Tribunale di Perugia, ord. 27 febbraio 2024, giud. Mastrangeli
1. «L’udienza preliminare non filtra abbastanza»[1]: sono sufficienti queste sei parole per riassumere le ragioni che hanno mosso il legislatore della “riforma Cartabia” (d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, di attuazione della delega fornita dalla l. 27 settembre 2021, n. 134) a intervenire sul segmento centrale del procedimento penale.
Come noto, onde invertire la rotta, sono state introdotte diverse modifiche all’istituto, tra cui spiccano quelle relative alla regola di giudizio che presiede la pronuncia della sentenza di non luogo a procedere[2], al pari della richiesta di archiviazione, e ai controlli del g.u.p. sulla formulazione del capo di imputazione.
In quest’ultimo contesto si colloca l’introduzione – auspicata da attenta dottrina[3] – di due previsioni sanzionatorie in caso di vizi inficianti la completezza e correttezza dell’imputazione. Esse, tanto in punto di fatto quanto in punto di diritto, permettono di superare le controverse soluzioni giurisprudenziali sul tema e di risolvere anticipatamente i casi problematici, evitando successive retrocessioni degli atti e incentivando il ricorso ai riti speciali.
Ora, trascorso più di un anno dall’entrata in vigore della nuova disciplina, emergono le prime questioni applicative, il cui esame consente di verificare se, effettivamente, la stessa possa essere in toto accolta con favore.
È dunque dall'interessante provvedimento del Tribunale di Perugia in epigrafe che si intende prendere le mosse per affrontare il tema dei controlli sull’imputazione e dei rimedi apprestati per la sua patologia.
Nel caso di specie, alla prima udienza dibattimentale la difesa dell’imputato eccepiva la nullità del decreto di rinvio a giudizio, lamentando l’incompletezza e la scorrettezza dell’accusa in punto di fatto, descrittivo della fattispecie in termini non rispondenti alle risultanze degli atti di indagine. La medesima eccezione era già stata sollevata in udienza preliminare, con sollecitazione al g.u.p. a esercitare i poteri ex art. 423 co. 1 bis c.p.p., invitando il pubblico ministero ad apprestare le modifiche necessarie affinché il fatto di cui all’imputazione fosse indicato in termini corrispondenti agli atti. In particolare, ad avviso della difesa, la mancata attivazione nella predetta fase del neo-introdotto strumento correttivo avrebbe «riverberato i propri effetti invalidanti sul decreto che dispone il giudizio», costringendo così l’imputato «all’esercizio del diritto di difesa in ordine all’imputazione di un fatto che è solo formalmente indicato nel rispetto del novellato modello legale, ma la cui mera assertività, di per sé fuorviante, è rivelata dal mancato collegamento con quanto emerge “in punto di fatto” dagli atti del P.M.».
Di tutt’altro avviso la pubblica accusa che, nella propria richiesta di rigetto, evidenziava la diversità intercorrente tra i controlli del giudice dell’udienza preliminare e il controllo del giudice dibattimentale sulla validità del decreto che dispone il giudizio, dovendo quest’ultimo limitarsi alla verifica che il fatto di reato, le circostanze aggravanti e quelle che possono comportare l’applicazione di misure di sicurezza, con l’indicazione dei relativi articoli di legge, siano enunciati in forma chiara e precisa. Peraltro, sempre secondo il pubblico ministero, gli interventi di modifica sul capo di imputazione propri dell’udienza preliminare attengono a una fase processuale autonoma e distinta rispetto al dibattimento e non potrebbero in ogni caso determinare effetti invalidanti sul decreto che dispone il giudizio.
Il giudice, argomentando dalla cognizione limitata alle prove raccolte nel contraddittorio del giudice dibattimentale e dalla ritenuta descrizione in forma chiara e precisa – sotto il profilo spaziale, temporale e modale – dei fatti oggetto del giudizio, rigettava l’eccezione sollevata dalla difesa, disponendo di procedersi oltre.
Ciò detto, prima di interrogarsi sull’esistenza di una sorta di “invalidità derivata” tra i due atti in questione, pare opportuno ripercorrere brevemente le soluzioni interpretative proposte nei confronti della disciplina previgente, da cui quella riformata, almeno in parte, trae ispirazione[4].
2. Si è già avuto modo di anticipare come l’analitica individuazione da parte dell’art. 417 c.p.p. dei requisiti formali della richiesta di rinvio a giudizio non abbia impedito la diffusione di prassi giudiziarie accomodanti verso soluzioni contenutistiche elusive del paradigma legale[5], specie con riferimento all’onere di enunciare il fatto oggetto dell’imputazione «in forma chiara e precisa» (lett. b)[6].
La questione si inseriva nel più ampio sistema delle invalidità processuali, astrattamente presidiato dal principio di stretta legalità ma concretamente sottoposto a spinte giurisprudenziali che, in nome di istanze di economia e speditezza processuale, privilegiavano soluzioni “antiformalistiche”[7] volte a conservare l’efficacia di atti imperfetti, invocando il criterio ermeneutico del cd. “pregiudizio effettivo”[8]. Sicché, alla tradizionale concezione delle nullità processuali – fondata sul dato formale dello scostamento dell’atto rispetto allo schema astratto e sull’automatismo tra imperfezione e inefficacia – se ne affiancava una nuova, di stampo valoriale, che attribuiva al giudice la facoltà di valutare discrezionalmente le conseguenze prodotte in concreto dalla violazione sull’interesse protetto, «la cui assenza fini[va] per sterilizzare gli effetti dell’imperfezione, rendendo processualmente irrilevante il vizio perché “innocuo”»[9].
È proprio l’interpretazione seguita con riferimento alla patologica formulazione dell’addebito nell’atto introduttivo dell’udienza preliminare che ha maggiormente compromesso la tenuta del sistema delle invalidità. All’orientamento rigoroso fatto proprio da una parte della dottrina – per cui la genericità dell’imputazione doveva essere ricondotta tra le cause di nullità d’ordine generale ex art. 178 lett. b) o c) c.p.p.[10] – si contrapponeva quanto sostenuto dalla giurisprudenza prevalente, che, data la possibilità di un progressivo perfezionamento dell’imputazione nel corso dell’udienza preliminare[11], negava la configurabilità di un vizio invalidante.
