Decreto interministeriale del 15 dicembre 2023, n. 232, pubblicato sulla GU n. 51 del 1 marzo 2024
1. A sette anni dall’approvazione della legge 8 marzo 2017 n. 24 (cd Legge Gelli-Bianco), il decreto interministeriale 15 dicembre 2023, n. 232, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 51 del 1 marzo 2024 ed in vigore dal 16 marzo 2024 a seguito dell’ordinario periodo di vacatio legis, conferisce piena attuazione alla regolamentazione degli aspetti di responsabilità derivanti dall’esercizio della professione sanitaria – secondo quando prescritto dall’art 10 comma 6 del sopra citato testo normativo – in un delicato bilanciamento tra le esigenze di tutela del paziente danneggiato e la necessità di arginare il fenomeno patologico della medicina difensiva[1].
2. Nel dettaglio, il decreto in commento realizza il completamento del quadro normativo già delineato dalla Legge Gelli-Bianco lungo quattro linee direttrici (art. 2 del d.m. 232 del 2023): individua i requisiti minimi di garanzia delle polizze assicurative a carico delle strutture sanitarie e socio-sanitarie pubbliche e private e degli esercenti le professioni sanitarie la cui stipula risulta obbligatoria ai sensi dei commi 1, 2 e 3 dell'articolo 10 della Legge, nonché delle “altre analoghe misure” così come previste dall’art. 10 comma 1 della legge 24/17; predispone le regole per il trasferimento del rischio nel caso di subentro contrattuale di un'impresa di assicurazione; prescrive la previsione nel bilancio delle strutture di un fondo rischi e di un fondo costituito dalla messa a riserva per competenza dei risarcimenti relativi ai sinistri denunciati.
Inoltre, secondo quanto già previsto dall’art. 12 c. 6 della legge 24 del 2017, è con il decreto ora emanato che diviene operativa la previsione dell’azione diretta (art. 12) esperibile dal danneggiato nei confronti dell’impresa di assicurazione ove quest’ultima presti la copertura assicurativa alle strutture sanitarie o sociosanitarie pubbliche o private tenute a dotarsene ai sensi dell’art. 10 c. 1 della legge 24 del 2017 e all'esercente la professione sanitaria che svolga la propria attività extra moenia o che presti la sua opera all'interno della stessa in regime libero-professionale (cd prestazioni intra moenia) ovvero che si avvalga della struttura per adempiere la propria obbligazione contrattuale assunta con il paziente (art. 10 c. 2 del testo legislativo).
Chiara è l’impronta di favor per il danneggiato da attività sanitaria, il quale può direttamente agire per ottenere il risarcimento oltre che contro l’autore dell’illecito anche contro l’assicuratore del responsabile in un ambito in cui vengono in rilievo diritti costituzionalmente tutelati (art. 32 della Carta Costituzionale).
3. Tanto premesso, è opportuno richiamare brevemente la disciplina su cui incide il testo di provenienza interministeriale, trattandosi del parametro normativo rilevante sia per il caso in cui il danneggiato agisca direttamente in sede civile lamentando un inadempimento al contratto di spedalità o un fatto illecito del sanitario produttivo di un danno risarcibile, sia per il caso in cui l’azione civile venga promossa in sede penale a seguito della tempestiva costituzione di parte civile (art. 76 c.p.p.).
I profili che più hanno sollecitato l’attenzione del Legislatore denotano, lo si ricorderà, la seria intenzione di quest’ultimo di ridurre l’allarmante ricorso alla prassi della medicina difensiva, pur senza determinare una compromissione della tutela del soggetto danneggiato da eventi di malasanità.
4. Sul fronte penalistico, si richiama l’introduzione del delitto di omicidio colposo o lesioni personali colpose di cui all’articolo 590 sexies c.p.[2] che al suo secondo comma – con l’inserimento di una inedita causa di esclusione della punibilità – espressamente esonera il sanitario da responsabilità qualora l’evento si sia verificato a causa di imperizia, se siano state rispettate le raccomandazioni previste dalle linee guida come definite e pubblicate ai sensi di legge ovvero, in mancanza di queste, le buone pratiche clinico-assistenziali e sempre che le raccomandazioni previste dalle predette linee guida risultino adeguate alle specificità del caso concreto. La giurisprudenza, all’esito del noto contrasto giurisprudenziale[3] che ha condotto i giudici di legittimità a pronunciarsi a Sezioni Unite sul tema[4], ha peraltro chiarito che l’ambito operativo della norma è limitato ai casi di imperizia per colpa lieve in fase esecutiva, non discostandosi dalla prassi, pur controversa, di mutuare il contenuto normativo dell’art. 2236 c.c. in ambito penalistico[5].
