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23 Gennaio 2024


I presupposti per il riconoscimento della recidiva reiterata: le Sezioni Unite escludono la necessità di una precedente applicazione della recidiva

Cass., Sez. un., sent. 30 marzo 2023 (dep. 25 luglio 2023), n. 32318, Pres. Cassano, est. Zaza



1. Con la sentenza in commento, le Sezioni Unite hanno risolto il contrasto giurisprudenziale relativo alla necessità, ai fini del riconoscimento della recidiva reiterata, di una precedente sentenza passata in giudicato con la quale sia già stata applicata una qualche ipotesi di recidiva. Le Sezioni Unite, aderendo all’orientamento maggioritario, hanno ritenuto che «è sufficiente che, al momento della consumazione del reato, l’imputato risulti gravato da più sentenze definitive per reati precedentemente commessi ed espressivi di una maggior pericolosità sociale, oggetto di specifica e adeguata motivazione, senza la necessità di una previa dichiarazione di recidiva semplice».

 

2. La V Sezione penale della Cassazione, nel sollevare la questione, aveva ritenuto opportuno un ripensamento di quell’orientamento alla luce sia del dato letterale del quarto comma dell’art. 99 c.p. – che richiama le figure di recidiva disciplinate ai commi precedenti – sia, e in modo particolare, dell’evoluzione giurisprudenziale dell’istituto (dall’obbligo di contestazione, al riconoscimento della sua natura di circostanza aggravante e alla verifica dei presupposti per la sua applicazione[1]), che induce a ritenere oggi inammissibile una concezione della recidiva quale status soggettivo, da ricollegarsi esclusivamente ai precedenti penali[2]. Dovendosi, infatti, procedere a un accertamento in concreto dei presupposti non solo formali, ma anche sostanziali dell’aggravante (la maggior colpevolezza e/o la più accentuata pericolosità sociale[3]), non appare sufficiente la mera verifica dell’esistenza di precedenti sentenze di condanna nei confronti dell’imputato perché, se la recidiva non è mai stata applicata, quei presupposti non sono stati evidentemente accertati oppure sono stati ritenuti non sussistenti e il soggetto non potrebbe essere considerato “recidivo”[4].

 

3. Le Sezioni Unite hanno affrontato la questione sotto tre diversi profili. Con riguardo, innanzitutto, all’argomento letterale, si afferma che usando il termine “recidivo” nel quarto comma dell’art. 99 c.p. il legislatore avrebbe optato per una semplificazione linguistica: quel termine sarebbe infatti «meramente ripropositivo in forma sintetica dell’espressione estesamente utilizzata nel primo comma per descrivere la condizione di precedente condanna, e non inclusivo dell’eventuale, concreta applicazione della recidiva nei suoi effetti sanzionatori»[5].

 

4. In secondo luogo, si contesta la necessità di un ripensamento dell’orientamento maggioritario sul tema, al quale erroneamente si imputerebbe l’omissione della verifica dei presupposti sostanziali della maggior colpevolezza e/o pericolosità sociale dell’imputato, ai fini della applicazione dell’aumento di pena per la recidiva. Quella verifica in realtà sarebbe soltanto posticipata al momento della applicazione della recidiva reiterata, che si baserebbe su un giudizio complessivo di tutti i reati oggetto delle precedenti condanne, alla luce delle loro «connotazioni sintomatiche di un progressivo rafforzamento della determinazione criminosa e dell’attitudine a delinquere del reo»[6], di cui la motivazione della sentenza dovrebbe necessariamente dar conto.

 

5. Si ricorda poi che la soluzione adottata sarebbe coerente con l’interpretazione del riferimento all’art. 99, comma quarto, c.p. contenuto in altre disposizioni di legge, da parte della giurisprudenza prevalente. In particolare, ai fini dell’applicazione dell’oblazione speciale[7] (art. 162-bis, terzo comma, c.p.) e del patteggiamento allargato (art. 444, comma 1-bis, c.p.p), la condizione ostativa della recidiva reiterata viene ritenuta sussistente in presenza di “significativi precedenti penali[8].

 

6. Infine, la Corte ha ravvisato un’ulteriore conferma di sistema nell’art. 105 c.p., che consente di dichiarare lo status di delinquente professionale anche in mancanza di una precedente dichiarazione di abitualità, essendo sufficiente che il soggetto si trovi “nelle condizioni richieste [dalla legge] per la dichiarazione di abitualità”. Allo stesso modo, dunque, la recidiva reiterata – equiparabile alla professionalità – dovrebbe essere riconosciuta anche in mancanza del precedente logico e di minor gravità della recidiva semplice – equiparabile alla abitualità. Peraltro, si potrebbe in proposito obiettare che la possibilità di dichiarare la professionalità nel reato, a prescindere da una precedente dichiarazione di abitualità a delinquere, è espressamente prevista dalla legge, che nulla di analogo dispone invece per la recidiva reiterata. In ogni caso, il paragone fra questi due istituti solleva qualche perplessità, essendo l’uno una figura di pericolosità sociale, l’altro una circostanza aggravante del reato, sottoposta alla disciplina dell’art. 59, comma secondo, c.p., che ne subordina l’applicazione al fatto di esser conosciuta o conoscibile dall’agente.

