ISSN 2704-8098
logo università degli studi di Milano logo università Bocconi
Con la collaborazione scientifica di

  Scheda  
16 Marzo 2020


Le Sezioni unite sulla natura dell’aggravante dell’agevolazione mafiosa e sulla sua estensione ai concorrenti: tra punti fermi e criticità irrisolte

Cass. pen., Sez. un., 19 dicembre 2019 (dep. 3 marzo 2020), n. 8545, Pres. Carcano, Est. Petruzzellis, imp. Chioccini



1. La questione sulla quale le Sezioni unite erano chiamate a pronunciarsi è «se l’aggravante speciale già prevista dal D.L. n. 152 del 1991, art. 7, ed oggi inserita nell’art. 416-bis.1, che prevede l’aumento di pena quando la condotta tipica sia consumata al fine di agevolare le associazioni mafiose, abbia natura oggettiva concernendo le modalità dell’azione, ovvero abbia natura soggettiva concernendo la direzione della volontà».

La soluzione offerta dalle Sezioni unite è compendiata nel principio di diritto secondo cui l’aggravante «ha natura soggettiva ed è caratterizzata da dolo intenzionale; nel reato concorsuale si applica al concorrente non animato da tale scopo, che risulti consapevole dell’altrui finalità».

Com’è evidente, il thema decidendum andava ben oltre la mera individuazione della natura giuridica dell’aggravante in questione (infra, par. 6), coinvolgendo anche, e soprattutto, il problema dell’applicabilità dell’art. 118 c.p. e della determinazione del criterio di imputazione soggettiva della stessa ai concorrenti nel reato (infra, par. 7). Inoltre, si intrecciano nel tessuto della decisione anche ulteriori questioni, attinenti sia all’ammissibilità di un elemento accidentale del reato strutturato alla stregua di un dolo specifico (infra, par. 6.2), sia alla distinzione tra la fattispecie aggravata dalla finalità agevolatrice e il concorso esterno in associazione mafiosa (infra, par. 6.3).

Ripercorreremo di seguito le motivazioni della pronuncia, svolgendo infine alcune riflessioni su questi aspetti e su alcuni profili di criticità che la sentenza ci sembra lasciare irrisolti (infra, par. 9-13).

 

2. Anzitutto, però, un breve cenno al caso di specie. Al ricorrente sono contestati i reati di usura, tentata estorsione, ed abusiva attività finanziaria aggravati dalla circostanza prevista dall’art. 7 d.l. n. 152/1991 (oggi art. 416-bis.1 c.p.). Il Tribunale aveva riconosciuto l’aggravante ritenendola di natura oggettiva, invece la Corte di appello ne aveva confermato la sussistenza qualificandola di natura soggettiva. Si è accertato che l’imputato agiva quale intermediario tra coloro i quali ricercavano dei finanziatori ed i coimputati, che tali crediti riconoscevano a tassi usurari, e svolgeva la successiva attività di recupero violento dei crediti. Mentre però rispetto ai correi la Corte d’appello avrebbe verificato la sussistenza della prova del dolo di agevolazione, tale aggravante – secondo il ricorrente – sarebbe stata applicata anche nei suoi confronti sulla base dell’assunto, indimostrato, della conoscenza dei rapporti dei suoi concorrenti con il clan dei Casalesi. Ciò sottenderebbe una configurazione oggettiva dell’aggravante, a fronte di una esplicitazione astratta della qualificazione soggettiva della stessa.

La Sezione II della Cassazione, investita del ricorso, ha rimesso alle Sezioni unite la questione della natura giuridica dell’aggravante in questione[1].

 

3. Le Sezioni unite rammentano in primo luogo come la circostanza oggi racchiusa nell’art. 416-bis.1 c.p., ma originariamente disciplinata dall’art. 7 del d.l. 152/1991, rappresenti una garanzia di maggiore efficacia della funzione preventivo-repressiva del fenomeno mafioso, come emerge anche dalla strutturazione testuale della fattispecie nei medesimi termini previsti per i reati in materia di terrorismo o eversione dell’ordine democratico (§ 2 del considerato in diritto).

L’aggravante «tende ad evitare effetti emulativi connessi all’esistenza del gruppo illecito», creando «una sorta di cordone di contenimento, con il proposito di colpire tutte le aree che, attraverso le modalità della condotta, o attraverso la consapevole agevolazione, producano l’effetto del rafforzamento, se non concretamente della compagine, del pericolo della sua espansione, con la forza che le è tipica e la tacitazione di tutte le forze sociali che dovrebbero ad essa resistere» (§ 6).

L’art. 416-bis.1 dispone, al primo comma, che «per i delitti punibili con pena diversa dall’ergastolo commessi avvalendosi delle condizioni previste dall’articolo 416 bis ovvero al fine di agevolare l’attività delle associazioni previste dallo stesso articolo, la pena è aumentata da un terzo alla metà».

La norma contempla due distinte circostanze aggravanti a effetto speciale: quella del “metodo mafioso” (avvalersi delle condizioni di cui all’art. 416-bis) e quella della “agevolazione mafiosa” (aver agito al fine di agevolare l’attività delle associazioni previste dall’art. 416-bis). Mentre la prima ha pacificamente natura oggettiva, riguardando le modalità dell’azione, la natura della seconda è controversa.

Si contendono il campo tre orientamenti. Uno sostiene la natura soggettiva, un altro la natura oggettiva, il terzo propone invece un approccio casistico.

 

3.1. La tesi della natura “soggettiva”. Stando ad un primo orientamento[2] – avallato incidentalmente anche da due pronunce delle Sezioni unite[3] – la circostanza sarebbe integrata da un atteggiamento di tipo psicologico dell’agente, per lo più definito come dolo specifico. Avrebbe dunque natura “soggettiva”, in quanto attinente ai motivi a delinquere o all’intensità del dolo, e sarebbe pertanto riconducibile nell’ambito delle circostanze contemplate dall’art. 118 c.p., che «sono valutate soltanto riguardo alla persona cui si riferiscono» e non si estendono al concorrente nel reato.

Ciò nondimeno, nelle pronunce ascrivibili a tale indirizzo, è generalmente richiesta anche la presenza di un elemento di natura oggettiva, costituito dalla direzione o dalla idoneità dell’azione ad agevolare l’associazione mafiosa. Talora esso è ritenuto necessario a provare l’elemento soggettivo che integra l’aggravante, in altri casi è richiesto al fine del rispetto del principio di offensività.

