Cass. pen., sez. un., sent. 26 marzo 2020 (dep. 5 giugno 2020), n. 17274, Pres. Cammino, Est. Piccialli, ric. Salvati
1. Con questa decisione la Corte di cassazione ha affermato il principio secondo cui, nel caso di misura cautelare coercitiva applicata dal Tribunale del riesame, non occorre procedere all’interrogatorio di garanzia previsto dall’articolo 294 del codice di procedura penale.
L’intervento delle Sezioni Unite della Corte di cassazione si è reso necessario in seguito all’ordinanza di rimessione della Sesta Sezione Penale, che ha registrato un contrasto giurisprudenziale nella risoluzione della questione portata alla sua attenzione.
L’oggetto del contrasto scaturiva dall’ impugnazione di una misura cautelare coercitiva avanzata dal difensore dell’indagato ai sensi dell’articolo 311 c.p.p..
Il primo motivo del ricorso per cassazione si basava infatti sulla asserita inefficacia della misura cautelare coercitiva disposta dal Tribunale del riesame per omesso interrogatorio di garanzia.
Sulla necessità di procedere ad interrogatorio in casi simili tuttavia non esiste unanimità di vedute in giurisprudenza.
Come rilevato dai giudici della Sesta Sezione nell’ordinanza di rimessione, in merito si registra un tradizionale e più risalente orientamento secondo cui al caso di specie non si applica la norma che impone l’obbligo di procedere ad interrogatorio di garanzia poiché tale atto è superfluo, essendosi già instaurato il contraddittorio con la difesa.
A questa interpretazione dell’articolo 294 c.p.p. si è contrapposto, più di recente, un orientamento più restrittivo che fa leva sul dato letterale della norma.
È stato infatti osservato dai sostenitori di questo orientamento che il legislatore ha previsto espressamente l’obbligo di procedere ad interrogatorio; che in determinate ipotesi tale obbligo viene meno, come nel caso esplicitato nello stesso primo comma dell’articolo 294 c.p.p. di misura cautelare applicata dopo la dichiarazione di apertura del dibattimento.
Conseguentemente, si legge nei provvedimenti dei sostenitori di questa tesi, in tutti gli altri casi l’adempimento predetto deve ritenersi imprescindibile: laddove non si rientra nelle eccezioni disciplinate dal codice, deve applicarsi la regola generale, prevalendo il diritto inalienabile dell’indagato di esporre le proprie ragioni a fronte dell’adozione della restrizione della sua libertà personale.
Poiché tale ricostruzione alternativa a quella prevalente ha ricevuto in tempi relativamente recenti l’avallo di una decisione della Corte di cassazione (Sez. VI n. 6088 del 20/11/14, Lo Nardo, non massimata) è stato rilevato l’innegabile contrasto su una materia estremamente delicata e foriera di rilevantissime conseguenze processuali: l’adesione da parte del giudice emittente al primo orientamento – con conseguente omissione dell’interrogatorio di garanzia – e dei giudici di appello di legittimità eventualmente adìti all’orientamento opposto comporterebbe infatti la declaratoria di estinzione della misura cautelare emessa ai sensi dell’articolo 302 c.p.p.
La Corte di cassazione a Sezioni Unite, con la decisione che in questa sede si commenta, ha risolto il contrasto ribadendo la validità del primo orientamento e stabilendo il principio secondo cui “in caso di applicazione di una misura cautelare coercitiva da parte del tribunale del riesame in accoglimento dell’appello del pubblico ministero avverso la decisione di rigetto del giudice delle indagini preliminari non è necessario procedere all’interrogatorio di garanzia a pena di inefficacia della misura suddetta”.
2. L’ipotesi di adozione di una misura cautelare personale da parte del Tribunale del Riesame, pur non essendo infrequente, è tuttavia da considerare eccentrica rispetto alla fisiologia del processo penale.
Essa costituisce infatti eccezione al principio generale disposto dall’art. 292 c.p.p., che prevede che organo competente all’emissione delle misure cautelare sia “il giudice che procede”.
In realtà anche nel caso di specie è al giudice che procede che il Pubblico Ministero rivolge in prima istanza la richiesta di applicazione della misura cautelare; questi, tuttavia, ha rigettato l’istanza per mancanza o insufficienza dei gravi indizi di colpevolezza o delle esigenze cautelari restituendo gli atti al magistrato inquirente.
L’ordinanza di rigetto legittima il Pubblico Ministero ad impugnare l’ordinanza al Tribunale del riesame; l’accoglimento del gravame comporta l’applicazione della misura cautelare da parte del giudice dell’impugnazione.
