Trib. Torre Annunziata, ord. 9 giugno 2020, giud. Ambrosino
1. Premessa. Con l’ordinanza in esame, il Tribunale di Torre Annunziata ha sollevato una questione di legittimità costituzionale dell’art. 521, comma 1, c.p.p., per violazione degli artt. 3, 24 e 111 Cost. In particolare, il giudice a quo prospetta il contrasto con la Carta fondamentale della norma citata, nella parte in cui essa «non prevede la facoltà dell’imputato, allorquando sia invitato dal giudice del dibattimento ad instaurare il contraddittorio sulla riqualificazione giuridica del fatto, di richiedere al giudice del dibattimento il giudizio abbreviato relativamente al fatto diversamente qualificato dal giudice in esito al giudizio».
Si tratta di una questione indubbiamente significativa, in quanto essa consentirà alla Corte costituzionale di esprimersi nuovamente sul tema – divenuto di centrale importanza a seguito dei noti interventi della giurisprudenza sovranazionale[1] – del rapporto tra il potere del giudice di attribuire al fatto una qualificazione giuridica diversa da quella enunciata nell’imputazione, da un lato, e l’esigenza di assicurare una tutela piena ed effettiva del diritto di difesa dell’accusato, nella più ampia prospettiva della garanzia di un processo equo, dall’altro.
E difatti, l’intervenuta affermazione – a norma dell’art. 6, par. 1 e 3, lett. a) e b) CEDU – del diritto dell’imputato di essere informato, dettagliatamente e in tempo utile, non solo dei fatti materiali al medesimo ascritti, ma anche della relativa qualificazione giuridica, nella prospettiva della consapevole preparazione della propria difesa, ha sollevato da alcuni anni importanti interrogativi sui limiti entro cui possa tuttora ritenersi costituzionalmente legittima la divergente configurazione delle prerogative difensive nelle ipotesi di mutamento, rispettivamente, dei profili fattuali dell’imputazione e del nomen iuris attribuito ai medesimi.
Il problema è stato, peraltro, recentemente affrontato anche sotto lo specifico profilo della compatibilità con il diritto dell’Unione europea: il Tribunale di Brindisi aveva, invero, rivolto un rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia dell’Unione europea, ex art. 267 TFUE, perché la stessa chiarisse se le previsioni degli artt. 2, 3 e 6 della direttiva 2012/13/UE[2], nonché l’art. 48 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, dovessero essere interpretati in senso tale da essere di ostacolo a una disciplina nazionale che ammetta una simile diversificazione, qualitativa e quantitativa, delle garanzie difensive nei due casi da ultimo indicati[3].
In tale occasione, così come nell’ordinanza in commento, oggetto specifico di attenzione è stata la richiesta di accesso ai riti alternativi, che costituisce, secondo l’orientamento ripetutamente ribadito dalla Corte costituzionale, una modalità – tra le più incisive e qualificanti – di esercizio del diritto garantito dall’art. 24 Cost.[4].
Nondimeno, la Corte di giustizia[5] ha dato risposta negativa al quesito, rilevando essenzialmente come la disciplina europea stabilisca norme minime, ferma restando la libertà degli Stati membri di assicurare livelli di tutela più elevati; la garanzia del diritto all’informazione dell’accusato, ivi sancito, non può quindi ritenersi tale da implicare, in capo agli Stati stessi, l’obbligo di concedere a quest’ultimo il diritto di chiedere il rito alternativo, dopo l’apertura del dibattimento, in caso di modifica della qualificazione giuridica dei fatti che costituiscono oggetto dell’imputazione.
2. Il caso e le censure di legittimità costituzionale. Nel caso di specie, con decreto di giudizio immediato, erano contestati all’imputato i reati di atti persecutori e di lesioni personali aggravate, di cui, rispettivamente, agli artt. 612-bis e 582, 585 c.p. A seguito della reiterazione, ex art. 448, comma 1, c.p.p. della richiesta di applicazione della pena a norma dell’art. 444 c.p.p., avendo l’organo dell’accusa ribadito il proprio dissenso, si procedeva allo svolgimento dell’istruttoria dibattimentale. All’esito di quest’ultima, il giudice invitava le parti a instaurare il contraddittorio in merito alla possibile riqualificazione del fatto nel più grave delitto di maltrattamenti in famiglia, previsto dall’art. 572 c.p. L’imputato invocava quindi la configurabilità di un’ipotesi di fatto diverso, con la conseguente necessità di restituzione degli atti al pubblico ministero ai sensi dell’art. 521, comma 2, c.p.p., implicante il rilevante effetto di recupero della facoltà di accedere al giudizio abbreviato. In subordine, egli chiedeva di essere giudicato nelle forme del rito appena indicato.
Nondimeno, il giudice – ritenuto che dovesse darsi applicazione al primo, e non anche al secondo comma dell’articolo oggetto di censura – constatava l’assenza di qualsivoglia previsione normativa che consenta, nell’ipotesi di riqualificazione del fatto, la restituzione nel termine per la richiesta di riti alternativi. Ed è proprio tale lacuna, in punto di definizione delle prerogative difensive, a formare oggetto delle censure di costituzionalità, per le ragioni di seguito illustrate.
Presupposto del ragionamento sviluppato nell’ordinanza è, invece, la possibilità di addivenire a un’interpretazione costituzionalmente e convenzionalmente orientata dell’art. 521, comma 1, c.p.p., tale da consentire al giudice di sollecitare il contraddittorio delle parti – sui piani argomentativo e probatorio – in merito alla possibile riqualificazione giuridica. Si prende comunque atto dell’orientamento, sostenuto da una parte della giurisprudenza di legittimità, che ritiene sufficiente, ai fini di un’adeguata tutela del diritto di difesa, l’interlocuzione delle parti nel grado di giudizio successivo[6].
In punto di rilevanza, l’ordinanza argomenta in ordine all’impossibilità di ammettere l’applicazione dell’art. 521, comma 2, c.p.p., non venendo in considerazione un’ipotesi di fatto diverso, in ragione della corrispondenza tra gli episodi emersi nel corso dell’istruttoria e quelli contestati nell’imputazione; essa, quindi, espone le motivazioni che imporrebbero in concreto la riconduzione dei medesimi alla fattispecie incriminatrice di cui all’art. 572 c.p. Poste tali premesse, è constatata l’impossibilità di dare accoglimento alla richiesta dell’imputato di accesso al rito abbreviato, in quanto tardiva.
Sotto il profilo della non manifesta infondatezza, il giudice a quo espone quindi alcuni significativi argomenti idonei a porsi a sostegno del dubbio di compatibilità con le menzionate norme costituzionali, preoccupandosi altresì di confutare le principali obiezioni che potrebbero essere mosse al ragionamento sviluppato nel provvedimento di rimessione.
Con riguardo, in primo luogo, ai parametri costituiti dagli artt. 24 e 111 Cost., una fondamentale premessa sviluppata dall’ordinanza in esame ha ad oggetto il rapporto di stretta interdipendenza tra il fatto e la sua qualificazione giuridica, in sede di accertamento processuale: profilo, quello della «interrelazione mobile»[7] tra i piani della questio iuris e della quaestio facti, secondo quanto posto in luce in dottrina[8], essenziale nella prospettiva di un ridimensionamento del diverso atteggiarsi del diritto di difesa nelle ipotesi di modifiche incidenti sull’una, ovvero sull’altra.
Il Tribunale rileva, quindi, come l’ammissibilità del contraddittorio probatorio in caso di mutamento del nomen iuris, conseguenza necessaria della ricostruzione suindicata, dovrebbe ragionevolmente implicare, altresì, l’affermazione del diritto della difesa a rinunciare a tale contraddittorio, sulla base di una rivisitazione della sua strategia processuale. E, tanto, in ragione del fatto che l’operazione di riqualificazione giuridica si ritiene idonea a incidere su aspetti dal rilievo determinante ai fini della scelta del rito: in primo luogo, l’eventualità di uno «spostamento, (…) più o meno ampio, dei temi di prova», per le ragioni suindicate; e – fattore, questo, non meno importante – la possibile variazione, anche in termini radicali, dell’entità della risposta sanzionatoria.