Questo orientamento si divide tuttavia sotto due profili.

In primo luogo, non è pacifico se lo scopo agevolativo debba essere l’unico perseguito dall’agente, oppure se esso possa concorrere anche con ulteriori finalità.

Inoltre, stante l’applicabilità dell’art. 118 c.p., non è chiaro quale sia il requisito necessario ai fini dell’applicazione della circostanza al correo: e cioè se sia necessario accertare in capo a ciascuno il dolo specifico richiesto dalla norma o se, invece, sia sufficiente che il concorrente avesse consapevolezza della finalità agevolatrice perseguita dall’altro concorrente.

 

3.2. La tesi della natura “oggettiva”. Secondo un opposto orientamento[4] l’aggravante avrebbe natura oggettiva ai sensi dell’art. 70 n. 1 c.p., in quanto concernente le modalità dell’azione.

Questo indirizzo ammette che, ai fini l’integrazione dell’aggravante, è necessaria in capo ad almeno uno dei concorrenti la sussistenza del dolo specifico o della consapevolezza della funzionalizzazione della condotta all’agevolazione dell’associazione mafiosa. Tuttavia – poiché la natura “oggettiva” della circostanza esclude l’applicabilità dell’art. 118 c.p. – lo stesso indirizzo ritiene che possa essere estesa anche ai concorrenti secondo il meno rigoroso criterio di imputazione soggettiva richiesto dall’art. 59, comma 2, c.p., ossia sulla base della sua mera conoscibilità.

 

3.3. La tesi intermedia “casistica”. Un terzo orientamento ritiene che la natura dell’aggravante e la disciplina in caso di concorso di persone nel reato dipendano da come la stessa si atteggia in concreto e dal reato cui essa acceda[5]. Quando l’aggravante si configura concretamente non già come specifica attitudine del singolo concorrente, ma come forma di agevolazione della commissione del reato, deve ritenersi “oggettiva” ed estensibile ai concorrenti in base al principio ubi commoda ibi incommoda. Tale principio dovrebbe anche guidare l’interpretazione nei casi dubbi, facendo ritenere oggettive le aggravanti che abbiano facilitato la commissione del reato (§ 3.4)

Ad esempio, assumerebbe natura oggettiva l’aggravante che acceda ad un reato associativo, quando la concreta struttura organizzativa dell’associazione si ponga in una situazione di collegamento rispetto all’associazione mafiosa (perché la seconda le garantisce spazi di operatività nei territori controllati, oppure avallo e protezione in cambio dello svolgimento a suo vantaggio di parte della propria attività, oppure perché la prima sostiene la seconda o ne reimpiega i profitti, o contribuisce a formare una cassa comune, o comunque la agevola con altre modalità).

 

4. L’ordinanza di rimessione osserva come tutti gli orientamenti convergano nel ritenere necessario un elemento obiettivo, divergendo esclusivamente circa la “copertura volitiva” di tale elemento.

La tesi “oggettiva” sembrerebbe ritenere sufficiente che il nesso funzionale tra reato contestato e associazione mafiosa sia sorretto da una «volizione attenuata», cioè dall’ignoranza colposa. La tesi “soggettiva” riterrebbe invece necessaria «la volizione piena e specifica ovvero la piena consapevolezza», così peraltro richiedendo non già un dolo specifico, ma un dolo generico (§ 3.5. del considerato in diritto).

 

5. Le Sezioni unite negano che il contrasto possa essere ricondotto alla contrapposizione cui allude l’ordinanza di rimessione.

A parere delle Sezioni unite il contrasto riguarderebbe piuttosto due distinti profili (§ 3.9):

i) l’individuazione dell’elemento soggettivo necessario a integrare l’aggravante: dolo specifico o mera consapevolezza della direzione della condotta? (infra, par. 6)

ii) l’individuazione del requisito necessario per applicare l’aggravante ai concorrenti: dolo specifico, consapevolezza o mera ignoranza colposa? (infra, par. 7)

 

6. Quanto al primo profilo, le Sezioni unite osservano come il dato testuale della disposizione imponga di qualificare la circostanza di natura “soggettiva”, in quanto inerente ai motivi a delinquere (§ 7).

Da ciò si fa discendere l’ulteriore conclusione secondo cui «[q]uel che innegabilmente la disposizione richiede, per consentire l’applicazione dell’aggravante, è la presenza del dolo specifico o intenzionale in uno dei partecipi» (§ 8).

Oltre che in ragione del dato letterale, la qualificazione in termini meramente “oggettivi” della circostanza – osserva la Corte – deve essere esclusa in quanto «connessa al pericolo di una individuazione postuma delle finalità, che consenta di ravvisare l’agevolazione tutte le volte in cui una condotta illecita abbia di fatto prodotto, o abbia le potenzialità per produrre, vantaggi alla compagine» (§ 6). In altri termini, dato il vasto numero di condotte illecite ascrivibili al gruppo mafioso, spesso orbitante nell’ambito delle ordinarie attività economiche, si correrebbe il rischio di ritenere integrata l’aggravante in tutti i casi in cui si accerti ex post una concreta utilità per l’associazione, anche a fronte di un totale difetto di rappresentazione e volizione di tali conseguenze da parte dell’imputato. Ma un’applicazione che prescinda dalla volizione è contraddetta dal testuale richiamo al fine della condotta.

Non profondendosi ulteriormente circa le ragioni della riconducibilità della circostanza nell’ambito di quelle relative ai “motivi a delinquere”, la Corte – prima di procedere all’esame del secondo profilo di cui si è detto (il criterio di imputazione della circostanza ai concorrenti) – affronta tre ulteriori “sotto-questioni”.

 

6.1. In primo luogo, si occupa della necessità o meno che il “motivo” dell’agevolazione dell’associazione mafiosa sia l’unico ed esclusivo scopo perseguito dall’agente.

Confermando un orientamento già diffuso in giurisprudenza, le Sezioni unite ribadiscono che la finalità agevolatrice non deve essere esclusiva, ben potendo accompagnarsi ad esigenze egoistiche quali, ad esempio, la volontà di proporsi come elemento affidabile al fine dell’ammissione al gruppo o qualsiasi altra finalità di vantaggio, assolutamente personale, che si coniughi con l’esigenza di agevolazione (§ 7).

