappresentazione dell’evento naufragio sta alla base anche delle «non altrimenti spiegabili né altrimenti spiegate» condotte dilatorie poste in essere dall’imputato a capo del C.IN.C.NAV. volte a rafforzare l’importanza strategica di Nave Libra per evitarne il coinvolgimento in un soccorso che si prospettava certo e prossimo. Si tratta di una consapevolezza a parere di chi scrive rafforzata dal contesto: che l’affondamento di un natante implichi la morte per annegamento di parte dei passeggeri, soprattutto quando l’imbarcazione è un barcone di legno danneggiato e sovraccarico ed i passeggeri sono profughi stipati in numero sovrabbondante, rappresentava un prevedibile epilogo per le figure responsabili delle operazioni di search and rescue tanto più all’indomani del drammatico naufragio al largo di Lampedusa, avvenuto otto giorni prima e costato la vita a 368 persone[20], che avrebbe a brevissimo comportato l’avvio dell’operazione militare e umanitaria Mare Nostrum.
Dalla ricostruzione delle condotte tenute dagli imputati emerge inoltre come l’obiettivo prioritario dell’I.M.R.C.C., condiviso dal C.IN.C.NAV, fosse quello di far intervenire principalmente se non esclusivamente Malta. Lo dimostrano le comunicazioni iniziali con l’R.C.C. Maltese, a cui vengono taciute le coordinate del Libra, a circa 20 miglia nautiche dal natante (approssimativamente un’ora di navigazione)[21], ma anche la telefonata effettuata in seguito alla richiesta maltese di intervento delle ore 16.22, ove l’ M.R.C.C. Roma –conscio che nave Libra rappresentava l’imbarcazione più prossima al natante, che il barcone colmo di migranti imbarcava acqua da più di quattro ore e che la situazione pareva difficile sin dalla prima chiamata– decideva ancora una volta di riferire come imprescindibile l’attività strategica –creata ad arte– di Nave Libra. Ma sono le comunicazioni interne, tra i due imputati e tra questi ed i loro sottoposti, a dimostrare il lucido bilanciamento tra la necessità di un soccorso tempestivo ed efficace e la volontà di far intervenire Malta, con il prevalere di quest’ultimo scenario. Viene esplicitamente detto e ribadito che Nave Libra non deve farsi vedere dalle motovedette maltesi spedite sul luogo in cui si trova il natante, altrimenti queste sarebbero tornate indietro lasciando l’operazione completamente in mano sua[22]. La consapevolezza dell’inadeguatezza dei mezzi maltesi –circostanza che durante il processo viene «ampiamente argomentata[23]»–e, quindi, dell’inefficacia della loro operazione di soccorso è un elemento significativo che non sposta l’esito della valutazione degli imputati sull’opportunità dell’intervento italiano. Al contrario essi prediligono un pericoloso atteggiamento attendista, promosso e giustificato da una linea politica che reinterpreta le aree SAR – pensate per coordinare e facilitare il soccorso – in zone di competenza territoriale – utili a limitare la responsabilità di chi, secondo tale interpretazione, non sarebbe tenuto ad intervenire.
Alla luce di quanto detto e considerato, le condotte volte alla sottrazione a qualsiasi costo di Nave Libra all’attività di soccorso, nei termini in cui sono ricostruite, potrebbero sottendere una piena prospettazione e adesione all’evento naufragio e quindi alla morte dei passeggeri[24].
[1] Sono i dati che emergono dall’inchiesta svolta dal giornalista Fabrizio Gatti per “L’Espresso”; cfr. tra i tanti articoli F. GATTI, Così l'Italia ha lasciato annegare 60 bambini: in esclusiva le telefonate del naufragio, su “L’Espresso”, 8 maggio 2017.
[2] Secondo Cass. pen. Sez. III Sent., 03/07/2015, n. 28230, il controllo circa la prevalenza della causa di proscioglimento nel merito imposto dall’art. 129 c.2 c.p.p. impone una valutazione che appartiene «più al concetto di constatazione che a quello di apprezzamento, […] quindi incompatibile con qualsiasi necessità di accertamento o di approfondimento». Di talché, considerata la complessità della vicenda, il Giudice avrebbe potuto motivare con facilità l’insussistenza dei presupposti alla base di suddetta constatazione.
[3] Il riferimento è a Cass. pen. Sez. V Sent., 03/09/2019, n. 36990 CED 277533-01 per quanto concerne il primo rinvio; a Cass. pen. Sez. III Sent., 18/01/2018, n. 1992, CED 272094 in relazione al secondo rinvio.
[4] La legge esecutiva (l. n. 313 del 25 maggio 1980) riprende quanto previsto al Capitolo V in tema di sicurezza della navigazione, ed in particolare quanto stabilito dalla regola 10 secondo cui il comandante di una nave in navigazione che riceve un segnale di pericolo, è obbligato a recarsi a tutta velocità all’assistenza delle persone in pericolo.