Di particolare interesse appare inoltre la confutazione, nell’ordinanza di rimessione, degli argomenti sfavorevoli a una simile estensione del diritto di difesa, in quanto essi istituiscono una connessione con la giurisprudenza costituzionale che, in materia di contestazioni suppletive, ha più volte dichiarato il contrasto con la Carta fondamentale degli artt. 516 e 517 c.p.p., nella parte in cui non prevedevano la facoltà dell’imputato di richiedere i riti alternativi, nelle ipotesi variamente configurate di modifica dell’imputazione nei suoi profili fattuali[9].
Il Tribunale pone quindi in luce come la stessa Corte costituzionale abbia, in una pluralità di occasioni, ridimensionato il rilievo del rapporto tra premialità e deflazione, inteso come “ratio” del rito speciale; per di più, una forma di risparmio di tempi ed energie processuali potrebbe comunque realizzarsi mediante la rinuncia alle ulteriori acquisizioni probatorie in ipotesi rese necessarie dall’esercizio del potere di cui all’art. 521, comma 1, c.p.p.
E invero, sotto tale profilo, occorre rilevare come, secondo quanto ritenuto dal Giudice delle leggi, il rapporto di “scambio” tra sconto di pena e deflazione «debba comunque cedere di fronte all’esigenza di ripristinare la pienezza delle garanzie difensive e l’osservanza del principio di eguaglianza»[10].
In secondo luogo, il provvedimento di rimessione contesta un’ulteriore argomentazione, ritenuta anch’essa superata nella giurisprudenza costituzionale, e consistente nella consapevole assunzione, da parte dell’imputato, del rischio di modifiche dell’imputazione, conseguente alla mancata opzione per uno dei riti alternativi disciplinati dal codice di rito. Rischio, questo, proprio peraltro più ampiamente del processo, e non del solo dibattimento, alla luce dell’orientamento giurisprudenziale favorevole al riconoscimento del potere di riqualificazione anche in sede di giudizio abbreviato[11].
Sul punto, è noto come, in materia di mutamento dei profili fattuali dell’accusa, la Corte costituzionale abbia progressivamente esteso la facoltà di accesso dell’imputato ai riti alternativi anche alle nuove contestazioni “fisiologiche”, ossia dirette ad adeguare l’imputazione alle risultanze dell’istruttoria dibattimentale, o alle acquisizioni dell’udienza preliminare, e non legate quindi a elementi già desumibili dagli atti d’indagine. Se, difatti, la richiesta di riti speciali è espressione del diritto di difesa, «occorre allora che la relativa facoltà sia collegata anche all’imputazione che, per effetto della contestazione suppletiva, deve effettivamente formare oggetto del giudizio»[12], indipendentemente dalle cause che ne hanno giustificato la modifica. La centralità del diritto sancito dall’art. 24 Cost., piuttosto che della “rimproverabilità” della contestazione suppletiva all’una o all’altra parte processuale, ha condotto il Giudice delle leggi a osservare come possa rivelarsi ben più pregiudizievole per la difesa un mutamento dell’imputazione che avvenga all’esito dell’istruttoria dibattimentale, piuttosto che sulla base di elementi già risultanti dagli atti di indagine[13]. Si è, così, superato, come si è osservato, il fondamento degli interventi della Corte su una «‘funzione riparatoria’ necessaria a compensare un comportamento doloso o negligente della parte pubblica»[14].
Tornando al ragionamento sviluppato nell’ordinanza di rimessione, non si reputa neppure convincente il riferimento alla prevedibilità della riqualificazione, che comunque, dovendo riguardare parimenti il pubblico ministero, il quale ha nondimeno attribuito al fatto un diverso nomen iuris in sede di formulazione dell’imputazione, non potrebbe risolversi in un pregiudizio per il solo imputato. In definitiva, si reputa preferibile il definitivo abbandono del concetto del rischio, in favore della configurazione della riqualificazione come «scenario fisiologico (…) al manifestarsi del quale i diritti delle parti vanno riorganizzati e ripristinati secondo le direttive costituzionali».
Sul punto, si può osservare come la nozione di prevedibilità della nuova contestazione, ancora con riguardo alle modifiche in fatto dell’imputazione, sia entrata in crisi, nella giurisprudenza costituzionale, a partire dalla più volte citata sentenza n. 237 del 2012; il preferibile abbandono di tale canone, con riguardo tanto alle contestazioni “fisiologiche”, quanto a quelle patologiche”, si è ritenuto giustificato, in sede di commento, oltre che dalla sua intrinseca vaghezza, dal suo potenziale contrasto con il principio della presunzione di non colpevolezza, di cui all’art. 27, comma 3, Cost.[15].
In punto di variazioni in diritto, il criterio suindicato, come rilevato nell’ordinanza, è stato invece posto dalla giurisprudenza di legittimità a sostegno dell’orientamento contrario alla restituzione nel termine per la richiesta di riti alternativi, nell’ipotesi di diversa qualificazione giuridica: si è difatti rilevato come quest’ultima, a differenza delle contestazioni suppletive, aventi carattere eccezionale, sia espressione della discrezionalità tecnica del giudice, «sempre tenuto a ricondurre la fattispecie nell'esatto perimetro normativo»[16]. Di conseguenza, la parte dovrebbe adottare le proprie scelte nella previsione che tale eventualità possa verificarsi.
Il riferimento al carattere sufficientemente prevedibile dell’attribuzione al fatto di un diverso nomen iuris è, invero, presente nella stessa giurisprudenza sovranazionale[17], seppure non sempre valorizzato allo stesso modo[18]. Nondimeno, la Corte di Strasburgo, nel valutare la configurabilità di eventuali violazioni dell’art. 6, par. 3, CEDU, sembra, in proposito, operare un vaglio in concreto, avendo riguardo anche agli elementi strutturali delle fattispecie incriminatrici considerate, senza che assuma rilievo, di per sé, la necessaria consapevolezza in capo alle parti della possibilità di una diversa determinazione del giudice in punto di qualificazione giuridica, all’esito del giudizio, in una prospettiva analoga a quella dell’“assunzione del rischio”.
In relazione al potenziale contrasto con l’ulteriore parametro rappresentato dall’art. 3 Cost., l’ordinanza pone quindi in luce una pluralità di ipotesi idonee a configurare un’irragionevole disparità di trattamento, in violazione del principio di uguaglianza.
In primo luogo, potrebbe verificarsi un’ingiustificata discriminazione di chi veda mutare l’accusa nel corso del processo, con riguardo ai suoi profili giuridici, rispetto all’imputato nei confronti del quale il pubblico ministero abbia formulato l’imputazione attribuendo al fatto una qualificazione oggetto di conferma ad opera del giudice, e che avrà quindi potuto definire le proprie strategie difensive con riferimento all’imputazione “corretta”, anche sotto il profilo del nomen iuris.
Inoltre, il recupero della facoltà di accesso ai riti alternativi potrebbe discendere da circostanze del tutto casuali, quali l’attribuzione del reato considerato configurabile alla competenza di un giudice superiore, o al tribunale in composizione collegiale, con la conseguente necessità di restituzione degli atti all’organo dell’accusa, a norma dell’art. 521, comma 1, c.p.p. Né – si rileva – potrebbe escludersi che il mutamento del nomen iuris avvenga nel corso del processo ad opera dello stesso pubblico ministero, con la conseguente applicabilità dell’art. 516 c.p.p.
Più ampiamente, la stretta interdipendenza dei profili fattuali e giuridici dell’accusa, di cui si è dato conto, imporrebbe di rivedere una così accentuata diversità di trattamento dell’imputato, sul piano delle garanzie difensive, nelle ipotesi di modifiche incidenti sulla quaestio facti o sulla quaestio iuris.
