Corte d'Assise Roma, I sez. ord. ex art. 495 c.p.p., 12 dicembre 2024, Pres. Roja, Giud. Della Vecchia
1. Ancora una volta[1], il processo contro i quattro agenti dei servizi di sicurezza egiziani imputati per il sequestro, le torture e l'omicidio del cittadino e ricercatore italiano Giulio Regeni torna al centro dell’attenzione giuridica con una pronuncia di rilievo.
Con l'ordinanza che può leggersi in epigrafe, la Corte d’Assise di Roma – provvedendo sulla richiesta formulata dal pubblico ministero all’udienza del 19 giugno 2024 –, ha ammesso l'acquisizione a mezzo lettura delle sommarie informazioni rese da parte di tre testimoni residenti all'estero[2], ritenendone assolutamente e oggettivamente impossibile l'esame dibattimentale. All'udienza fissata per la loro audizione, infatti, nessuno di essi si presentava presso il luogo della convocazione, né perveniva alcuna loro giustificazione (se non nei termini di cui si dirà a breve). Sicché, il pubblico ministero formulava richiesta di acquisizione ex art. 512 bis c.p.p. – o, eventualmente, ex art. 512 c.p.p. – degli atti contenenti le loro precedenti dichiarazioni, asserendone l’irripetibilità per sopravvenienze imprevedibili al momento dell’acquisizione al fascicolo delle indagini. Trattasi, in particolare, delle dichiarazioni rese dinanzi alla Procura di Roma nel 2017 da parte del teste Z. – corrispondente a un giornalista e attivista nominativamente secretato –, delle dichiarazioni parimenti rese al pubblico ministero nel corso delle indagini dalla teste H.K. e delle dichiarazioni rese dal sindacalista M.A.S. nel 2016 all’Autorità egiziana, spontaneamente consegnate da questa alla Procura di Roma.
Per addivenire a un'interpretazione che autorizzasse la deroga alla pratica del contraddittorio, i giudici hanno valorizzato l’assoluta originalità della questione sottoposta alla loro attenzione e l’assenza di precedenti, nonché il perdurante rifiuto di cooperazione da parte dell’Egitto. Sul punto si tornerà nel prosieguo ma un’osservazione di carattere preliminare è doverosa. La Corte – in linea con una prassi ormai consolidata nell’ambito del processo Regeni – ha adottato una motivazione passe-partout, che finisce per dilatare i confini della disciplina rilevante (in questo caso, quella di cui all’art. 512 bis c.p.p.) al fine di giustificare una decisione che privilegi la coerenza del caso concreto, pur creando un’incoerenza nel sistema[3].
In questa prospettiva, allora, diviene essenziale interrogarsi sulle implicazioni di tale approccio rispetto ai principi cardine del processo penale, non prima di aver brevemente ricostruito il quadro normativo applicabile e ripercorso la valutazione operata dalla Corte con riferimento a ciascun testimone.
2. Quale punto nevralgico di raccordo tra due opposte esigenze – da un lato, la tutela del contraddittorio e, dall’altro, il recupero in chiave probatoria del materiale cognitivo extra- dibattimentale – le letture per irripetibilità degli atti rappresentano uno dei terreni codicistici più impervi[4], suscettibile di molteplici scenari interpretativi.
Gli artt. 512 e 512 bis c.p.p., alternativamente invocati dal pubblico ministero a fondamento della propria richiesta, costituiscono, come noto, la concretizzazione a livello di legge ordinaria della ragione di deroga al metodo dialettico dovuta ad accertata impossibilità di natura oggettiva[5]. In questo senso, per ovviare alla dispersione dei mezzi di prova, il legislatore ha previsto che la mancata comparizione in giudizio del testimone «apr[a] la strada del processo a conoscenze anteriormente formate»[6]: gli atti raccolti nel corso del lavoro investigativo, unilateralmente e in segreto, con l’attivazione delle letture, subiscono una sorta di «mutazione genetica»[7], che li rende verbali di prova destinati a seguire il giudice in camera di consiglio[8].
L’art. 512 c.p.p., nell’ammettere l’acquisibilità al fascicolo del dibattimento «degli atti assunti dalla polizia giudiziaria, dal pubblico ministero, dai difensori delle parti private e dal giudice dell’udienza preliminare», statuisce espressamente che tale deroga al principio del contraddittorio sia consentita esclusivamente (su espressa richiesta di parte) allorquando, per fatti o circostanze ragionevolmente imprevedibili al momento del loro compimento, ne sia divenuta impossibile la ripetizione[9]. Ciò, sempre che l’impossibilità di ripetere il mezzo probatorio in dibattimento sia oggettiva, non conseguente a una libera scelta del dichiarante di sottrarsi al contraddittorio.
