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15 Maggio 2024


La riforma della tutela della sicurezza del personale scolastico: aspetti penalistici della l. n. 25/2024


1. Il 15 marzo 2024 è stata pubblicata in Gazzetta Ufficiale la l. n. 25/2024, recante «Modifiche agli articoli 61, 336 e 341-bis del codice penale e altre disposizioni per la tutela della sicurezza del personale scolastico»

Si tratta della concretizzazione della proposta di legge A.C. 835 volta a inasprire la risposta repressiva delle condotte violente perpetrate nei confronti degli insegnanti (e, più in generale, del personale scolastico) durante l’esercizio delle loro funzioni.

Come icasticamente affermato nel corso della prima lettura della proposta alla Camera, la ratio della novella era di rimediare alla «alterazione della differenza simbolica tra le generazioni, che ha comportato una frattura del patto educativo tra le famiglie e gli insegnanti»; porre un freno ad un «fenomeno sociale che vede gli insegnanti avviliti, impediti a svolgere il loro lavoro e (…) la loro funzione sociale»; «tutelare la libertà di insegnamento quale base per la crescita delle generazioni che verranno e (…) restituire agli insegnanti un ruolo di primo piano nella vita della società»[1].

Se, inizialmente, si era pensato di concretizzare tali obiettivi di law enforcement introducendo delle circostanze aggravanti speciali all’interno dei delitti di cui agli artt. 336 e 341-bis cod. pen., con un successivo emendamento si è deciso di ampliare ulteriormente l’intervento, aggiungendo anche una nuova ipotesi circostanziale, nel già folto elenco delle aggravanti comuni di cui all’art. 61 cod. pen.

 

2. Preliminarmente, va evidenziato che la novella in commento non è intervenuta esclusivamente sulla materia penale, prevedendo altresì la istituzione dell’Osservatorio nazionale sulla sicurezza del personale scolastico (art. 1) e di una giornata contro la violenza nei confronti del personale scolastico (art. 3), da celebrarsi il 15 dicembre di ogni anno.

Le disposizioni a carattere strettamente penalistico sono le seguenti:

  • art. 4, che ha aggiunto il numero 11-novies) all’articolo 61, co. 1, cod. pen., che così dispone: «l’avere agito, nei delitti commessi con violenza o minaccia, in danno di un dirigente scolastico o di un membro del personale docente, educativo, amministrativo, tecnico o ausiliario della scuola, a causa o nell’esercizio delle loro funzioni»;
  • art. 5, che all’articolo 336 cod. pen. ha apportato le seguenti modificazioni: dopo il primo comma si prevede che «la pena è aumentata fino alla metà se il fatto è commesso dal genitore esercente la responsabilità genitoriale o dal tutore dell’alunno nei confronti di un dirigente scolastico o di un membro del personale docente, educativo, amministrativo, tecnico o ausiliario della scuola»; al secondo comma le parole: «persone anzidette» sono sostituite dalle seguenti: «persone di cui al primo e al secondo comma»;
  • art. 6, in virtù del quale l’articolo 341-bis cod. pen., dopo il primo comma, recita: «la pena è aumentata fino alla metà se il fatto è commesso dal genitore esercente la responsabilità genitoriale o dal tutore dell'alunno nei confronti di un dirigente scolastico o di un membro del personale docente, educativo o amministrativo della scuola».

 

3. I primi commentatori della l. n. 25/2024 ne hanno immediatamente stigmatizzato la natura sciatta e prettamente simbolica delle innovazioni apportate in materia penale, definendo la riforma «davvero pessima, rivelatrice di una grande ignoranza giuridica»[2].

Tra le problematiche riscontrate, la superfluità di taluni contenuti e la ingiustificata disparità di trattamento riservata al personale scolastico rispetto a quello universitario, altrettanto meritevole di tutela[3].

Che l’intervento di riforma sia tendenzialmente irrilevante e prevalentemente populista lo si percepisce ictu oculi osservando la nuova circostanza introdotta all’interno dell’art. 61 cod. pen.: i fatti commessi in danno del personale scolastico contemplati nel numero 11-novies) vanno, invero, a coprire spazi già disciplinati dal numero 10) della medesima norma che si riferisce in termini generici e onnicomprensivi ai reati commessi contro pubblici ufficiali e incaricati di p.s. Quest’ultima cederà il passo a quella di nuovo conio, in virtù del principio di specialità, in un minimo numero di casi: quando siano stati commessi delitti connotati da violenza o minaccia[4].