Conclusa l’illustrazione delle censure, il Tribunale si occupa di porre in luce come la questione sollevata non solleciti la Corte a operare un intervento additivo riservato alla discrezionalità del legislatore, ritenendosi la soluzione prospettata – ossia la restituzione nel termine per la richiesta del rito – l’unica compatibile con i principi costituzionali e convenzionali. La diversa opzione consistente nella restituzione degli atti al pubblico ministero, e quindi nella parificazione della disciplina a quella posta dall’art. 521, comma 2, per l’ipotesi di diversità del fatto, invero, oltre a porsi in contrasto con i principi di economia processuale e di conservazione dei mezzi di prova, finirebbe, secondo l’ordinanza di rimessione, per incidere sul libero esercizio, da parte del giudice, del potere di interpretare e applicare le norme giuridiche, in violazione dell’art. 101, comma 2, Cost. Rispettoso delle prerogative e del ruolo del giudicante, e inidoneo a pregiudicare in alcun modo la successiva decisione in punto di qualificazione giuridica, sarebbe invece, secondo l’ordinanza, l’esito dalla stessa prospettato: ossia l’attribuzione all’imputato della facoltà di chiedere l’accesso al rito abbreviato nel corso dell’interlocuzione delle parti sull’eventuale riqualificazione, sollecitata dal giudice nel medesimo grado di giudizio in cui il potere appena menzionato debba essere esercitato per la prima volta. Ne conseguirebbero l’utilizzabilità ai fini della decisione degli atti d’indagine, e l’applicazione in sentenza della diminuzione di pena pari a un terzo, da escludersi invece «allorché il giudice, dall’analisi congiunta delle risultanze istruttorie e degli atti di indagine, evinca elementi in grado di giustificare la scelta del titolo operata dal pubblico ministero».
3. I precedenti
Come si è anticipato, il problema dell’estensione delle prerogative difensive, con specifico riferimento alla richiesta di riti alternativi, e della piena esplicazione del contraddittorio nell’ipotesi di mutamento del nomen iuris attribuito al fatto, non è nuovo alla Corte costituzionale.
Si può, in primo luogo, ricordare come, nel 2010, il Giudice delle leggi sia stato chiamato a pronunciarsi su una questione di legittimità costituzionale con cui si censuravano – per contrasto con gli artt. 3, 24, 111 e 117 Cost. – gli artt. 424, 429 e 521, comma 1, nella parte in cui ammettono la riqualificazione giuridica d’ufficio, all’esito dell’udienza preliminare, senza che sia stato previamente consentito l’effettivo sviluppo del contraddittorio sul punto. In particolare, a parere del giudice a quo, quest’ultimo avrebbe potuto essere garantito «chiedendo al P.M. di modificare la qualificazione giuridica del fatto e, in caso di inerzia dell’organo dell’accusa, disponendo la trasmissione degli atti al medesimo P.M.»[19]. Soluzione, quella proposta, analoga al meccanismo affermatosi in via giurisprudenziale per le ipotesi di fatto risultato diverso e di imputazione carente[20].
Come è noto, la decisione dichiarativa dell’inammissibilità della medesima questione è stata fondata non solo sull’insufficiente motivazione dell’ordinanza di rimessione, in punto di rilevanza, bensì anche su un’ulteriore ragione, più significativa nella prospettiva dell’esame del provvedimento oggi in considerazione: la Corte ha invero ritenuto di non poter operare un intervento additivo, non avente il carattere di soluzione costituzionalmente obbligata, e pertanto riservato alle scelte discrezionali del legislatore[21].
Sviluppando le argomentazioni relative al secondo dei profili appena indicati, la pronunzia ha negato di poter addivenire, senza che si determinasse così un’indebita sostituzione al Parlamento nell’esercizio di prerogative proprie di quest’ultimo, a un esito implicante «la parificazione di situazioni processuali tra loro non omogenee, quali l’accertamento che un fatto debba essere diversamente qualificato e la constatazione che il fatto è differente da quello descritto nel decreto che dispone il giudizio»[22].
La considerazione secondo cui la disciplina delle modalità di esplicazione del contraddittorio sulla nuova qualificazione giuridica del fatto è materia rimessa alla discrezionalità del legislatore, se condivisa da alcuni commentatori[23], ha suscitato le critiche di altri, rilevandosi come in altre occasioni di prospettata violazione dell’art. 117, comma 1, Cost. la Corte costituzionale abbia ritenuto di poter intervenire con pronunzie additive[24].
Non ha sopito gli interrogativi sulle prospettive evolutive del diritto di difesa nell’ipotesi di esercizio del potere di cui all’art. 521, comma 1, c.p.p. la recente sentenza del Giudice delle leggi, che ha sancito un’interpretazione costituzionalmente orientata degli artt. 464-bis e 521, comma 1, c.p.p., in merito al rapporto tra riqualificazione giuridica del fatto all’esito del giudizio e ammissione alla sospensione del procedimento con messa alla prova[25]. Nel dichiarare infondate le censure di costituzionalità, aventi ad oggetto le citate norme del codice di rito, la Corte ha chiarito come le stesse ben possano essere interpretate in un senso tale da consentire al giudice, il quale, alla luce della riqualificazione giuridica del fatto contestato, reputi ingiustificato il proprio precedente diniego, di ammettere l’imputato al rito alternativo, a suo tempo dal medesimo richiesto nei termini di legge, con la conseguente applicazione dei relativi benefici sanzionatori; e così assicurandosi «che l’errore compiuto dalla pubblica accusa non si risolva in un irreparabile pregiudizio» in danno dell’imputato stesso. Tale soluzione ermeneutica ha trovato sostegno in alcuni orientamenti applicativi della Suprema Corte, che hanno ritenuto necessaria, quando sia presentata la richiesta di cui all’art. 464-bis c.p.p., la verifica ad opera del giudicante della correttezza della qualificazione attribuita al fatto dall’organo dell’accusa, e che hanno inoltre sostenuto, seppure in modo non incontrastato, l’esistenza del potere del giudice di appello di ammettere l’imputato alla sospensione del processo con messa alla prova, qualora questi ritenga ingiustificato il rigetto del giudice di primo grado[26]. Deve pertanto ammettersi, a fortiori, che quest’ultimo – nel caso di specie il giudice dell’abbreviato – possa accogliere la richiesta del rito, qualora all’esito del giudizio ritenga erroneo il proprio precedente diniego, motivato dalla riconduzione del fatto contestato a una diversa ipotesi criminosa.
La pronunzia ha ribadito alcuni principi di portata generale, affermati anche – come si è avuto modo di indicare – nelle decisioni relative alla richiesta di riti alternativi nelle ipotesi di modifica dell’imputazione sotto il profilo fattuale[27], quali la necessità di ritenere la facoltà appena menzionata una delle più incisive modalità di esercizio del diritto di difesa, e la subvalenza delle esigenze di deflazione processuale rispetto alla piena ed effettiva garanzia di quest’ultimo.
Al contempo, nondimeno, come è stato rilevato[28], la sentenza riguarda un tema specifico, e parzialmente distinto rispetto a quello oggetto dell’ordinanza in esame, ossia l’accesso a riti speciali per cui siano previsti presupposti di ammissibilità legati a limiti edittali di pena, o al titolo di reato, qualora l’imputazione sia formulata per una fattispecie che non consenta l’applicazione del procedimento speciale, ma il giudice ritenga di attribuire al fatto un nomen iuris tale, invece, da permetterla.
Non è, pertanto, apparsa problematica la possibile estensione dei principi affermati con la sentenza di cui si tratta anche a casi analoghi, caratterizzati dalla tempestiva richiesta del rito alternativo, alla luce della prospettazione di una qualificazione difforme da quella ipotizzata in sede di formulazione dell’imputazione, successivamente accolta dall’organo giudicante[29], e a contesti procedimentali diversi dal giudizio abbreviato di primo grado e di appello, quali il giudizio immediato o il giudizio direttissimo; si reputa invece più difficile ammettere, in capo al giudice del dibattimento, un potere di revoca del provvedimento di rigetto del giudice dell’udienza preliminare[30].
È stato, tuttavia, espresso rammarico per il fatto che la Corte costituzionale non abbia avuto modo di esprimersi sulla configurabilità, ai fini dell’accesso al rito alternativo a seguito dell’esercizio in via officiosa del potere previsto dal più volte citato art. 521, comma 1, c.p.p., di un onere di relativa istanza nei termini stabiliti dalla legge processuale, secondo quanto ritenuto in alcune pronunzie della Suprema Corte[31]; e difatti, nell’ambito del giudizio a quo, la richiesta di ammissione alla sospensione del processo con messa alla prova era stata avanzata tempestivamente. Si tratta, indubbiamente, di un profilo che avrebbe consentito di ricondurre alla pronunzia più ampie conseguenze sistematiche.
