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03 Dicembre 2019


Le Sezioni unite sul reato di trasgressione al divieto di partecipare a pubbliche riunioni imposto con la misura di prevenzione della sorveglianza speciale (art. 75 codice antimafia)

Cass. pen., Sez. Un., 28 marzo 2019 (dep. 18 novembre 2019), n. 46595, Pres. Carcano, Rel. Rocchi, ric. Acquaviva e altro



1. Un’ulteriore importante pronuncia s’innesta nel composito sistema delle misure di prevenzione, particolarmente scosso dall’onda della sentenza de Tommaso della Corte europea dei diritti dell’uomo.

A venire in rilievo ancora una volta è l’ambito applicativo dell’art. 75 d.lgs. 159/2011 (c.d. codice antimafia). Tale norma punisce – con una pena detentiva che può arrivare fino a cinque anni – colui che non osserva gli obblighi e le prescrizioni impostegli dal giudice della prevenzione con la misura della sorveglianza speciale. Obblighi e prescrizioni tra i quali figura anche, ai sensi dell’art. 8, comma 4 cod. ant., il divieto di “partecipare a pubbliche riunioni”.

Sul perimetro di quest’ultimo divieto – che il giudice della prevenzione deve “in ogni caso” imporre – si era aperto un contrasto interpretativo in seno alla giurisprudenza di legittimità, che la prima Sezione aveva chiesto al supremo organo nomofilattico di dirimere. In particolare si domandava “se, ed in quali limiti la partecipazione del soggetto sottoposto alla sorveglianza speciale di pubblica sicurezza ad una manifestazione sportiva tenuta in luogo aperto al pubblico risulti fatto punibile, in riferimento al reato di violazione delle prescrizioni imposte al sorvegliato speciale di cui agli artt. 8 e 75 Cod. Ant.”.

Le Sezioni unite, con la pronuncia in commento, hanno offerto al quesito risposta negativa, facendo leva sulla distinzione, tratta direttamente dall’art. 17 Cost., tra riunioni in “luogo aperto al pubblico” (art. 17, comma 2) e riunioni in “luogo pubblico” (art. 17, comma 3). La Suprema Corte ha così formulato il principio di diritto secondo cui “la prescrizione di non partecipare a pubbliche riunioni, che deve essere in ogni caso dettata in sede di applicazione della misura di prevenzione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza ai sensi del D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 8, comma 4, si riferisce esclusivamente alle riunioni in luogo pubblico”.

Ricostruiamo dunque l’iter argomentativo della sentenza della Corte, conclusasi con un annullamento senza rinvio perché il fatto non sussiste limitatamente alla violazione della prescrizione di non partecipare a pubbliche riunioni.

 

2. Anzitutto, però, un cenno al caso di specie. La vicenda da cui origina la sentenza vede due persone imputate per il reato di cui all’art. 75 cod. ant. per aver violato la prescrizione di non partecipare a “pubbliche riunioni” o a “manifestazioni di qualsiasi genere”, in quanto sorprese ad assistere ad un torneo internazionale di tennis.

Ai medesimi soggetti era contestato anche di aver violato la prescrizione di “non associarsi a persone che abbiano subito condanne o siano sottoposte a misure di prevenzione o di sicurezza”: questa seconda violazione non rientra tuttavia nell’ambito del quesito rivolto alle Sezioni unite, che infatti se ne occupano solamente nella parte finale della sentenza (par. 21 del considerato in diritto), al fine di rigettare il relativo ricorso degli imputati.

 

3. Le Sezioni unite, come anticipato, sono state chiamate a dirimere un contrasto circa l’estensione dell’obbligo – che consegue in ogni caso all’applicazione della misura della sorveglianza speciale – di non partecipare a “pubbliche riunioni”[1]. Di riflesso, la questione involge l’ambito applicativo del reato di cui all’art. 75 cod. ant. (che costituisce peraltro la trasposizione della fattispecie originariamente prevista dall’art. 9 della l. 1423/1956). Infatti, il contenuto precettivo di tale norma incriminatrice è costruito per relationem agli obblighi e alle prescrizioni che il giudice della prevenzione impone al destinatario della sorveglianza speciale ai sensi dell’art. 8 cod. ant.