5. Sul fronte civilistico, invece, la composizione del conflitto tra esigenze contrapposte, si è raggiunta ribadendo la responsabilità dell’esercente la professione sanitaria al di sotto del paradigma di responsabilità di cui all’art. 1218 c.c. solo nel caso in cui questi abbia concluso un contratto di prestazione d’opera professionale con il paziente (art. 2230 c.c.), diversamente riconducendosi la responsabilità del sanitario nell’alveo della fattispecie extracontrattuale ai sensi dell’art. 2043 c.c. – senza più ricorso alla teoria del contatto sociale[6] – qualora non sia stato stipulato un contratto tra il paziente ed il sanitario e quest’ultimo operi come ausiliario della struttura ospedaliera, la quale risponde nei confronti dei terzi dell’adempimento della propria obbligazione ai sensi degli articoli 1218 e 1228 cc[7].
6. Nella stessa direzione, con il precipuo intento di moderare le conseguenze del rischio clinico gravanti sul sanitario, si muove la disciplina relativa all’azione di rivalsa esperibile dalla struttura sanitaria nei confronti del medico dopo aver risarcito il danno a favore del paziente, se da questi convenuta[8]. Il meccanismo previsto dal Legislatore mira alla realizzazione di un’equa distribuzione del quantum risarcitorio nei rapporti interni, tenendo conto del fatto che il medico che non abbia stipulato un contratto con il paziente assume la qualifica di danneggiante aquiliano e, come tale, risponde dell’illecito ex art. 2043 cc in solido con la struttura sanitaria (art. 2055 c.c.) la quale del primo deve avvalersi per l’adempimento della propria obbligazione (artt. 1218 c.c. e 1228 c.c.).
La Legge 24 del 2017 prevede infatti che il sanitario che abbia agito in assenza di un previo rapporto contrattuale con il paziente si vedrà esposto all’azione di rivalsa della struttura o all’azione di responsabilità amministrativa del Pubblico Ministero presso la Corte dei Conti (o alla surroga dell’assicuratore ex art. 1916 cc) solo qualora versi in dolo o in colpa grave: nel primo caso per una somma pari a quella oggetto di risarcimento e nel secondo nel limite della somma corrispondente al triplo del maggior reddito da lavoro percepito nell’anno in cui ha avuto inizio la condotta dannosa, in quello precedente o in quello successivo (art. 9 Legge Gelli Bianco)[9].
Qualora invece il sanitario abbia stipulato un contratto con il paziente, la rivalsa della struttura che ha risarcito il danno al paziente (al quale è legata dal contratto di spedalità) è pur sempre limitata alle ipotesi di dolo o colpa grave ma, in quest’ultimo caso, non opera il limite quantitativo suddetto.
7. Specularmente, come anticipato in apertura, la legge ha differenziato gli obblighi assicurativi (o le altre “analoghe misure”) che gravano sulle strutture sanitarie e sui sanitari che operano come liberi professionisti, da quelli cui sono tenuti gli esercenti la professione sanitaria che prestano attività professionale all’interno della struttura in base a un rapporto obbligatorio intercorrente unicamente con la stessa.
Per il primo caso l’art. 10 comma 1 della legge 24 del 2017 ha previsto l’obbligo per le strutture di munirsi di una copertura assicurativa o di altre analoghe misure per la responsabilità civile verso terzi a garanzia dei danni cagionati anche dal personale operante a qualsiasi titolo presso le suddette, nonché l’onere di stipulare una polizza assicurativa a garanzia dei danni che possono derivare a terzi dallo svolgimento dell’attività per il sanitario parte del contratto d’opera professionale da lui stesso concluso (art. 10 comma 2).
Per il secondo caso è a carico del sanitario la stipula di una polizza assicurativa per la colpa grave a sola garanzia dell’azione di rivalsa o di surroga dell’assicuratore (art. 10 comma 3).
8. Il decreto ora in vigore, in coerenza con il quadro sinora descritto, prevede all’art. 3 l’obbligo per l’assicuratore di tenere indenne la struttura – secondo i massimali individuati dal successivo articolo 4[10] – dai rischi derivanti dalla sua attività per la copertura della responsabilità contrattuale di quanto sia tenuta a pagare a titolo di risarcimento per danni patrimoniali e non patrimoniali cagionati a terzi e prestatori d'opera dal personale operante a qualunque titolo presso la stessa ai sensi degli artt. 1218 e 1228 cc. Prescrive inoltre all’assicuratore di manlevare l’esercente la professione sanitaria che abbia stipulato la polizza obbligatoria per l’esercizio dell’attività libero professionale secondo l’ipotesi di cui all’art. 10 c. 2 della legge Gelli-Bianco.