A dir il vero, quest’ultima soluzione sembrava coerente con il dato letterale dell’art. 417 lett. b) c.p.p. – che, diversamente dall’art. 429 co. 2 c.p.p., non contemplava un’esplicita sanzione per l’insufficiente esposizione del fatto nella richiesta di rinvio a giudizio[12] – e con il principio di tassatività delle nullità, consentendo il ricorso a meccanismi di precisazione del vizio endofasici. Il potere-dovere di controllo attribuito al g.u.p. si sviluppava lungo un «percorso virtuoso»[13] composto da due schemi rimediali, l’uno consecutivo – e non alternativo – all’altro[14]. Il primo, necessario e interno alla fase, si sostanziava nell’invito al titolare dell’accusa a precisare ex art. 423 c.p.p. gli estremi del fatto addebitato; il secondo, eventuale ed esterno alla stessa fase, esperibile soltanto ove il pubblico ministero fosse rimasto inerte, si concretizzava nella restituzione degli atti[15]. Ergo, l’abnormità della regressione disposta de plano, in assenza della preventiva sollecitazione del pubblico ministero: con una siffatta sequenza l’intenzione era quella di privilegiare, in prima istanza, il consolidamento graduale dell’imputazione in sede di udienza preliminare e, solo nell’ipotesi di mancato adeguamento, orientarsi verso la soluzione restitutoria e la regressione del procedimento, cosicché l’imputazione fosse oggetto di nuova formulazione.
D’altra parte, però, una simile impostazione era ed è criticabile[16]. Le contestazioni suppletive, così, infatti, da strumento finalizzato all’adeguamento dell’imputazione all’emersione di un quid novi nel corso del procedimento divenivano rimedio per sopperire alle carenze descrittive dell’addebito con riferimento a ciò che, pur essendo già noto, si era omesso di considerare[17]. È del tutto evidente come la correzione dell’imputazione generica e la sua modifica per diversità del fatto, oltre a non essere sovrapponibili letteralmente, non fossero riconducibili alla medesima ratio: mentre la prima era diretta a colmare il deficit contenutistico dell’addebito dovuto all’inerzia del titolare dell’accusa, la seconda – sulla base di un addebito corrispondente al modello legale[18] – mirava ad adeguare il fatto contestato a quanto di differente potesse emergere in sede di udienza preliminare. Dunque, diverso era il presupposto[19]: rispettivamente, patologia del processo e fisiologia del sistema.
Ecco, allora, che l’eterogeneità funzionale tra i due istituti[20] non avrebbe dovuto rendere praticabile una lettura estensiva dell’art. 423 c.p.p., quale «causa di “sanatoria” non codificata»[21] dei vizi relativi alla formulazione dell’imputazione. Sulla bilancia costi-benefici, le finalità di economia e speditezza processuale e l’«incubo per il ritorno del fascicolo nelle retrovie»[22] non dovrebbero pesare più dei possibili effetti pregiudizievoli, quali un’agevolazione all’elusione dell’obbligo di formulare sin da subito l’addebito in termini chiari e precisi – in aperto contrasto con le finalità sottese alla cd. Legge Carotti[23] –, potendo fare affidamento su eventuali “ritocchi” in itinere, e un danno all’esercizio del diritto di difesa da parte dell’imputato.
3. Come si è già accennato in apertura, sulla disciplina finora esaminata è intervenuta la cd. riforma Cartabia. Le innovazioni si muovono in una duplice direzione: da un lato viene interpolato l’art. 421 co. 1 c.p.p. con riferimento allo standard di specificità imposto ex art. 417 lett. b) c.p.p. e individuato espressamente il meccanismo correttivo in due fasi da adottare per la sua violazione; dall’altro, viene aggiunto un co. 1 bis all’art. 423 c.p.p., prescrivendo una verifica giurisdizionale sulla corrispondenza dell’imputazione alle risultanze degli atti contenuti nel fascicolo delle indagini[24].
Il legislatore, pur muovendosi nel solco tracciato dalle opposte interpretazioni giurisprudenziali e dottrinali – che, si è detto, in caso di violazione dell’obbligo di enunciare il fatto in forma chiara e precisa volevano l’applicazione del rimedio endofasico o il ricorso alla sanzione della nullità –, dà vita a una soluzione in due tempi che rappresenta un tertium genus[25].
Il co. 1 dell’art. 421 c.p.p. colloca tra gli accertamenti relativi alla regolare costituzione delle parti e l’apertura della discussione il momento in cui al giudice è attribuito il potere di vagliare in via preliminare la chiarezza e precisione dell’imputazione[26], instaurando un dialogo con il pubblico ministero. Così, viene in prima battuta preferito un paradigma rimediale endofasico, per cui – riprendendo lo “schema Battistella”– alla riscontrata violazione dell’art. 417 lett. b) c.p.p., il g.u.p. fa fronte sollecitando il pubblico ministero a riformulare l’imputazione, previa discussione con le parti[27]. Ebbene, l’accoglimento dell’invito alla modifica da parte della pubblica accusa determina una sanatoria dei contenuti dell’imputazione[28], che, ex co. 1 bis dell’art. 421 c.p.p., come modificata dovrà essere inserita nel verbale di udienza e contestata all’imputato presente (anche mediante collegamento a distanza). Diversamente, nell’ipotesi in cui l’imputato sia assente, il giudice sarà tenuto a sospendere il processo e rinviare a nuova udienza, disponendo che entro un termine non inferiore a dieci giorni dalla data della nuova udienza il verbale sia notificato all’imputato.
Qualora invece il pubblico ministero «non provveda», restando inerte dinanzi alla richiesta del giudicante o attivandosi in modo non adeguato, il giudice dichiara anche d’ufficio la nullità della richiesta di rinvio a giudizio[29], disponendo con ordinanza la restituzione degli atti.
Il legislatore, dunque, piuttosto che ricondurre la violazione dei requisiti di chiarezza e precisione dell’imputazione nell’art. 416 c.p.p., che contempla le altre ipotesi di nullità dell’atto di esercizio dell’azione penale[30], si è premurato di introdurre una nullità speciale, che la Relazione illustrativa riconduce al regime intermedio[31]: in questi termini, allora, è evidente come una formulazione del fatto in termini rispondenti al modello legale sia funzionale all’esplicazione del diritto di difesa e alla corretta instaurazione del contraddittorio, valori presidiati dall’art. 178 lett. c) c.p.p. e, ancor prima, dall’art. 111 co. 3 Cost.
In nome dell’efficienza, il meccanismo sanzionatorio così congegnato evita che si proceda alla discussione – e più in generale che si celebri il processo – qualora l’imputazione non sia formulata in ossequio al canone di cui all’art. 417 lett. b) c.p.p., facendo regredire il procedimento a un momento anteriore all’esercizio dell’azione penale[32].
Superato positivamente il primo vaglio giurisdizionale, potrà svolgersi il secondo.