 

4. La Suprema Corte rammenta anzitutto come la materia in esame sia stata oggetto di pronunce della Corte Costituzionale (sentt. nn. 177/1980, 24/2019, 25/2019), delle Sezioni Unite della Cassazione (sentenze n. 32923/2014, Sinigaglia e 40076/2017, Paternò) e della Corte europea dei diritti dell’uomo (Grande Camera, sent. 23 febbraio 2017, de Tommaso c. Italia).

Nella sentenza de Tommaso, in particolare, la Corte di Strasburgo non aveva solo condannato l’Italia in ragione dell’eccessiva imprecisione delle fattispecie di c.d. pericolosità generica (art. 1 lett. a e b cod. ant.) e degli obblighi di “vivere onestamente e rispettare le leggi” e di “non dare ragione alcuna ai sospetti”: prescrizioni – anch’esse imposte con la misura della sorveglianza speciale – la cui vaghezza è stata ritenuta in contrasto con il principio di legalità. La Corte europea si era anche esplicitamente detta “preoccupata del fatto che le misure previste dalla legge e applicate al ricorrente comprendono l’assoluto divieto di partecipare a riunioni pubbliche. Tale preoccupazione scaturiva dal fatto che “[l]a legge non specifica alcun limite temporale o spaziale di questa libertà fondamentale, la cui restrizione è lasciata interamente alla discrezione del giudice (par. 123 della sentenza de Tommaso, nella traduzione ufficiale del Ministero della giustizia).

 

5. Le ricadute di tale dictum della Corte europea non sono state intese in senso sempre univoco dalla giurisprudenza di legittimità, che ha infatti percorso almeno tre diverse strade.

i) La “soluzione Pellegrini”. Una prima pronuncia (Cass., sez. I, n. 31322/2018, Pellegrini) si era orientata nel senso di ritenere che il rinvio contenuto nell’art. 75 cod ant. alle prescrizioni inerenti alla sorveglianza speciale andasse interpretato come non comprensivo del divieto di partecipare a pubbliche riunioni, in quanto l’indeterminatezza della nozione di “pubblica riunione” comporta la mancanza di tassatività della fattispecie.

Si offriva in questo modo una c.d. rilettura “tassativizzante” della norma incriminatrice, al dichiarato scopo di interpretarla in senso costituzionalmente e convenzionalmente orientato al principio di legalità, sub specie di precisione e determinatezza.

Un’analoga operazione ermeneutica di “riduzione teleologica della fattispecie”[2] era stata impiegata dalle Sezioni Unite Paternò nel 2017 in riferimento agli obblighi di “vivere onestamente e rispettare le leggi”, la cui violazione – si era affermato – non poteva integrare il precetto di cui all’art. 75 cod. ant.[3]

ii) La “soluzione Lo Giudice”. Secondo un’opposta opzione interpretativa (Cass., sez. I, n. 28261/2018, Lo Giudice) la violazione del divieto di partecipare a pubbliche riunioni integrerebbe il reato di cui all’art. 75 cod. ant.; e tale divieto riguarderebbe qualsiasi riunione di più persone in un luogo pubblico o aperto al pubblico, al quale abbia facoltà di accesso un numero indeterminato di persone, indipendentemente dal motivo della riunione.