Diversa è, invece, la previsione di cui al terzo comma del medesimo articolo che espressamente correla la necessaria stipula di una polizza assicurativa per la colpa grave a carico dell’esercente la professione sanitaria operante a qualunque titolo in strutture sanitarie o sociosanitarie pubbliche o private all’esigenza di “garantire efficacia alle azioni di cui all'articolo 9 e all'articolo 12, comma 3”, ossia quelle di rivalsa. La ratio di tale previsione è dunque quella di garantire che il sanitario esposto all’azione di rivalsa sia assicurato nei limiti di quanto sia tenuto a restituire alla struttura che abbia risarcito il danno.
9. Nessuna novità per ciò che concerne le modalità mediante cui deve prestarsi la garanzia assicurativa (art. 5 del citato decreto) essendo ormai sopito il dibattito circa l’ammissibilità delle polizze con clausola claims made[11], operative anche in base a finestre di ultrattività per il caso di “cessazione definitiva per qualsiasi causa dell’attività dell’esercente la professione sanitaria” (art 5 c. d.m. 232 del 2024).
10. Punto focale del decreto è, come accennato, il fatto di aver reso applicabile anche in materia di responsabilità sanitaria[12] il meccanismo dell’azione diretta esperibile da parte del danneggiato sia nei confronti dell’impresa di assicurazione della struttura sanitaria convenuta per il risarcimento del danno, sia dell’assicuratore dell’esercente la professione sanitaria qualora convenuto dal paziente danneggiato che abbia con il primo concluso un contratto d’opera professionale.
Oltre all’azione ordinaria che il danneggiato può instaurare nei confronti del responsabile civile, sussiste quindi, su un piano di complementarietà, la possibilità di esercitare l’azione direttamente nei confronti dell’assicuratore. Ciò agevola le istanze risarcitorie del primo, anche attraverso la rigorosa limitazione delle eccezioni opponibili dalla compagnia assicuratrice convenuta secondo quanto previsto dall’art. 8 del d.m. 232 del 2023[13].
11. Una simile prospettiva consente di svolgere alcune riflessioni anche sul fronte processualpenalistico, nello specifico per ciò che riguarda la possibilità per il danneggiato costituitosi parte civile di chiedere la citazione dell’impresa assicuratrice quale responsabile civile (art. 83 cpp) a norma dell’art. 185 c. 2 cp. L’eventualità è da intendersi riferita al caso in cui l’azione penale venga esercitata contro il sanitario ed il paziente danneggiato – che con il primo abbia concluso un contratto – si sia costituito parte civile in via tempestiva e senza successivamente aver trasferito l’azione civile nella sua sedes materiae, ossia dinnanzi al giudice civile (art. 75 c. 3 cpp).
A seguito dell’entrata in vigore del d.m. in commento non sembrano esservi dubbi sull’ammissibilità di una tale ricostruzione. Pertanto può validamente affermarsi che un simile rimedio spetti al danneggiato sia che l’azione risarcitoria venga intentata in sede civile, sia che lo stesso decida di esercitare l’azione civile in sede penale.
12. Tale scenario non può invece ipotizzarsi qualora il paziente vanti nei confronti dell’imputato un diritto al risarcimento ex art. 2043 c.c. in quanto, in tale circostanza, non è ammessa l’azione diretta nei confronti dell’assicuratore dell’imputato-danneggiante, limitata ai casi in cui vi è l’obbligo di assicurazione per la responsabilità verso terzi e non per la sola rivalsa. In tale frangente, qualora il medico venga condannato anche al risarcimento del danno nei confronti della costituita parte civile, dovrebbe riconoscersi allo stesso – sulla base di ragionevoli esigenze di ripartizione del rischio risarcitorio ex art. 3 Cost.[14] – la possibilità di agire in rivalsa nei confronti della struttura sanitaria presso la quale abbia eseguito la prestazione causativa del danno per recuperare quanto non sarebbe stato tenuto a versare a titolo di risarcimento ove l’azione fosse stata intentata in sede civile nei confronti della sola struttura.
13. Per concludere, vale la pena interrogarsi sulla diversa ipotesi concernente la possibilità che sia lo stesso imputato a chiedere la citazione del proprio assicuratore in qualità di responsabilità civile per essere manlevato dall’azione risarcitoria già in sede penale.
La questione investe un ambito oggetto di dibattito dottrinale[15] e giurisprudenziale, su cui la Corte Costituzionale è già stata chiamata a pronunciarsi nella casistica che a breve sarà esaminata, nel costante bilanciamento tra le esigenze di speditezza del processo penale cui si correla il particolare rigore con il quale - nel codice di procedura penale del 1988 - devono essere misurate le disposizioni che regolano l’ingresso in sede penale di parti diverse da quelle necessarie in un’ottica di non aggravamento dell’iter processuale e la tutela degli interessi civili.