Quanto all’intervento sull’art. 423 c.p.p., la novella recepisce lo schema già applicato nella prassi per risolvere l’impasse procedurale dovuta alla discrepanza tra accusa e risultanze delle indagini, ricavato in via di analogia dall’art. 521 co. 2 c.p.p. Quel che muta, rispetto al passato, è il suo ambito di operatività[33], che viene esteso fino a ricomprendere la possibilità di rilevare d’ufficio eventuali circostanze aggravanti non contestate[34] e la scorretta qualificazione giuridica del fatto, aumentando sì le garanzie difensive dinanzi alla modifica dell’imputazione ma incrinando la corretta ripartizione dei ruoli tra giudice e pubblico ministero.
Fermo restando il potere attribuito al pubblico ministero di modificare l’imputazione laddove il fatto risulti diverso da come descritto o siano emersi un reato connesso ex art. 12 lett. b) c.p.p. o una circostanza aggravante o, ancora, risulti un fatto nuovo a carico dell’imputato non enunciato nella richiesta di rinvio a giudizio, il nuovo co. 1 bis assegna al giudice il compito di sottoporre il capo d’accusa a un incisivo controllo, al fine di verificarne la corrispondenza a quanto emerge dagli atti del fascicolo e, in caso di esito negativo, di invitare il pubblico ministero a operare le dovute modifiche affinché tale identità contenutistica sia raggiunta.
Pur dinanzi a una differente patologia, la terapia da seguire è sempre quella: qualora intervenga l’emendatio dell’imputazione deve farsi applicazione di quanto previsto dall’art. 421 co. 1 bis c.p.p., espressamente richiamato dal co. 1 ter dell’art. 423 c.p.p., mentre a fronte della cronicizzazione del conflitto il giudice – senza previa declaratoria di nullità – dispone con provvedimento motivato la restituzione degli atti al pubblico ministero.
A ben vedere, la mancata aderenza del fatto agli atti sulla cui base lo stesso è stato imbastito è un difetto originario non distante dall’indeterminatezza dell’imputazione[35] e, forse, ancora più grave, rappresentando una sorta di precondizione per l’enunciazione del fatto «in forma chiara e precisa». V’è da chiedersi, allora, perché il legislatore abbia omesso di sanzionare espressamente tale violazione con la nullità, creando una disparità di trattamento tra l’art. 421 co. 1 e l’art. 423 co. 1 bis c.p.p. della cui ragionevolezza è quantomeno lecito dubitare. Escluso si tratti di una mera dimenticanza[36], la ragione potrebbe ravvisarsi nel fatto che la norma disciplini situazioni ben diverse tra loro, circostanza che avrebbe richiesto di dettare una disciplina “a invalidità variabile”. Epperò, un tanto non basta ad argomentare nel senso di escluderne tout court l’esistenza, trattandosi piuttosto di un vuoto colmabile attraverso il ricorso, in via interpretativa, alla categoria della nullità di ordine generale: in questi termini – analogamente a quanto vale per l’art. 421 co. 1 c.p.p. e alla luce della già ricordata centralità funzionale della richiesta di rinvio a giudizio rispetto al corretto esercizio del diritto di difesa dell’imputato – il vizio pare potersi ricondurre nell’alveo dell’art. 178 lett. c) c.p.p. e al relativo regime di rilevabilità, garantendo così l’effettività di siffatto controllo e superando l’apparente disparità.
4. Per concludere, deve riprendersi l’interrogativo lasciato in sospeso.
Il Tribunale perugino, rigettando l’eccezione di nullità sollevata dalla difesa, ha ritenuto che la mancata attivazione del nuovo strumento correttivo di cui all’art. 423 co. 1 bis c.p.p. non potesse riverberare i propri effetti invalidanti sul decreto che dispone il giudizio. Gli argomenti a sostegno di tale conclusione negativa sarebbero insiti nella diversa fisionomia e nell’autonomia dell’udienza preliminare rispetto al dibattimento[37], essendo i nuovi poteri di controllo del g.u.p. intrinsecamente connessi alla cognizione piena della stessa autorità giudiziaria sui fatti e sugli atti di indagine.
Se osservata dall’angolo visuale di quello che è stato il filo conduttore degli interventi della cd. riforma Cartabia sulla giustizia penale (id est, l’efficienza e il contenimento dei tempi processuali), la decisione in esame non può che essere meritevole di apprezzamento. Essa, infatti, evita la stasi – o, peggio ancora, la regressione – del procedimento e, in stretta aderenza alla lettera dell’art. 423 c.p.p., preserva il principio cardine della separazione tra le fasi.
Tuttavia, a voler porre in primo piano il diritto di difesa dell’imputato, l’ordinanza presta il fianco a un’osservazione di non poco conto. Il decisore pare non essersi interrogato circa la possibilità di rintracciare la sanzione all’asserita mancata aderenza del fatto agli atti di indagine nella categoria delle nullità di ordine generale. Alla luce di quanto si è avuto modo di osservare, però, dalla possibile declaratoria di nullità della richiesta di rinvio a giudizio ex art. 178 lett. c) c.p.p. potrebbe, in realtà, farsi derivare la nullità anche del successivo decreto, posto che la prima è atto logicamente e giuridicamente presupposto del secondo[38]. Così opinando, tuttavia, il prezzo da pagare pare essere il sovvertimento di quanto condivisibilmente affermato dal Tribunale, poiché gli atti che presumibilmente dovrebbero essere addotti a sostegno dell’eccezione di nullità appartengono a una fase e a un fascicolo del cui contenuto il giudice del dibattimento dovrebbe rimanere all’oscuro. Sicché, un quesito sorge spontaneo: è possibile individuare modalità idonee a dimostrare l’esistenza del vizio in fase dibattimentale senza intaccare i principi dell’odierno processo penale?
Concludendo davvero, alcune considerazioni di sintesi.
Non v’è dubbio che quello di assicurare una più «celere definizione dei procedimenti»[39] intervenendo sui poteri di controllo del giudice sull’imputazione fosse un obiettivo particolarmente ambizioso, tanto che il legislatore – duole dirlo – non è riuscito a perseguirlo in maniera pienamente soddisfacente.
Pregio della riforma è non solo aver coniato nuovi strumenti di controllo sulla specificità e sulla corrispondenza agli atti del capo d’imputazione – rafforzando la legalità processuale e impedendo il perpetrarsi della prassi delle cosiddette contestazioni suppletive patologiche – ma soprattutto aver finalmente codificato il meccanismo, rimediale prima e sanzionatorio poi, da attivare nelle ipotesi in cui il giudice ravvisi una violazione in tal senso.
D’altra parte, però, non possono nascondersi alcune criticità: «la rielaborazione di taluni istituti sembra sottendere una sorta di “de-quotazione” dei principi supremi che dovrebbero innervare il sistema processuale. E si sa che quando vengono – volutamente o inconsapevolmente – depotenziati i principi supremi del sistema, vengono meno le sue colonne portanti, con la conseguenza che, non essendoci più un “minimo comune denominatore”, non ci si intende più sulle basi del sistema stesso e ciò che era già in crisi viene spinto verso il caos»[40].