Quanto all’ingiustificato disallineamento tra il personale scolastico e quello universitario, quest’ultimo ritenuto evidentemente non meritevole delle medesime garanzie accordate al primo, sarà proprio il numero 10) dell’art. 61 cod. pen. a ristabilire quell’equilibrio irragionevolmente compromesso (almeno sulla carta) dalla riforma.

 

4. Contribuiscono a rimpicciolire i confini applicativi della circostanza poc’anzi esaminata le aggravanti “gemelle” introdotte nei delitti di violenza o minaccia e di oltraggio a pubblico ufficiale, rispettivamente disciplinate dagli artt. 336, co. 2., e 341-bis, co. 2, cod. pen. Queste ultime, circostanze speciali ad effetto speciale, sono caratterizzate da un tratto peculiare, ovverosia la soggettività (attiva) ristretta: saranno cioè imputabili esclusivamente al genitore esercente la responsabilità genitoriale ed al tutore dell’alunno. La scelta appare quantomeno eccentrica rispetto alla ratio ispiratrice della riforma, considerato che nella proposta A.C. 835 si rimarcava la necessità di tutelare il personale scolastico a prescindere dalla qualifica soggettiva (alunno, genitore, tutore) dell’autore della condotta offensiva[5]. Tuttavia, almeno per ciò che concerne l’art. 336 cod. pen., nel caso in cui la condotta violenta o minacciosa venga posta in essere dall’alunno troverà applicazione la circostanza ad effetto comune prevista dal “nuovo” (nei termini indicati supra) art. 61, co. 1, n. 11-novies), cod. pen.[6].

Ulteriore peculiarità dell’intervento di riforma emerge dal confronto tra le aggravanti introdotte negli artt. 336 e 341-bis cod. pen.: mentre la prima norma individua quale destinatari della tutela anche i membri del personale «tecnico o ausiliario della scuola» (unitamente al dirigente ed agli appartenenti ai comparti docente, educativo ed amministrativo), la seconda è priva di qualsivoglia riferimento a questa sottocategoria soggettiva[7].

 

5. Le criticità si amplificano se si adotta una prospettiva “esterna” o “relativa”.

Sono ben note le inevitabili implicazioni sistematiche che, in un sistema composito come l’attuale ordinamento di diritto penale sostanziale, traggono scaturigine da interventi settoriali come quello in esame: all’asserita logica dei compartimenti stagni si oppongono i collegamenti sinergici che informano il sistema penale, in virtù dei quali le modifiche ad un determinato istituto finiscono, di regola, per ripercuotersi su altri ad esso legati.

Un primo profilo di irragionevolezza, sotto tale versante, si desume dalla scelta di non inserire anche nel delitto indicato all’art. 337 cod. pen. l’aggravante introdotta per la fattispecie disciplinata al precedente art. 336 cod. pen.: nonostante l’indiscutibile omogeneità di disvalore che connota tali ipotesi criminose, il sensibile aggravio di pena previsto per la condotta costrittiva non potrà trovare applicazione qualora ci si opponga all’atto del pubblico ufficiale, così determinando un ingiustificato gap di tutela tra le due figure di reato[8].

Contraddittorio, quantomeno prima facie, appare l’omesso adeguamento dell’art. 131-bis cod. pen. rispetto al maggior disvalore che il legislatore ha da ultimo ritenuto di ravvisare nelle condotte in danno del personale scolastico[9].

La causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto è stata oggetto di profonda riscrittura negli ultimi in anni, in particolare nell’ambito della vasta riforma dell’ordinamento penale, processuale e sostanziale, realizzata con il d.lgs. n. 150/2022 (cd. “Riforma Cartabia”)[10]. L’attuale art. 131-bis, co. 3, n. 2), cod. pen. esclude la particolare tenuità dell’offesa «quando si procede per i delitti previsti dagli articoli 336, 337 e 341-bis, quando il reato è commesso nei confronti di un ufficiale o agente di pubblica sicurezza o di un ufficiale o agente di polizia giudiziaria nell’esercizio delle proprie funzioni». Il mancato adeguamento della disposizione in parola, attraverso l’inclusione tra le ipotesi ostative alla tenuità dei casi di violenza, minaccia od oltraggio nei confronti di membri del personale scolastico, costituisce l’ennesima spia rivelatrice di un intervento privo di coerenza: il genitore che userà violenza nei confronti di un docente per costringerlo ad assegnare un voto positivo al figlio sarà esposto ad una pena sensibilmente più elevata rispetto a chi coarterà un agente di pubblica sicurezza ad omettere un atto del proprio ufficio ma, a differenza di quest’ultimo, potrà invocare la causa di non punibilità prevista dall’art. 131-bis cod. pen. a propria difesa[11].