La facoltà spettante alla parte civile di richiedere la citazione del responsabile civile nel processo penale non è infatti analogamente riconosciuta all’imputato, né dal codice di rito odierno né dai precedenti (art. 549 del codice di procedura penale del 1865, art. 66 del codice del 1913 ed art. 110 del codice del 1930), “sebbene anche l’imputato possa avere interesse, una volta sottoposto all’azione risarcitoria della parte civile, a veder affermata nell’ambito dello stesso processo penale la corresponsabilità per i danni da reato di altri soggetti – verso i quali potrebbe avere un diritto alla manleva o di regresso – senza dover instaurare un autonomo giudizio civile “a valle” della propria condanna”[16].
14. Una prima pronuncia sul punto – successiva all’entrata in vigore del codice del 1988 – ha riguardato la materia della responsabilità civile derivante dalla assicurazione obbligatoria ai sensi della legge 24 dicembre 1969, n. 990 (in materia di circolazione stradale)[17].
La questione era sorta in un processo per omicidio colposo a seguito di circolazione di autoveicoli, materia in cui l’art. 18 c. 1 del testo normativo richiamato stabilisce che «il danneggiato per sinistro causato dalla circolazione di un veicolo o di un natante per i quali a norma della presente legge vi è l’obbligo di assicurazione ha azione diretta per il risarcimento del danno nei confronti dell’assicuratore, entro i limiti delle somme per le quali è stata stipulata l’assicurazione» e il successivo art. 23 prescrive un’ipotesi di litisconsorzio processuale necessario enunciando che «nel giudizio promosso contro l’assicuratore a norma dell’art. 18, comma primo, della presente legge, deve essere chiamato nel processo anche il responsabile del danno».
In tale sede, valorizzando il quadro normativo richiamato, la Consulta ha ritenuto sussistenti i presupposti per collocare la particolare responsabilità civile in esame tra i casi di responsabilità civile ex lege ai quali si riferisce il comma secondo dell’art. 185 del codice penale e, in un’ottica di equiparazione tra i poteri riconosciuti all’assicurato in sede civile e all’imputato in sede penale, ha affermato che «la posizione del convenuto chiamato a rispondere del proprio fatto illecito in autonomo giudizio civile e quella dell’imputato per il quale, in relazione allo stesso tipo di illecito, vi sia stata costituzione di parte civile del danneggiato nel processo penale sono assolutamente identiche: con la conseguenza che il principio costituzionale di eguaglianza è violato da un sistema come quello degli articoli 83 e seguenti del codice di procedura penale, per effetto del quale l’assicuratore, quando sia responsabile civile ai sensi di legge può entrare nel processo solo in forza di citazione della parte civile (o del pubblico ministero nel caso previsto dall’art. 77, numero 4) o in forza del proprio intervento volontario»[18].
Ha dunque dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 83 c.p.p. nella parte in cui non prevedeva che in caso di responsabilità civile derivante dalla assicurazione obbligatoria ai sensi della legge 24 dicembre 1969, n. 990 l’assicuratore potesse essere citato nel processo penale a richiesta dell’imputato, non tanto in virtù di una ingiustificata disparità di trattamento tra la posizione dell’imputato e quella della parte civile ma in relazione alla disparità di trattamento dell’imputato assoggettato ad azione risarcitoria nell’ambito del processo penale rispetto al convenuto con la stessa azione in sede civile, al quale è pacificamente riconosciuto il diritto di chiamare in garanzia il proprio assicuratore (artt. 1917, ultimo comma, del codice civile e 106 del codice di procedura civile).
15. La portata di tale pronuncia, lungi dal poter essere richiamata in casi simili quale espressiva di un principio di portata generale, è stata ridimensionata dalla giurisprudenza costituzionale successiva che ha limitato il dictum al ricorrere di specifici presupposti.
In particolare la medesima ratio decidendi sarebbe estensibile ai casi in cui, oltre ad esservi l’imposizione di un obbligo assicurativo ex lege, sussista lo strumento dell’azione diretta esperibile dal danneggiato contro l’assicuratore, nonché vi sia un rapporto interno di «garanzia» tra l’imputato e il responsabile civile, nei termini delineati dall’art. 1917 cod. civ., che consenta di attribuire all’assicurazione obbligatoria una “funzione plurima” di garanzia a tutela sia del danneggiato sia del danneggiante, avente diritto alla manleva. Invero, quando nel giudizio civile di danno – come nel caso di danno cagionato dalla circolazione di autoveicoli a motore - il danneggiante convenuto può chiamare in garanzia l’impresa assicuratrice ai sensi dell’art. 106 c.p.c. - al quale è correlato, per quanto riguarda i rapporti di assicurazione della responsabilità civile, l’art. 1917, ult. co. c.c. -, la negazione della possibilità all’imputato-danneggiante di richiedere la chiamata dell’assicuratore in sede penale si tradurrebbe in una ingiustificata disparità di trattamento.