Al cuore della questione, dunque, è la natura dell’imputazione, notoriamente atto del magistrato della pubblica accusa. Le nuove ipotesi di “invito” a modificarla rivolte dal giudice al pubblico ministero mettono in crisi una tale considerazione, consentendo al primo di ingerirsi indebitamente – e per certi aspetti forse eccessivamente – nella vicenda accusatoria. Così, l’imputazione diviene un atto anche del giudice, oltreché occasione per manifestare in via anticipata un apprezzamento sulla stessa, che, di regola, dovrebbe emergere solo all’esito del giudizio[41]. Appaiono quindi giustificate le critiche di chi ritiene il compromesso raggiunto non soddisfacente perché oltremodo sbilanciato a favore dell’economia processuale piuttosto che dell’efficienza e del pieno esplicarsi delle prerogative difensive, offrendo quale alternativa preferibile una secca comminatoria di nullità delle imputazioni generiche o non correttamente contestate e la restituzione degli atti al pubblico ministero, cui farebbe seguito la regressione del procedimento alla fase delle indagini per la rideterminazione dell’atto imputativo[42].
[1] L’espressione è di M. Daniele, L’abolizione dell’udienza preliminare per rilanciare il sistema accusatorio, in questa Rivista, 2020, n. 1, p. 132. Nello stesso senso, v., in particolare, M. Gialuz-J. Della Torre, Giustizia per nessuno. L’inefficienza del sistema penale italiano tra crisi cronica e riforma Cartabia, Giappichelli, Torino, 2022, p. 102 ss., i quali danno prova di ciò a livello statistico.
[2] Sulla modifica del criterio decisorio in termini di «ragionevole previsione di condanna» si vedano, tra gli altri, R. Del Coco, Rimaneggiamento delle regole per non procedere: archiviazione e udienza preliminare, in Proc. pen. giust., 2022, p. 83 ss.; Ead., La verifica preliminare dell’accusa, in “Riforma Cartabia” e rito penale. La Legge Delega tra impegni europei e scelte valoriali, a cura di A. Marandola, Cedam, Padova, 2022, p. 169 ss.; G. Della Monica, Il filtro della ragionevole previsione di condanna, in Arch. pen., 6 giugno 2023; J. Della Torre, La ragionevole previsione di condanna alla prova della realtà giudiziaria, in Leg. pen., 19 luglio 2024; P. Ferrua, Regole di giudizio e udienza preliminare, in Proc. pen. giust., 2023, p. 966 ss.; G. Leo, La regola di giudizio dell’archiviazione e la riapertura delle indagini, in Riforma Cartabia. Le modifiche al sistema penale, v. II, Nuove dinamiche del procedimento penale, a cura di T. Bene-M. Bontempelli-L. Lupária Donati, p. 87 ss.; G. Rossi, Spunti critici sulla nuova regola di giudizio della ‘ragionevole previsione di condanna’, in Arch. pen., 13 dicembre 2022; S. Ruggeri, Azione e inazione, in Riforma Cartabia. La nuova giustizia penale, a cura di D. Castronuovo-M. Donini-E.M. Mancuso-G. Varraso, Cedam, Padova, 2023, p. 629 ss.; F. Siracusano, La prevedibilità dell'esito del giudizio quale antidoto all'azzardo imputativo?, in Proc. pen. giust., 2023, p. 543 ss.
[3] Già desideroso di una previsione in tal senso F. Cassibba, Udienza preliminare e controlli sull’enunciato d’accusa a trent’anni dal codice di procedura penale, in Arch. pen., 15 ottobre 2019, p. 9, «così da neutralizzare la giurisprudenza elaborata dalle Sezioni unite “Battistella” ed evitare la “cogestione” dell’imputazione, dalla prassi innaturalmente ripartita tra pubblico ministero e giudice».
[4] Così, A. Marandola, L. n. 134 del 2021: dal diritto giurisprudenziale alla legge ordinaria, in Pen. dir. e proc., 2022, p. 75; G. Spangher, La riforma Cartabia: alcuni fils rouge, in Giust. ins., 6 settembre 2022. Già L. Marafioti, Riforme-zibaldone, legislazione "giurisprudenziale" e gestione della prassi processuale, in Proc. pen. giust., 2017, p. 554, sottolineava, con riferimento alla cd. Riforma Orlando (l. 23 giugno 2017, n. 103), la tendenza del legislatore «ad assecondare a livello normativo affermazioni fattesi nel frattempo strada in sede giurisprudenziale».
[5] In questo senso, non è raro vengano aggirati i parametri tesi a garantire la piena conoscibilità dell’addebito, limitandosi il pubblico ministero a indicare in termini del tutto astratti e generali l’oggetto dell’imputazione, parafrasando la fraseologia legislativa e ‘dimenticando’ di riferirsi alle circostanze effettivamente verificatesi. Ritiene P. Ferrua, Il giudizio di diritto nel processo penale, in Cass. pen., 2000, p. 1826, che, così, la descrizione del fatto sia «quasi tautologia, puramente sinonima rispetto a quella del legislatore; con il risultato che nel momento stesso in cui si descrive già si qualifica giuridicamente il fatto». Per O. Dominioni, voce Imputazione (dir. proc. pen.), in Enc. dir., 1970, p. 829, richiamando la figura di “criptoimputazione” coniata da G. Foschini, La criptoimputazione, in Studi in memoria di A. Torrente, I, Milano, 1968, p. 370 ss., l’illegittimità di una simile prassi è evidente, risultando preclusa all’imputato ogni possibilità difensiva e trasferito sul giudice il compito di definire l’oggetto del processo.
[6] Tale inciso è stato inserito nel testo degli artt. 417 e 429 c.p.p. dall’art. 18 della legge 16 dicembre 1999, n. 479, con l’intento di imprimere all’atto di esercizio dell’azione penale una maggiore pregnanza contenutistica. Una simile previsione si allinea alla rinnovata funzione dell’udienza preliminare che, abbandonato il ruolo di «mero filtro delle imputazioni azzardate» (così definito da E. Amodio, L’udienza preliminare nel nuovo processo penale, in Cass. pen., 1988, p. 2173), ha visto incrementate le occasioni d’integrazione probatoria, dirette a condurre una disamina più penetrante sulla consistenza dell’accusa fino a delineare una sorta di giudizio preliminare di merito sulla fondatezza dell’imputazione. Si vedano, in dottrina, fra gli altri, D. Fiasconaro, La nuova configurazione dell’udienza preliminare: una effettiva metamorfosi?, in Cass. pen., 2006, p. 1623 ss.; G. Riccio, Ma cos’è l’udienza preliminare? Guai a trasformarla da filtro in giudizio, in Dir. e giust., 2004, n. 19, p. 8 ss.; A. Scalfati, La riforma dell’udienza preliminare tra garanzie e scopi eterogenei, in Cass. pen., 2000, p. 2812 ss.