Infine, stupisce che l’art. 583-quater cod. pen. non sia stato interessato dalla riforma. Introdotta con la l. n. 113/2020, la norma da ultimo citata ha innalzato le pene previste per le lesioni gravi e gravissime commesse ai danni di personale sanitario nell’esercizio della propria attività professionale, nell’ottica di contrastare il dilagante fenomeno delle aggressioni ai medici ed infermieri sul luogo di lavoro[12]. Appare quantomeno singolare che con la l. n. 25/2024 si sia scelto di non intervenire sulla disposizione poc’anzi richiamata, considerato che, nell’esporre le ragioni a sostegno dell’auspicato intervento di riforma, venivano ricordate proprio alcune vicende di cronaca relative ad aggressioni fisiche subite da alcuni docenti[13].

***

 

6. Il giudizio sulla riforma in commento non può che essere, in conclusione, negativo.

Quella del ricorso al diritto penale (rectius: alla sanzione penale) è ormai da tempo individuata come la strada da percorrere per giungere rapidamente alla risoluzione dei problemi contingenti che affliggono la società. È, quella in esame, una tendenza espressiva di un “ossessivo fanatismo punitivistico” che anima la classe dirigente a prescindere dallo schieramento politico e che, in spregio ai principi di frammentarietà e di extrema ratio che costituiscono l’espressione di un diritto penale di matrice liberale, alimenta il fenomeno della nomorrea penale[14].

L’utilizzo dello strumento circostanziale rappresenta una soluzione a costo zero da dare in pasto all’opinione pubblica, che accoglie con favore l’introduzione di nuove aggravanti, sintomatiche dell’adozione di pugno duro nella lotta alla delinquenza[15]. La novella, tuttavia, apporta cambiamenti dal minimo “peso specifico”: taluni superflui, perché vengono introdotti istituti già presenti nel sistema penale; altri, invece, hanno come tratto distintivo discipline non del tutto allineate alla ratio ispiratrice della riforma.

Sembrano più corrette, allora, le osservazioni di chi, nel valutare la l. n. 25/2024, abbia fatto riferimento al “ruggito del topo” o, ancora, alle “pillole di diritto penale di labile potenza farmacologica”[16].

 

 

 

[1] La proposta, presentata il 30-01-2023, è consultabile su www.camera.it, unitamente ai relativi lavori preparatori; nel presente scritto si dà atto delle novità relative al solo versante penalistico.

[2] S. Seminara, sub art. 341-bis cod. pen., in Addenda al Commentario breve al Codice penale, Padova, 2024.

[3] Su quest’ultimo aspetto, si veda G. Amarelli, sub art. 61 cod. pen., in Addenda al Commentario breve, cit.

[4] Rileva A. Natalini, Inutile “giro di vite” per fatti commessi in danno al personale della scuola, in Guida dir., 24, n. 14, che le possibilità applicative della “nuova” circostanza aggravante sono ancor più limitate dall’introduzione delle circostanze speciali negli artt. 336 e 341-bis, cod. pen., che di fatto consentiranno alla stessa di operare, ad esempio, in caso di lesioni o di rapina, purché tali ipotesi delittuose vengano commesse «a causa o nell’esercizio» delle funzioni del personale scolastico.

[5] A dir la verità, nella proposta veniva posto su un livello di gravità maggiore il comportamento dell’alunno. È quanto si desume da taluni passaggi che si riportano per estratto: «l’impressione è che il fenomeno sia sottovalutato, particolarmente quando gli autori delle violenze sono gli allievi, poiché le aggressioni sono ridotte a bambinate, delle quali basta scusarsi per farla franca (…). Invece si tratta di una manifestazione di radicale rifiuto del rapporto tra docente e discente, cui purtroppo si adeguano le famiglie». Ed anche nel dossier n. 171 del 29-09-2023, consultabile su www.camera.it, veniva evidenziato come l’intervento novellatorio avesse ad oggetto «fenomeni di violenza esercitata dagli studenti, ma anche dai loro famigliari».