E in tal senso, è stato osservato come l’affermazione di un simile onere di tempestiva richiesta del giudizio alternativo, e di contestazione della qualificazione giuridica attribuita dall’organo dell’accusa nell’imputazione, si ponga in contrasto con le indicazioni della normativa sovranazionale, tale da imporre che l’informazione sul nomen iuris, e sulle relative modifiche, intervenga in tempi utili per l’esercizio delle prerogative difensive; tanto più in quanto tale diritto deve riferirsi non a una qualsiasi imputazione, bensì a quella corretta, in ordine alla quale l’accusato deve poter compiere consapevolmente le proprie scelte processuali[32].
Per quanto di interesse in questa sede, è opportuno rilevare come, nell’ipotesi del rito abbreviato, oggetto specifico della questione sollevata con l’ordinanza in esame, un problema di preclusione all’accesso riconducibile ai limiti edittali di pena si ponga oggi, a seguito dell’entrata in vigore della legge 12 aprile 2019, n. 33, unicamente con riferimento ai reati puniti con l’ergastolo. La nuova normativa, incidendo sugli artt. 429 e 438 c.p.p., ha comunque espressamente disciplinato – seppure, come si è rilevato, lasciando taluni margini di incertezza[33] – l’ipotesi di mutamento della qualificazione giuridica del fatto, idonea a consentire l’accesso al rito premiale precedentemente da escludersi in base alla formulazione dell’accusa. In tal senso, con specifico riferimento alla variazione del nomen iuris che intervenga in sede dibattimentale, l’art. 438, comma 6-ter c.p.p. ha codificato un onere di presentazione, in sede di udienza preliminare, della richiesta di abbreviato, da ritenersi inammissibile alla luce del comma 1-bis del medesimo articolo, al fine di rendere possibile la diminuzione di pena ex art. 442, comma 2, c.p.p. nell’eventualità di una diversa determinazione del giudice in punto di norma giuridica applicabile[34].
4. Osservazioni conclusive
In conclusione, merita formulare solo alcune sintetiche considerazioni sull’ordinanza in esame: questa appare sollevare fondati dubbi di legittimità costituzionale – anche e particolarmente alla luce dei principi di diritto sovranazionale – di una disciplina, in materia di riqualificazione giuridica del fatto, che a una tale evenienza fa corrispondere una tutela solo parziale del diritto di difesa. Si tratta di un problema che coinvolge, secondo quanto rilevato nello stesso provvedimento di rimessione, gli stessi caratteri del potere sancito dalla norma censurata, la cui natura essenzialmente ricognitiva e “neutra”, e dunque prevedibile, quale riflesso della chiarezza della legge nella sua concezione di matrice illuminista, può dirsi ormai posta in discussione[35].
Pertanto, se, come si ritiene nell’ordinanza in esame, è possibile addivenire a un’interpretazione costituzionalmente orientata della norma censurata, idonea a consentire in tale ipotesi l’esplicazione del contraddittorio argomentativo – e finanche probatorio[36] –, ben più difficile sarebbe ammettere, in mancanza di qualsivoglia fondamento normativo, la restituzione dell’imputato nel termine per la richiesta del giudizio abbreviato. E, tanto, sebbene l’accesso ai riti alternativi costituisca un’essenziale forma di esercizio del diritto di cui all’art. 24 Cost., e quantunque, ancora alla luce dei principi suindicati, l’informazione sui profili giuridici dell’accusa, e sulle relative modificazioni, debba essere considerata funzionale proprio alla consapevole e tempestiva determinazione in merito all’esplicazione delle prerogative difensive. Assume invero rilevanza, ai fini della valutazione sul rispetto delle garanzie convenzionali, il plausibile ricorso a mezzi di difesa diversi da quelli applicati in relazione all’accusa così come originariamente formulata.
Significativo appare inoltre il riferimento al rilievo determinante, ai fini della scelta del rito, dell’entità della risposta sanzionatoria prefigurata dall’ordinamento in relazione all’una o all’altra fattispecie di reato, indubbiamente incidente, altresì, sull’effetto premiale riconducibile al rito stesso, come posto in luce dalla giurisprudenza costituzionale[37].
Vero è che, anche con riguardo alle concrete modalità di sviluppo dell’interlocuzione delle parti sulla nuova qualificazione giuridica, per effetto del richiamato intervento della Corte di Strasburgo, si sono prospettate in dottrina conclusioni divergenti, che ancora si riflettono sulla questione del possibile accesso al rito premiale[38].
Non è, difatti, mancata l’espressione di un orientamento favorevole alla previsione di un meccanismo analogo a quello contemplato dal codice di rito all’art. 521, comma 2, per il caso in cui il giudice accerti che il fatto è diverso da quello descritto nell’imputazione. La soluzione consistente nella restituzione degli atti al pubblico ministero, in tale prospettiva, consentirebbe di salvaguardare il ruolo del giudice nel sistema accusatorio, preservando la sua soggezione unicamente alla legge, ex art. 101, comma 2, Cost., e la sua libertà di determinazione del nomen iuris in eventuale difformità rispetto alle valutazioni della parte pubblica. Al contempo, sarebbe accordata piena tutela all’esercizio del diritto di difesa, anche sotto i profili delle nuove richieste di prova e dell’accesso ai riti alternativi[39].
Un indirizzo analogo a quello sviluppato nell’ordinanza di rimessione reputa, invece, eccessivamente onerosa un’equiparazione di tal genere, in assenza di una modifica dell’accusa in termini fattuali: sembra, dunque, preferibile che il giudice, il quale ritenga, all’esito del dibattimento, di dare al fatto una qualificazione giuridica diversa da quella ipotizzata dal pubblico ministero, ne informi le parti, invitandole a instaurare il contraddittorio sul punto[40].
Anche nell’ambito di quest’ultima tesi, tuttavia, non vi è stata univocità di vedute in ordine alla fase in cui collocare il meccanismo appena descritto. A parere di alcuni autori, una simile sollecitazione a dibattimento ancora in corso rischierebbe di incidere sull’imparzialità del giudicante, e finanche di esporlo al rischio di ricusazione, per avere il medesimo manifestato il proprio convincimento sul fatto in un momento anteriore a quello della decisione, ex art. 37, comma 1, lett. b) c.p.p. Si è quindi prospettata la possibilità di una sospensione del processo, con ordinanza, nella fase deliberativa, quando il giudice, ritiratosi in camera di consiglio, ritenga di dover esercitare il potere di riqualificazione in modo tale da ledere il diritto di difesa dell’imputato; potrebbe quindi darsi luogo allo svolgimento del contraddittorio, mediante la richiesta di termini a difesa e l’eventuale indicazione di nuove prove[41].
Per contro, è stato sostenuto che il rischio di pregiudizio per la decisione da compiere all’esito del contraddittorio sarebbe più accentuato nel caso di invito alla relativa instaurazione nella fase deliberativa, dovendo pertanto considerarsi preferibile un intervento del giudice in uno stadio avanzato o conclusivo dell’istruttoria, così da evitare la sovrapposizione del convincimento del medesimo in punto di qualificazione giuridica alle valutazioni del pubblico ministero[42].
Si è quindi osservato come problemi ancora maggiori si pongano nell’ipotesi di riqualificazione in appello o ad opera della Corte di cassazione, per l’esigenza di contemperare le garanzie difensive con le caratteristiche proprie dei giudizi di impugnazione[43].
Peraltro, parte della dottrina ha sottoposto a critica l’orientamento che ritiene compatibile con la Convenzione il solo contraddittorio che si esplichi nel medesimo grado di giudizio nel cui ambito abbia luogo la riqualificazione[44].