 

7. La lettura prospettata dalle Sezioni Unite, se indubbiamente avrebbe il vantaggio di evitare un’applicazione superficiale ed esorbitante della recidiva semplice, finalizzata soltanto a una eventuale futura applicazione della forma reiterata, non offre tuttavia una risposta convincente al problema sollevato dalla V Sezione della Cassazione: quello di attribuire di fatto un’eccessiva rilevanza ai precedenti penali del soggetto, frustrando ulteriormente la valutazione dei presupposti sostanziali per l’applicazione della recidiva. Al contrario di quanto prospettato dalle Sezioni Unite, forte è il rischio di rendere ancora più evanescente la motivazione sulla recidiva, già problematica per quanto riguarda la definizione dei criteri di più accentuata colpevolezza e maggior pericolosità sociale, che dovrebbero giustificare l’applicazione dell’aggravamento di pena.

 

8. In secondo luogo, la soluzione adottata dalla sentenza in esame consente al giudice di contraddire la precedente valutazione, consistita nel ritenere non opportuna l’applicazione della recidiva[9]: una valutazione che può essere dipesa da una serie di motivi strettamente legati al caso concreto. E appare illusorio confidare nel fatto che il nuovo giudice, ove ritenga di applicare la recidiva reiterata anche in mancanza di una precedente dichiarazione, fornisca una motivazione “rinforzata” a sostegno della sua decisione, proprio per la complessità della valutazione che gli è in questo caso imposta. Il principio di colpevolezza – che esigerebbe la prevedibilità per l’imputato dell’applicazione della recidiva reiterata – e la funzione rieducativa della pena – in virtù della quale il soggetto dovrebbe avere la possibilità di adeguare le proprie condotte a una sentenza di condanna che abbia applicato una forma di recidiva – sembrano imporre una conclusione diversa da quella adottata dalle Sezioni Unite.

 

9. Da ultimo, è necessario ricordare che il regime previsto per il recidivo reiterato è particolarmente gravoso e investe molteplici istituti dislocati in vari settori dell’ordinamento, i quali trovano applicazione anche a una distanza temporale significativa rispetto alla statuizione avvenuta nel giudizio di cognizione. Proprio per questo, la valutazione sulla “meritevolezza” di questo aggravamento del trattamento sanzionatorio nel suo complesso dovrebbe essere estremamente attenta e rigorosa, in modo da circoscriverne gli effetti a una cerchia ristretta di soggetti, che risultino essere effettivamente (e particolarmente) pericolosi.

 

 

 

[1] Cfr. in particolare Cass. S.U., 27.5.2010 n. 35738; Cass. S.U. 24.2.2011 n. 20798; Cass. S.U. 25.10.2018 n. 20808.

[2] Da ultimo, cfr. Cass. Sez. II, 26.11.2020 n. 37063 con commento di A. Melchionda, Recidiva reiterata e pregresso status di recidivo: la Cassazione si avvicina alla “chiusura del cerchio”, in questa Rivista, 24 febbraio 2021. 

[3] La giurisprudenza ha sostenuto un fondamento bivalente, ritenendo la recidiva espressione sia di una maggior colpevolezza che di una più intensa pericolosità sociale. Il giudice è tenuto, di conseguenza, volta per volta, a verificare se il reato sia espressione di uno di questi indici, alla luce del fatto commesso, delle circostanze di tempo e di luogo e della relazione rispetto alle precedenti condanne cfr. Corte cost., 14.6.2007 n. 192; Cass. pen., SU, 27.5.2010 n. 35738; Corte cost., 8.7.2015 n. 185.

[4] Cass. pen.,. SU, 30.3.2023 n. 32318, § 4.3 del Considerato in diritto.

[5] ID., § 7 del Considerato in diritto.

[6] Cass. pen., SU, 30.3.2023 n. 32318.

[7] Si segnala che la disposizione si ritiene implicitamente abrogata, a seguito della riforma avvenuta con la legge 251/2005 che ha escluso le contravvenzioni dall’ambito di applicazione della recidiva: cfr. L. Bontempi, sub art. 162-bis, in E. Dolcini e G.L. Gatta, Codice penale commentato, V ed., Milano, 2021, p. 2252; M. Romano, sub art. 162-bis, in Commentario sistematico del codice penale, vol. III, Artt. 150-240, II ed., Milano, 2011.

[8] Cass. SU, 27.5.2010 n. 35738 con nota di F. Rocchi, Il patteggiamento dei recidivi reiterati: un problema di “discrezionalità bifasica” o di politica legislativa? in Cass. pen., 2011, 2103 ss.

[9] Cfr. Corte di Appello di Ancona 22.10.2013 n. 3381: «capovolgere tale valutazione in occasione di successive affermazioni di penale responsabilità […] appare una violazione contra reum del giudicato formatosi sul punto»; in dottrina cfr. A. Melchionda, La nuova disciplina della recidiva, in Dir. pen. proc., 2006, 175 ss.