Si è cioè ritenuto che il divieto di partecipare a pubbliche riunioni costituisse una prescrizione specifica e giustificata dall’esigenza di impedire o contenere possibili occasioni di incontro del sorvegliato speciale con altri soggetti, esigenza che prescinde dalle ragioni della riunione, rilevando piuttosto l'impossibilità di un controllo adeguato da parte degli organi di pubblica sicurezza.

iii) La “soluzione Sassano”. Una terza pronuncia (Cass., sez. I, n. 49731/2018, Sassano) ha ritenuto che un’interpretazione convenzionalmente orientata alla luce della sentenza de Tommaso imponga al giudice penale di argomentare in concreto in ordine alla “significatività” della violazione della prescrizione, indicando le ragioni per cui la prescrizione di non partecipare a pubbliche riunioni si rendesse, nel singolo caso concreto, necessaria in funzione del controllo della pericolosità sociale del prevenuto, al fine di evitare compressioni generalizzate di una libertà fondamentale, oggetto di presidio costituzionale. Si richiedeva, in sostanza, un accertamento dell’offensività in concreto della condotta oggettivamente integrante gli estremi del reato.

 

6. Nessuna di queste tre soluzioni viene integralmente accolta dalle Sezioni unite, le quali – come si vedrà – sposano una soluzione intermedia e, per certi versi, eclettica.

6.1. La tesi espressa dalla sentenza Pellegrini, sulla scia della pronuncia Paternò, non è ritenuta convincente dalle Sezioni unite sulla base di vari argomenti.

La Suprema Corte dubita anzitutto che l’operazione di “riduzione teleologica” cui hanno fatto ricorso queste due pronunce possa spingersi fino ad escludere tout court una responsabilità penale da inottemperanza al divieto di partecipare a pubbliche riunioni. Una simile operazione si risolverebbe in una sostanziale interpretatio abrogans. Si avrebbe cioè una disapplicazione della previsione normativa, laddove invece il vulnus costituzionale andrebbe risolto sollevando questione di legittimità costituzionale della norma interna per contrasto con l’art. 117, comma 1, Cost. in combinato con la norma sovranazionale che tutela il diritto che si assume violato (par. 14 del considerato in diritto). Soluzione, questa del rinvio pregiudiziale alla Consulta, che era infatti stata percorsa dalla seconda Sezione della Cassazione nell’ordinanza Sorresso[4], da cui è scaturita la pronuncia della Corte costituzionale n. 25 del 2019, che ha dichiarato parzialmente illegittimo l’art. 75, cod. ant. nella parte in cui sanziona penalmente la violazione delle prescrizioni di “vivere onestamente” e di “rispettare le leggi” imposte con la sorveglianza speciale[5].

Peraltro, si aggiunge, nella sentenza de Tommaso il divieto di partecipare a pubbliche riunioni veniva criticato non in ragione di un deficit di conoscibilità, bensì per la sua eccessiva ampiezza e, dunque, per l’assolutezza della compressione della relativa libertà. Non smentisce tale assunto il riferimento che la Corte Edu fa alla “restrizione (...) lasciata interamente alla discrezione del giudice”, che sembrerebbe effettivamente evocare anche il vizio della incertezza del contenuto della prescrizione: al riguardo le Sezioni unite osservano che si tratta di un “accenno non del tutto chiaro, tenuto conto, da una parte, che il tribunale che applica la misura di prevenzione non ha discrezionalità nel graduare la restrizione della libertà di partecipare alle riunioni pubbliche (che “deve in ogni caso prescrivere” ai sensi del D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 8, comma 4), dall'altra che […] la prescrizione, per essere concretamente applicabile, non necessita di ulteriori specificazioni” (par. 6 e 14 del considerato in diritto).

Da ciò il punto debole della “soluzione Pellegrini”: quello di adottare la medesima operazione tassativizzante sperimentata dalle Sezioni unite Paternò in relazione a una prescrizione del tutto diversa e fatta oggetto di una differente censura da parte della Corte europea. Un medesimo intervento, a fronte di prescrizioni distinte censurate per ragioni diverse, non pare potersi giustificare. Mentre gli obblighi di “vivere onestamente” e “rispettare le leggi” non possono considerarsi vere e proprie prescrizioni aventi contenuto precettivo, non imponendo comportamenti specifici ma un mero ammonimento "morale" valevole per ogni consociato; invece, il divieto di partecipare a pubbliche riunioni rappresenta una prescrizione specifica, che non grava su tutti i consociati e che anzi delimita oggettivamente un diritto che la Costituzione riconosce in capo a tutti gli altri consociati (par. 15 del considerato in diritto).