Ai sensi dell’art. 512 bis c.p.p., invece, «tenuto conto degli altri elementi di prova acquisiti»[10], il giudice può disporre il repechage dei verbali contenenti le dichiarazioni rese nel corso delle indagini da persona residente all’estero[11], alla sola condizione che vi sia stata una corretta, effettiva e valida citazione a comparire in giudizio della medesima – se necessario, procedendo con le formalità previste dall’art. 727 c.p.p. per le rogatorie internazionali o sulla base degli atti di cooperazione giudiziaria – e sia assolutamente e oggettivamente impossibile disporne l’esame dibattimentale.
Ora, se non v’è dubbio che i due istituti condividano la medesima ratio, nondimeno essi differiscono quanto a presupposti operativi. La specificità dell’art. 512 bis c.p.p. rispetto all’art. 512 c.p.p. non risiede unicamente nella figura del dichiarante, ossia la persona residente all’estero, ma anche nel mancato riferimento al parametro dell’imprevedibilità degli impedimenti che precludono l’assunzione della testimonianza in contraddittorio[12]. Sicché, non sarebbe corretto ricostruire il rapporto tra le due disposizioni in termini di genere (art. 512) a specie (art. 512 bis) o specialità secca[13], trattandosi piuttosto di un rapporto di specialità bilaterale. Diversamente opinando, la prima delle richiamate norme sarebbe ridotta a un mero surrogato della seconda, cui ricorrere nell’eventualità in cui non si possa impiegare quest’ultima per insussistenza dei relativi presupposti, con l’effetto di creare in tal modo una terza disciplina non prevista dal Codice.
Allora, ciò considerato, d’ora in avanti ci si concentrerà solo sull’art. 512 bis c.p.p., disposizione da ritenersi – e, come si vedrà, ritenuta dalla Corte – applicabile al caso di specie in considerazione del luogo di residenza dei dichiaranti.
Posto che il recupero dei verbali degli atti d’indagine rappresenta l’extrema ratio rispetto al principio generale di favor per l’assunzione della fonte dichiarativa nel contraddittorio tra le parti e innanzi al giudice chiamato a decidere, nell’esegesi normativa la giurisprudenza ha seguito linee interpretative restrittive e rigorose. Così, si è cercato comunque di imporre alla parte che chiede l’acquisizione a mezzo lettura il soddisfacimento di un onere di preventiva attivazione del contraddittorio, dovendo il testimone avere conoscenza legale dell’obbligo di presentarsi al processo. Nel caso in cui il dichiarante non sia stato trovato all’indirizzo indicato e, dunque, la notificazione non sia stata effettuata, non lo si potrà ritenere irreperibile sulla sola base di una verifica burocratica o di routine, che si limiti alle risultanze anagrafiche o a prendere atto del difetto di notificazione. Sebbene con riferimento al teste non esista un provvedimento dichiarativo dell’irreperibilità pari a quello previsto per l’imputato – al quale si accede all’esito di una serie di ricerche infruttuose poste in essere dall’autorità giudiziaria e svolte nei luoghi indicati dall’art. 159 c.p.p. –, potrà assistersi alla trasmigrazione nel fascicolo per il dibattimento delle dichiarazioni acquisite unilateralmente soltanto ove sia stata espletata da parte del giudice un’attività di verifica e controllo complessa, articolata e argomentata, che abbia comportato l’adempimento dell’obbligo di fare tutto quanto in suo potere per reperire il dichiarante[14].
Anche l'accertamento del secondo requisito impone al giudice di aver esplorato, senza successo, tutte le possibilità e gli strumenti a sua disposizione per cercare di superare gli ostacoli per pervenire all’ordinaria formazione dialettica della prova, dovendo l’impossibilità a comparire essere, oltre che “oggettiva”, anche “assoluta”. Pertanto, essa non può discendere in via esclusiva dalla volontaria sottrazione del testimone al dibattimento e, tantomeno, dalla constatazione di difficoltà logistiche, spese elevate o intralci burocratici connessi alle procedure volte ad ottenere la ripetizione delle risultanze investigative in giudizio. In altre parole, un’assoluta impossibilità di assumere la prova in contraddittorio si potrà verificare solo quando il giudice, dopo avere esperito tutte le opportune e necessarie attività dirette a localizzare il teste, lo abbia inutilmente citato a comparire e abbia tentato, altrettanto inutilmente, di fare assumere la prova per rogatoria internazionale “concelebrata” o “mista”, senza raggiungere lo scopo per ragioni a lui non imputabili e insuperabili[15].
