Cass., Sez. un., sent. 26 settembre 2019 (dep. 19 novembre 2019), n. 46898, Pres. Carcano, est. Vessichelli
1. Ancora una volta le Sezioni unite della Corte di cassazione hanno dovuto prestare soccorso all’interprete smarrito nel dedalo del c.d. codice antimafia, la cui disciplina, soprattutto quella processuale, pone spesso dubbi ermeneutici assai consistenti, per via della sua laconicità.
Il contrasto interpretativo che i giudici di legittimità sono stati chiamati a dirimere concerneva l’impugnabilità del provvedimento con cui il giudice della prevenzione neghi l’applicazione del controllo giudiziario richiesta da un’impresa destinataria di informazione antimafia interdittiva ex art. 34-bis, co. VI, d.lgs. 159/2011 (c.d. controllo giudiziario volontario).
Il tenore della disposizione appena richiamata, letta unitamente all’art. 27 d.lgs. 159/2011 – che reca la disciplina delle impugnazioni in materia di misure di prevenzione patrimoniali –, aveva fatto sorgere, sul punto, due diversi orientamenti giurisprudenziali. A un primo gruppo di pronunce che, contro il provvedimento reiettivo dell’istanza di controllo giudiziario “volontario”, riteneva esperibile il ricorso per cassazione, se ne contrapponeva infatti un secondo, il quale invece non ammetteva alcun mezzo di impugnazione.
Le Sezioni unite, dal canto loro, hanno indicato all’interprete una terza via, maggiormente garantita, che peraltro era stata già prospettata nell’ordinanza con cui la VI Sezione della Cassazione aveva rimesso la risoluzione del suddetto contrasto al massimo organo nomofilattico[1]. In particolare, è stato affermato che l’impresa che si veda rigettare la richiesta di applicazione di controllo giudiziario formulata ai sensi dell’art. 34-bis, co. VI, d.lgs. 159/2011 può proporre ricorso alla Corte d’appello (e, successivamente, anche ricorso per cassazione)[2]. Per giungere a tale soluzione, i giudici di legittimità, dopo un’attenta ricostruzione della disciplina di riferimento e della relativa evoluzione, hanno espressamente fatto ricorso all’applicazione analogica di una norma rinvenibile nel tessuto dell’art. 34, co. VI, d.lgs. 159/2011[3], così facendo prevalere il canone dell’uguaglianza a un formale rispetto del principio di tassatività dei mezzi di impugnazione.
Oltre a quelli legati alla soluzione appena segnalata, la sentenza in esame presenta anche altri profili di indubbio rilievo, che in questa sede non ci si può esimere dal segnalare, sia pure brevemente. L’esame critico delle posizioni giurisprudenziali cui si è appena fatto cenno è infatti preceduto da alcune interessanti considerazioni sulla ratio del “controllo giudiziario” e, conseguentemente, sul «percorso accertativo»[4] che il giudice deve seguire nel disporne l’applicazione.
2. Le argomentazioni in diritto della sentenza in esame prendono l’abbrivio dalla ricostruzione delle origini del “controllo giudiziario”, oggi disciplinato dall’art. 34-bis d.lgs. 159/2011, punto di approdo di una stratificazione normativa che i giudici di legittimità definiscono subito come tutt’altro che armonica[5]. In questa sede, sembra utile ripercorrere brevemente l’excursus offerto dalle Sezioni unite, sia perché potrà risultare di interesse per il lettore, sia perché lo stesso ha condizionato i successivi snodi argomentativi.
L’art. 34-bis d.lgs. 159/2011 è di recentissima introduzione, avendo visto la luce con la riforma del c.d. codice antimafia operata con la l. 17 ottobre 2017, n. 161[6]. Tuttavia, già prima della novella il d.lgs. 159/2011 conosceva una forma di “controllo giudiziario”, tratteggiata al comma VIII dell’originario art. 34, disposizione recante la disciplina dell’“amministrazione giudiziaria”[7].
Quest’ultima misura comportava e comporta tutt’ora una diretta ingerenza nella gestione aziendale, consistente nella «temporanea espromissione del proprietario dei beni e della azienda dall’esercizio dei propri poteri in quanto sostituito dal giudice delegato e dall’amministratore giudiziario»[8]. Proprio come oggi, però, già nella versione originaria del c.d. codice antimafia era previsto che l’“amministrazione giudiziaria” potesse sfociare, oltre che nella confisca dei beni ritenuti frutto o reimpiego di attività illecite, anche, alternativamente, nel “controllo giudiziario”, misura più blanda che si declinava nell’obbligo di informare, per un certo lasso di tempo, il questore e la polizia tributaria di determinati movimenti economici.