Ancora, e soprattutto, la “soluzione Pellegrini” è ritenuta poco convincente in quanto non verifica la possibilità di individuare una definizione unitaria e conoscibile di “pubblica riunione”. Osserva infatti la Suprema Corte che, se il problema è la conoscibilità della norma da parte del destinatario, occorre allora verificare se le diverse nozioni di pubblica riunione alle quali fanno riferimento, espressamente o meno, varie norme dell’ordinamento (art. 266 c.p.; art. 18 T.u.l.p.s.; art. 4 l. 110/1975) presentino un’intersezione comune; cioè se esista una ristretta nozione di “pubblica riunione” che tutte le norme contengono.

Le Sezioni unite offrono risposta affermativa a tale quesito e concludono che “esiste una soluzione interpretativa che rende determinato il contenuto della norma incriminatrice, elimina l’eccessiva discrezionalità del giudice penale nell'applicazione della norma e permette la conoscibilità del precetto, così orientando il comportamento dei destinatari” (par. 14 del considerato in diritto).

Su quale sia tale soluzione interpretativa accolta dalle Sezioni unite torneremo tra un attimo (infra, § 7 ss.).

 

6.2. Neppure convincente è apparsa la soluzione accolta nella sentenza Lo Giudice, che – in linea con precedenti sentenze[6] – estendeva il precetto a qualsiasi riunione di più persone in un luogo pubblico o aperto al pubblico.

Tale soluzione non persuade la Suprema Corte per due essenziali ragioni. In primo luogo perché muove da una “inversione logico-giuridica per effetto della quale la ratio giustificatrice della fattispecie assurge ad elemento integrativo di quest'ultima”. Inoltre perché tale interpretazione conduce ad una nozione della prescrizione in esame eccessivamente ampia, che lascia spazio alla discrezionalità del giudice penale, a discapito della conoscibilità della norma penale da parte del destinatario e della conseguente prevedibilità delle conseguenze della sua condotta (par. 16 del considerato in diritto).

 

6.3. Quanto infine alla soluzione espressa nella sentenza Sassano, secondo cui occorrerebbe una verifica in concreto dell’offensività della violazione della prescrizione, le Sezioni unite si limitano ad osservare come essa risulti “superflua” (par. 17 del considerato in diritto). Ciò, da un lato, perché tutte le prescrizioni obbligatorie di cui all’art. 8 cod. ant. (ormai solo cinque, a seguito degli interventi del legislatore e della giurisprudenza) risultano “significative rispetto alla finalità perseguita dal legislatore di consentire una sorveglianza sul soggetto pericoloso al fine di evitare la commissione di reati” e, dunque, la sanzione penale appare ragionevole. Dall’altro lato, perché una tale verifica in concreto dell’offensività non appare più necessaria – salvo quanto si dirà circa i casi di “ipotesi estreme” (infra, § 8) – una volta accolta la nozione ristretta di “pubblica riunione” su cui è ora il momento di soffermarsi.

 

7. La soluzione interpretativa accolta dalle Sezioni unite risiede nell’individuazione di una nozione unitaria (e ristretta) di “pubblica riunione”, tratta dall’art. 17 Cost.

Tale norma, dopo aver statuito che “i cittadini hanno diritto di riunirsi pacificamente e senz’armi” (art. 17, comma 1), detta una separata disciplina in riferimento alle riunioni in “luogo aperto al pubblico” (art. 17, comma 2), per le quali “non è richiesto preavviso”, e in riferimento a quelle in “luogo pubblico” (art. 17, comma 3), per le quali invece “deve essere dato preavviso alle autorità, che possono vietarle soltanto per comprovati motivi di sicurezza o di incolumità pubblica”.