Si verifica dunque una scissione tra il giudice che emette la misura cautelare e quello che “procede”, cioè che ha la gestione del procedimento (il giudice per le indagini preliminari nella fase che precede l’esercizio dell’azione penale, il giudice del dibattimento o la Corte di Appello nei rari casi in cui la misura interviene durante la fase processuale).
Tale scissione pone rilevanti problemi, primo tra tutti quello – che in questa sede non è possibile approfondire come merita – di chi sia il giudice competente all’adempimento degli atti esecutivi che conseguono l’adozione della misura cautelare e che sono disciplinati dagli articoli 293 e seguenti del codice di procedura penale.
Si tornerà su questi adempimenti nell’ultimo paragrafo di questa scheda.
3. Il più importante tra gli adempimenti esecutivi predetti è senza dubbio l’espletamento dell’interrogatorio di garanzia previsto dall’articolo 294 c.p.p.
Con tale atto viene offerta al destinatario della misura cautelare la possibilità di presentare al giudice emittente la sua versione dei fatti.
A parziale compensazione della compressione della libertà personale, subìta dal destinatario della misura inaudita altera parte ed in base ad un’indagine il più delle volte compiuta totalmente a sua insaputa, il legislatore ha dunque disposto che il primo momento successivo all’inizio di esecuzione della misura fosse quello di aprire formalmente il contraddittorio ed offrire al destinatario della misura una possibilità, seppur necessariamente limitata ed incompleta, di ristabilire la parità processuale.
È dunque a tale fine prevista la comparizione davanti al giudice di accusa e difesa a confronto, in un primo momento dialettico sugli elementi su cui il Pubblico Ministero ha richiesto ed ottenuto la privazione ella libertà personale dell’indagato.
È un atto pensato essenzialmente a garanzia dell’accusato, che deve essere libero di esporre la propria ricostruzione difensiva senza alcuna influenza e scevro dai condizionamenti che potrebbero invece esservi in un eventuale interrogatorio diretto dall’accusa: per questo, tra l’esecuzione della misura cautelare e lo svolgimento dell’interrogatorio deve essere impedito ogni contatto tra questi ed il pubblico ministero[1].
4. Come si è già avuto modo di rilevare, l’adempimento previsto dall’art. 294 c.p.p. è di primaria importanza per la sopravvivenza stessa della misura cautelare: se il giudice non vi provvede nei termini strettissimi fissati dalla norma, la misura diviene immediatamente inefficace e l’eventuale protrazione degli effetti dell’ordinanza é da considerarsi illegittima.
L’obbligo di interrogare il destinatario della misura cautelare non sussiste tuttavia in alcuni casi specificamente disciplinati: oltre al caso in cui la misura cautelare sia stata adottata dopo l’apertura del dibattimento, di cui si è detto in precedenza, vanno ricordati in questa sede quello in cui l’indagato sia stato già sottoposto ad interrogatorio in fase di convalida dell’arresto o del fermo (ipotesi aggiunta all’art. 294 dalla legge 332 del 1995), il ripristino della misura cautelare caducata ai sensi dell’articolo 309, commi 5 e 10 del codice di procedura penale, l’aggravamento della misura cautelare ai sensi dell’articolo 276 c.p.p., la rinnovazione della misura disposta da giudice incompetente ai sensi dell’articolo 27 c.p.p. e la rinnovazione disposta nei casi di declaratoria di estinzione ex art. 302 c.p.p.
In tutti questi casi la giurisprudenza, seppur con qualche oscillazione soprattutto con riferimento all’ipotesi di cui all’articolo 276 c.p.p., è da tempo pervenuta alla unanime conclusione che non occorre procedere ad interrogatorio di garanzia, in quanto tale interrogatorio è già stato espletato – anche se da parte di giudice diverso da quello che procede – e dunque l’esigenza del destinatario della misura di esporre elementi a sua difesa è già stata soddisfatta.
5. Parzialmente diverso da quelli esaminati finora è il caso oggetto della pronuncia in commento, che riguarda l’ipotesi in cui la misura sia stata applicata dal Tribunale per il Riesame o dalla Corte di cassazione, ciò che presuppone che, dopo il rigetto della richiesta di misura cautelare da parte del G.I.P., il Pubblico Ministero abbia impugnato il provvedimento ed abbia viste premiate le proprie ragioni dal giudice dell’impugnazione.
Due le differenze rispetto alle ipotesi esaminate finora: la prima è che questo è l’unico caso in cui il contraddittorio si instaura prima dell’adozione della misura, davanti al giudice che dovrà decidere se emetterla o no.