Relativamente a questa applicazione del “controllo giudiziario” non era stato previsto alcun mezzo di impugnazione. Peraltro, nel redigere l’art. 34 d.lgs. 159/2011, il legislatore non aveva disciplinato neppure l’impugnabilità del provvedimento di confisca emesso all’esito all’“amministrazione giudiziaria”, così mostrando una certa sordità rispetto all’insegnamento che, alcuni anni prima, era provenuto dalla Consulta. Nel 1995[9], infatti, il giudice delle leggi aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 3-quinquies, co. II, l. 31 maggio 1965, n. 575, nella parte in cui non consentiva di proporre appello avverso il provvedimento di confisca emesso all’esito della “sospensione temporanea dall’amministrazione dei beni”[10], misura precorritrice dell’odierna “amministrazione giudiziaria”[11]. Con questo intervento, la Corte costituzionale aveva inteso porre rimedio all’irragionevole disparità di trattamento cui erano soggetti i destinatari di un medesimo provvedimento – quello avente a oggetto la confisca di prevenzione – a seconda che esso fosse adottato in via ordinaria ovvero successivamente alla “sospensione temporanea dell’amministrazione dei beni”. Stando così le cose, all’indomani dell’emanazione del “codice antimafia” la giurisprudenza non poté che rinunciare a una rigorosa applicazione del principio di tassatività dei mezzi di impugnazione, onde non incappare in una violazione del principio di uguaglianza; pertanto, con un’operazione interpretativa costituzionalmente orientata, oggi etichettata quale “applicazione analogica” da parte delle Sezioni unite[12], ammise l’esperibilità del ricorso alla Corte d’appello anche contro la confisca disposta contestualmente alla revoca dell’amministrazione giudiziaria.
A tre anni dall’entrata in vigore del c.d. codice antimafia, tale soluzione era stata poi recepita dal legislatore, il quale peraltro ne aveva esteso l’ambito di operatività. Con il d.lgs. 13 ottobre 2014, n. 153[13], si era infatti previsto che i tre gradi di giudizio dovessero essere assicurati non solo quando all’“amministrazione giudiziaria” facesse seguito la confisca, ma anche nell’ipotesi alternativa, e cioè quando alla scadenza di quella misura patrimoniale venisse applicato il “controllo giudiziario”. Anche contro il provvedimento applicativo di quest’ultima misura, dunque, poteva essere esperito il ricorso alla Corte d’appello.
Si arriva quindi alla l. 17 ottobre 2017, n. 161, che, su quest’ultimo specifico punto, ha mantenuto in vita la soluzione legislativa del 2014. Ciò che, come si vedrà, ha giocato un ruolo centrale nel ragionamento con cui le Sezioni unite hanno sbrogliato il contrasto interpretativo portato alla loro attenzione (cfr. infra, §6 e §7).
La recente riforma ha peraltro radicalmente ridisegnato l’istituto del “controllo giudiziario”, recidendo il cordone ombelicale che lo legava alla più severa “amministrazione giudiziaria”. Con l’introduzione dell’art. 34-bis d.lgs. 159/2011, il “controllo giudiziario” è stato infatti elevato a misura di prevenzione patrimoniale autonoma, che può avere luogo indipendentemente da una previa applicazione dell’“amministrazione giudiziaria”. Si è voluto in questo modo predisporre uno strumento che persegue le medesime finalità dell’“amministrazione giudiziaria” – vale a dire il “disinquinamento” di determinate aziende[14] –, ma mediante un intervento correttivo connotato da minore pervasività, che non comporta alcuna «ingerenza diretta nella gestione aziendale»[15], sostanziandosi piuttosto in una serie di prescrizioni e obblighi nei confronti del soggetto economico. Questo «approccio […] più soft» risulta giustificato dal «minor bisogno di intervento»[16] cui il “controllo giudiziario” intende far fronte, come emerge dal tenore degli artt. 34 e 34-bis del “codice antimafia”[17]. Da un lato, infatti, l’amministrazione giudiziaria viene applicata «quando […] sussistono sufficienti indizi per ritenere che il libero esercizio di determinate attività economiche, comprese quelle di carattere imprenditoriale, sia direttamente o indirettamente sottoposto alle condizioni di intimidazione o di assoggettamento previste dall’articolo 416-bis del codice penale o possa comunque agevolare l’attività di persone nei confronti delle quali è stata proposta o applicata una delle misure di prevenzione personale o patrimoniale previste dagli articoli 6 e 24»[18] cod. ant., ovvero di persone sottoposte a procedimento penale per taluni gravi reati (cfr. art. 34, co. 1, cod. ant.). Dall’altro lato, invece, il controllo giudiziario trova applicazione quando la suddetta agevolazione «risulta occasionale»[19], e «sussistono circostanze di fatto da cui si possa desumere il pericolo concreto di infiltrazioni mafiose idonee a condizionarne l’attività» (cfr. art. 34-bis, co. 1, d.lgs. 159/2011).