Si ritiene infatti possibile la presenza di una pluralità di motivi, purché almeno uno di questi corrisponda alla finalità considerata dalla norma (§ 9).

 

6.2. Ulteriore “sotto-questione” rispetto alla quale le Sezioni unite sono state sollecitate dall’ordinanza di rimessione è quella «relativa all’inquadramento di un elemento strutturale della fattispecie, quale il dolo specifico, nell'elemento accidentale, costituito dalla circostanza» (§ 8). Di tale possibilità la Sezione rimettente dubitava: ci si chiedeva, infatti, se il dolo specifico potesse essere previsto solo dalla fattispecie-tipo oppure anche da elementi esterni all’archetipo che descrive il reato.

Tale dubbio è ritenuto infondato dalle Sezioni unite.

La strutturazione della circostanza alla stregua di un dolo specifico appare legittima giacché «il particolare atteggiamento psicologico è richiesto per la configurazione del solo elemento accidentale che, ove riscontrabile, si salda con quelli del reato a cui è applicabile per definire una autonoma fattispecie, che accede alla diversa disciplina nascente dalla fusione delle due previsioni» (§ 8). Perché si giustifichi l’aggravamento sanzionatorio, dunque, oltre all’ordinario elemento psicologico che caratterizza il reato, si deve aggiungere un’ulteriore finalità specifica.

Si osserva, dunque, che l’atteggiamento soggettivo richiesto ai fini dell’applicazione della circostanza (quello che la Corte qualifica come dolo specifico o intenzionale) «può essere individuato quale elemento tipizzante del reato (come ad esempio nell’abuso di ufficio, nel sequestro di persona a scopo di estorsione, nel furto) o elemento circostanziale (aggravante di discriminazione o di odio razziale o la finalità di terrorismo, o i motivi abietti e futili) ed è conseguenza della rilevanza attribuita dalla legge al motivo a delinquere per caratterizzare la fattispecie o giustificare l'aggravamento di pena» (§ 8).

 

6.3. Terza “sotto-questione” sulla quale, incidentalmente, le Sezioni unite si soffermano è quella della ricostruzione dello spazio di autonomia tra la fattispecie aggravata dalla finalità agevolatrice ed il concorso esterno in associazione mafiosa (§ 10).

Al riguardo le Sezioni unite osservano che «quel che caratterizza il concorrente esterno rispetto all’autore dell’illecito aggravato è che solo il primo ha un rapporto effettivo e strutturale con il gruppo, della cui natura e funzione ha una conoscenza complessiva, che gli consente di cogliere l’assoluta funzionalità del proprio intervento, ancorché unico, alla sopravvivenza o vitalità del gruppo».

Inoltre – aggiunge la Corte – «perché possa dirsi realizzata la fattispecie delittuosa si richiede che si verifichi il risultato positivo per l'organizzazione illecita, conseguente a tale intervento esterno, che si caratterizza per la sua infungibilità». Inoltre «elemento differenziale della condotta è l’intervento non tipico dell'attività associativa, ma maturato in condizioni particolari (la c.d. fibrillazione o altrimenti definita situazione di potenziale capacità di crisi della struttura), che rendono ineludibile un intervento esterno, per la prosecuzione dell’attività».

Diversa appare la figura aggravata di cui all’art. 416-bis.1 c.p., con la quale ha in comune solamente la necessità dell’esistenza dell’associazione mafiosa. Nel reato circostanziato, però, «l’utilità dell’intervento può essere anche valutata astrattamente solo da uno degli agenti, senza estensione ai componenti del gruppo» ed è «del tutto estemporanea e fungibile rispetto all’attività delinquenziale programmata e, soprattutto, non necessariamente produttiva di effetti di concreta agevolazione» (§ 10).

A riprova della differenza che intercorre tra il concorso esterno e la fattispecie aggravata in esame la Corte osserva come l’associato possa consumare condotte aggravate dalla finalità agevolativa, mentre non potrà essere concorrente esterno, data l’intrinseca contraddizione logica di un concorso ex art. 110 c.p. di colui che è già partecipe.

Si aggiunge inoltre, in modo per vero ambiguo, che «[n]on appare per contro rilevante, al fine di escludere la natura di dolo intenzionale nella forma circostanziale, la possibile esistenza di una discrasia logica di una figura delittuosa, quale il concorso esterno, per cui è sufficiente il dolo diretto, e la richiesta del dolo intenzionale per la figura circostanziale. Basterà sul punto rilevare la differente struttura delle due figure delittuose, delle quali l’art. 416-bis c.p. non opera alcun riferimento ad una finalità specifica, per escludere che la sua forma concorsuale possa essere ricostruita diversamente; per contro l’illogicità di un dolo specifico inerente ad un elemento accessorio della fattispecie, come si accennava, è superata agevolmente dal richiamo ad altre figure analoghe (per tutte l’art. 61 c.p., n. 1) che avvalorano la possibilità di una richiesta del dolo per la circostanza. La considerazione che questa si applichi ad una fattispecie delittuosa che deve essere perfetta nei suoi elementi essenziali, non priva di rilievo la possibilità che si richieda un particolare collegamento psicologico, con l'ulteriore finalità della realizzazione di un evento specifico, che si aggiunge a quello tipico della fattispecie» (§ 10).

 

7. La Corte giunge infine a trattare il secondo profilo di cui si è detto, quello relativo al requisito necessario per applicare l’aggravante ai concorrenti nel reato (§ 11). La soluzione di tale questione richiede di stabilire come operino gli artt. 59 e 118 c.p. in riferimento alla circostanza in esame.

Innanzitutto si rammenta come queste due disposizioni siano state “ridisegnate” ad opera della legge n. 19/1990, al fine di eliminare qualsiasi riflesso di responsabilità oggettiva anche su elementi accidentali del reato.

In quest’ottica l’art. 59 c.p. – osserva il Collegio – «è stato modificato nel senso di consentire l’applicazione delle aggravanti solo se conosciute dall’agente» (§ 11.1) [recte: «…se da lui conosciute ovvero ignorate per colpa o ritenute inesistenti per errore determinato da colpa»].