Dunque, è nel solco di tale quadro normativo e interpretativo che si colloca la pronuncia in commento, del cui iter argomentativo è opportuno ripercorrere le linee essenziali.
3. Per disquisire dell’ammissione della lettura delle sommarie informazioni rese da parte dei tre testimoni, trattandosi – come si è detto – di soggetti residenti all’estero, l’istituto cui riferirsi non può che essere quello disciplinato dall’art. 512 bis c.p.p.
La Corte, innanzitutto, valuta il profilo relativo alla conoscenza della citazione per l’udienza.
Sul punto, il pubblico ministero ha dato prova di tutti gli sforzi compiuti dalle Autorità italiane competenti per raggiungere i testimoni non comparsi. Tali tentativi hanno incluso non solo una pressante attività diplomatica svolta dall’Ambasciata italiana al Cairo ex artt. 37 e 38 d.lgs. 71/2011, ma anche l’impiego di strumenti formali e informali di notifica, quali telefonate sui rispettivi numeri personali, raccomandate tramite posta ordinaria e comunicazioni via mail. Mentre il teste M.A.S. non è stato rintracciato in alcun modo, proprio quest’ultimo mezzo ha consentito di mettersi in contatto con i testi Z. e H.K., i quali, tuttavia, hanno comunicato di essere impossibilitati a presenziare per timori legati alla propria incolumità.
Peraltro, alla luce della Convenzione Internazionale sulla Tortura – il cui art. 9 impegna gli Stati contraenti (e, quindi, pure Italia ed Egitto) alla più vasta cooperazione giudiziaria possibile –, la Procura di Roma aveva trasmesso per vie diplomatiche una richiesta di assistenza finalizzata alla citazione dei testimoni. Due giorni prima della data fissata per l’udienza, però, l’esito di tali solleciti ha trovato risposta formale con una nota della Procura Generale egiziana, trasmessa dal Ministero degli Affari Esteri, ove veniva comunicata l’impossibilità di procedere alla rogatoria. In particolare, il mancato accoglimento della richiesta di assistenza giudiziaria veniva motivato adducendo i) l’inesistenza di un accordo di cooperazione giudiziaria internazionale in materia penale tra i due Stati e ii) la contrarietà della sua esecuzione con la Costituzione, le leggi e i principi giuridici vigenti nella Repubblica Araba d’Egitto, nonché con le regole dell’ordine pubblico, in specie con il principio del ne bis in idem.
Da ultimo, va segnalato che la Corte ha rigettato l’eccezione – sollevata dalle difese degli imputati – secondo cui il pubblico ministero avrebbe volontariamente omesso di instaurare il contraddittorio tramite incidente probatorio per l’audizione partecipata dei testimoni Z. e H.K. Al di là del fatto che la scelta in ordine all’attivazione di tale procedura è rimessa in via esclusiva all’organo d’accusa, la stessa era di per sé impedita dal fatto che allora si procedesse a carico di soggetti ignoti, ragione per cui non sarebbe stato possibile instaurare alcun contraddittorio in mancanza di soggetti interessati a parteciparvi.
3.1. Giunti a questo punto, in relazione ai tre testimoni vengono svolte separate considerazioni.
Quanto al teste M.A.S., mai raggiunto da alcuna notifica nonostante i molteplici tentativi di inoltro sopra descritti, la Corte d’Assise conclude comunque nel senso dell’accoglimento della richiesta di cui all’art. 512 bis c.p.p., essendosi concretizzata un’impossibilità oggettiva, assoluta e insuperabile di poterlo assumere in contraddittorio. L’omessa citazione, in questo caso, non fa venir meno la sussistenza degli estremi per la deroga al principio costituzionale, dovendosi apprezzare unicamente il dato neutro e obiettivo dell’esperimento di ogni mezzo, compreso quello diplomatico, per addivenire alla presa di conoscenza dell’impegno da parte del teste, nonché il carattere incolpevole del fallimento dell’Autorità giudiziaria italiana. La ferma posizione di rifiuto assunta dall’Egitto, tradottasi nel sistematico rigetto di ogni richiesta ricevuta, peraltro, rende del tutto verosimile che anche ulteriori tentativi rogatoriali subirebbero la medesima sorte.