La recente riforma del 2017 ha inoltre introdotto un’importante peculiarità nella disciplina del “controllo giudiziario”, facendo di esso l’unica misura di prevenzione che può essere applicata su istanza della parte privata che ne sarà destinataria[20]. In particolare, il comma 6 dell’art. 34-bis d.lgs. 159/2011 prevede che «possono richiedere al tribunale competente per le misure di prevenzione l’applicazione del controllo giudiziario»[21] quelle imprese che, da un lato, siano state «destinatarie di informazione antimafia interdittiva» ai sensi dell’art. 84, co. 4, d.lgs. 159/2011, e, dall’altro, «abbiano proposto l’impugnazione del relativo provvedimento del prefetto». Solo a queste condizioni è possibile accedere al c.d. controllo giudiziario volontario, che in dottrina è stato icasticamente definito come «una moderna “messa alla prova” aziendale»[22]. Il vantaggio che ne deriva sta in ciò: ai sensi dell’art. 34-bis, co. 7, d.lgs. 159/2011, l’accoglimento della suddetta richiesta determina la sospensione degli effetti prodotti dall’interdittiva antimafia di cui all’art. 94 d.lgs. 159/2011. Conseguentemente, l’azienda può tornare ad avere rapporti con la pubblica amministrazione.
3. Ricostruito l’assetto normativo oggi vigente, i giudici di legittimità osservano che l’“amministrazione giudiziaria” e il “controllo giudiziario”, anche quello “volontario”, perseguono una finalità diversa rispetto alla confisca disciplinata dall’art. 24 del c.d. codice antimafia, mirando «non alla recisione del rapporto col proprietario», bensì «al recupero della realtà aziendale alla libera concorrenza, a seguito di un percorso emendativo»[23]. Si è così venuto a delineare quello che, richiamando un precedente arresto della Cassazione[24], le Sezioni unite definiscono come un «sotto-sistema omogeneo», che si affianca alle misure ablative del sequestro e della confisca.
Di qui, come già anticipato in premessa (v. supra, §1), il discorso argomentativo dei giudici di legittimità si dipana verso alcune riflessioni riguardanti il tipo di accertamento che il giudice della prevenzione è chiamato a compiere in sede di applicazione delle suddette misure.
Anzitutto, si osserva che l’“amministrazione giudiziaria” e il “controllo giudiziario” richiedono la verifica delle «condizioni oggettive» descritte agli artt. 34 e 34-bis d.lgs. 159/2011, consistenti nel «grado di assoggettamento dell’attività economica alle descritte condizioni di intimidazione» e nella «agevolazione [delle] persone pericolose […] indicate nelle fattispecie»[25]. Ciò constatato, si osserva poi che una qualche valutazione “retrospettiva” appare imprescindibile anche quando la richiesta di applicazione del “controllo giudiziario” provenga dalla parte privata (c.d. controllo volontario). Distanziandosi da una proposta ermeneutica recentemente avanzata in giurisprudenza[26], i giudici di legittimità affermano dunque che in materia di controllo giudiziario “volontario” l’accertamento “retrospettivo” «non scolora del tutto»[27]. Del resto, l’art. 34-bis, co. VI, d.lgs. 159/2011 prevede che il tribunale debba accogliere la richiesta della parte privata solo laddove «ne ricorrano i presupposti», e questi ultimi sono «necessariamente comprensivi della occasionalità della agevolazione dei soggetti pericolosi»[28]. L’insussistenza di questo presupposto, ed eventualmente l’esistenza «di una situazione più compromessa», possono (sul punto v. infra, §9) infatti determinare «il rigetto della domanda e magari l’accoglimento di quella, di parte avversa, relativa alla più gravosa misura della amministrazione giudiziaria o di altra ablativa»[29].
Tuttavia, secondo i giudici di legittimità, l’accertamento che il giudice della prevenzione è chiamato a compiere non ha carattere meramente “diagnostico”. Egli, infatti, deve soprattutto vagliare le «concrete possibilità che la singola realtà aziendale ha o meno di compiere fruttuosamente il cammino verso il riallineamento con il contesto economico sano»[30]. Il primo accertamento, consistente in una fotografia dello «stato di condizionamento e di infiltrazione», non è quindi fine a sé stesso, ma risulta funzionale a valutare le possibilità che la realtà aziendale ha di affrancarsene, grazie all’applicazione di una determinata misura patrimoniale. E ciò, sottolineano i giudici, vale soprattutto quando si ha a che fare con il c.d. controllo volontario.