Al contempo è stato modificato anche l’art. 118 c.p., eliminandosi ogni riferimento alle circostanze “oggettive” o “soggettive” (distinzione che permane invece all’art. 70 c.p.). La disposizione è stata così riformulata nel modo seguente: «Le circostanze che aggravano o diminuiscono le pene concernenti i motivi a delinquere, l’intensità del dolo, il grado della colpa e le circostanze inerenti alla persona del colpevole sono valutate soltanto riguardo alla persona cui si riferiscono»[6].

L’art. 118 non prevede l’impossibilità tout court di estensione delle circostanze che l’art. 70 chiama “soggettive” (cioè quelle che concernono la intensità del dolo o il grado della colpa, o le condizioni e le qualità personali del colpevole, o i rapporti fra il colpevole e l’offeso, ovvero che sono inerenti alla persona del colpevole), ma semplicemente prevede una limitazione per le particolari circostanze ivi elencate: quelle relative ai motivi a delinquere, all’intensità del dolo, al grado della colpa e quelle inerenti alla persona del colpevole.

La previsione di cui all’art. 118 c.p. – osserva la Corte – appare «circoscritta a quelle aggravanti attinenti alle sole intenzioni dell’agente, pertanto potenzialmente non riconoscibili dai concorrenti»; vengono invece escluse da tale delimitazione le circostanze attinenti alle condizioni o alle qualità personali del colpevole, oppure ai rapporti tra il colpevole e l’offeso, in quanto «pur nella chiara connotazione soggettiva, possono essere percepite anche ab externo» (§ 11.1).

In questo senso il discrimine tra circostanze estensibili e non estensibili ai concorrenti non risiederebbe nella loro natura “oggettiva” piuttosto che “soggettiva” nei termini delineati dall’art. 70 c.p., bensì nella «possibilità di estrinsecazione della circostanza all’esterno, cosicché rimane esclusa dall’attribuzione al compartecipe qualsiasi elemento, di aggravamento o di attenuazione della fattispecie, confinato all’intento dell’agente che, proprio in quanto tale, non può subire estensione ai concorrenti, perché da questi non necessariamente conoscibile».

Di conseguenza – prosegue la Corte – «qualora si rinvengano elementi di fatto suscettibili di dimostrare che l’intento dell’agente sia stato riconosciuto dal concorrente, e tale consapevolezza non lo abbia dissuaso dalla collaborazione, non vi è ragione per escludere l’estensione della sua applicazione, posto che lo specifico motivo a delinquere viene in tal modo reso oggettivo, sulla base degli specifici elementi rivelatori che, per quanto detto, devono accompagnarne la configurazione, per assicurare il rispetto del principio di offensività» (§ 11.1).

L’applicazione della circostanza in esame ai concorrenti sulla base del requisito della conoscenza, intesa quale rappresentazione e consapevolezza della circostanza aggravante, si pone in linea con diversi approdi giurisprudenziali in materia di premeditazione[7], motivi abietti o futili[8] e nesso teleologico[9], qualificate come “soggettive”, ma ciò nondimeno ritenute estensibili ai concorrenti che le abbiano conosciute (§ 11.2).

A parere delle Sezioni unite, dunque «il concorrente che non condivida con il coautore la finalità agevolativa ben può rispondere del reato aggravato, le volte in cui sia consapevole della finalità del compartecipe, secondo la previsione generale dell’art. 59, secondo comma, cod. pen. che attribuisce all’autore del reato gli effetti delle circostanze aggravanti da lui conosciute» (§ 12).

L’art. 59 c.p., ritenuto applicabile al concorrente in virtù dell’«impostazione monistica del reato plurisoggettivo», è tuttavia richiamato solo nella parte in cui indica la “conoscenza” dell’aggravante quale criterio di imputazione soggettivo della circostanza, non già nella parte in cui si riferisce alla mera “conoscibilità”; termine quest’ultimo che si riferisce alle ipotesi di ignoranza per colpa o di errore colposo nel ritenere inesistente la circostanza.

In altri termini, la Corte ritiene che la particolare natura “soggettiva” dell’aggravante non consente di ritenere sufficiente un coefficiente colposo di imputazione della circostanza ai correi (§ 12).

Esclusa, dunque, l’imputabilità della circostanza a titolo di mera colpa, le Sezioni unite concludono – con un’affermazione tanto perentoria quanto ambigua – che «per il coautore del reato, non coinvolto nella finalità agevolatrice, è sufficiente il dolo diretto, che comprende anche le forme di dolo eventuale». (§ 12)

A ciò si aggiungono due ulteriori precisazioni, anch’esse in realtà non del tutto perspicue. La Corte afferma infatti che “La funzionalizzazione della condotta all’agevolazione mafiosa da parte del compartecipe in definitiva deve essere oggetto di rappresentazione, non di volizione, aspetto limitato agli elementi costitutivi del reato, e non può caratterizzarsi dal mero sospetto, poiché in tal caso si porrebbe a carico dell'agente un onere informativo di difficile praticabilità concreta»; e che «occorre accertare se il compartecipe è in grado di cogliere la finalità avuta di mira dal partecipe, condizione che può verificarsi sia a seguito della estrinsecazione espressa da parte dell'agente delle proprie finalità, o per effetto della manifestazione dei suoi elementi concreti, quali particolari rapporti del partecipe con l’associazione illecita territoriale, o di altri elementi di fatto che emergano dalle prove assunte» (§ 12).

 

8. In conclusione, viene formulato il principio di diritto che già abbiamo riportato in premessa. «L’aggravante agevolatrice dell'attività mafiosa prevista dall'art. 416-bis 1 c.p. ha natura soggettiva ed è caratterizzata da dolo intenzionale; nel reato concorsuale si applica al concorrente non animato da tale scopo, che risulti consapevole dell’altrui finalità» (§ 13).

Pertanto, rilevata l’avvenuta verifica probatoria della consapevolezza da parte del ricorrente della finalità che ha animato la condotta dei coimputati, la Corte perviene al rigetto del ricorso.

 

***

 

9. La sentenza delle Sezioni unite risolve un’articolata serie di questioni, ma ci sembra lasciare irrisolti alcuni dubbi, che di seguito cercheremo di evidenziare.