16. Escludendo, dunque, che tale ratio decidendi sia dotata di una vis expansiva in grado di potersi estendere alla generalità delle ipotesi di responsabilità civile ex lege per fatto altrui, la stessa Corte costituzionale si è pronunciata nel 2001 in materia di responsabilità dell'esercente l'aeromobile a norma dell'art. 878 del codice della navigazione[19].
Adita dal Tribunale di Termini Imerese, con ordinanza emessa il 17 novembre 1999, sulla base degli analoghi presupposti oggetto della precedente rimessione[20], la Corte non ha ravvisato nel caso di specie le ragioni per concludere con una pronuncia di incostituzionalità. Invero, ha evidenziato che «alla azione diretta del danneggiato, non corrisponde un rapporto interno di "garanzia" tra imputato e responsabile civile, nei termini delineati dal richiamato art. 1917 del codice civile; né può intravedersi il correlativo ed automatico diritto di regresso, che caratterizza la posizione del danneggiante "garantito"»[21].
In altri termini, nella fattispecie in esame, mentre il danneggiato potrebbe agire direttamente contro il terzo, manca il rapporto interno di garanzia tra l’imputato-danneggiante (pilota dell’aeromobile) e il terzo responsabile (vettore): è infatti il terzo, ove abbia risarcito il danno, ad avere diritto di regresso verso l’imputato, e non già il contrario. La responsabilità civile del terzo assume, dunque, una funzione di tutela del solo danneggiato, e non anche del danneggiante.
17. Considerazioni similari son state svolte nel giudizio di costituzionalità, conclusosi con ordinanza n. 300 del 2004[22], relativo alla possibilità per l’imputato del reato di lesioni personali aggravate commesse in violazione della normativa a prevenzione degli infortuni sui luoghi di lavoro di citare come responsabile civile «la “gestione liquidatoria” della soppressa Unità locale socio-sanitaria n. 21 di Padova, quale pubblica amministrazione responsabile per il fatto illecito del proprio dipendente, a norma dell’art. 28 Cost.; [oltre alla] società assicuratrice della predetta Unità locale socio-sanitaria; nonché dell’INAIL e dell’INPS, quali responsabili ex lege per l’esposizione ultradecennale ad amianto in forza dell’art. 13, comma 8, della legge 23 marzo 1992, n. 257 (Norme relative alla cessazione dell’impiego dell’amianto)»[23].
In tale occasione la Consulta, dichiarando non fondata la questione sottopostale, ha evidenziato la differenza tra il thema decidendum oggetto dell’ordinanza di rimessione e la precedente questione decisa con sentenza n. 112 del 1998, enunciando che «la responsabilità civile dello Stato e degli enti pubblici per i fatti dei dipendenti, prevista dall’art. 28 Cost., assolve […] ad un funzione di tutela nei confronti del solo danneggiato, e non anche del danneggiante: non è il dipendente che risarcisce il danno provocato da suoi “atti compiuti in violazione di diritti” ad aver diritto di rivalsa nei confronti dell’amministrazione pubblica di appartenenza, ma semmai il contrario; onde l’invocata facoltà di citazione dell’ente di appartenenza, quale responsabile civile, da parte del dipendente-imputato non potrebbe trovare giustificazione in un rapporto interno di “garanzia” tra i due soggetti»[24].
Ancora, per ciò che concerne i responsabili civili ex lege derivanti dalla normativa in tema di infortuni sul lavoro ed in tema di previdenza sociale la Consulta ha osservato che «dalla disciplina generale dell’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali non si desume comunque l’esistenza di un rapporto interno di «garanzia» tra l’imputato-danneggiante e l’istituto assicuratore, omologo a quello valorizzato dalla sentenza n. 112 del 1998: giacché, anzi, gli artt. 10 e 11 del d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124 (Testo unico delle disposizioni per l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali), riconoscono piuttosto all’istituto assicuratore, che abbia corrisposto le indennità previste dalla legge (e non, dunque, il risarcimento del danno), il diritto di regresso contro le persone civilmente responsabili, ivi compreso il datore di lavoro quando il fatto integri un reato perseguibile d’ufficio»[25].
18. Parzialmente difformi sono le considerazioni poste alla base della nuova pronuncia di infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 83 c.p.p. emessa dalla Corte costituzionale nel 2018[26], in materia di responsabilità civile derivante dall’esercizio dell’attività notarile[27].