In questo contesto, la circostanza che le dichiarazioni da sottoporre a lettura provengano dall’Autorità Egiziana che le ha raccolte – anziché da quella italiana – viene giudicata irrilevante. Ciò, sulla scorta del fatto che l’art. 512 bis c.p.p. faccia espresso riferimento a dichiarazioni acquisite all’estero «anche a seguito di rogatoria internazionale», così come l’art. 729 bis c.p.p. consenta l’acquisizione al fascicolo del pubblico ministero della «documentazione relativa ad atti e a informazioni spontaneamente trasmessi dall’Autorità di altro Stato», eventualmente nel rispetto delle condizioni poste dallo Stato trasmittente. Pertanto, siano esse contenute nel fascicolo delle indagini preliminari perché raccolte nell’ambito dell’attività rogatoriale richiesta, ovvero trasmesse dall’Autorità straniera che ha condotto le indagini in via del tutto autonoma e incondizionata, tali dichiarazioni sono soggette al medesimo regime probatorio, ossia il regime proprio delle informazioni raccolte direttamente dall’Autorità italiana, ivi compresa l’acquisibilità al dibattimento laddove ricorrano i presupposti ex art. 512 bis c.p.p.
Questa conclusione appare, secondo la Corte, l'unica coerente con le premesse del processo di cui si discute, segnato da un perdurante difetto di cooperazione internazionale, da condotte di mancata assistenza giudiziaria ascrivibili alla Repubblica Araba d’Egitto e dall’invocazione del principio del ne bis in idem sulla base di decreto di archiviazione. Se tali elementi hanno già portato alla dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’art. 420 bis co. 3 c.p.p., la medesima permanente condotta oppositiva, oltre a provare di per sé l’esaurimento dei rimedi ordinamentali disponibili per l’assunzione dei testimoni residenti in Egitto – come richiesto dalla disciplina invocata dal pubblico ministero –, legittima ora l’acquisizione mediante lettura delle informazioni da loro rese. Diversamente opinando – continuano i giudici –, si rischierebbe, da un lato, di negare il diritto inviolabile di Giulio Regeni a non essere vittima di tortura e, dall’altro, di creare le condizioni per una fattuale immunità penale extra ordinem, in aperto contrasto con il divieto sovranazionale di tortura e l’obbligo per gli Stati di perseguirla.
In questo senso, il sistema di acquisizione della prova dichiarativa ex artt. 499 e ss. c.p.p., se certo esclude la possibilità di creare categorie intermedie o “ibride” tra gli artt. 512 e 512 bis c.p.p., neppure può essere interpretato nel senso di determinare una zona franca priva di disciplina laddove sia oggettivamente impossibile la citazione del testimone straniero o la sua assunzione in rogatoria.
La Corte, consapevole «dell’assoluta originalità della questione e dell’assenza di precedenti», ritiene consentita la deroga al contraddittorio e, dunque, l'acquisizione a mezzo lettura delle prime dichiarazioni rese dal testimone, valorizzando l’effetto finale dell’assoluta e non imputabile impossibilità di ripetere la prova, anche se la citazione è stata impedita dalle Autorità dello Stato estero, che non hanno consentito in alcun modo il contatto con il dichiarante.
Ad avviso dei giudici, quella offerta sarebbe un’interpretazione costituzionalmente adeguata e non impedita dalla lettera dell’art. 512 bis c.p.p., dove il requisito della citazione del testimone diventa recessivo rispetto al dato oggettivo e assorbente della superiore impossibilità della convocazione. Si tratterebbe, infatti, dell’unica lettura conforme allo spirito della norma, che riflette la consapevolezza del legislatore circa le concrete difficoltà nell’ottenere la presenza in aula di testimoni residenti all’estero, a causa dei numerosi ostacoli che ad essa potrebbero frapporsi.
Diversa, seppure solo parzialmente, è la valutazione espressa nei confronti degli altri due testimoni, Z. e H.K.