La pronuncia poggia su alcuni punti nodali che potremmo sintetizzare nel modo seguente.

i. L’aggravante dell’agevolazione mafiosa ha natura “soggettiva” e, più precisamente, rientra fra le circostanze concernenti i «motivi a delinquere» richiamate dall’art. 118 c.p.

ii. Lo scopo agevolatore non deve necessariamente essere l’unico perseguito dall’agente, ben potendo accompagnarsi ad altre finalità anche egoistiche.

iii. È necessario che la finalità agevolatrice trovi riscontri concreti e oggettivi, necessari a fini probatori e in ogni caso occorrenti affinché sia rispettato il principio di offensività.

iv. Il fatto che la circostanza, elemento accidentale del reato, richieda una componente volitiva (dolo specifico), solitamente propria della fattispecie costitutiva del reato, non è in contrasto con il sistema normativo delineato dal legislatore.

v. L’applicazione dell’aggravante richiede la «presenza del dolo specifico o intenzionale in uno dei partecipi».

vi. In caso di concorso di persone del reato è sufficiente che la finalità agevolatrice sia accertata in capo ad uno solo dei concorrenti, mentre per gli altri è sufficiente accertare la conoscenza e consapevolezza della finalità perseguita dal correo, che equivale a ritenere sufficiente «il dolo diretto, che comprende anche le forme di dolo eventuale».

In via del tutto incidentale, inoltre, la Corte si pronuncia sulla distinzione tra la fattispecie aggravata in questione e le ipotesi di concorso esterno in associazione mafiosa (artt. 110, 416-bis c.p.), distinzione che nella conclusione appare convincente, pur a fronte di un’argomentazione sul punto non del tutto perspicua (v. supra, par. 6.3)[10].

 

Dei punti sopra ripercorsi ci sembra di poter ampiamente condividere, in linea con quanto avevamo osservato in sede di commento dell’ordinanza di rimessione, i primi quattro (infra, par. 10), mentre nutriamo alcune riserve circa gli ultimi due (infra, parr. 11, 12, 13).

 

10. Convincente, anzitutto, ci sembra la riconduzione della circostanza in esame tra quelle concernenti i “motivi a delinquereex art. 118 c.p., preferibile anche rispetto alla qualificazione come circostanza attinente all’intensità del dolo[11].

La locuzione “motivi a delinquere”, infatti, ha un significato letterale sufficientemente ampio, tale da ricomprendere non solo le ipotesi riconducibili al movente originario della condotta (ad esempio i motivi abietti o futili), ma anche tutte quelle che individuino un fine che l’agente si proponeva di raggiungere e che abbia orientato la condotta tipica.

Vero è, come si osserva in dottrina[12], che è possibile distinguere concettualmente tra motivo e finalità della condotta. Mentre il motivo in senso stretto si riferisce a fenomeni psichici aventi efficienza causale sulla formazione della volontà, il fine corrisponderebbe allo scopo che la volontà si propone di raggiungere. Tuttavia, pur essendo tale distinzione pacifica sul piano concettuale, ci sembra nondimeno difficile in concreto ipotizzare uno scopo specificamente perseguito dall’agente che non svolga al contempo un ruolo eziologico nell’elaborazione della volontà del soggetto. Sicché la finalità avuta di mira dall’agente finisce anch’essa per essere riconducibile nel concetto di “motivo” inteso in senso lato, come comprensivo al suo interno sia di quelle ragioni che hanno solo mosso ab origine l’agente senza accompagnarne finalisticamente la condotta, sia di quelle che rappresentano al contempo lo scopo da questi perseguito.

In questo senso depone peraltro la qualificazione che la giurisprudenza pacificamente opera delle circostanze del c.d. nesso teleologico ex art. art. 61 n. 2 c.p., del fine di libidine ex art. 573 c. 2 c.p., del fine di far commettere un reato ex art. 613 c. 3 n. 1 c.p. e del fine di delinquere o di sottrarsi all’arresto di cui all’art. 576 nn. 3 e 4 c.p. [13].

Ciò posto, può evidenziarsi che la dizione circostanza “soggettiva”, spesso impiegata in giurisprudenza e anche evocata nel principio di diritto affermato dalla sentenza in oggetto, appare in realtà imprecisa. Le circostanze “soggettive” sono definite dall’art. 70 c.p. e non (più) richiamate dall’art. 118 c.p. Tra queste l’art. 70 c.p. non menziona quelle relative ai “motivi a delinquere”, né una riconduzione della circostanza in esame tra quelle definite “soggettive” sarebbe dirimente ai fini della determinazione del suo criterio di imputazione in caso di concorso di persone nel reato. Ciò precisato, l’espressione circostanza di natura “soggettiva” per riferirsi a quella dell’agevolazione mafiosa può nondimeno giustificarsi al fine di sottolineare, seppur in modo atecnico, come la ratio della circostanza risieda più nella particolare direzione della volontà, che nelle caratteristiche oggettive della condotta.

Condivisibile, per altro verso, ci sembra la conclusione secondo cui la finalità agevolatrice non deve necessariamente essere caratterizzata da esclusività, potendo anzi rappresentare uno scopo concorrente, e addirittura secondario, rispetto ad altri perseguiti dallo stesso agente.

Parimenti apprezzabile è senz’altro la precisazione secondo cui la finalità perseguita dall’agente deve estrinsecarsi oggettivamente, concretizzandosi in atti idonei a raggiungere quello scopo[14]. Questo requisito “oggettivo” non è infatti un dato che possa far dubitare della natura “soggettiva”, nel senso sopra precisato, della circostanza in esame. Esso, piuttosto, si pone quale ineludibile presupposto affinché la norma sia interpretata in modo conforme al principio di determinatezza, inteso nel senso di necessaria suscettibilità del fatto ad essere accertato e provato nel processo[15], e di offensività, l’idoneità qui giocando un ruolo analogo a quello assunto sia nel delitto tentato sia nei reati a dolo specifico strutturati alla stregua di fattispecie di pericolo concreto con dolo di danno[16].