La Corte ha affermato che gli aspetti considerati dirimenti nel 1998 per la declaratoria di incostituzionalità non ricorrevano nella nuova questione oggetto di vaglio costituzionale, non tanto in relazione all’insussistenza di un rapporto interno di garanzia tra imputato-danneggiante e terzo responsabile quanto piuttosto con riguardo alla mancanza di una tutela diretta del danneggiato nei confronti dell’assicuratore. Non è infatti prevista, in materia di assicurazione per la responsabilità civile del notaio connessa all’esercizio dell’attività professionale, la possibilità di un’azione diretta del danneggiato nei confronti dell’assicuratore, analoga a quella che contraddistingue la responsabilità civile automobilistica.
Tale “assenza” è dirimente al fine di escludere che la posizione dell’assicuratore possa essere inquadrata nel paradigma del responsabile civile ex lege, quale delineato dall’art. 185 c. 2 c.p.
19. In un più recente passato[28] la Corte, ricorrendo alla pluralità di argomentazioni sopra richiamate, è invece giunta a dichiarare l’illegittimità costituzionale dell’art. 83 cpp nella parte in cui non prevedeva che in caso di responsabilità civile derivante dalla assicurazione obbligatoria ai sensi dell’art. 12, comma 8, della legge 11 febbraio 1992, n. 157 (in materia di attività venatoria) l’assicuratore potesse essere citato nel processo penale a richiesta dell’imputato[29]. A tale risultato è pervenuta ravvisando nel caso di specie quelle caratteristiche, già evidenziate nella pronuncia del 1998, che rendono del tutto peculiare la posizione dell’assicurato ed implicano «una correlazione tra le posizioni coinvolte di spessore tale da rendere necessariamente omologabile il […] regime ad esse riservato, tanto in sede civile che nella ipotesi di esercizio della domanda risarcitoria in sede penale»[30].
In altri termini, ha rilevato che «l’assicurazione obbligatoria della responsabilità civile da attività venatoria assolve a quella «funzione plurima» di garanzia cui ha fatto riferimento la sentenza n. 112 del 1998, […]. Come ogni forma di assicurazione, essa tutela l’assicurato, che ha diritto di vedersi manlevato dalle pretese risarcitorie del danneggiato, con correlato diritto di regresso verso l’assicuratore qualora le abbia soddisfatte; ma tutela pure le vittime degli incidenti di caccia, garantendo loro, entro i limiti del massimale assicurativo, il ristoro dei danni subiti. Per generale riconoscimento, infatti, la ratio del regime di obbligatorietà dell’assicurazione in discorso è proprio quella di proteggere in maniera effettiva, per ragioni di sicurezza sociale, i terzi danneggiati, stante l’elevata pericolosità dell’attività venatoria, esercitata mediante armi da fuoco (tra le altre, Corte di Cassazione, sezione terza civile, sentenza 23 febbraio 1996, n. 1439)».[31]
Il sistema delineato in materia di responsabilità da attività venatoria è quindi strutturato in maniera analoga a quello previsto in materia di circolazione stradale, con la sola esclusione della necessarietà del litisconsorzio necessario processuale[32].
Tale elemento discretivo non è stato però ritenuto determinante al fine di dichiarare infondata la questione di costituzionalità della norma in esame in quanto la Consulta ha valorizzato l’eccezionalità del litisconsorzio necessario previsto dalla legge sull’assicurazione della responsabilità civile automobilistica – rispondente all’esigenza di facilitare l’assicuratore nell’esercizio dell’eventuale azione di rivalsa contro l’assicurato - in deroga al principio per cui il litisconsorzio nelle obbligazioni solidali è facoltativo[33].
20. L’iter giurisprudenziale percorso consente di chiedersi se l’attuale previsione del meccanismo dell’azione diretta, nonché l’esistenza dell’obbligo assicurativo ex lege in materia di danni da medical malpratice siano eventualmente sufficienti per individuare un’analogia tra la disciplina oggi risultante dall’emanazione del decreto 232 del 2023 e quella vigente in materia di responsabilità da circolazione stradale nonché da attività venatoria, considerato che nel rapporto tra il sanitario libero professionista ed il suo assicuratore per la responsabilità civile verso terzi sussiste quel rapporto di garanzia delineato dall’art. 1917 c.c. che attribuisce al danneggiante-imputato il diritto all’azione di regresso-manleva. Qualora a tale interrogativo si dovesse fornire risposta positiva – come in effetti appare ragionevole alla luce della disamina dei rapporti interni tra gli attori in campo sopra esaminati - potrebbero ritenersi integrati gli estremi per un nuovo intervento della Corte Costituzionale affinché valuti l’eventuale incostituzionalità dell’art. 83 c.p.p. nella parte in cui non prevede che in caso di responsabilità civile derivante dalla assicurazione obbligatoria ai sensi dell’art. 10 c. 2 della legge 24 del 2017 e del decreto attuativo n. 232 del 2023 l’assicuratore possa essere citato nel processo penale a richiesta dell’imputato.