4. Si arriva dunque all’esame della questione controversa, ma non senza prima aver sottolineato le vistose lacune che il d.lgs. 159/2011 presenta in punto di impugnabilità dei decreti che accolgono, rigettano o revocano l’applicazione dell’“amministrazione giudiziaria” e del “controllo giudiziario”. Se in relazione a una serie di provvedimenti concernenti il sequestro e la confisca di prevenzione, nonché la cauzione, il legislatore ha provveduto a disciplinare i mezzi di impugnazione esperibili (art. 27 d.lgs. 159/2011) rinviando alle previsioni dettate per le misure di prevenzione personali (art. 10 d.lgs. 159/2011), lo stesso non è avvenuto nell’ambito degli artt. 34 e 34-bis d.lgs. 159/2011. In questo ambito, infatti, come si è visto sopra (§2), è stata espressamente prevista soltanto l’impugnabilità, ai sensi dell’art. 27 d.lgs. 159/2011, del “controllo giudiziario” applicato in sede di revoca dell’“amministrazione giudiziaria” (art. 34, co. VI, d.lgs. 159/2011), e ciò grazie all’intervento del 2014, poi confermato dal legislatore del 2017.
Di fronte a queste lacune, le Sezioni unite anticipano subito di ritenere che la questione controversa debba essere colmata facendo richiamo alla disciplina dell’art. 27 d.lgs. 159/2011. In altri termini, si afferma che anche il rigetto dell’istanza di “controllo giudiziario volontario” debba soggiacere alla disciplina dei mezzi di impugnazione dettata per le misure personali (art. 10 d.lgs. 159/2011), cui l’art. 27 d.lgs. 159/2011 rinvia, disciplina ritenuta espressiva di un «principio generale sotteso» all’intero «sistema delle impugnazioni delle misure di prevenzione»[31].
D’altro canto, tale soluzione non poteva certo dirsi inaspettata una volta giunti a questo punto della pronuncia. Anzi, gli snodi argomentativi sopra ripercorsi le avevano ampiamente preparato il terreno. In particolare, si può osservare che militavano a sostegno della soluzione poi fornita: a) la critica all’evoluzione normativa delle misure di prevenzione, la cui disorganicità impone all’interprete di individuare soluzioni talvolta «inespresse»[32]; b) la constatazione del fatto che in passato la giurisprudenza è già stata chiamata ad applicare analogicamente le disposizioni dettate dal legislatore per le impugnazioni in materia di misure patrimoniali (v. supra, §2)[33]; c) l’omogeneità propria di quel “sotto-sistema” formato dagli artt. 34 e 34-bis d.lgs. 159/2011 (v. supra, §3), che suggerisce di adottare soluzioni il più possibile uniformi[34].
5. Come si è già accennato (v. supra, §1), un primo orientamento giurisprudenziale riteneva che contro il provvedimento reiettivo dell’istanza di “controllo giudiziario volontario” fosse esperibile il ricorso per cassazione[35]. Tale conclusione veniva argomentata osservando che l’art. 34-bis, co. VI, d.lgs. 159/2011 prevede che il giudice si pronunci sulla richiesta avanzata dalla parte privata seguendo le forme di cui all’art. 127 c.p.p. e il rinvio a questa disposizione, si diceva, avrebbe portato con sé l’applicabilità del relativo comma VII, che consente di esperire il ricorso per cassazione avverso le ordinanze pronunciate nei procedimenti in camera di consiglio. Si negava invece la possibilità di proporre ricorso alla Corte d’appello, e ciò in ossequio al principio di tassatività dei mezzi di impugnazione. All’interno di questo filone, poi, alcune pronunce precisavano che il ricorso per cassazione non fosse esperibile per tutti i motivi di cui all’art. 606 c.p.p., ma solo per violazione di legge, come del resto è previsto, in generale, nell’ambito del processo di prevenzione personale e patrimoniale.
Le Sezioni unite criticano questo approccio ermeneutico osservando che il richiamo all’art. 127 c.p.p. non implica, di per sé, l’esperibilità del ricorso per cassazione[36]. Al riguardo, viene richiamato un risalente arresto delle Sezioni unite in cui, in termini generali, si era appunto affermato che il «rinvio all’art. 127 cod. proc. pen. operato in altre norme dello stesso codice con la formula “secondo le forme previste” o con altre equivalenti riguarda le regole di svolgimento dell’udienza camerale, ma non implica, di per sé, la ricezione completa del modello procedimentale descritto in questa norma, ivi compreso il ricorso in sede di legittimità, tanto che per diverse disposizioni contenenti tale rinvio il legislatore ha previsto espressamente quel rimedio»[37].
Inoltre, si è osservato che la delimitazione dei motivi di ricorso per cassazione alla sola violazione di legge finiva, contraddittoriamente, per riconoscere all’art. 10 d.lgs. 159/2011 «quella valenza di norma generale e di sistema che si [voleva] contemporaneamente disconoscere»[38].