[7] Si soffermano sulla corrente giurisprudenziale antiformalistica, tra gli altri, R. Bricchetti, Nullità degli atti: il principio di tassatività all’esame dell’interpretazione giurisprudenziale, in Criminalia, 2010, n. 5, p. 439 ss.; C. Conti, Accertamento del fatto e inutilizzabilità nel processo penale, Cedam, Padova, 2007, p. 473 ss.; Ead., Nullità e inutilizzabilità: problemi attuali e prospettive di riforma, in Cass. pen., 2008, p. 1654; G. Di Paolo, Nullità processuali e sanatorie tra tassatività e tendenze antiformalistiche, in Riv. it. dir. pen. proc., 2014, p. 246 ss.; A. Marandola, La patologia dell’atto processuale: indirizzi sostanziali vs legalità formale, in Dir. pen. proc., 2012, p. 1053 ss.; P. Moscarini, Esigenze antiformalistiche e conseguimento dello scopo nel processo penale italiano, Giuffrè, Milano, 1988, p. 44 ss.
[8] Siffatto canone interpretativo, di per sé privo di aggancio normativo, può essere inteso in una duplice accezione: secondo una prima impostazione, la lesione dell’interesse tutelato sarebbe condizione di applicabilità della sanzione processuale; ad avviso della seconda, invece, si tratterebbe di un’ipotesi di sanatoria di un’invalidità già verificatesi. Al riguardo, R. Aprati, Effettivo pregiudizio e nullità, Cedam, Padova, 2018, p. 46 ss.; M. Caianiello, Premesse per una teoria del pregiudizio effettivo nelle invalidità processuali penali, BUP, Bologna, 2012, p. 15 ss.; G. Illuminati, Il tema: abuso del processo, legalità processuale e pregiudizio effettivo, in Cass. pen., 2012, p. 3593 ss.; E. Amodio, Il fascino ingannevole del pregiudizio effettivo (a proposito di abuso del processo), ivi, p. 3596 ss.; R. Orlandi, Abuso del diritto o diritto all’abuso?, ivi, p. 3599 ss.; T. Padovani, A.d.r. sul c.d. abuso del processo, ivi, p. 3605 ss.; F. Palazzo, L’abuso del processo e i suoi rimedi tra legalità processuale e legalità sostanziale, ivi, p. 3609 ss.; O. Mazza, Il pregiudizio effettivo tra legalità processuale e discrezionalità del giudice, in Giust. pen., 2015, III, c. 699. P.P. Paulesu, “Pregiudizio effettivo” e nullità degli atti processuali penali, in Riv. dir. proc., 2014, p. 884, suggerisce quale modello interpretativo cui fare riferimento in chiave riformista l’art. 35 CEDU, a norma del quale è irricevibile il ricorso alla Corte EDU in difetto di un significativo pregiudizio in capo al ricorrente. Sul punto v. anche R. Aprati, Il principio di tassatività delle nullità, in Le invalidità processuali. Profili statici e dinamici, a cura di A. Marandola, 2015, UTET, Milano, p. 72. Più di recente, P.P. Paulesu, Invalidità processuali penali e scenari in trasformazione: tensioni antiformalistiche, efficienza, garanzie, in Arch. pen., 29 gennaio 2024, p. 6 ss.
[9] Testualmente G. Fiorelli, L’imputazione latente, Giappichelli, Torino, 2016, p. 179, la quale a sua volta riprende la terminologia di F. Cordero, Nullità, sanatorie e vizi innocui, in Riv. it. dir. proc. pen., 1961, p. 704.
[10] Si esprimono in questo senso, M. Caianiello, Alcune considerazioni in tema di imputazione formulata in modo alternativo, in Cass. pen., 1997, p. 2472; F. Casasole, Davvero abnorme il provvedimento con il quale il giudice dell’udienza preliminare restituisce gli atti al pubblico ministero a causa della genericità dell’imputazione?, in Riv. dir. proc., 2009, p. 1068; M. Panzavolta, L’imputazione difettosa nel decreto di rinvio a giudizio, in Riv. it. dir. proc. pen., 2006, p. 373; A.M. Romano, Declaratoria di nullità della richiesta di rinvio a giudizio: un problema di abnormità, in Giur. it., 1993, c. 706; C. Valentini, Imputazione e giudice dell’udienza preliminare, in Giur. it., 2002, c. 438; G. Varraso, Omessa o insufficiente descrizione dell’imputazione, nullità della vocatio in iudicium e autorità competente alla rinnovazione, in Riv. it. dir. proc. pen., 1999, p. 339.
[11] Questo l’orientamento prevalente, espresso, ex plurimis, da Cass., sez. VI, 2 maggio 1992, P.m. in c. Pellegrino, in Riv. it. dir. proc. pen., 1994, p. 292, con nota di C. Cesari, Modifica dell’imputazione e poteri del giudice dell’udienza preliminare; Cass., sez. I, 8 febbraio 1999, P.m. in c. Adamo, in Dir. pen. proc., 1999, p. 1021, con nota di M.L. Di Bitonto, Richiesta di rinvio a giudizio con capi d’imputazione generici, e culminato nella nota sentenza Cass., sez. Un., 20 dicembre 2007, Battistella, n. 5307, in Cass. pen., 2008, p. 2310, con note di L. Pistorelli, Imputazione generica o indeterminata e poteri del giudice dell’udienza preliminare nell’interpretazione delle sezioni unite della cassazione e C. Marinelli, La genericità o indeterminatezza dell’imputazione nella fase dell’udienza preliminare. Per un commento, in dottrina, si vedano S. Azzolin, Imputazione generica o indeterminatezza: art. 423 vs. nullità, in Dir. pen. proc., 2009, p. 182 ss.; F. Casasole, Davvero abnorme il provvedimento con il quale il giudice dell’udienza preliminare restituisce gli atti al pubblico ministero a causa della genericità dell’imputazione?, cit., p. 1061 ss.; R. Del Coco, La regressione degli atti nel processo penale, Giappichelli, Torino, 2020, p. 122 ss.; L. Lombardo, Genericità dell’imputazione e poteri del giudice dell’udienza preliminare, in Cass. pen., 2009, p. 633 ss.; S. Lorusso, Una scelta di efficienza processuale che non legittima forzature o abusi, in Guida al dir., 2008, n. 11, p. 67 ss.; G. Riccio, Appunti per una rilettura del sistema sanzionatorio alla luce di SS.UU. 20 dicembre 2007, in Giust. pen., 2008, III, c. 449; C. Iasevoli, Le ragioni di sistema a fondamento della inapplicabilità analogica dell’art. 521 c.p.p. all’udienza preliminare, ivi, c. 451; L. Marafioti, Imputazione e rapporti tra P.M. e G.I.P. secondo le Sezioni Unite: un abuso di disinvoltura?, ivi, c. 456; O. Mazza, Roma e Strasburgo: questioni analogiche, sensibilità diverse, ivi, c. 460; G. Santalucia, L’imputazione generica in udienza preliminare: le Sezioni Unite rivendicano, in nome dell’efficienza, un ruolo “forte” della nomofilachia, ivi, c. 462; V. Maffeo, L’udienza preliminare. Tra diritto giurisprudenziale e prospettive di riforma, 2008, Cedam, Padova, p. 93 ss.