Tale analogia morfologica tra la circostanza in esame e le fattispecie a dolo specifico, peraltro, non suona affatto quale distorsione normativa, come si adombrava nell’ordinanza di rimessione. Rientra infatti nella discrezionalità del legislatore configurare determinate ipotesi quali elementi costitutivi o quali elementi accidentali del reato. Non si è in presenza di una modificazione del dolo della fattispecie tipica per via circostanziale. Al contrario, gli elementi costitutivi (oggettivi e soggettivi) della fattispecie-base rimangono invariati. Semplicemente, oltre all’integrazione di questi ultimi, la fattispecie aggravata richiede l’accertamento di una finalità ulteriore che ha ad oggetto un risultato estraneo alla fattispecie tipica del reato, il cui verificarsi non è richiesto ai fini della sua integrazione.

Peraltro, proprio il fatto che tale circostanza si strutturi secondo queste caratteristiche ci sembra far emergere profili di opinabilità rispetto agli ultimi due profili sopra menzionati, su cui ci sembra opportuno richiamare ora l’attenzione.

 

11. Il primo profilo di ambiguità risiede nell’affermazione (§ 8 del considerato in diritto) secondo cui quel che «innegabilmente la disposizione richiede, per consentire l’applicazione dell’aggravante, è la presenza del dolo specifico o intenzionale in uno dei partecipi».

Desta invero qualche perplessità l’accostamento, sullo stesso piano, del dolo specifico e del dolo intenzionale; accostamento che la Corte propone anche in ulteriori passi della sentenza[17], laddove invece in altri si allude al solo dolo specifico[18], oppure al solo dolo intenzionale[19]; per poi infine formulare un principio di diritto nel quale scompare ogni riferimento al dolo specifico: «L’aggravante agevolatrice dell'attività mafiosa prevista dall'art. 416-bis 1 c.p. ha natura soggettiva ed è caratterizzata da dolo intenzionale» (§ 13).

L’apparente fungibilità con cui la Corte impiega le due locuzioni sembra potenzialmente foriera di incertezze: non ci sembra infatti che inquadrare nell’uno o nell’altro modo la circostanza sia indifferente. Qualora si intendesse la finalità descritta dalla norma quale oggetto di un dolo intenzionale, si dovrebbe ritenere che lo scopo che l’agente aveva di mira (l’agevolazione dell’associazione mafiosa) debba necessariamente realizzarsi, ed essere accertato in giudizio, perché la fattispecie circostanziata possa dirsi integrata. Diversamente, qualificandola come dolo specifico, sarebbe sufficiente che l’agente abbia tenuto la condotta tipica orientando la stessa alla finalità agevolatrice, rimanendo del tutto irrilevante che l’associazione abbia poi effettivamente tratto vantaggio dal reato commesso.

Da una complessiva lettura della pronuncia e dalla disamina dei precedenti giurisprudenziali richiamati sul punto, sembra preferibile ritenere che la Corte – al di là del dato terminologico – abbia ravvisato nella finalità che caratterizza la circostanza in esame uno scopo che il soggetto deve concretamente volere e perseguire, ma che non necessariamente deve realizzarsi, alla stregua di ciò che generalmente è etichettato come “dolo specifico”. In questo senso depone, tra l’altro, quel passo della pronuncia dove – nel tracciare la distinzione con il concorso esterno – la Corte sottolinea che la fattispecie circostanziata è «non necessariamente produttiva di effetti di concreta agevolazione» (§ 10).

 

12. Un secondo profilo di opinabilità della sentenza si annida nella parte conclusiva relativa all’individuazione del criterio di imputazione soggettiva della circostanza in capo al concorrente nel reato. La Corte afferma infatti che «per il coautore del reato, non coinvolto nella finalità agevolatrice, è sufficiente il dolo diretto, che comprende anche le forme di dolo eventuale» (§ 13).

Tuttavia, qualora si intenda richiedere in capo al concorrente un “dolo diretto”, e quindi la sua rappresentazione in termini di certezza o probabilità ai limiti della certezza dell’altrui finalità agevolatrice, non è facile capire come si possa ammettere che ciò comprenda anche le forme di dolo eventuale, che invece permetterebbe di applicare l’aggravante anche laddove la presenza dell’altrui finalità sia stata meramente accettata e “messa in conto” come probabilmente sussistente.

Più che un riferimento a ciò che generalmente si appella come “dolo diretto”, dunque, sembra essere un’allusione al “dolo generico”, di cui il dolo diretto e il dolo eventuale sono notoriamente forme attraverso le quali esso può manifestarsi. Ad ogni modo, tale ambiguità non scalfisce più di tanto la chiarezza con cui la Corte individua il coefficiente soggettivo necessario a imputare la circostanza: la consapevolezza” dell’altrui finalità. Consapevolezza che – secondo la Corte – si concentrerebbe nel momento rappresentativo, e non in quello volitivo, che riguarderebbe invece gli elementi costitutivi del reato.

Viene peraltro precisato che non può applicarsi la circostanza al concorrente laddove questi avesse un mero sospetto dell’altrui finalità. Il che potrebbe porre, in concreto, alcuni problemi di accertamento probatorio in situazioni di confine tra il dolo eventuale, ritenuto sufficiente per addossare l’aggravante al correo, e la colpa cosciente, che invece non è sufficiente.

Invero, la peculiare conformazione della circostanza in esame rende inapplicabile il criterio di imputazione soggettiva basato sulla mera colpa, sub specie di conoscibilità dell’altrui finalità. Tuttavia, anche sotto questo profilo, la sentenza si presenta perplessa nella parte in cui finisce per affermare che «occorre accertare se il compartecipe è in grado di cogliere la finalità avuta di mira dal partecipe», così reintroducendo un concetto di conoscibilità, che stona con la richiesta di effettiva consapevolezza.

 

13. Un’ultima riflessione. Come sarà ormai chiaro, la Corte ritiene che l’aggravante possa essere integrata qualora almeno uno dei concorrenti fosse animato dalla specifica finalità agevolatrice, potendosi a quel punto applicare anche agli altri partecipi non animati da tale scopo, purché fossero consapevoli dell’altrui finalità.

Lo schema sembra effettivamente quello, invero ampiamente consolidato, per cui il dolo del concorrente in una fattispecie di reato a dolo specifico può essere generico, purché connotato dalla consapevolezza dell’altrui fine specifico[20].

La soluzione, sicuramente apprezzabile nella parte in cui esclude che sia sufficiente un’imputazione colposa della circostanza, ci sembra tuttavia presentare alcuni profili critici nella parte in cui si accontenta della mera conoscenza in capo al concorrente nel reato.