Anche la giurisprudenza di legittimità non è stata univoca nel delineare le modalità attraverso cui sviluppare un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 521, comma 1, c.p.p., a seguito dell’intervento della Corte europea. Affermata la coerenza della “regola di sistema” espressa da quest’ultima con il principio statuito dall'art. 111, comma 2, Cost., «che investe non soltanto la formazione della prova, ma anche ogni questione che attiene alla valutazione giuridica del fatto commesso», e sancita la necessità di un contraddittorio di natura “argomentativa” nel giudizio di cassazione, qualora la riqualificazione debba avvenire in quella sede[45], sono stati invero raggiunti esiti interpretativi variegati sulla questione appena indicata. Non potendosi approfondire il tema in questa sede, può solo darsi atto della progressiva affermazione di un orientamento della Suprema Corte che ritiene rispettati i principi sanciti in occasione del “caso Drassich” anche qualora la diversa qualificazione giuridica sia attribuita al fatto direttamente in sentenza, in primo grado o in appello, potendo l’imputato interloquire adeguatamente sul punto in sede di impugnazione[46]. Altre pronunzie avevano invece sostenuto, con indirizzo rimasto successivamente minoritario, che è causa di nullità generale a regime intermedio l’attribuzione di un differente nomen iuris in sede di decisione, senza che sia stata assicurata la possibilità di interlocuzione sul punto[47].
Proprio l’eventuale consolidamento del “diritto vivente” in favore della soluzione da ultimo citata, analoga a quella accolta nell’ipotesi di inosservanza delle regole concernenti i rapporti tra l’accusa nei suoi elementi di fatto e la sentenza, era stato auspicato quale possibile fondamento di una censura di costituzionalità dell’art. 521, comma 1, c.p.p., tale da superare gli argomenti che avevano condotto il Giudice delle leggi a dichiarare inammissibile la richiamata questione sollevata nel 2010[48].
Per contro, maggiori ostacoli al superamento dell’approccio adottato in passato dalla Corte costituzionale potrebbero essere determinati dall’accoglimento di plurime e variegate soluzioni, sul piano interpretativo, volte a dare voce all’esigenza di garantire l’esercizio del diritto di difesa in caso di riqualificazione giuridica del fatto. Opzioni, queste, inevitabilmente idonee a riflettersi anche sulle modalità attraverso cui consentire, se del caso, l’accesso al rito speciale pur quando siano decorsi i termini per la relativa richiesta.
Deve tuttavia anche segnalarsi come, seppure nel distinto ambito delle contestazioni suppletive “tardive” del reato concorrente e del fatto diverso, e quindi in un contesto caratterizzato da differenti riferimenti normativi, il Giudice delle leggi sembra aver espresso un orientamento critico rispetto al meccanismo della restituzione degli atti al pubblico ministero. Richiamando alcuni propri precedenti, la Corte ha rilevato come quest’ultima, quale alternativa alla trasformazione del rito, debba ritenersi «‘eccentrica e incongrua rispetto all’attuale sistema’, improntato ‘all’opposto principio di non regressione del procedimento’ (ordinanza n. 236 del 2005; in senso analogo, ordinanza n. 486 del 2002)»[49].
Seppure non sia comunque da escludersi la possibilità di un intervento additivo, può, in ogni caso, ritenersi auspicabile un più ampio intervento del legislatore, atteso in dottrina da tempo, che definisca l’impatto dei più volte richiamati orientamenti della Corte di Strasburgo sull’art. 521, comma 1, c.p.p.; intervento, questo, di cui si avverte la necessità in ragione della pluralità e della complessità degli elementi da regolare, nonché della rilevanza dei principi coinvolti, riconducibili tanto al ruolo e alle prerogative del giudice, anche nei suoi rapporti con le parti processuali, quanto al diritto di difesa e alle garanzie del giusto processo.
[1] Si fa riferimento, in primo luogo, a Corte e.d.u., Sez. II, 11 dicembre 2007, Drassich c. Italia: v. al riguardo M. Caianiello, Mutamento del nomen iuris e diritto a conoscere la natura e i motivi dell’accusa ex art. 6 CEDU: le possibili ripercussioni sul sistema italiano, in Giust. pen., 2008, 1, p. 165; L. De Matteis, Diversa qualificazione giuridica dell’accusa e tutela del diritto di difesa, in A. Balsamo, R. Kostoris (a cura di), Giurisprudenza europea e processo penale italiano, Torino, 2008, p. 215; L. Parlato, Riapertura del processo iniquo per modifica “viziata” del nomen iuris, in Dir. pen. proc., 2008, 12, p. 1584. V. anche Corte e.d.u. Sez. I, 22 febbraio 2018, Drassich c. Italia (n. 2), con nota di F. Zacchè, Brevi osservazioni su Drassich (n. 2) e diritto alla prova, in Dir. pen. cont., 2018, 3, p. 298 ss.; Corte e.d.u., Sez. IV, 24 luglio 2012, D.M.T. e D.K.I. c. Bulgaria; Sez. I, 20 aprile 2006, I.H. c. Austria; Sez. I, 17 luglio 2001, Sadak e a. c. Turchia; Grande Camera, 25 marzo 1999, Pélissier e Sassi c. Francia, tutte in hudoc.echr.coe.int. Sul “caso Drassich” e sugli orientamenti della Corte e.d.u. in materia v. S. Quattrocolo, Riqualificazione del fatto nella sentenza penale e tutela del contraddittorio, Napoli, 2011. Sul rapporto, più ampiamente, tra riqualificazione giuridica del fatto e contraddittorio processuale v. T. Rafaraci, Le nuove contestazioni nel processo penale, Milano, 1996.
[2] Direttiva 2012/13/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 22 maggio 2012 sul diritto all’informazione nei procedimenti penali. Il diritto all’informazione sull’accusa è sancito dall’art. 6, secondo cui «gli Stati membri assicurano che alle persone indagate o imputate siano fornite informazioni sul reato che le stesse sono sospettate o accusate di aver commesso. Tali informazioni sono fornite tempestivamente e con tutti i dettagli necessari, al fine di garantire l’equità del procedimento e l’esercizio effettivo dei diritti della difesa» (par. 1). Il par. 4 del medesimo articolo impone che sia garantita l’informazione dell’accusato in merito a «ogni eventuale modifica alle informazioni fornite a norma del presente articolo, ove ciò sia necessario per salvaguardare l’equità del procedimento».
[3] Trib. Brindisi, ord. 20 ottobre 2017. La questione è stata formulata nei seguenti termini: «Se l’art. 2, § 1, l’art. 3, § 1 lettera c), l’art. 6, §§ 1, 2 e 3, della direttiva 2012/13/UE, nonché l’art. 48 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, debbano essere interpretati nel senso che ostino a disposizioni processuali penali di uno Stato membro in base alle quali le garanzie difensive conseguenti alla modifica dell’imputazione vengano assicurate in termini, qualitativamente e quantitativamente, diversi a seconda che la modifica riguardi gli aspetti fattuali dell’accusa, ovvero la qualificazione giuridica della stessa, in particolare consentendo soltanto nel primo caso all’imputato di chiedere il rito alternativo premiale dell’applicazione della pena (c.d. patteggiamento)». V. al riguardo G. Centamore, Ancora in tema di riqualificazione giuridica del fatto: un’interessante ordinanza di rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia dell’Unione europea, in Dir. pen. cont., 2018, 1, p. 37.