[12] È opportuno sottolineare come, nel corso dei lavori preparatori della cd. legge Carotti, fosse stata avanzata, senza trovare accoglimento, la proposta di includere la mancanza dei requisiti di chiarezza e precisione tra le cause di nullità della richiesta di rinvio a giudizio espressamente previste dal legislatore. Conseguentemente, l’asserita lacuna non sarebbe riconducibile a una svista ma piuttosto a una precisa volontà tesa a soddisfare esigenze antiformalistiche e confinare le carenze descrittive nel novero delle mere irregolarità. Sul punto, E. Aprile, Giudice unico e processo penale. Commento alla legge “Carotti” 16 dicembre 1999, n. 479, Giuffrè, Milano, 2000, p. 69.
[13] Così definito da Cass., sez. Un., 20 dicembre 2007, cit., p. 2314.
[14] Una simile sequenza non costituisce una vera e propria novità, potendosene rinvenire le tracce già in Corte cost., 14 aprile 1995, n. 131, Buggè e altri, in Giur. cost., e Corte cost., 15 marzo 1994, n. 88, in Giust. pen., con nota di A. Virgilio, Fatto diverso: trasmissibilità degli atti dal giudice dell’udienza preliminare al pubblico ministero?.
[15] Il potere di trasmissione degli atti al pubblico ministero libera il giudice dell’udienza preliminare dall’obbligo di emettere consciamente un decreto di rinvio a giudizio contenente un’imputazione imprecisa e dunque nullo ex art. 429 co. 2 c.p.p.
[16] Di questo avviso, tra gli altri, F. Cassibba, L’udienza preliminare. Struttura e funzioni, Giuffrè, Milano, 2007, p. 143; S. Lorusso, Una scelta di efficienza processuale che non legittima forzature o abusi, cit., p. 67; V. Maffeo, L’udienza preliminare. Tra diritto giurisprudenziale e prospettive di riforma, cit., p. 99; O. Mazza, Imputazione e “nuovi” poteri del giudice dell’udienza preliminare, cit., p. 1377; C. Valentini, Imputazione e giudice dell’udienza preliminare, cit., c. 438. Accoglie invece favorevolmente la pronuncia C. Iasevoli, La nullità nel sistema processuale penale, 2009, Cedam, Padova, p. 437, che ritiene più «conferente al sistema il percorso evolutivo dell’orientamento confluito nella decisione delle Sezioni unite, che individua all’interno della struttura codicistica i rimedi fisiologici di correzione dell’imprecisa formulazione dell’imputazione come espressione “naturale” della funzione dell’udienza preliminare». In questo senso v. anche G. Lozzi, Enunciazione in forma chiara e precisa del fatto imputato nella richiesta di rinvio a giudizio, in Riv. it. dir. proc. pen., 2010, p. 418 ss.
[17] V. D. Iacobacci, La modifica dell’imputazione su sollecitazione del giudice, in Giust. pen., 2006, III, c. 725, nt. 54.
[18] In questo senso, M. Caianiello, Alcune considerazioni in tema di imputazione formulata in modo alternativo, cit., p. 2470; F. Casasole, Davvero abnorme il provvedimento con il quale il giudice dell’udienza preliminare restituisce gli atti al pubblico ministero a causa della genericità dell’imputazione?, cit., p. 1068; R. Del Coco, Addebito penale preliminare e consapevolezza difensiva, cit., p. 172; M.L. Di Bitonto, Richiesta di rinvio a giudizio con capi d’imputazione generici, cit., p. 1025; L. Marafioti, Imputazione e rapporti tra P.M. e G.I.P. secondo le Sezioni Unite: un abuso di “disinvoltura”, cit., c. 458; C. Marinelli, La genericità o indeterminatezza dell’imputazione nella fase dell’udienza preliminare, cit., p. 2327; O. Mazza, Imputazione e “nuovi” poteri del giudice dell’udienza preliminare, cit., p. 1377.
[19] Evidenzia la diversità L. Marafioti, Imputazione e rapporti tra P.M. e G.I.P. secondo le Sezioni Unite: un abuso di “disinvoltura”, cit., c. 457.
[20] Per G. Varraso, Omessa o insufficiente descrizione dell’imputazione, nullità della vocatio in iudicium e autorità competente alla rinnovazione, cit., p. 324, «la fluidità dell’accusa […] non va confusa con la possibilità, inaccettabile, per il pubblico ministero di “aggiustare” liberamente imputazioni generiche».
[21] Testualmente F. Cassibba, L’udienza preliminare. Struttura e funzioni, cit., p. 143, il quale richiama l’espressione impiegata in Corte cost., 30 giugno 1994, n. 265, in Giur. cost., 1994, p. 2153, con nota di V. Retico, Contestazione suppletiva e limiti cronologici per il patteggiamento.
[22] Queste le parole di L. Marafioti, Imputazione e rapporti tra P.M. e G.I.P. secondo le Sezioni Unite: un abuso di “disinvoltura”, cit., c. 459.
[23] Ad avviso di G. Fiorelli, L’imputazione latente, cit., p. 211, rievocando le parole di G. Garuti, La nuova fisionomia dell’udienza preliminare, in Il processo penale dopo la riforma del giudice unico (l. 16 dicembre 1999 n. 479), a cura di F. Peroni, Cedam, Padova, 2000, p. 360, e F. Cordero, Nullità, sanatorie e vizi innocui, cit., p. 44, «il rischio, in buona sostanza, è che lo sforzo compiuto dal legislatore nel 1999 per eliminare ogni forma di “lassismo” nella formulazione dell'imputazione si risolva in una «dichiarazione di intenti», affievolendosi, cioè, «a semplice raccomandazione di un modus procedendi», rivolta al pubblico ministero affinché presti la massima diligenza possibile nella redazione dell’accusa».