La seconda differenza è che nel caso in esame l’indagato non è stato già interrogato, o meglio non necessariamente, sicché non si può dire – come avviene per alcune delle altre ipotesi esaminate – che l’interrogatorio di garanzia è superfluo perché il destinatario della misura ha già potuto esporre personalmente le sue ragioni.
Sono queste peculiarità ad avere dato luogo al contrasto giurisprudenziale risolto dalla Sezioni Unite con la pronuncia oggetto del presente commento, come si dirà di qui a breve.
6. Prima di affrontare la questione, nella decisione delle Sezioni Unite in commento sono stati riassunti i due orientamenti, partendo dal primo e più risalente.
La Corte ha ricordato che secondo i sostenitori di questa tesi qualora il tribunale del riesame, in accoglimento dell’appello del pubblico ministero avverso la decisione di rigetto del G.I.P., applichi una misura cautelare coercitiva, non è necessario procedere all’interrogatorio di garanzia, in quanto il provvedimento emesso in sede di appello cautelare è preceduto dall’instaurazione di un contraddittorio pieno, finalizzato ad approfondire anticipatamente tutti i temi dell’azione cautelare anche attraverso i contributi forniti dalla difesa.
Tale orientamento, ha ricordato la Corte, trae forza altresì dall’esame del caso previsto dall’inciso che apre il primo comma dell’articolo 294 c.p.p.: quando la misura viene applicata dopo l’apertura del dibattimento non si deve espletare interrogatorio di garanzia proprio perché si è già in precedenza instaurato pienamente il contraddittorio.
Anche nel caso di misura applicata dal riesame il provvedimento è per forza di cose anticipato dalla instaurazione del contraddittorio, finalizzato ad approfondire anticipatamente tutti i temi dell’azione cautelare consentendo preventivamente, nella sua massima estensione, l’apporto difensivo, sicché imporre dopo la misura un interrogatorio, secondo la Corte, “apparirebbe una superfetazione difensiva”.
7. Le ragioni dell’orientamento diverso sono invece rinvenibili nell’ordinanza di rimessione della Sesta Sezione della Corte di cassazione, cui si è fatto riferimento innanzi.
Essa fa riferimento in primo luogo al dato testuale, che prevede una regola – obbligo di eseguire l’interrogatorio – ed alcune eccezioni specificamente indicate dalla legge.
Laddove non si rientri in uno di questi casi eccezionali, deve valere la regola.
L’ordinanza sottolinea altresì che l’articolo 302 c.p.p. impone al giudice di dichiarare l’estinzione della misura laddove non sia stato eseguito l’interrogatorio di garanzia entro un termine strettissimo dalla sua esecuzione, non lasciando spazio alcuno ad ipotesi alternative.
Né, concludono i giudici remittenti, può dirsi nel caso di misura applicata dal Tribunale del Riesame espletato un vero contraddittorio, poiché una cosa sono le dichiarazioni spontanee che l’indagato può rendere nel corso dell’udienza camerale, ed altra cose la possibilità di rendere un vero e proprio interrogatorio.
8. La soluzione della Corte a Sezioni Unite è nel senso, come si è detto, di ritenere condivisibile il primo dei due orientamenti descritti.
Per giungere a tale conclusione la Corte precisa in primo luogo che la regola generale prevista dall’articolo 294 c.p.p. non è esportabile sic et simpliciter al caso di appello avverso il rigetto della richiesta di misura cautelare.
Ed invero mentre normalmente la misura cautelare è emessa inaudita altera parte e concettualmente a sorpresa, nell’ipotesi in esame è prevista la presenza del difensore e la sua assistenza tecnica prima della decisione del giudice, finalizzata a consentire un approfondimento anticipato di tutti i temi dell’azione cautelare.
In merito, ricorda altresì la Corte, va altresì rilevato che a seguito della legge 47 del 2015, le possibilità di partecipare alla fase dell’impugnazione cautelare dell’indagato sono notevolmente aumentate, poiché secondo il disposto dell’articolo 309 comma 6 c.p.p. è oggi previsto che l’indagato abbia diritto di comparire personalmente all’udienza in esame sicché è garantito un contraddittorio pieno e senza limitazioni che rende superfluo l’adempimento previsto dall’art. 294 c.p.p..
Molto interessante è l’approfondimento che segue nella motivazione della decisione della Corte: si afferma infatti che negare l’applicabilità dell’art. 294 al procedimento in esame non significa affatto privare l’interessato di validi strumenti per esercitare il diritto di difesa, perché le modalità di esercizio del diritto di difesa possono essere le più diverse, in considerazione della specificità della fase processuale, e non in tutti i casi l’applicazione del paradigma dell’art 294 c.p.p. è l’unico mezzo che può consentire una efficace difesa.