6. L’inapplicabilità dell’art. 127, co. VII, c.p.p., avallata dalle Sezioni unite, era peraltro posta a fondamento dell’opposto indirizzo interpretativo, secondo cui il richiamo alla disciplina del procedimento in camera di consiglio doveva appunto intendersi come riferito unicamente alle forme dell’udienza camerale. Muovendo da questa premessa, veniva richiamato, ancora una volta, il principio di tassatività dei mezzi di impugnazione, e per il suo tramite si giungeva a ritenere che, contro il diniego di “controllo giudiziario volontario”, la parte istante non avesse alcun rimedio a propria disposizione[39]. Del resto, si osservava, il legislatore del 2017, nel dar forma al “controllo giudiziario volontario”, non ha introdotto, relativamente a esso, alcun mezzo di impugnazione, avendo invece contestualmente previsto l’esperibilità dell’appello contro il “controllo giudiziario” applicato in sede di revoca dell’“amministrazione giudiziaria” (art. 34, co. VI, d.lgs. 159/2011). Di qui, si inferiva una precisa volontà del legislatore nel senso di escludere l’impugnabilità del provvedimento di rigetto della richiesta di applicazione del c.d. controllo giudiziario volontario.
Le Sezioni unite replicano prontamente a quest’ultimo argomento, osservando che la disciplina dei mezzi di impugnazione esperibili avverso il “controllo giudiziario” applicato in sede di revoca dell’“amministrazione giudiziaria” non proviene dalla mano del legislatore del 2017. Questi, infatti, si è limitato a riscrivere l’art. 34 d.lgs. 159/2011 recependo la soluzione già introdotta nel 2014 (cfr. supra, §2), e senza contestualmente occuparsi della disciplina dei mezzi di impugnazione[40]. Alla luce di tale rilievo, si osserva che sarebbe decisamente affrettato inferire dalla normativa vigente delle precise scelte del legislatore.
Al contrario, secondo il massimo consesso di Piazza Cavour, in questa materia il legislatore non è stato «volutamente silenzioso», ma anzi ha parlato «in maniera occasionale e poco coerente», facendo sorgere l’impressione di aver disciplinato in un certo modo alcune fattispecie e di essersi invece disinteressato di altre a esse «“analoghe”»[41]. Di qui, la possibilità di ricorrere, nella materia oggetto di contrasto giurisprudenziale, all’interpretazione analogica ai sensi dell’art. 12 disp. prel. c.c.
7. Alla luce delle suddette considerazioni, le Sezioni unite valorizzano l’art. 34, co. VI, d.lgs. 159/2011 in senso radicalmente opposto a quello suggerito dall’orientamento da ultimo esaminato. In particolare, si osserva che, interpretando acriticamente le disposizioni vigenti, si dovrebbe giungere ad affermare che il “controllo giudiziario” è «appellabile se emesso all’esito della procedura della amministrazione giudiziaria e non impugnabile se emesso in modo autonomo da quella»[42]. Una siffatta conclusione sarebbe evidentemente irragionevole e foriera di disparità di trattamento; pertanto, l’interprete è tenuto ad applicare analogicamente l’art. 34, co. VI, d.lgs. 159/2011 (che rinvia all’art. 27 d.lgs. 159/2011) anche ai provvedimenti applicativi del “controllo giudiziario” in via “autonoma”.
Secondo le Sezioni unite, la stessa prospettiva analogica può peraltro investire anche i provvedimenti che rigettano la richiesta di “controllo giudiziario volontario”, oggetto della querelle giurisprudenziale, e ciò in quanto, diversamente, gli interessi della parte privata riceverebbero un trattamento deteriore rispetto a quello riservato alla parte pubblica[43].
Ma i giudici di legittimità si spingono anche oltre: per fugare ulteriori possibili dubbi, affermano infatti che, trattandosi di misure riconducibili a «un unico sotto-sistema», tutte «le decisioni del tribunale sulle richieste in tema di controllo giudiziario» e «sulla ammissione alla amministrazione giudiziaria» devono ritenersi assoggettate «al mezzo di impugnazione generale previsto dall’art. 10 d.lgs. n. 159/2011», non potendosi tollerare «ingiustificate aporie normative» a fronte di «effetti incisivi del tutto assimilabili su beni e interessi omogenei»[44].
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8. La sentenza in esame è frutto di sforzi ricostruttivi e interpretativi notevoli e sicuramente apprezzabili, che conducono a una soluzione indubbiamente condivisibile.
In sede di commento all’ordinanza con cui la VI Sezione della Corte di cassazione aveva sottoposto alle Sezioni unite la questione oggi risolta, avevamo avuto modo di osservare che la decisione del massimo consesso avrebbe fatto luce ben oltre lo specifico quesito formulato dai giudici di legittimità, posto che dubbi interpretativi avvolgevano anche i provvedimenti che applicano il “controllo giudiziario” di cui all’art. 34-bis d.lgs. 159/2011[45]. E in effetti, come visto[46], le Sezioni unite hanno restituito delle direttive valide per tutti i provvedimenti con cui il giudice della prevenzione si pronuncia sulle richieste di applicazione del controllo giudiziario e altresì sui provvedimenti relativi all’amministrazione giudiziaria.