[4] In questo senso, ex multis, Corte cost., 29 maggio 2019, n. 131, in Cass. pen., 2019, 10, p. 3614, con nota di E. Aprile, Il giudice dell'abbreviato, che ritenga di riqualificare il fatto contestato, ben può restituire l'imputato nella facoltà di chiedere la sospensione del processo con messa alla prova, già oggetto di una precedente istanza; in Giur. cost., 2019, 3, p. 1527, con nota di A. Capone, “Derubricazione” del reato e richiesta di messa alla prova; cfr. anche V. Aiuti, E. Penco, Osservatorio della Corte Costituzionale, in Dir. pen. proc., 2019, 8, p. 1039: G. Fiorelli, Riqualificazione giuridica del fatto e messa alla prova, al vaglio della Consulta, in Riv. it. dir. proc. pen., 2019, 3, p. 1709; Corte cost., 5 luglio 2018, n. 141, in Cass. pen., 2018, 12, p. 4078, con nota di E. Aprile, Sulla possibilità di formulare la richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova nel caso di nuova contestazione di dibattimento di una circostanza aggravante; in Giur. cost., 2018, 4, p. 1618, con nota di F. Cassibba, Nuove contestazioni e riti alternativi: necessitato protagonismo della Consulta e perdurante silenzio del legislatore; in Dir. pen. cont., 2018, 10, con nota di A. Zappulla, La prima (ma non ultima) pronuncia d'incostituzionalità in tema di autodichia dell'imputazione e messa alla prova v. anche, al riguardo, R. Bricchetti, La richiesta tardiva viene equiparata alla fisiologica, in Guida dir., 2018, 32, p. 59; L. Nullo, Nuove contestazioni e messa alla prova: non ancora completo il quadro dei rapporti tra modifiche dell'imputazione e accesso ai riti alternativi in www.processopenaleegiustizia.it, 2019, 1; D. Rocchi, Modifica dell'imputazione e diritto di chiedere la sospensione del procedimento con messa alla prova, in Riv. it. dir. proc. pen., 2018, 3, p. 1782; G. Tessitore, Contestazione suppletiva e messa alla prova. La soluzione della Corte costituzionale, in Cass. pen., 2019, 5-6, p. 2010. Si esprime analogamente Corte cost. 17 luglio 2017, n. 206, in Giur. cost., 2017, 4, 1806, con nota di T. Rafaraci, Illegittima la preclusione della richiesta di “patteggiamento” in caso di contestazione dibattimentale “fisiologica” del fatto diverso; in Cass. pen., 2017, 11, p. 3900, con nota di G. Todaro, Nuove contestazioni dibattimentali e diritto di difesa: un ulteriore tassello nella parabola dei riti speciali; v. anche le note di C. Cavaliere, Ancora in tema di modifiche dell’imputazione, in Giust. pen., 2018, XII, p. 695; R. G. Grassia, Nuove contestazioni “fisiologiche” e patteggiamento: l’ennesima declaratoria di incostituzionalità sul rapporto tra riti alternativi e gli artt. 516-517 c.p.p., in Proc. pen. giustizia, 2018, 1; C. Minnella, Cade un altro muro sul divieto di accesso ai riti speciali, in Guida dir., 2017, 39, p. 73; P. Troisi, Nuova contestazione “fisiologica” del fatto diverso e ammissibilità del patteggiamento, in Cass. pen., 2018, 2, p. 518; Corte cost., 26 ottobre 2012, n. 237, in Giur. cost., 2012, 5, p. 3548, con nota di M. Caianiello, Modifiche all’imputazione e giudizio abbreviato. Verso un superamento della distinzione tra contestazioni fisiologiche e patologiche; in Dir. pen. cont., 27 novembre 2012, con nota di F. Cassibba, Vacilla il criterio della prevedibilità delle nuove contestazioni dibattimentali; v. anche V. Campilongo, Contestazioni suppletive “fisiologiche” e giudizio abbreviato: alle ragioni di economia processuale la Consulta antepone la salvaguardia del diritto di difesa, in Foro it., 2013, 5, p. 1427; E. Gazzaniga, Un nuovo passo avanti in tema di ampliamento della facoltà di accesso ai riti alternativi in corso di dibattimento, in Cass. pen., 2013, 3, p. 988; S. Quattrocolo, Contestazione suppletiva “fisiologica” e giudizio abbreviato: cade con C. cost. 237/2012 l'ultimo baluardo del rapporto “premialità/deflazione”, in Leg. pen., 2013, 2, p. 337; G. Todaro, Una ulteriore declaratoria d'incostituzionalità sui rapporti tra nuove contestazioni dibattimentali e giudizio abbreviato: la stella polare del diritto di difesa e qualche dubbio nuovo, in Cass. pen., 2013, 11, p. 3876. Nel medesimo senso, tra le altre, Corte cost., 9 luglio 2004, n. 219, in Dir. pen. proc., 2005, 5, p. 627, con nota di S. Lorusso, Arriva dalla Corte costituzionale il placet alla giurisdizione penale “acognitiva”; in Giur. cost., 2004, 4, p. 2304, con nota di O. Mazza, Il patteggiamento “allargato” supera l'esame della Corte costituzionale; Corte cost., 25 maggio 2004, n. 148, in Giur. cost., 2004, 3, p. 1553, con nota di M. Esposito, 'Datio in solutum': una sentenza interpretativa di rigetto può costituire un equipollente di una sentenza di accoglimento?; v. anche, sulla sentenza, G. Russo, Riti alternativi, introdotta una nullità “onnipervasiva”, in Dir. giustizia, 2004, 24, p. 12.
[5] Corte giust. U.e., 13 giugno 2019, causa C-646/17, Moro, in Cass. pen., 2018, 2, p. 658, con nota di R. M. Natale. V. al riguardo M. Aranci, Riqualificazione in iure dell’imputazione ed accesso al patteggiamento: tra disciplina interna e spunti internazionali, in Leg. pen., 24 luglio 2019.
[6] V. infra, nota 45.
[7] Così R. Kostoris, Diversa qualificazione giuridica del fatto in Cassazione e obbligo di conformarsi alle decisioni della Corte europea dei diritti umani: considerazioni sul caso Drassich, in Giur. it., 2009, 11, 2521.
[8] In questo senso G. Aimonetto, Condanna “europea” e soluzioni interne al sistema processuale penale: alcune riflessioni e spunti de iure condendo, in Riv. it. dir. proc. pen., 2009, 3, p. 1525. V., per l’orientamento secondo cui determinati profili del fatto, precedentemente in ombra, potrebbero essere messi in luce proprio per effetto della riqualificazione, e quest’ultima comporterebbe quasi sempre un mutamento, se non del thema decidendum, del thema probandum, ossia del percorso argomentativo diretto a provare o a confutare l’ipotesi accusatoria, M. Caianiello, La riapertura del processo ex art. 625- bis c.p.p. a seguito di condanna della Corte europea dei diritti dell’uomo, in Cass. pen., 2009, 4, 1471. V. anche F. Zacchè, Cassazione e iura novit curia nel caso Drassich, in Dir. pen. proc., 2009, 6, 786, il quale ritiene impossibile concepire in termini di separatezza giudizio di fatto e di diritto, guardandosi al fatto attraverso la “lente” della norma giuridica. Evidenzia, pur ammettendo la possibilità di una chiara distinzione tra i profili prettamente fattuali e la relativa qualificazione giuridica, come quest’ultima e il fatto siano elementi che si condizionano a vicenda nello svolgimento dell’accertamento processuale T. Rafaraci, Poteri d’ufficio e contraddittorio sulla riqualificazione giuridica del fatto: la Consulta rimanda al legislatore, in Giur. cost., 2010, 2, p. 1161. Sostiene l’orientamento secondo cui, specialmente a seguito del “caso Drassich”, fatto e diritto debbano essere considerate le «diverse ‘facce’ dell’unica medaglia che è l’imputazione» G. Biondi, La riqualificazione giuridica del fatto e le spinte riformatrici che provengono dal diritto europeo, in Dir. pen. cont., 29 aprile 2013, p. 8. Nel senso dell’incidenza dell’operazione di riqualificazione sul diritto di difesa, e dell’opportunità di realizzare un’interlocuzione delle parti anteriormente all’esercizio del potere di interlocuzione, G. Illuminati, Giudizio, in G. Conso, V. Grevi, M. Bargis, Compendio di procedura penale, Padova, 2018, p. 870 ss. Cfr. invece, in senso critico rispetto all’eccessiva sovrapposizione tra fatto e diritto che sarebbe stata operata dalla Corte di Strasburgo, D. Iacobacci, Riqualificazione giuridica del fatto ad opera della Corte di cassazione: esercizio di una facoltà legittima o violazione del diritto di difesa?, in Giur. it., 2008, 11, 2585-86, secondo il quale, pur essendo le operazioni di ricostruzione e interpretazione del fatto e di sua qualificazione giuridica funzionali l’una all’altra sul piano dinamico, esse mantengano la loro individualità su quello statico. Ritiene che la sentenza Drassich abbia operato una discutibile sovrapposizione tra «fatto reale» e «fatto legale», estendendo alla qualificazione giuridica il principio del contraddittorio di cui all’art. 111 Cost., che tuttavia è metodo di formazione della prova, e non del nomen iuris attribuito al fatto, C. Cavaliere, Ancora in tema di modifica dell'imputazione, cit., 699 s.