[5] Le aree search and rescue, la cui definizione ai sensi dell’art. 2.1.4. avviene di comune accordo tra i firmatari, permettono di individuare di volta in volta l’autorità deputata al coordinamento del soccorso marittimo, che ha facoltà ed onere di scegliere i mezzi navali e/o aerei più idonei allo svolgimento dell’operazione.
[6] Ai sensi dell’art. 98 «Every State shall require the master of a ship flying its flag, in so far as he can do so without serious danger to the ship, the crew or the passengers: (a) to render assistance to any person found at sea in danger of being lost; (b) to proceed with all possible speed to the rescue of persons in distress, if informed of their need of assistance, in so far as such action may reasonably be expected of him […] Every coastal State shall promote the establishment, operation and maintenance of an adequate and effective search and rescue service regarding safety on and over the sea and, where circumstances so require, by way of mutual regional arrangements cooperate with neighbouring States for this purpose.».
[7] Ovvero il vertice dell’organizzazione operativa della Marina militare, da cui dipendono direttamente le unità navali. Secondo quanto stabilito dalla convenzione SAR, gli alti comandi della Marina Militari con i propri mezzi sono a disposizione qualora il Comando Generale del Corpo delle Capitanerie di Porto, che assicura il coordinamento generale dei servizi di soccorso marittimo, lo ritenga necessario.
[8] Si tratta di una comunicazione avvenuta attraverso il GMDSS, un sistema di comunicazioni radio, con copertura globale, concepito per la sicurezza marittima e per la gestione delle emergenze in mare. Tali comunicazioni possono appartenere a quattro differenti categorie (Distress, Urgency, Safety, Routine); distress comunica una situazione in cui c’è una ragionevole certezza di pericolo grave e imminente con necessità di assistenza immediata.
[9] Trattasi di un insieme di scelte operative volte innanzitutto a mantenere Nave Libra fuori dalle possibili risorse da utilizzare in caso di un’operazione di soccorso che, considerata l’inadeguatezza nei soccorsi dimostrata da Malta in altre operazioni, era prevedibile (tant’è che in un primo momento Nave Libra insieme a Nave Espero e Cassiopea erano state allertate dalla sala operativa del C.IN.C.NAV., memore delle inadempienze in precedenza dimostrate da Malta): in tale direzione, l’ordine di trasbordo di un pezzo di ricambio da Nave Libra a Nave Espero, la direttiva per cui una volta terminata l’attività il Libra avrebbe dovuto attendere senza dirigersi direttamente verso il barcone, l’invito all’utilizzo di canali di informazione non ufficiali. Si aggiungono inoltre un insieme di decisioni volte a dare a Nave Libra importanza strategica, quali l’allontanamento di Nave Cassiopea e Nave Espero al fine di lasciare il Libra come unico presidio in vigilanza pesca in un’area molto ampia e, dunque, di renderlo inutilizzabile per i soccorsi.
[10] Sul punto, la tesi difensiva sosteneva che l’elemento soggettivo non fosse integrato poiché mancava la rappresentazione del «concreto ed imminente pericolo perché non evidenziato nel fax delle 16.22, né reso palese da altre emergenze fattuali concomitanti». Al contrario, la ricostruzione operata delle condotte tenute anche precedentemente alla comunicazione maltese depongono per una chiara consapevolezza in capo agli imputati, in quanto del tutto volte a tenere le Forze Militari Italiane ben lontane da un imminente pericolo di cui erano a conoscenza.
[11] Ne dà conto l’esito dell’ispezione cadaverica effettuata l’indomani su 21 dei corpi esanimi trasbordati, che rileva inoltre l’assenza di ferite da armi da taglio, da fuoco o da corpo contundente, escludendo pertanto che il decesso dei migranti potesse essere avvenuto precedentemente e per ragioni diverse dall’abbandono in mare.
[12] Il riferimento in sentenza è alla nota pronuncia relativa al caso Thyssenkrupp, ove le Sezioni Unite sottolineano il ruolo fondante della prevedibilità ed evitabilità dell’evento, intesa quale «possibilità dell'uomo coscienzioso ed avveduto di cogliere che un certo evento è legato alla violazione di un determinato dovere oggettivo di diligenza, che un certo evento è evitabile adottando determinate regole di diligenza», cfr. Cass. pen. Sez. Unite Sent., 24/04/2014, n. 38343.