[24] Sulle corrispondenti previsioni da osservare dinanzi al tribunale in composizione monocratica ex art. 554 bis co. 5, 6 e 7, c.p.p. si rinvia a M. Daniele, L’udienza predibattimentale: una sfida per i tribunali, in questa Rivista, 16 gennaio 2023, p. 4 ss.; G. Rossi, Le novelle della riforma Cartabia ed il processo penale davanti al Tribunale in composizione monocratica: la nuova “udienza di comparizione predibattimentale a seguito di citazione diretta”, in questa Rivista, 25 maggio 2023, p. 79 ss.
[25] Così R. Del Coco, Rimaneggiamento delle regole per non procedere: archiviazione e udienza preliminare, cit., p. 90.
[26] Osserva G. Caneschi, Le modifiche relative all’udienza preliminare, in Riforma Cartabia. Le modifiche al sistema penale, v. II, cit., p. 145, come dalla modifica del co. 2 dell’art. 421 c.p.p. si possa desumere il carattere necessario – rispetto alla prosecuzione dell’udienza preliminare – del preventivo controllo sulla corretta formulazione del capo d’imputazione con riferimento a qualunque nullità in relazione a esso sia stata eccepita. Sul punto S. Quattrocolo-A. Cabiale, Un filtro più potente precede un bivio più netto: nuove possibili prospettive di equilibrio tra udienza preliminare, riti speciali e giudizio nel quadro della riforma Cartabia, in Giust. ins., 9 gennaio 2023, p. 2, sottolineano come non possa escludersi che la genericità dell’imputazione emerga da un più approfondito raffronto con le risultanze delle indagini contenute nel relativo fascicolo.
[27] G. Fiorelli, Indeterminatezza dell’imputazione e conseguenze sanzionatorie nella prospettiva della legge delega n. 134 del 2021: vecchi equivoci e nuove resistenze dogmatiche, in Arch. pen., 17 gennaio 2022, p. 4 ss.; Ead., Il vaglio giurisdizionale sulla formulazione dell’imputazione in sede di udienza preliminare: tra tentativi di codificazione giurisprudenziale e resistenze dogmatiche, in “Riforma Cartabia” e rito penale. La Legge Delega tra impegni europei e scelte valoriali, a cura di A. Marandola, Cedam, Padova, 2022, p. 149, intravede nell’inciso «sentite le parti» un tentativo di apertura verso una cogestione della vicenda fattuale tra giudice e pubblico ministero piuttosto che un vero coinvolgimento delle stesse, dovendosi escludere che la loro valutazione possa bloccare l’iniziativa della pubblica accusa volta a correggere l’imputazione.
[28] Ancora, ad avviso di G. Fiorelli, Indeterminatezza dell’imputazione e conseguenze sanzionatorie nella prospettiva della legge delega n. 134 del 2021: vecchi equivoci e nuove resistenze dogmatiche, cit., p. 13; Ead., Imputazione generica e controllo giurisdizionale in sede di udienza preliminare, in Procedura penale in action. Materiali per una critica della giurisprudenza, a cura di L. Marafioti-G. Fiorelli-F. Centorame, Giappichelli, Torino, 2022, p. 123; Ead., Il vaglio giurisdizionale sulla formulazione dell’imputazione in sede di udienza preliminare: tra tentativi di codificazione giurisprudenziale e resistenze dogmatiche, in “Riforma Cartabia” e rito penale. La Legge Delega tra impegni europei e scelte valoriali, cit., p. 154 ss.; Ead., La riforma dell’udienza preliminare: traiettorie efficientiste e deviazioni sistematiche, in La procedura penale “riformata”. Una lettura per gli studenti, a cura di L. Marafioti-G. Paolozzi-F. Centorame-G. Fiorelli, Giappichelli, Torino, 2023, p. 196, non si tratterebbe di una sanatoria, quanto di una «rinnovazione dell’atto invalido, anticipata rispetto alla dichiarazione di nullità». Nello stesso senso v. anche A. Capone, I ritocchi in tema di udienza preliminare, in Giur. it., 2023, p. 1195, il quale evidenzia l’anomalia di una rinnovazione che non sia preceduta dalla regressione.
[29] Il regime cui è sottoposta la nullità in parola è indiscutibilmente un inedito all’interno del sistema. G. Fiorelli, Indeterminatezza dell’imputazione e conseguenze sanzionatorie nella prospettiva della legge delega n. 134 del 2021: vecchi equivoci e nuove resistenze dogmatiche, cit., p. 8; Ead., Imputazione generica e controllo giurisdizionale in sede di udienza preliminare, in Procedura penale in action. Materiali per una critica della giurisprudenza, cit., p. 121; Ead., La riforma dell’udienza preliminare: traiettorie efficientiste e deviazioni sistematiche, in La procedura penale “riformata”. Una lettura per gli studenti, cit., p. 194, vi si riferisce in termini di nullità “eventuale” e “condizionata”, essendo la sua rilevazione subordinata al verificarsi della ulteriore condizione negativa – rispetto alla non conformità al modello legale – dell’inerzia del pubblico ministero. In termini analoghi v. anche R. Del Coco, Rimaneggiamento delle regole per non procedere: archiviazione e udienza preliminare, cit., p. 91; L. Iandolo, I rimedi ai vizi dell’imputazione, in La riforma Cartabia, a cura di G. Spangher, Pacini Giuridica, Pisa, 2022, p. 311; E.N. La Rocca, Il modello di riforma “Cartabia”: ragioni e prospettive della Delega n. 134/2021, in Arch. pen., 1 dicembre 2021, p. 23; S. Renzetti, L’udienza preliminare ridisegnata e la nuova udienza di comparizione, in Riassetti della penalità, razionalizzazione del procedimento di primo grado, giustizia riparativa, a cura di E.M. Catalano-R.E. Kostoris-R. Orlandi, Giappichelli, Torino, 2023, p. 144; F. Tondin, Il vaglio del giudice dell’udienza preliminare sull’imputazione nella riforma Cartabia, in Cass. pen., 2023, p. 53.
[30] V. Relazione illustrativa al d.lgs. n. 150/2022, in questa Rivista, 20 ottobre 2022, p. 105, ove la soluzione viene motivata dal fatto che «la rilevazione del vizio è condizionata alla mancata integrazione del capo d’accusa da parte del pubblico ministero o all’omesso recepimento dell’indicazione giudiziale, e dunque al verificarsi di una condizione negativa che integra il vizio originario dell’atto e si manifesta solo con l’apertura dell’udienza».
[31] Cfr. Relazione illustrativa al d.lgs. n. 150/2022, cit., p. 105.