A questa stessa norma aveva peraltro fatto riferimento espresso la Corte costituzionale nella sentenza n. 27 del 1959, laddove aveva dichiarato infondata una questione sollevata – proprio in relazione agli artt. 16 e 17 Cost. – sulla norma (allora art. 5 l. 1423/1956, solo dopo confluita nel codice antimafia) che permette al giudice della prevenzione di imporre, tra l’altro, il divieto di “partecipare a pubbliche riunioni”.

In quell’occasione la Consulta aveva affermato che l’art. 17 Cost. “consente il divieto delle pubbliche riunioni per comprovati motivi di sicurezza e di incolumità pubblica”, in questo modo riconducendo la nozione di “pubbliche riunioni” proprio all’ipotesi di cui al terzo comma dell’art. 17 Cost., e cioè alle riunioni in “luogo pubblico”[7].

Da qui la conclusione delle Sezioni unite, le quali – in un passaggio in definitiva centrale nell’economia della motivazione – affermano che “[s]e, quindi, la limitazione del diritto di riunione in ragione di una misura di prevenzione è costituzionalmente legittima solo se si tratta di "riunioni in luogo pubblico" – la Corte Costituzionale ritenne, evidentemente, che l'art. 17, comma 3 permetta alle autorità sia di vietare la riunione che di vietare ad una singola persona di partecipare alla riunione – è inevitabile e corretto ritenere che le "pubbliche riunioni" di cui al D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 8, comma 4 altro non siano che le "riunioni in luogo pubblico" cui fa riferimento l'art. 17 Cost.” (par. 16 del considerato in diritto).

Questa soluzione interpretativa – che era peraltro stata condivisa all’indomani della sentenza de Tommaso anche da buona parte della giurisprudenza di merito[8] – è ritenuta dalla Corte pienamente rispondente alle esigenze: a) di rendere certo il contenuto della prescrizione; b) di escludere ogni discrezionalità del giudice penale nell’applicazione della norma incriminatrice; c) di ridurre al minimo la compressione del diritto di riunione nel senso auspicato dalla Corte europea nella setenza de Tommaso; d) di sanzionare penalmente solo condotte sintomatiche della pericolosità del soggetto che determinano un annullamento di fatto della misura di prevenzione, dato che la partecipazione ad una riunione in luogo pubblico rende quantomeno difficoltosa la sorveglianza del soggetto.

 

8. Tuttavia, la nitida affermazione per cui possono considerarsi “pubbliche riunioni” ex art. 8, comma 4, cod. ant. solo quelle in “luogo pubblico” viene dalle Sezioni unite smussata, in quanto viene previsto che in “ipotesi estreme” il precetto penale possa ritenersi non integrato, nonostante l’oggettiva partecipazione del soggetto alla pubblica riunione (par. 17 del considerato in diritto).

La locuzione “ipotesi estreme” era già stata impiegata dalla Corte costituzionale nella citata sentenza n. 27 del 1959 menzionando, con riferimento alle pubbliche riunioni, la partecipazione a funzioni di culto, a comizi elettorali e – per ciò che nel caso di specie maggiormente rileva – alle riunioni sportive. La Consulta osservava che in questi casi occorre da parte del giudice “una determinazione dei concreti elementi di fatto che concorrono volta per volta a realizzare la fattispecie del reato di trasgressione agli obblighi della sorveglianza speciale”. Si richiedeva cioè un accertamento in concreto, anche alla luce del carattere eccezionale delle limitazioni delle libertà in questione.

Le Sezioni unite ammettono pertanto che vi siano delle situazioni (“estreme” appunto) nelle quali la trasgressione del divieto non integra il reato in questione, secondo un meccanismo di selezione delle condotte realmente tipiche analogo a quello cui fanno riferimento le già citate sentenze Sinigaglia e Paternò.