La soluzione offerta dai giudici di legittimità adotta la prospettiva che chi scrive aveva ritenuto auspicabile. Partendo da un’analisi del disposto di cui all’art. 34, co. VI, d.lgs. 159/2011, ci era infatti sembrato che l’unica soluzione rispettosa del principio di uguaglianza (art. 3 Cost.) fosse quella di riconoscere l’operatività dei mezzi di impugnazione di cui all’art. 27 d.lgs. 159/2011 anche in caso di applicazione del “controllo giudiziario” in via “autonoma” (i. e. non contestuale alla revoca dell’amministrazione giudiziaria)[47]. Si tratta di un’impostazione che peraltro era stata richiamata, condivisa e ulteriormente sviluppata in dottrina[48].
Proprio nell’art. 34, co. VI, d.lgs. 159/2011, le Sezioni unite hanno scovato una norma in grado di illuminare casi analoghi a quello disciplinato e, coraggiosamente, l’hanno impiegata per risolvere il contrasto interpretativo portato alla loro attenzione (e non solo), facendo prevalere il canone dell’uguaglianza sul principio di tassatività dei mezzi di impugnazione, il quale, se applicato rigidamente, avrebbe condotto a soluzioni sicuramente inique.
9. Come si è visto, il massimo organo nomofilattico ha però fornito preziose indicazioni anche in relazione al tipo di accertamento che il giudice della prevenzione è chiamato a compiere in sede di applicazione del c.d. controllo giudiziario volontario. Particolarmente degni di interesse ci sembrano i passaggi motivazionali in cui si pone l’accento sulla verifica, di natura prognostica, che il tribunale deve effettuare in merito all’idoneità del “controllo giudiziario volontario” a far rientrare l’azienda destinataria nell’alveo di un «contesto economico sano»[49]. Si tratta di un’impostazione ermeneutica che ci sembra in linea con quella dottrina (cfr. C. Visconti, Il controllo giudiziario “volontario”: una moderna “messa alla prova” aziendale per una tutela recuperatoria contro le infiltrazioni mafiose, in Dir. Pen Cont., 23 settembre 2019) che, prendendo le distanze da un modello, emerso in alcune pronunce, definito «retrospettivo-stigmatizzante», ne ha patrocinato uno differente, anch’esso noto al panorama giurisprudenziale, di tipo «prospettico-cooperativo»[50].
Si badi: come già detto[51], secondo le Sezioni unite il giudice della prevenzione deve volgere lo sguardo al passato anche quando l’applicazione del “controllo giudiziario” sia sollecitata dalla parte privata. Si è infatti ritenuto che tra i «presupposti» di cui l’art. 34-bis, co. VI, d.lgs. 159/2011 richiede l’accertamento debba farsi rientrare anche l’«occasionalità della agevolazione dei soggetti pericolosi» cui fa riferimento il I comma della medesima disposizione[52]. Tuttavia, se non interpretiamo male, quello retrospettivo sembra rappresentare un accertamento dal peso specifico ben inferiore rispetto a quell’altro, di tipo prognostico, riguardante le possibilità che l’applicazione del “controllo giudiziario” abbia un effetto “disinquinante” su una determinata realtà aziendale. Nella sentenza in esame si legge infatti che l’insussistenza della suddetta “occasionalità” e la presenza «di una situazione più compromessa possono» – e non già devono – «comportare il rigetto della domanda e magari l’accoglimento di quella, di parte avversa, relativa alla più gravosa misura della amministrazione giudiziaria»[53]. Alla luce di questo passaggio, parrebbe dunque che la presenza di un’agevolazione di tipo non occasionale non sia, di per sé, ostativa all’applicazione del “controllo giudiziario volontario”.
In definitiva, sembra allora potersi dire, con le parole dell’Autore sopra richiamato, che «la verifica dei “presupposti” postulata dalla legge va […] calibrata su una valutazione che abbia il suo fulcro nella praticabilità di un programma di “bonifica” dell’azienda istante, ossia un programma volto a rendere l’ente economico sufficientemente presidiato dal rischio di infiltrazioni mafiose. […] E così, non va escluso a priori che in una situazione in cui è stata rilevata una forma di “agevolazione stabile”, l’azienda si presenti tuttavia potenzialmente in grado di liberarsi dalla commistione di interessi mafiosi»[54].
Anche questa prospettiva, che a chi scrive sembra avallata da alcuni passaggi della sentenza in commento, deve essere salutata con favore, perché si sforza di rendere il più possibile “sostenibile” la prevenzione patrimoniale, orientandola verso il minor sacrificio necessario.
[1] Cfr. Cass. pen., Sez. VI, ord. 15 maggio 2019 (dep. 3 giugno 2019), n. 24661, Pres. Fidelbo, Rel. Costanzo, §1.3 del “considerato in diritto”, in Dir. Pen. Cont., 13 giugno 2019, con nota di D. Albanese, Alle Sezioni Unite una questione in tema di “controllo giudiziario delle aziende” ex art. 34-bis d.lgs. 159/2011: appello, ricorso per cassazione o nessun mezzo di impugnazione?