[9] Si rinvia, per una completa analisi della giurisprudenza costituzionale sul tema, R. Gargiulo, Quattro anni di giurisprudenza costituzionale sul processo penale, in questa rivista, 16 giugno 2020, p. 38 ss.
[10] Così Corte cost., n. 237 del 2012, cit.; analogamente Corte Cost., Corte cost., 5 dicembre 2014, n. 273, in Cass. pen., 2015, 2, p. 580, con nota di E. Aprile, Per la Consulta l'abbreviato può essere chiesto anche per il "fatto diverso" emerso nel corso del giudizio dibattimentale; in Dir. pen. cont., 22 dicembre 2014, con nota di A. Cabiale, L'imputato può chiedere il giudizio abbreviato anche dopo la modifica "fisiologica" dell'imputazione: la fine del “binomio indissolubile” fra premialità e deflazione; v. anche le note di V. Belviso, Modifica dell’imputazione in dibattimento e facoltà di chiedere il rito abbreviato, in Studium iuris, 2015, 5, p. 520; R. Bricchetti,, La facoltà di accedere ai riti alternativi garantisce la difesa, in Guida dir., 2015, 2, p. 75; Corte cost., n. 206 del 2017, cit.
[11] Cass. pen., Sez. IV, 28 marzo 2019, n.18793, P.M. c. M. H., citata dall’ordinanza di rimessione; in senso analogo, Cass. pen., Sez. VI, 26 settembre 1996, n. 9213, Martina, in CED Cass., Rv. 206207; Cass. pen., Sez. I, 12 novembre 1992, , Pieroni ed altro, ivi, Rv. 192617.
[12] Corte cost., n. 141 del 2018, cit.
[13] Corte cost., n. 237 del 2012, cit.
[14] Così G. Leo, Contestazioni suppletive in dibattimento, cit.
[15] In questo senso F. Cassibba, Vacilla il criterio della prevedibilità, cit.
[16] Cass. pen., Sez. V, 12 marzo 2010, n. 13597, Ra. Ro., citata nell’ordinanza di rimessione.
[17] V. Corte e.d.u., Drassich c. Italia, cit.; Sadak e a. c. Turchia, cit.; Pélissier e Sassi c. Francia, cit.
[18] A tale ultimo proposito, si può invero rilevare come la Corte europea abbia, in alcuni casi, espressamente disatteso i rilievi tendenti a far apparire il mutamento del nomen iuris, seppure senza adeguato preavviso, prevedibile per l’accusato, in quanto assistito da un difensore dotato di competenza sul piano tecnico-giuridico: l’esercizio effettivo del diritto di difesa presuppone, difatti, la piena e dettagliata conoscenza delle accuse, anche con riguardo alla qualificazione giuridica dei fatti addebitati: Corte e.d.u., I.H. c. Austria, cit. Cfr., sul tema, L. Parlato, Riapertura del processo iniquo, cit., p. 1588.
[19] Si fa riferimento a Corte cost., 17 marzo 2010, n. 103, in Giur. cost., 2010, 2, p. 1151, con nota di T. Rafaraci, Poteri d’ufficio e contraddittorio sulla riqualificazione giuridica del fatto, cit.; cfr. anche, al riguardo, B. Giangiacomo, L’attività del GUP nell'udienza preliminare tra poteri di sollecitazione e integrazione, in Dir. pen. proc., 2012. 2, p. 234; G. Sorrenti G., Riserva di legge in materia processuale e latitudine del sindacato di costituzionalità, in Dir. pubblico, 2014, 3, p. 807.
[20] V. T. Rafaraci, Poteri d’ufficio e contraddittorio, cit., p. 1161.
[21] Secondo quanto ritenuto nella sentenza in esame, il difetto di una soluzione costituzionalmente imposta sarebbe confermato dal fatto che «da un lato, il rimettente prospetta la possibilità di pronunziare un’apposita ordinanza attraverso
cui informare le parti della diversa qualificazione giuridica attribuita al fatto, così da consentire un contraddittorio anche sulla nuova qualificazione giuridica; dall’altro, prospetta l’applicazione in via analogica dell’art. 521, comma 2, cod. proc. pen. Entrambe le soluzioni, poi, sono ritenute inadeguate dalla citata ordinanza, che prospetta come indispensabile l’intervento di questa Corte mediante una pronunzia additiva che preveda la regressione del procedimento nella fase delle indagini preliminari, attraverso la restituzione degli atti all’organo dell’accusa».
[22] Così, ancora, Corte cost., 17 marzo 2010, n. 103, cit. Si riprendono altresì, nella sentenza, le diverse soluzioni prospettate in sede di lavori preparatori del codice del 1988, e consistenti nella previsione di una disciplina analoga a quella stabilita per il caso di contestazione del fatto diverso, o nell’imposizione al giudice di rendere nota, preventivamente, la decisione relativa alla riqualificazione giuridica, così da consentire l’esplicazione del contraddittorio sul punto. Si rileva, quindi, come entrambe le opzioni siano state abbandonate, in quanto esse «avrebbero comportato un dispendio di attività probabilmente eccessivo e il rischio, in pratica, di indurre il giudice a conformarsi in ogni caso al nomen iuris contestato».
[23] In questo senso T. Rafaraci, Poteri d’ufficio e contraddittorio, cit., p. 1167. Analogamente C. Conti, Mutamento della qualificazione giuridica del fatto. Il canone jura novit curia, in Libro dell’anno del diritto Treccani, 2012.
[24] Sostiene tale orientamento G. Biondi, La riqualificazione giuridica del fatto, cit., p. 8. L’Autore richiama, in particolare, Corte cost., 12 marzo 2010, n. 93, che ha l’illegittimità costituzionale dell’art. 4, legge 27 dicembre 1956, n. 1423, e dell’art. 2-ter, legge 31 maggio 1965, n. 575, «nella parte in cui non consentono che, su istanza degli interessati, il procedimento per l’applicazione delle misure di prevenzione si svolga, davanti al tribunale e alla corte d’appello, nelle forme dell’udienza pubblica» nonché Corte cost., 4 dicembre 2009, n. 317, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 175, comma 2, c.p.p., nella parte in cui non consente la restituzione dell’imputato, che non abbia avuto effettiva conoscenza del procedimento o del provvedimento, nel termine per proporre impugnazione contro la sentenza contumaciale, nel concorso delle ulteriori condizioni indicate dalla legge, quando analoga impugnazione sia stata proposta in precedenza dal difensore dello stesso imputato»..
[25] Corte cost., 29 maggio 2019, n. 131, cit.
[26] Cass. pen., Sez. IV, 18 settembre 2018, n. 44888, R.A.; Cass. pen., Sez. III, 15 febbraio 2018, n. 29622, C.A., entrambe citate nella sentenza della Corte costituzionale.
[27] V. nota 4.
[28] V. A. Capone, “Derubricazione” del reato, cit., p. 1537.
[29] In questo senso E. Aprile, Il giudice dell'abbreviato, cit., p. 3618.
[30] Così A. Capone, “Derubricazione” del reato, cit., p. 1536.