[6] Diversamente si dovrà concludere per l’art. 341-bis cod. pen., la cui fattispecie tipica non contiene alcun riferimento alla violenza o alla minaccia e che, pertanto, non potrà fornire da “base” su cui innestare la circostanza aggravante comune introdotta con la l. n. 25/2024. Potrà riespandersi, in questi casi, la ipotesi comune prevista dall’art. 61, co. 1, n. 10), cod. pen.

[7] Secondo A. Natalini, Inutile “giro di vite”, cit., la minore “ampiezza” della circostanza introdotta nell’art. 341-bis cod. pen. troverebbe la propria giustificazione nel fatto che, di regola, il destinatario dell’oltraggio è il docente e non anche l’ausiliario.

[8] S. Seminara, sub art. 336 cod. pen., in Addenda al Commentario breve, cit., osserva che, con la disciplina vigente, il genitore che costringe il docente ad attribuire un voto positivo al figlio sarà punibile con una pena che, applicando l’aggravante prevista dall’art. 336, co. 2, cod. pen. nella propria massima estensione, andrà da nove mesi a sette anni e mezzo di reclusione, mentre se l’atto violento è finalizzato ad impedire l’attribuzione di un voto negativo si applicherà la cornice edittale “base” comune alle fattispecie in esame.

[9] S. Seminara, op. ult. cit., denuncia, sul punto, «una disparità di trattamento […] priva di ogni giustificazione».

[10] I precedenti interventi sulla disposizione in parola sono stati realizzati con il d.l. n. 53/2019 (convertito, con modifiche, dalla l. n. 77/2019) e con il d.l. n. 130/2020 (convertito, con modifiche, dalla l. n. 173/2020).

[11] Una chiave di lettura alternativa, che consente di rivalutare la novella, consiste nel tenere conto della scelta (consapevole?) di non irrobustire l’elenco delle ipotesi ostative all’applicazione della causa di non punibilità prevista dall’art. 131-bis cod. pen. Non va dimenticato che nel 2019, all’atto della promulgazione della l. n. 77/2019, il Presidente della Repubblica inviò una lettera ai Presidenti del Senato della Repubblica, della Camera dei Deputati, e al Presidente del Consiglio dei Ministri in cui sottolineava la casistica molto ampia di funzionari pubblici e di soggetti privati inquadrabili nella nozione di “pubblico ufficiale”: circostanza, questa che avrebbe avuto evidenti ricadute sull’ambito applicativo della causa di non punibilità in questione, evidentemente compresso. Pur nel silenzio dei lavori preparatori, può darsi un giudizio positivo (su questo specifico aspetto) alla riforma, nella misura in cui non si è deciso di incidere ulteriormente su di un istituto oggetto di interventi che ne hanno ridotto sensibilmente le prospettive di operatività.

[12] La norma, modificata dalla l. n. 113/2020, è stata interessata da un ulteriore aggiornamento disposto con il d.l. n. 34/2023, convertito dalla l. n. 56/2023, con cui si è provveduto ad innalzare la pena prevista anche per le lesioni lievi commesse in danno del personale sanitario.

[13] La proposta si chiudeva segnalando la necessità di un intervento immediato, da realizzare «prima che le aggressioni fisiche ai docenti si diffondano ulteriormente e divengano atti di ordinaria sopraffazione».

[14] Di “ossessivo fanatismo punitivistico” parla D. Fassin, Punire. Una passione contemporanea, Milano, 2018, ripreso da V. Maiello, Appunti sparsi di “lotta per il diritto”, in www.dirittodidifesa.eu, 2020, 2. Il termine nomorrea, invece, fu coniato da F. Carrara, Un nuovo delitto, in Opuscoli di diritto criminale, Firenze, 1902, IV, 22.

[15] Tuttavia, non trattandosi di circostanze privilegiate, il concorso con eventuali attenuanti (anche generiche) potrà risolversi in una declaratoria di prevalenza di queste ultime.

[16] T. Padovani, Quella “aspirina” delle aggravanti che intossica il diritto penale, in Guida dir., 24, 14.