L’accertata riconducibilità della circostanza nell’alveo applicativo dell’art. 118 c.p. fa sì che essa rientri fra quelle che – recita testualmente la norma – «possono essere valutate soltanto con riguardo alla persona cui si riferiscono».

Ciò – a nostro avviso – dovrebbe comportare che gli elementi integranti la circostanza siano compiutamente accertati in capo a ciascun concorrente al quale si intenda applicare l’aggravante. Pertanto, una volta stabilito che il criterio di imputazione soggettiva della circostanza dell’agevolazione mafiosa richiede una specifica finalità (sub specie di dolo specifico), essa dovrebbe essere applicata ai soli concorrenti che abbiano in concreto agito animati da quella finalità.

In altri termini, l’art. 118 c.p. sembra imporre che vi sia tra i correi una omogeneità dei criteri di imputazione delle circostanze ivi indicate, proprio perché esse devono essere valutate allo stesso modo con riguardo a ciascuna persona. Pertanto, nelle ipotesi di cui all’art. 118 c.p., la realizzazione in forma concorsuale del reato non dovrebbe permettere di modificare il criterio di imputazione della circostanza in capo ai concorrenti: a ciascuno può essere applicata alle stesse condizioni alle quali gli sarebbe applicabile laddove avesse commesso il reato in forma monosoggettiva.

Questa valutazione individualizzata dell’applicazione della circostanza comporta di fare ricorso ai criteri di cui all’art. 59 c.p. solamente quando si tratti di una circostanza che può sempre, cioè anche fuori dalle ipotesi di concorso, essere applicata sulla base dei criteri generali ivi previsti; ciò che avviene nella maggior parte dei casi.

Quando però si sia di fronte a una circostanza – come quella in esame – che, per come delineata dal legislatore, richiede uno specifico criterio di imputazione soggettiva, diverso e più rigoroso non solo della conoscibilità, ma anche della mera conoscenza, ci sembra che l’art. 59 c.p. non possa operare, in quanto norma generale cui implicitamente deroga la norma speciale che descrive la circostanza a coefficiente soggettivo “rafforzato”.

L’art. 59 c.p., così come non troverebbe applicazione in capo all’autore del reato realizzato in forma monosoggettiva (perché questa circostanza richiede il dolo specifico e non la mera conoscenza), allo stesso modo non dovrebbe essere impiegato nemmeno per “attenuare” il criterio di imputazione in capo ai concorrenti nel reato. Ciò che si risolverebbe in una forma di comunicazione di circostanze che l’art. 118 c.p. impone siano incomunicabili, e dunque in un’operazione contra legem.

Del resto, altrimenti si rischia di trattare surrettiziamente come “oggettiva” (rectius non riconducibile all’art. 118 c.p.) una circostanza che viene definita come “soggettiva” (rectius rientrante nell’ambito dell’art. 118 c.p.). È invero sostanzialmente pacifico che le circostanze cui non si applica l’art. 118 c.p. siano imputabili ai concorrenti non già automaticamente, il che si porrebbe in contrasto con l’esigenza di rispetto del principio di colpevolezza che ha ispirato la riforma del 1990, bensì sulla base dei criteri di imputazione di cui all’art. 59 c.p.

La giurisprudenza, come si è visto, tende invece oggi ad accontentarsi della “conoscenza” da parte del correo della sussistenza della circostanza, ciò anche quando si tratti di circostanze richiamate dall’art. 118 c.p. e che richiedono un particolare coefficiente soggettivo, come appunto la premeditazione o i motivi a delinquere[21].

Tuttavia, proprio in riferimento all’imputazione dell’aggravante della premeditazione ai concorrenti, alcune pronunce della Corte di cassazione richiedono che il concorrente abbia acquisito «piena consapevolezza precedentemente al suo contributo all’evento ed a tale distanza di tempo da consentire che la maturazione del proposito criminoso prevalga sui motivi inibitori»[22]. Sembra pertanto esigersi che la “consapevolezza” non si arresti ad una fase di mera rappresentazione, ma si manifesti concretamente con modalità tali da poter dimostrare una condivisione anche da parte del concorrente della particolare intensità del dolo, nel caso della premeditazione, o dei motivi a delinquere, nel caso dell’agevolazione mafiosa.

Tentando di esemplificare: se un concorrente scopre all’ultimo momento, poco prima di commettere il reato, che l’altro concorrente aveva lungamente pianificato il fatto, così da non aver modo di “far propria” l’altrui premeditazione, la prova della conoscenza della circostanza non è sufficiente affinché venga imputata anche nei suoi confronti. Del pari, se un concorrente animato da tutt’altro scopo personale viene a sapere per caso che l’altro concorrente persegue una finalità di agevolazione di un’associazione mafiosa, questa mera rappresentazione non ci pare sufficiente a imputare anche nei suoi confronti l’aggravante, dovendosi piuttosto richiedere la prova che quella consapevolezza abbia rappresentato per il soggetto un ulteriore motivo che lo ha animato nella commissione del reato. Dimostrazione evidentemente non sempre agevole, ma che pone problemi di accertamento processuale non differenti da quelli che si presentano per l’imputazione della circostanza all’autore del reato e in tutte le fattispecie a dolo specifico.

In questo modo la divergenza qualitativa tra i criteri di imputazione soggettiva in capo all’autore del reato e in capo ai partecipi potrebbe venire quantomeno assottigliata, se non addirittura eliminata, in maggiore sintonia – a nostro modo di vedere – con il disposto dell’art. 118 c.p.

 

 

[1] Sull’ordinanza di rimessione, cfr. Alberico, Alle Sezioni unite la questione sulla natura dell'aggravante dell'agevolazione mafiosa, in questa Rivista, fasc. 12/2019, p. 127 ss., nonché, volendo, Finocchiaro, La natura dell'aggravante dell'agevolazione mafiosa e il problema dell'estensione ai concorrenti: la questione rimessa alle Sezioni unite, in questa Rivista, fasc. 11/2019, p. 49 ss.

[2] Cfr., da ultimo, Cass., sez. VI pen., 15 maggio 2019, n. 24883, Crocitta e, per gli ulteriori riferimenti giurisprudenziali, § 3.2. della sentenza in oggetto.