[31] Ivi, p. 1537, anche per i relativi riferimenti giurisprudenziali. Di recente, ha ritenuto che «il giudice, riqualificando l’originaria contestazione ai sensi dell'art. 521 cod. proc. pen. in una fattispecie rientrante nei limiti edittali di cui all'art. 168-bis cod. pen., può sospendere il giudizio con messa alla prova dell'imputato solo se questi abbia sollecitato la riqualificazione del fatto e contestualmente richiesto il beneficio che, pertanto, non può essere concesso d'ufficio», Cass. pen., Sez. III, 5 dicembre 2019, n. 8982, B.H., in CED Cass. In materia di oblazione, v. Cass. pen., Sez. un., 26 giugno 2014, n. 32351, Tamborrino, in Cass. pen., 2015, 1, 88, con nota di L. Cuomo, L’esercizio del diritto di oblazione tra derubricazione dell’imputazione ed esigenze difensive. In motivazione, il Supremo Collegio ha ritenuto quanto segue: «Non può d’altra parte trascurarsi la circostanza che tra il diritto di interlocuzione delle parti, da un lato, e il potere decisorio del giudice, dall’altro, si stabilisce, agli effetti che qui interessano, un nesso di naturale interdipendenza del secondo dal primo, nel senso che se il giudice è libero di assegnare al fatto, ex officio, la qualificazione giuridica che ritenga corretta, lo stesso giudice è tenuto a scrutinare motivatamente la richiesta delle parti di procedere a nuova qualificazione del fatto. Il che sta quindi a significare che, ove le parti nulla abbiano domandato o eccepito in punto di nomen iuris, il diritto di difesa che quel tema coinvolge – e con esso il relativo (potenziale) contraddittorio sul punto – può dirsi integralmente soddisfatto, con tutto ciò che ne consegue sul piano dei diritti il cui esercizio si fondi proprio sulla correttezza di quella qualificazione».
[32] Ivi, pp. 1539-1540.
[33] V., sul tema, G. Spangher, Esclusi dall'abbreviato i reati puniti con l'ergastolo (l. n. 33 del 2019), in Il processo, 2019, 2, 489 ss.
[34] Evidenzia, ancora, G. Spangher, Esclusi dall'abbreviato i reati puniti con l'ergastolo, cit., come non sia tuttavia chiaro se sussista un onere di rinnovazione della richiesta all’inizio del dibattimento. Il nuovo art. 429, comma 2-bis, c.p.p. prevede invece che «se si procede per delitto punito con la pena dell'ergastolo e il giudice dà al fatto una definizione giuridica diversa da quella enunciata nell'imputazione, tale da rendere ammissibile il giudizio abbreviato, il decreto che dispone il giudizio contiene anche l'avviso che l'imputato può chiedere il giudizio abbreviato entro quindici giorni dalla lettura del provvedimento o dalla sua notificazione. Si applicano le disposizioni dell'articolo 458».
[35] In questo senso G. Aimonetto, Condanna “europea” e soluzioni interne al sistema processuale penale, cit., p. 1525; R. Kostoris, Diversa qualificazione giuridica del fatto in Cassazione, cit., p. 2521. Sull’origine storica del principio iura novit curia cfr. A. Capone, Iura novit curia. Studio della riqualificazione giuridica del fatto nel processo penale, Padova, 2010, p. 13 ss.
[36] Di recente, Corte e.d.u., Drassich c. Italia (n. 2), cit., appare essersi orientata in favore della valorizzazione del contraddittorio anche probatorio, all’esito della riqualificazione giuridica, pur non ravvisando nel caso di specie una violazione dei principi convenzionali in quanto il ricorrente non aveva mai contestato la ricostruzione dei fatti operata dai giudici del merito, né chiesto la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale: v. F. Zacchè, Brevi osservazioni su Drassich (n. 2), cit., 298 ss.
[37] V., nella giurisprudenza recente, Corte cost., n. 206 del 2017, cit.
[38] V., per una completa ricostruzione delle prospettive aperte dalla giurisprudenza sovranazionale in punto di contraddittorio sulla riqualificazione giuridica del fatto, A. Capone, Iura novit curia, cit., p. 66 ss.
[39] Sostengono tale orientamento G. Biondi, La riqualificazione giuridica del fatto, cit., p. 8; F. Zacchè, Cassazione e iura novit curia nel caso Drassich, p. 785 ss.; per l’illustrazione di tale indirizzo quale una delle possibili soluzioni per dare attuazione ai principi sanciti dalla Corte di Strasburgo, v. T. Rafaraci, Poteri d’ufficio e contraddittorio, cit., p. 1167.
[40] A. Capone, “Derubricazione” del reato, cit., p. 1538, il quale ritiene che «sarebbe del tutto naturale ricollegare a tale avvertimento anche la possibilità di optare per un rito speciale».
[41] Si sono espressi in senso favorevole a tale soluzione L. De Matteis, Condanna da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo e revoca del giudicato, in Cass. pen., 2009, 4, p. 1482, che prospetta la soluzione dell’adozione di un’ordinanza ex art. 525, comma 3, c.p.p.; R. Kostoris, Diversa qualificazione giuridica del fatto in Cassazione, cit., p. 2521.
[42] Così T. Rafaraci, Poteri d’ufficio e contraddittorio, cit., p. 1167. Sostiene l’opportunità di prevedere una disciplina analoga a quella di cui all’art. 519 c.p.p. G. Aimonetto, Condanna “europea” e soluzioni interne al sistema processuale penale, cit., p. 1527-28.
[43] G. Aimonetto, op. ult. cit., p. 1526-27.
[44] S. Quattrocolo, Un auspicabile assestamento in tema di riqualificazione del fatto in sentenza, in Cass. pen., 2013, 6, p. 2368.
[45] Cass. pen., Sez. VI, 12 novembre 2008, n. 45807, Drassich, in Cass. pen., 2009, p. 1457, con note di M. Caianiello, La riapertura del processo, cit., e L. De Matteis, Condanna da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo, cit.; in Riv. it. dir. proc. pen., 2009, 3, p. 1503, con nota di G. Aimonetto, Condanna “europea” e soluzioni interne al sistema processuale penale, cit. V. anche, al riguardo, M. Gialuz, Riesame del processo a seguito di condanna della Corte di Strasburgo: modelli europei e prospettive italiane, in Riv. it. dir. proc. pen., 2009, 4, p. 1845 ss.
[46] Ex multis, di recente, Cass. pen., Sez. VI, 19 novembre 2019, n. 422, P.C. e altro, in CED Cass.; Cass. pen., Sez. IV, 13 novembre 2019, n. 49175, D.R.L., ivi; Cass. pen., Sez. V, 12 febbraio 2018, n. 19380, A., ivi. V. anche Cass. pen., Sez. II, 18 dicembre 2013, n. 3587, G.V. e W.I., su cui v. A. Marandola, La Cassazione ridimensiona gli effetti della sentenza Drassich, in Giur. it., 2014, 5, p. 1241; Cass. pen., Sez. II, 9 maggio 2012, n. 32840, D. (in Cass. pen., 2013, 6, p. 2362 ss. con nota di S. Quattrocolo, Un auspicabile assestamento, cit. Sui diversi orientamenti formulati dalla giurisprudenza di legittimità al fine di dare attuazione ai principi sanciti dalla Corte di Strasburgo, v. S. Beltrani, Il contraddittorio sulla qualificazione giuridica, in Dir. pen. proc., 2014, 12-s., p. 40 ss.
[47] Cass. pen., Sez. I, 29 aprile 2011, n. 18590, C., in Cass. pen., 2012, 2, p. 608, con nota di G. Biondi, Piccoli passi della Corte di Cassazione verso una nuova disciplina della modifica della qualificazione giuridica del fatto.
[48] Così G. Biondi, op. ult. cit., p. 176.
[49] Corte cost., 18 dicembre 2009, n. 333, in Giur. cost., 2009, 6, p. 4944, con nota di M. Caianiello, Giudizio abbreviato a seguito di nuove contestazioni. Il prevalere delle tutele difensive sulle logiche negoziali; in Arch. n. proc. pen., 2010, 4, con note di L. Degl’Innocenti, Giudizio abbreviato ed applicazione della pena su richiesta delle parti: questioni controverse, e C. Dell’Agli, Vanificata l'attività preclusiva all'utilizzo dei benefici connessi al giudizio abbreviato e la facoltà all'imputato della richiesta di tale rito compatibile con l'innesto della fase dibattimentale; v. anche, al riguardo, A. Liprino, Nuove contestazioni dibattimentali e giudizio abbreviato, in Indice pen., 2011, 1, 2019; V. Maffeo, Le contestazioni tardive ed il rito abbreviato, in Giur. cost., 2010, 4, p. 3597; G. Todaro, Nuove contestazioni dibattimentali e giudizio abbreviato: una incostituzionalità attesa tra spinte antitetiche e dubbi persistenti, in Cass. pen., 2010, 7, p. 2527.