La garanzia costituzionale del diritto di difesa, precisa dunque la Corte, non esclude che il legislatore possa darvi attuazione in modo diverso, tenuto conto elle diverse fasi processuali.
A conforto della tesi, si analizzano poi le situazioni in cui il contraddittorio è assicurato in altra maniera, diversa dall’interrogatorio.
Tale disamina appare pienamente condivisibile e postula un principio della massima importanza: non è l’interrogatorio in sé a costituire presidio del diritto del destinatario della misura cautelare a far valere le proprie ragioni, ma l’instaurazione del contraddittorio.
Pertanto, la regola dell’articolo 294 c.p.p. non va applicata meccanicamente, ma modulata a seconda della fase procedimentale in cui la misura si inserisce: se la misura cautelare è emessa in un momento in cui il contraddittorio è già stato instaurato, la norma perde la sua valenza di regola assoluta e può essere superata, proprio come avviene nelle ipotesi eccezionali disciplinate dal legislatore.
Tali ipotesi non costituiscono dunque un numerus clausus ma una semplice indicazione non tassativa dei casi in cui il contraddittorio si è instaurato aliunde e dunque rende superfluo l’espletamento dell’interrogatorio di garanzia, che è invece indispensabile come primo presidio quando la privazione della libertà personale avvenga inaudita altera parte.
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9. La decisione della Corte appare senz’altro condivisibile, poiché àncora correttamente l’esercizio dei diritti della difesa alle modalità concrete con cui tale diritto è consentito e non a regole astrattamente considerate.
Essa ha inoltre il pregio di porre al centro dell’attenzione il rispetto del contraddittorio, che sempre più emerge come vero e proprio pilastro del nostro sistema processuale[2].
A margine della decisione, appare però opportuno rilevare che l’interrogatorio di garanzia non ha soltanto la funzione di consentire all’indagato di far valere le proprie ragioni ma anche altre funzioni.
Tra queste, si richiama l’attenzione sul disposto del terzo comma dell’articolo 294 c.p.p., che statuisce che “mediante l’interrogatorio il giudice valuta se permangono le condizioni di applicabilità e le esigenze cautelari previste dagli artt. 273, 274 e 275”.
Il giudice emittente è dunque chiamato ad una completa rivisitazione delle ragioni poste a fondamento dell’ordinanza appena emessa, che potrà essere revocata, sulla scorta di quanto dichiarato dall’interrogato, per il venir meno dei gravi indizi di colpevolezza o delle esigenze cautelari, o per la mancanza di proporzionalità, per incompatibilità con le condizioni di salute dell’arrestato, e così via.
Il mancato espletamento dell’interrogatorio nel caso di misura cautelare disposta dal Tribunale del riesame potrebbe impedire questa rivisitazione più ponderata assegnata al giudice, anche se tale ponderazione è naturalmente basata, il più delle volte, sulle dichiarazioni dell’indagato che in questo caso non ci sono o sono state rese prima.
Più serio il vulnus invece all’ulteriore funzione assegnata al giudice in sede di interrogatorio di garanzia costituita dal controllo da parte del giudice degli adempimenti esecutivi compiuti dalla Polizia Giudiziaria e dal Pubblico Ministero: è infatti previsto che, qualora il giudice riscontri la violazione delle disposizioni previste dall’art. 293 del codice di procedura penale, disponga la trasmissione degli atti al magistrato inquirente per la rinnovazione dell’esecuzione dell’ordinanza[3].
È evidente che questo controllo viene meno laddove l’interrogatorio non sia espletato, essendo difficile immaginare che a tale adempimento provveda il giudice che procede e non potendo esso essere svolto dal giudice emittente (Tribunale del Riesame).
Conseguentemente in queste ipotesi il controllo della regolarità degli adempimenti esecutivi sarà di fatto affidato al difensore che potrà far valere eventuali vizi impugnando l’ordinanza.
[1] A norma dell’articolo 294, 6° comma c.p.p. “l’interrogatorio della persona in stato di custodia cautelare da parte del pubblico ministero non può precedere l’interrogatorio del giudice”.
[2] In merito mi sia consentito rinviare a C. De Robbio, “Il contraddittorio. Poteri ed opportunità della difesa nel processo penale”, Milano 2018.
[3] Così Cass. pen., sez. III, n. 4356 del 12.01.12.