[2] Questo il principio di diritto affermato al §6 del “considerato in diritto” della sentenza in esame: «Il provvedimento con cui il tribunale competente per le misure di prevenzione neghi l’applicazione del controllo giudiziario richiesto ex art. 34-bis, comma 6, del d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, è impugnabile con ricorso alla corte di appello anche per il merito».
[3] Cfr. §4.3 del “considerato in diritto” della sentenza in esame.
[4] Cfr. § 2.5 del “considerato in diritto” della sentenza in esame.
[5] Cfr. §2 del “considerato in diritto” della sentenza in esame.
[6] Per una panoramica sulle novità apportate da questa riforma cfr. l’efficace sintesi di S. Finocchiaro, La riforma del codice antimafia (e non solo): uno sguardo d’insieme alle modifiche appena introdotte, in Dir. Pen. Cont., 3 ottobre 2017.
[7] L’art. 34 d.lgs. 159/2011 è oggi rubricato “l’amministrazione giudiziaria dei beni connessi ad attività economiche e delle aziende”. Sul «cuore antico» di questa giovane misura cfr., in dottrina, G. Tona – C. Visconti, Nuove pericolosità e nuove misure di prevenzione: percorsi contorti e prospettive aperte nella riforma del codice antimafia, in Leg. Pen. (web), 14 febbraio 2018, §5.
[8] Cfr. §2.3 del “considerato in diritto” della sentenza in esame.
[9] Cfr. Corte cost., 8 novembre 1995 (dep. 20 novembre 1995), n. 487.
[10] La “sospensione temporanea dall’amministrazione dei beni” era disciplinata dagli artt. 3-quater e 3-quinquies della l. 31 maggio 1965, n. 575, disposizioni introdotte dall’art. 24 del d.l. 8 giugno 1992, n. 306.
[11] Cfr. §2.1 del “considerato in diritto” della sentenza in esame.
[12] Cfr. §2.2 del “considerato in diritto” della sentenza in esame.
[13] Cfr., in particolare, l’art. 5, co. 1, lett. a), che aveva modificato l’art. 34, co. 7, d.lgs. 159/2011.
[14] Cfr. §2.3 del “considerato in diritto” della sentenza in esame. In dottrina cfr. T. Alesci, I presupposti ed i limiti del nuovo controllo giudiziario nel codice antimafia, in Giur. it., 2018, VI, p. 1518 ss., §2.
[15] Così G. Tona – C. Visconti, Nuove pericolosità e nuove misure di prevenzione: percorsi contorti e prospettive aperte nella riforma del codice antimafia, cit., § 5.2.
[16] Per questa e la precedente citazione cfr. F. Balato, La nuova fisionomia delle misure di prevenzione patrimoniali: il controllo giudiziario delle aziende e delle attività economiche di cui all'art. 34-bis codice antimafia, in Dir. Pen. Cont., 12 marzo 2019, p. 64.
[17] Si tratta, comunque, di disposizioni «di non facile lettura», come osserva M. Bontempelli, L’accertamento penale alla prova della nuova prevenzione antimafia, in Dir. Pen. Cont., 11 luglio 2018, p. 10.
Secondo C. Visconti, Contro le mafie non solo confisca ma anche “bonifiche” giudiziarie per imprese infiltrate: l’esempio milanese (working paper), in Dir. Pen. Cont., 20 gennaio 2012, p. 3, l’amministrazione giudiziaria ex art. 34 cod. ant. rappresenta un istituto «sotto-utilizzato nella prassi anche a causa di una trama normativa che certamente non brilla per chiarezza quanto a portata e scopi della procedura».
[18] Cfr. art. 34, co. I, d.lgs. 159/2011.
[19] In questo senso si esprimono le Sezioni unite al §2.3 del “considerato in diritto” della sentenza in esame.
[20] Cfr. C. Visconti, Il controllo giudiziario “volontario”: una moderna “messa alla prova” aziendale per una tutela recuperatoria contro le infiltrazioni mafiose, in Dir. Pen Cont., 23 settembre 2019, p. 1.
[21] Si badi, però, che tale richiesta può riguardare solo il controllo giudiziario di cui all’art. 34-bis, co. 2, lett. b), cod. ant., cui consegue la nomina di un giudice delegato e di un amministratore giudiziario.
[22] Cfr. C. Visconti, Il controllo giudiziario “volontario”: una moderna “messa alla prova” aziendale per una tutela recuperatoria contro le infiltrazioni mafiose, cit.
[23] Cfr. §2.5 del “considerato in diritto” della sentenza in esame.