In particolare le Sezioni unite chiariscono che il soggetto sottoposto a sorveglianza speciale “potrà chiedere al Tribunale l’autorizzazione a partecipare a quella riunione pubblica e, comunque, chiamato a rispondere della violazione della prescrizione, avrà l’onere di allegare e dimostrare che la sua condotta era inoffensiva in quanto la partecipazione alla pubblica riunione era giustificata da motivi validi; in mancanza di tali allegazioni e tal[i] prove non sembra vi sia spazio per il giudice penale di ritenere la condotta inoffensiva sulla base di una valutazione astratta [...]”. Non si tratterebbe neppure di un vero e proprio onere probatorio, perchè “i motivi giustificanti la violazione potrebbero venire a conoscenza del giudice anche da altre fonti (ad esempio, la stessa polizia giudiziaria)” (par. 17 del considerato in diritto).

In sostanza, si esclude che il giudice penale abbia un onere di motivazione aggiuntiva circa l’offensività della violazione della prescrizione, essendo tale valutazione già compiuta a monte dal legislatore. Ma, qualora dagli atti emergano le specifiche circostanze cui si è accennato, il giudice potrà in concreto ritenere giustificata la partecipazione alla pubblica riunione.

 

9. Appare indubbio, come osservano le stesse Sezioni unite (par. 18 del considerato in diritto), che l’interpretazione offerta nella presente sentenza riduce sensibilmente la portata della prescrizione di non partecipare a pubbliche riunioni. Rimangono infatti escluse dal divieto le riunioni in luoghi “aperti al pubblico”, tra cui – ad esempio – le manifestazioni sportive che si svolgano in stadi o palasport.

Rispetto ad esse, tuttavia, resta comunque in vigore l’autonoma disciplina di cui alla legge n. 401/1989 (“Interventi nel settore del giuoco e delle scommesse clandestini e tutela della correttezza nello svolgimento di manifestazioni sportive”), che contempla anche la misura di prevenzione del divieto di accesso alle manifestazioni sportive.

Inoltre – chiosa la Suprema Corte – non deve concludersi che dalla lettura restrittiva accolta discenda necessariamente un indebolimento della misura di prevenzione della sorveglianza speciale. Va infatti rammentato che, ai sensi dell’art. 8, comma 5, cod. ant., il giudice che applica la misura di prevenzione dispone del potere di imporre “tutte le prescrizioni che ravvisi necessarie, avuto riguardo alle esigenze di difesa sociale”. Facoltà, quest’ultima, che – secondo le Sezioni unite – permette di configurare la misura di prevenzione “in maniera personalizzata sul soggetto, tenendo conto dei motivi che la giustificano” e consentendo peraltro “un contraddittorio pieno già in sede di applicazione della misura, con le impugnazioni previste, con l'ulteriore conseguenza che anche il giudice penale potrà più facilmente valutare l’offensività di una violazione, essendo la prescrizione dettata in rapporto alla pericolosità del soggetto” (par. 18 del considerato in diritto).

Nel decreto di prevenzione, dunque, sarà “in ogni caso” disposto il divieto di partecipare a riunioni “in luogo pubblico”, secondo la ristretta nozione sopra evidenziata; ma ben potrà il giudice prevedere eventualmente anche il divieto di partecipare a riunioni di tipo diverso, ad esempio “in luoghi aperti al pubblico”, a condizione però che detti prescrizioni specifiche, con una motivazione adeguata e che le giustifichi alla luce della pericolosità del soggetto.

Non sono invece sufficienti formule generali e stereotipate – come quella utilizzata nel caso di specie: “manifestazioni di qualsiasi genere” (supra, § 2) – che evidentemente si caratterizzano per una eccessiva genericità, in contrasto con le sopra ricordate esigenze di precisione e prevedibilità.

 

[1] La questione era stata rimessa alle Sezioni unite da Cass., Sez. I, ord. 19 dicembre 2018 (dep. 17 gennaio 2019), n. 2124, Pres. Bonito, Rel. Magi, ric. Acquaviva e altro, con nota di E. Zuffada, Alle sezioni unite una nuova questione relativa alla configurabilità del reato di cui all'art. 75 cod. antimafia, questa volta in caso di trasgressione del divieto di partecipare a pubbliche riunioni, in Dir pen. cont., 6 marzo 2019.