[1] F. Basile e P.F. Poli, La responsabilità per “colpa medica” a cinque anni dalla legge Gelli-Bianco in Sistema Penale, 17 maggio 2022, p. 7;
[2] G.L. Gatta, Colpa e responsabilità medica: il decreto Balduzzi va in soffitta e approda in G.U. la legge “Gelli-Bianco”, in Diritto penale contemporaneo, 20 marzo 2017.
[3] C. Cupelli, L'art. 590-sexies c.p. nelle motivazioni delle sezioni unite: un'interpretazione 'costituzionalmente conforme' dell'imperizia medica (ancora) punibile, in Diritto penale contemporaneo, 1° marzo 2018.
[4] Sezioni Unite, 22 febbraio 2018, n. 8770, imp. Mariotti.
[5] M. Caputo, Colpa penale del medico e sicurezza delle cure – cap. VII, par. 12.2, Torino, Giappichelli, 2017.
[6] Per il superamento della teoria del contatto sociale, affermatasi nell’ambito della responsabilità sanitaria a seguito di Cass. Civ. Sez. 3, sent. n. 589 del 22.1.1999, si rimanda alle successive sentenze sul tema: Cass. civ. Sez. Un., sent. n. 9556 del 1.7.2002; Cass. civ. Sez. Un., sent. n. 577 del 11.1.2008; Cass. civ. Sez.3, sent. n. 12408 del 7.6.2011; Trib. Milano sez. 1 sent. n. 9693 del 17.7.2014, in Il Foro It. 2014, 11, I, 3294.
[7] P. Gattari, Prime riflessioni sulla riforma della responsabilità civile da attività sanitaria (Legge 8 marzo 2017 n. 24) in Questione Giustizia, 25 maggio 17, par. 4.
[8] G. Buffone, Azione di rivalsa entro un anno dal pagamento, in Guida al Diritto 2017, p. 15.
[9] P. Gattari, Prime riflessioni sulla riforma della responsabilità civile da attività sanitaria (Legge 8 marzo 2017 n. 24) in Questione Giustizia, 25 maggio 17, par. 4.
[10] L’art. 4 del dm 232/2023 fissa i massimali minimi di garanzia delle polizze assicurative, individuando diverse classi di rischio sulla base dell’attività sanitaria svolta: per le struttura che non svolgono attività chirurgica, ortopedica, anestesiologica e parto nonchè per le strutture ambulatoriali che eseguono prestazioni erogabili solo in ambulatori è previsto un massimale non inferiore a € 2.000.000,00 per sinistro e un massimale per ciascun anno non inferiore al triplo del massimale per sinistro; per le strutture che svolgono anche attività chirurgica, ortopedica, anestesiologica e parto è previsto un massimale non inferiore a € 5.000.000,00 per sinistro e un massimale per ciascun anno non inferiore al triplo del massimale per sinistro; per gli esercenti la professione sanitaria che non svolgono attività chirurgica, ortopedica, anestesiologica e parto e che abbiano stipulato i contratti assicurativi di cui all’art. 10 c. 2 l. 24 del 2017 il massimale non dovrà essere inferiore a € 1.000.000,00 per sinistro e dovrà esservi un massimale per ciascun anno non inferiore al triplo del massimale per sinistro; per gli esercenti che invece svolgano una delle attività escluse dal precedente periodo il massimale raggiungerà la soglia di € 2.000.000,00.
[11] Per tutte, Cassazione civile, SS.UU., sentenza 24 settembre 2018 n° 22437.
[12] Si ricorda che lo strumento dell’azione diretta è istituto già noto nell’ordinamento in quanto applicato nell’ambito della responsabilità per la circolazione dei veicoli (art. 144 cod. ass. prov.) e per gli incidenti venatori (art. 12, comma 10, Legge 157/92) ove son previste ipotesi di assicurazione obbligatoria.
[13] Nell’ottica di render più appetibile la polizza, l’art. 8 del d.m. in commento prevede che costituiscono eccezioni opponibili unicamente i “fatti dannosi derivanti dallo svolgimento di attività che non sono oggetto della copertura assicurativa”, i “fatti generatori di responsabilità verificati e richieste di risarcimento presentate al di fuori dei periodi contemplati dall’art. 5”, “le limitazioni del contratto assicurativo di cui all’art. 1, comma 1, lettere q) ed r) con riferimento alle coperture assicurative di cui al comma 1 dell’art. 10 della Legge”, “il mancato pagamento del premio”.