[3] Cass., Sez. Un. pen., 28 marzo 2001, n. 10, Cinalli; Cass, Sez. Un. pen., 18 dicembre 2008 (dep. 2009), n. 337, Antonucci.

[4] Cfr., ad esempio, Cass., sez. II pen., 24 novembre 2016 (dep. 6 dicembre 2016), n. 52025, Vernengo; Cass., sez. II pen., 17 gennaio 2017 (dep. 15 maggio 2017), n. 24046, Tarantino e altri.

[5] L’ordinanza di rimessione riconduce a tale orientamento intermedio, tra le altre, Cfr. Cass., sez. VI pen., 4 ottobre 2017, n. 53646, Aperi e altri; Cass., sez. II pen., n. 22153 del 2019, Barilari (non massimata).

[6] Il testo originario dell’art. 118 c.p., prima della modifica nel 1990, recitava: «[I]. Le circostanze oggettive, che aggravano o diminuiscono la pena, anche se non conosciute da tutti coloro che concorrono nel reato, sono valutate a carico o a favore di essi. [II]. Le circostanze soggettive, non inerenti alla persona del colpevole, che aggravano la pena per taluno di coloro che sono concorsi nel reato, stanno a carico anche degli altri, sebbene non conosciute, quando hanno servito ad agevolare l’esecuzione del reato. [III]. Ogni altra circostanza, che aggrava o diminuisce la pena, è valutata soltanto riguardo alla persona a cui si riferisce».

[7] Ex multis, Cass., sez. VI pen., 21 settembre 2017, n. 56956, Argentieri; Cass., sez. V pen., 11 marzo 2014, 29202, C.; Cass., sez. I, 28 aprile 1997, 6182, Matrone.

[8] Ex multis, Cass., sez. I 10 luglio 2018, 50405, Gjerji Kastriot; Cass., sez. I 28 settembre 2011, Corodda.

[9] Cfr. Cass., sez. I pen., 2 febbraio 2018, n. 20756, Giangreco.

[10] Desta ad esempio qualche perplessità, tra l’altro, il riferimento che la Corte opera alla caratteristica, ormai desueta, del concorso esterno quale intervento ineludibile in quanto maturato in condizioni particolari di “fibrillazione” o “crisi” dell’associazione.

[11] La locuzione “intensità del dolo”, che richiama la formula impiegata all’art. 133 c. 1 n. 3 c.p., sembra maggiormente confacente a quelle circostanze che incidono sul grado di probabilità con cui il soggetto si è rappresentato la realizzazione del reato (dolo intenzionale, diretto o eventuale) o al grado di perseveranza nel proposito criminoso (come nel caso di premeditazione). Il dolo specifico, alla cui stregua si atteggia la circostanza in esame, non è cioè una forma particolarmente intensa del dolo del fatto tipico, bensì un’entità distinta, con un oggetto distinto.

[12] Cfr. Contieri, Sullo scopo dell’autore del reato, Napoli, 1947, p. 7; Pedrazzi, Il fine dell’azione delittuosa, in Riv. it. dir. proc. pen., 1950, p. 259 ss.

[13] Nel senso della qualificazione dell’aggravante in esame tra quelle concernenti i motivi a delinquere cfr. anche De Vero, La circostanza aggravante del metodo e del fine di agevolazione mafiosi: profili sostanziali e processuali, in Riv. it. dir. proc. pen., 1997, p. 48.

[14] In questo senso, in dottrina, si veda ad esempio De Francesco, Paradigmi generali e concrete scelte repressive nella risposta penale alle forme di cooperazione in attività mafiosa, in Cass. pen., 1996, p. 3500; Merenda, La circostanza aggravante della finalità di agevolazione mafiosa: incoerenze sistematiche e incertezze applicative, in Archivio Penale, 2015, n. 3, p. 2

[15] Cfr. Marinucci-Dolcini, Corso di diritto penale, I, Le norme penali: fonti e limiti di applicabilità. Il reato: nozione, struttura e sistematica, Giuffrè, Milano, 2001, p. 163 ss.

[16] Ibidem, p. 578 ss.

[17] Cfr. ad esempio § 5, in cui si osserva che «[l]a ricerca della concreta potenzialità offensiva, che deve caratterizzare ogni condotta illecita, ha suggerito un parallelo tra i reati a dolo specifico o intenzionale, ai quali si ascrive, per quanto detto, il reato aggravato ai sensi dell'art. 416-bis 1 c.p. ed il reato tentato…».

[18] In ampi passaggi della sentenza si parla solamente di “dolo specifico”: così ad esempio al § 3.9 laddove la Corte dichiara di essere chiamata a stabilire se l’elemento soggettivo necessario a integrare l’aggravante «consista nel dolo specifico ovvero nella mera consapevolezza della direzione (o idoneità) della condotta ad agevolare l’attività dell’organizzazione criminale»; e così anche al § 8.

[19] Si parla esclusivamente di “dolo intenzionale” ad es. al § 10 e ad esso, solo ad esso, si fa riferimento nel principio di diritto formulato al termine delle motivazioni in diritto (§ 13).

[20] Cfr. Alberico, Alle Sezioni unite la questione sulla natura, cit., p. 138 e ivi per ulteriori riferimenti bibliografici. Cfr. anche Demuro, Il dolo, II, Accertamento, Milano, 2010, p. 415 ss. e Pelissero, Il concorso nel reato proprio, Milano, 2004, p. 57 ss. In giurisprudenza, si segnala, tra i più recenti arresti, Cass., sez. III pen., 15 marzo 2019 (dep. 7 maggio 2019), n. 19213.

[21] Cfr., inoltre, con riferimento all’aggravante del c.d. nesso teleologico, Cass., sez. I pen., 2 febbraio 2018, 20756, che ha ritenuto che la circostanza possa estendersi al concorrente qualora i motivi a delinquere dell’autore della condotta rientrino nella rappresentazione e volizione – anche solo sotto il profilo del dolo eventuale – del concorrente medesimo. In riferimento all’aggravante dei motivi abietti o futili, cfr. Cass, Sez. I pen., 28 gennaio 2005, n. 6775.

[22] Così Cass., sez. VI pen., 21 settembre 2017, n. 56956, che sul punto richiama Cass., sez. V pen., 26 giugno 1997, n. 8346.