[13] Il riferimento è a Cass. pen. Sez. IV Sent., 05/05/2022, n. 17887, CED 283208-01, per cui «In tema di omicidio colposo, allorquando l'obbligo di impedire l'evento ricada su più persone, che debbano intervenire od intervengano in tempi diversi, il nesso di causalità tra l'evento letale e la condotta omissiva o commissiva di uno dei soggetti titolari di una posizione di garanzia non viene meno per effetto del successivo mancato intervento di un altro garante, configurandosi, in tale ipotesi, un concorso di cause ai sensi dell'art. 41, comma primo, cod. pen.».
[14] Cfr. UNHCR COMMITTEE, Views adopted by the Committee under article 5 (4) of the Optional Protocol, concerning communication No. 3042/2017, 27 gennaio 2021, par. 8.5 e 9. L’art. 6 della Convenzione internazionale sui diritti civili e politici sancisce e protegge il diritto alla vita, mentre l’art. 2 al comma 3 stabilisce gli impegni che ogni Stato contraente deve adottare per garantire il rispetto dei diritti sanciti dalla Convenzione.
[15] Interrogata sul punto, l’Italia aveva ricondotto i tempi processuali alla complessità dell’attività giudiziale, che aveva interessato differenti tribunali, aveva richiesto una pronuncia della Suprema Corte in merito alla giurisdizione, ed aveva voluto indagare il modus operandi di tutti gli assetti coinvolti nello scenario internazionale, anche in retrospettiva rispetto all’evento. Il Comitato ONU ha tuttavia concluso “that the State party has not provided a clear explanation for the long duration of the ongoing domestic proceedings, other than a general reference to their complexity. Nor has the State party indicated the anticipated timeline for their completion”.Cfr. UNHCR COMMITTEE, Views adopted by the Committee (…), par. 4.6 e 8.7.
[16] La prima udienza dibattimentale si svolge in data 15.11.2019, dopo un susseguirsi di indagini conclusesi solo il 10.11.2017, oltre quattro anni dopo l’evento.
[17] Una “cautela” che emerge non solo dalle due richieste di archiviazione presentate dalla Procura di Roma (a loro volta precedute dalla richiesta di archiviazione avanzata dalla Procura di Agrigento), ma soprattutto dalle conclusioni formulate dall’Accusa, nei termini dell’assoluzione per insussistenza del fatto, pur innanzi agli elementi emersi durante il dibattimento.
[18] Un sospetto che, nelle fasi precedenti all’incardinamento del procedimento innanzi al Tribunale di Roma, aveva colto il Giudice delle indagini preliminari presso il Tribunale di Agrigento, il quale a fronte della richiesta di archiviazione avanzata dalla Procura di Agrigento disponeva l’imputazione coatta «per l’ipotesi di reato molto più grave […] di cui agli art. 40 cpv 81 e 575 c.p».
[19] Si tratta di una circostanza di cui I.M.R.C.C. è a conoscenza sin dalla seconda telefonata di emergenza (p. 30 della sentenza), e che viene poi ribadita nelle comunicazioni successive (p. 43, 53).
[20] Trattasi di una vicenda con uno sviluppo differente da quella in oggetto; rimane tuttavia il numero impressionante di morti oltre alla suggestione che, anche in quell’occasione, i giornali e l’opinione pubblica si erano concentrati sul tema della tempestività dell’intervento operato; cfr. ad esempio https://www.corriere.it/cronache/13_ottobre_05/strage-lampedusa-procura-smentisce-inchiesta-soccorsi-ma-polemica-9c070c2a-2d96-11e3-89d5-cdac03f987bf.shtml.
[21] Cfr. p. 50 e 53 della sentenza: mentre l’M.R.C.C. di Roma dava un’indicazione vaga rispetto alla presenza di un assetto della Marina Militare «approssimativamente in quell’area», il C.IN.C.NAV. avvisava Nave Libra di non avvicinarsi oltre le 17 miglia nautiche dal natante.
[22] Emerge dalle trascrizioni delle telefonate riportate a p. 53, 56, 57 della sentenza; uno dei due imputati riferiva, testualmente, di comunicare a Nave Libra di non farsi «trovare davanti i coglioni delle motovedette [maltesi n.d.r.] che sennò questi se ne tornano indietro» e «perché se vi vede [la motovedetta n.d.r.] ad un certo punto gira la capa al ciuccio e se ne va».
[23] Come confermato in motivazione a p. 74 e 76 ed argomentato dalla stessa difesa di uno dei due imputati.
[24] È proprio ciò che secondo la celebre pronuncia della Suprema Corte sul caso Thyssen (Cass. pen. Sez. Unite Sent., 24/04/2014, n. 38343, citata dal Collegio in merito al tema meno controverso della concretizzazione del rischio) «risulta dirimente» sul tema del distinguo tra colpa cosciente e dolo eventuale: «un atteggiamento psichico che indichi una qualche adesione all'evento per il caso che esso si verifichi quale conseguenza non direttamente voluta della propria condotta».