[3] Corte cass., sez. un., 27 aprile (dep. 5 settembre) 2017, n. 40076, Paternò, con nota di F. Basile, Le Sezioni unite “Paternò”, con quel che precede e quel che segue. Quale futuro per le misure di prevenzione?, in Giur. it., 2018, II, p. 455 ss.; G. Biondi, Le Sezioni unite Paternò e le ricadute della sentenza della Corte Edu De Tommaso c. Italia sul delitto ex art. 75, comma 2, d.lgs. n. 159/2011: luci ed ombre di una sentenza attesa, in Dir. pen. cont., fasc. 10/2017, p. 163 ss.; F. Viganò, Le Sezioni unite ridisegnano i confini del delitto di violazione delle prescrizioni, cit., p. 146 ss.

[4] Cass., sez. II, ord. 11 ottobre 2017 (dep. 26 ottobre 2017), n. 49194, Pres. De Crescienzo, Est. Recchione, imp. Sorresso, con nota di F. Viganò, Ancora sull’indeterminatezza delle prescrizioni inerenti alle misure di prevenzione: la seconda sezione della cassazione chiama in causa la corte costituzionale, in Dir. pen. cont., fasc. 10/2017, p. 272 ss.

[5] Corte cost., sent. 24 gennaio 2019 (dep. 27 febbraio 2019), n. 25, Pres. Lattanzi, Red. Amoroso, con nota, tra gli altri, di F. Mazzacuva, L’uno due dalla Consulta alla disciplina delle misure di prevenzione: punto di arrivo o principio di un ricollocamento sui binari costituzionali?, in Riv. it. dir. proc. pen., p. 987 ss.; e, volendo, di S. Finocchiaro, Due pronunce della corte costituzionale in tema di principio di legalità e misure di prevenzione a seguito della sentenza de Tommaso della Corte Edu, in Dir. pen. cont., 4 marzo 2019.

[6] L’interpretazione della nozione di “pubbliche riunioni” adottata dalla sentenza Lo Giudice conferma – come precisano le Sezioni unite al par. 10 del considerato in diritto – un orientamento già affermato da Cass, sez. I, 11 marzo 2003, n. 28964, D’Angelo, con riferimento alla partecipazione del sorvegliato speciale ad una partita di calcio allo stadio; e Cass., sez. I, 11 marzo 2015, n. 15870, Carpano; Cass., sez. I, 24 ottobre 2007, n. 42283, Pesce.

[7] Nella stessa sentenza n. 27 del 1959, la Corte costituzionale aveva peraltro affermato che “al giudice penale, cui la indagine spetta, non dovrà sfuggire nè il carattere eccezionale delle limitazioni di libertà in questione, che non può non riflettersi sul significato da attribuire ai termini adoperati dalla legge, nè la distinzione, che certo merita di essere considerata, fra i contatti sociali che la legge specificamente indica come pericolosi e quelli che costituiscono il normale e quotidiano svolgimento dei rapporti della vita, inibito di regola soltanto a chi è sottoposto a misure detentive”.

[8] Cfr., ad esempio, Trib. Milano, decreto 7 marzo 2017, con nota di S. Finocchiaro, Come non detto. Per il Tribunale di Milano la sentenza della Grande Camera de Tommaso in materia di misure di prevenzione non integra un precedente consolidato, in Dir. pen. cont., fasc. 4/2017, p. 319 ss.; Trib. Palermo, decreto 28 marzo 2017, con nota di F. Balato, Su talune recenti prese di distanza dalla sentenza della Corte Edu de Tommaso da parte della giurisprudenza di merito, in Dir. pen. cont., fasc. 4/2017, p. 316 ss.; Trib. Monza, Sez. unica pen., decr. 15 maggio 2017, pres. Pansini, est. Colella, con nota di S. Finocchiaro, Ancora in tema di ricadute della sentenza de Tommaso. Una pronuncia del Tribunale di Monza su misure di prevenzione e fattispecie di pericolosità ‘qualificata’, in Dir. pen. cont., fasc. 2/2018, p. 197 ss.