[14] P. Gattari e D. Zorzit, La rivalsa della struttura sanitaria in F. Gelli, M. Hazan, D. Zorzit, F. Cascini, Responsabilità, rischio e danno in sanità, p. 600.
[15] A. Diddi, La citazione del responsabile civile da parte dell’imputato: ancora una prova della insostenibilità della tutela degli interessi civili nel processo penale in Processo penale e giustizia n.5/18, p. 956.
[16] In tal senso si veda Corte Cost. n. 159 del 2022, secondo cui “La preclusione viene usualmente giustificata col rilievo che la presenza del responsabile civile nel processo penale – quale parte eventuale che si aggiunge a quelle necessarie, in connessione a tematiche estranee alle finalità tipiche di quel processo – è configurata dal sistema come uno strumento di tutela, non dell’imputato, ma della vittima del reato, inteso a facilitare il soddisfacimento delle sue pretese risarcitorie. A questa idea si è sostanzialmente ispirata la sentenza n. 38 del 1982, con cui questa Corte escluse, in termini generali, che la preclusione – risultante all’epoca dagli artt. 107 e 110 cod. proc. pen. del 1930 – violasse il principio di eguaglianza e ledesse il diritto di difesa.”
[17] Il Pretore di Ancona – Sezione distaccata di Fabriano, aveva sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 83 del codice di procedura penale con riferimento agli artt. 3, 24 e 97 della Costituzione, nella parte in cui esso non prevedeva, nel caso di costituzione di parte civile, che anche l’imputato potesse chiedere al giudice procedente la citazione del responsabile civile.
[18] Corte Costituzionale, sent. 16 aprile 1998 n. 112.
[19] Corte Costituzionale, sent. 23 marzo 2001 n. 75.
[20]Nello specifico, il Tribunale di Termini Imerese aveva sollevato, in riferimento all'art. 3 Cost., questione di legittimità costituzionale dell'art. 83 del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevedeva la possibilità per l'imputato, nel caso di costituzione di parte civile, di chiamare, o chiedere l'autorizzazione a chiamare, nel processo, quale responsabile civile, l'esercente l'aeromobile a norma dell'art. 878 del codice della navigazione.
[21] Corte Costituzionale, sent. 23 marzo 2001 n. 75.
[22] La questione di legittimità costituzionale dell’art. 83 del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevedeva che l’imputato possa proporre istanza di citazione del responsabile civile quando si tratti di “responsabili civili ex lege derivanti dalla normativa in tema di infortuni sul lavoro ed in tema di previdenza sociale”, nonché “da quanto previsto dall’art. 28 della Costituzione” era stata sollevata dal Tribunale di Padova, con ordinanza emessa il 12 febbraio 2001, in riferimento agli artt. 3, 24 e 97 della Costituzione.
[23] Corte Costituzionale, ord. 29 settembre 2004 n. 300.
[24] Ibidem.
[25] Ibidem.
[26] Corte costituzionale, sent. 21 febbraio 2018 n. 34.
[27] L’ordinanza di rimessione, emessa l’11 marzo 2016 Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Bolzano aveva riguardato in particolare l’assicurazione per la responsabilità civile derivante dall’esercizio dell’attività notarile, richiesta dagli artt. 19 e 20 della legge 16 febbraio 1913, n. 89 (Sull’ordinamento del notariato e degli archivi notarili), come sostituiti, rispettivamente, dagli artt. 1 e 2 del decreto legislativo 4 maggio 2006, n. 182 (Norme in materia di assicurazione per la responsabilità civile derivante dall’esercizio dell’attività notarile ed istituzione di un Fondo di garanzia in attuazione dell’articolo 7, comma 1, della legge 28 novembre 2005, n. 246).
[28] Corte costituzionale, sent. 24 giugno 2022 n. 159.
[29] V. Maffeo, Responsabile civile e poteri dell’imputato di citazione in giudizio. Un altro capitolo della giurisprudenza costituzionale - Nota a Corte Cost., sent. 24 giugno 2022, n. 159, pres. Amato, red. Modugno in Sistema Penale n. 10/2022, p. 115.
[30] Corte Costituzionale, sent. 24 giugno 2022 n. 159.
[31] Ibidem.
[32] Su tale elemento distintivo ha fatto leva la difesa della Presidenza del Consiglio dei Ministri per sostenere che, nel caso in esame, non vi fosse identità di ratio per una replica della declaratoria di illegittimità costituzionale pronunciata nel 1998.
[33] Ex plurimis si vedano Corte di Cassazione, sez. lavoro, sent. 12 maggio 2006, n. 11039; Corte di Cassazione, sez. III civile, sent. 29 novembre 2005, n. 26041.