[32] Peraltro, ai sensi dell’art. 185 co. 3 c.p.p., è la stessa dichiarazione di nullità a comportare la regressione del procedimento allo stato o al grado in cui è stato compiuto l’atto nullo. Sull’incompatibilità o meno del g.u.p. che abbia dichiarato la nullità a tenere la nuova udienza si rinvia, tra gli altri, a F. Di Vizio, L’imputazione: la madre di tutte le garanzie, in disCrimen, 18 settembre 2023, p. 35 ss.; F. Falato, La Corte costituzionale torna sulla incompatibilità del giudice dell’udienza preliminare, in Giust. pen., 2017, p. 140 ss.; A. Pasta, Poteri del giudice dell’udienza preliminare sull’imputazione, incompatibilità e privilegi, in Cass. pen., 2017, p. 2948 ss.; S. Quattrocolo, Ancora sull’imparzialità del g.u.p.; la Corte costituzionale non ha dubbi in merito alla “dottrina Battistella”, in Giur. cost., 2019, n. 2, p. 887 ss.; E. Sacchetto, Ancora su incompatibilità del gup e applicazione della “dottrina Battistella”, in Leg. pen., 28 ottobre 2019; G. Spangher, Gli incerti orizzonti della giustizia penale tra la forza della politica e quella della volontà: spargere l’ottimismo non basta, in Pen. dir. e proc., 15 febbraio 2022.
[33] In questi termini v., già, T. Rafaraci, Archiviazione e udienza preliminare nella riforma Cartabia, in Dir. pen. proc., 2023, p. 164.
[34] Viene così consentita un’attività che, già ammessa in grado d’appello, invece resta preclusa in sede dibattimentale: come noto, infatti, con la sentenza n. 230/2022 la Corte costituzionale ha chiarito che la disciplina dettata dall’art. 521 co. 2 c.p.p. con riferimento al fatto “diverso” non può essere estesa all’ipotesi del fatto connotato da una circostanza aggravante non contestata dal pubblico ministero. Se un tanto fosse concesso, a risentirne sarebbe non solo la durata del rito ma anche il canone di terzietà e imparzialità del giudicante, con evidenti ricadute sul diritto di difesa. J. Della Torre, Circostanze aggravanti non contestate e poteri del giudice tra Corte costituzionale e “riforma Cartabia”, in Riv. it. dir. pen. proc., 2023, p. 267 ss., sottolinea come dal punto di vista dei poteri attribuiti al giudice il sistema appaia “schizofrenico”, contemplando, «a seconda della singola fase e del grado del processo, una dilatazione, un restringimento e una nuova estensione dei poteri del giudice con riguardo alla medesima tematica». Per un commento alla pronuncia in parola si rinvia a E. Aprile, Sui poteri del giudice in caso di omessa contestazione di una aggravante in una recente pronuncia della Consulta, in Cass. pen., 2023, p. 478 ss.; G. Fiorelli, Mancata contestazione dell’aggravante e limiti del controllo giurisdizionale: nessun rimedio all’inerzia del pubblico ministero, in Giur. cost., 2022, p. 2634 ss.; T. Rafaraci, Correlazione tra accusa e sentenza e circostanza aggravante non contestata: la Consulta respinge la lettura “inquisitoria”, in Cass. pen., 2023, p. 1608 ss.
[35] S. Renzetti, L’udienza preliminare ridisegnata e la nuova udienza di comparizione, cit., p. 147.
[36] Se così fosse, la comminatoria di nullità sarebbe se non altro prevista con riferimento alla corrispondente previsione (art. 554 bis co. 6 c.p.p.) da osservare in sede di udienza predibattimentale.
[37] Da ultimo, Cass., sez. III, 23 febbraio 2023, n. 28037, in Giur. it., 2023, con nota di M. Cecchi, Imputazione indeterminata: lo “schema Battistella” non opera in fase dibattimentale, ha affermato che «la circostanza che il legislatore, di fronte ad una situazione di incertezza applicativa, abbia inteso disciplinare la descritta fattispecie con esclusivo riferimento alla fase della udienza preliminare, rende ancora più evidente la riferibilità del meccanismo processuale solo e soltanto a tale ipotesi e non anche a quella del processo dibattimentale, apparendo diversamente inspiegabile, ove si fosse voluto estendere il meccanismo di necessaria interlocuzione anche alla fase dibattimentale, la inerzia del legislatore in ordine all’altro momento processuale».
[38] Ad avviso di R. Del Coco, La regressione degli atti nel processo penale, cit., p. 22, la caducazione degli effetti propri dell’atto successivo non sarebbe conseguenza della «propagazione» dell’invalidità originaria dell’atto nullo quanto di una imperfezione sopravvenuta all’annullamento della situazione giuridica illegittima.
[39] Cfr. Relazione illustrativa al d.lgs. n. 150/2022, cit., p. 107.
[40] Questa l’impressione di M. Arleo, I rimedi ai vizi dell’imputazione: novità, lacune e dimenticanze del legislatore della riforma, in Gli snodi problematici della riforma Cartabia con uno sguardo al futuro, a cura di G. Colaiacovo–F. Delvecchio–W. Nocerino, Cacucci editore, Bari, 2023, p. 64.
[41] F. Cassibba, Udienza preliminare e controlli sull’enunciato d’accusa a trent’anni dal codice di procedura penale, cit., p. 3, oltre a ricordare come l’impegno profuso dal giudice nella “costruzione” dell’accusa militi nel senso di un successivo rinvio a giudizio, sottolinea come ciò determini un disincentivo per l’imputato all’opzione per i riti alternativi. Nello stesso senso, S. Lonati, L’udienza preliminare, in Riforma Cartabia. La nuova giustizia penale, cit., p. 706. Secondo F. Morelli, Osservazioni critiche sulla funzione dell’indagine alla luce della nuova udienza preliminare, in questa Rivista, 2023, n. 5, p. 34 ss., attribuire al giudice il compito di far arrivare a dibattimento accuse correttamente formulate in fatto e in diritto non sta a significare che questi contribuisca alla correzione dell’imputazione ma piuttosto che la dismetta, ponendo fine al processo con sentenza di non luogo a procedere.
[42] In questo senso si esprimono G. Fiorelli, Indeterminatezza dell’imputazione e conseguenze sanzionatorie nella prospettiva della legge delega n. 134 del 2021: vecchi equivoci e nuove resistenze dogmatiche, cit., p. 8; Ead., Imputazione generica e controllo giurisdizionale in sede di udienza preliminare, in Procedura penale in action. Materiali per una critica della giurisprudenza, cit., p. 125, e S. Renzetti, L’udienza preliminare ridisegnata e la nuova udienza di comparizione, cit., p. 147.