[24] Cfr. Cass. pen., Sez. I, 7 maggio 2019, n. 29487, §2.1 del “considerato in diritto”, secondo cui «le disposizioni contenute nell’articolo 34 e nell’art. 34-bis del d.lgs. n.159 del 2011 vanno “lette insieme” in quanto rappresentano – nelle intenzioni del legislatore – un “sotto-sistema” con pretese di omogeneità».
[25] Cfr. §2.5 del “considerato in diritto” della sentenza in esame.
[26] Cfr. §2.5 del “considerato in diritto” della sentenza in esame, ove i giudici di legittimità richiamano Cass. pen., Sez. I, 7 maggio 2019, n. 29487.
[27] Cfr. §2.5 del “considerato in diritto” della sentenza in esame.
[28] Cfr. §2.5 del “considerato in diritto” della sentenza in esame.
[29] Per questa e la precedente citazione cfr. §2.5 del “considerato in diritto” della sentenza in esame.
[30] Cfr. §2.5 del “considerato in diritto” della sentenza in esame.
[31] Per questa e la precedente citazione cfr. §2.6 del “considerato in diritto”.
[32] Cfr. §2 del “considerato in diritto” della sentenza in esame.
[33] Cfr. §2.2 del “considerato in diritto” della sentenza in esame. Sul punto, cfr. anche §4.1 del “considerato in diritto” della sentenza in esame, ove le Sezioni unite illustrano ulteriori interessanti precedenti in cui la giurisprudenza avrebbe fatto ricorso all’applicazione analogica in relazione ai mezzi di impugnazione esperibili in materia di misure di prevenzione patrimoniali.
[34] Cfr. §2.5 del “considerato in diritto” della sentenza in esame.
[35] In questo senso cfr. Cass. pen., Sez. V, 2 luglio 2018, n. 34526; Cass. pen., Sez. II, 13 febbraio 2019, n. 18564; Cass. pen., Sez. II, 14 febbraio 2019, n. 17451; Cass. pen., Sez. II, 12 aprile 2019, n. 31280.
[36] Cfr. §4.1 del “considerato in diritto” della sentenza in esame.
[37] Così è massimata Cass. pen., Sez. Un., 6 novembre 1992, n. 17, Rv. 191786-01 (corsivi aggiunti).
[38] Cfr. §4.1 del “considerato in diritto” della sentenza in esame.
[39] In tal senso cfr. Cass. pen., Sez. VI, 4 aprile 2019, n. 22889; Cass. pen., Sez. VI, 9 maggio 2019, n. 26342.
[40] Cfr. §4.2 del “considerato in diritto” della sentenza in esame.
[41] Per le citazioni contenute in questo periodo cfr. §4.2 del “considerato in diritto” della sentenza in esame.
[42] Cfr. §4.2 del “considerato in diritto” della sentenza in esame.
[43] Cfr. §4.3 del “considerato in diritto” della sentenza in esame.
[44] Per le citazioni contenute in questo periodo cfr. §5 del “considerato in diritto” della sentenza in esame (corsivi aggiunti).
[45] Cfr. D. Albanese, Alle Sezioni Unite una questione in tema di “controllo giudiziario delle aziende” ex art. 34-bis…, cit., §9.
[46] Cfr. supra, §7.
[47] Cfr. D. Albanese, Alle Sezioni Unite una questione in tema di “controllo giudiziario delle aziende” ex art. 34-bis…, cit., §10.
[48] Cfr. G. Francolini, Questioni processuali in tema di applicazione del controllo giudiziario delle aziende ex art. 34-bis, comma 6, d.lgs. 159/2011, in Dir. Pen. Cont., 25 settembre 2019, pp. 12-13.
[49] Cfr. §2.5 del “considerato in diritto” della sentenza in esame.
[50] Per questa e la precedente citazione cfr. C. Visconti, Il controllo giudiziario “volontario”: una moderna “messa alla prova” aziendale per una tutela recuperatoria contro le infiltrazioni mafiose, cit., p. 5. Cfr. anche p. 5 ss. per i richiami giurisprudenziali.
[51] Cfr. supra, §3.
[52] Cfr. §2.5 del “considerato in diritto” della sentenza in esame.
[53] Per questa e la precedente citazione cfr. §2.5 del “considerato in diritto” della sentenza in esame.
[54] Cfr. C. Visconti, Il controllo giudiziario “volontario”: una moderna “messa alla prova” aziendale per una tutela recuperatoria contro le infiltrazioni mafiose, cit., p. 15. Così prosegue, efficacemente, l’Autore: «Pensiamo, ad esempio, a un’impresa di grandi o anche medie dimensioni che risulta condizionata stabilmente da interessi mafiosi nella selezione dei fornitori: basterà, in tal caso, individuare le persone fisiche responsabili ed estrometterle definitivamente dalla gestione, dotare l’organizzazione aziendale di un efficace corpo procedurale con relative unità funzionali dedicate alla qualificazione e analisi delle controparti, nonché monitorare nel tempo il funzionamento effettivo delle soluzioni adottate ai fini preventivi».