Pur essendo stati effettuati i medesimi tentativi di notifica, gli stessi hanno avuto notizia della citazione tramite posta elettronica, cui hanno in seguito dato riscontro attraverso propria mail per informare dell’impossibilità a testimoniare a causa di fondati timori per la propria sicurezza personale e familiare, derivanti da future prevedibili ritorsioni da parte del regime egiziano.
In un simile quadro fattuale, non potendosi parlare né di irreperibilità dei testimoni, né di un’effettiva irripetibilità delle dichiarazioni, l’attenzione della Corte si è concentrata sulla causa della loro assenza. L’interrogativo, in altri termini, è se essa sia riconducibile a una libera scelta di non instaurare il contraddittorio – configurando, dunque, una sorta di “irripetibilità di comodo”, soggettiva e volontaria – o, al contrario, a un reale pericolo per l’incolumità personale. Nel primo caso, infatti, alla luce dell’orientamento giurisprudenziale che interpreta l’art. 512 bis c.p.p. in combinato disposto con l’art. 526 co. 1 bis c.p.p.[16], non sarebbe ammissibile la lettura delle dichiarazioni, determinandosi altrimenti un’incompatibilità con la più volte richiamata necessità di un’impossibilità di ripetizione delle dichiarazioni di tipo assoluto ed oggettivo, da valutarsi restrittivamente e rigorosamente.
La Corte, per risolvere il quesito, richiama le autorevoli indicazioni delle Sezioni Unite[17], secondo cui non vi è volontarietà nell’assenza del teste in presenza di una provata o presunta coazione illecita, violenza fisica o psichica, o di altre indebite interferenze esterne che escludano la libera autodeterminazione. Si può, pertanto, ritenere sussistente un principio generale di inutilità del contraddittorio ogniqualvolta sia accertato, secondo parametri di ragionevolezza e persuasività, che l’assenza non dipende da una libera scelta del testimone, ma da condizionamenti obiettivi e rilevanti, quand’anche la testimonianza sia fattualmente ripetibile.
Nel caso di specie, nessuno dei due testimoni ha addotto motivazioni generiche o difficoltà meramente pratiche – quali ostacoli logistici, costi elevati o problemi burocratici, facilmente superabili e tali da non impedire di per sé in assoluto la ripetizione della prova –, bensì una situazione di coazione psicologica, foriera di rischi concreti per sé e per i propri familiari.
Da questo punto di vista, numerosi elementi obiettivi documentano come la situazione dei diritti civili in Egitto sia ampiamente compromessa. Al di là della stretta vicenda oggetto di indagini e della sorte di Giulio Regeni, lo stesso processo ha già fatto emergere prove significative in merito a pratiche di sparizione forzata e a condizioni detentive in netto contrasto con i fondamentali principi di garanzia, libertà e rispetto del diritto di difesa, nonché con l’obbligo di assoggettare le forze di polizia a controlli esterni indipendenti.
In tale contesto, i timori manifestati dai testimoni appaiono tutt’altro che privi di determinatezza, obiettività e significatività: la loro testimonianza, infatti, riguarderebbe circostanze inerenti l’attività posta in essere da membri di organi statali egiziani o appartenenti agli apparati di sicurezza locali, con ogni prevedibile conseguenza.
Secondo la Corte, quindi, sono riscontrabili concreti elementi di intimidazione, pressione psicologica e violenza morale, idonei a configurare un rischio di ritorsione derivante dalle potenziali accuse mosse dai dichiaranti verso le autorità egiziane, la cui sottovalutazione potrebbe comportare reazioni pericolose ed imprevedibili, a danno loro e/o dei loro familiari.
Il fatto che i due testimoni abbiano reso dichiarazioni nella fase delle indagini preliminari presso la Procura di Roma non cambia il quadro: se lì si trovavano in una condizione di anonimato e segretezza – in un contesto che ancora poteva portare all’archiviazione del procedimento a carico di ignoti –, ben diverso è munirsi di documenti ufficiali per l’espatrio e recarsi a testimoniare in Italia nell’ambito di un processo pubblico e mediaticamente esposto, che gli organi governativi egiziani hanno dimostrato di conoscere e seguire sin troppo da vicino.
Alla luce di queste considerazioni, la Corte ritiene sussistenti quelle situazioni di “timori per la propria incolumità per altre vicende personali” riconosciute dalle Sezioni Unite come causa anomala e atipica di impossibilità dell’esame in contraddittorio del testimone residente all’estero. La situazione concreta, infatti, configura un ostacolo oggettivo alla libera, incondizionata e serena assunzione della prova dichiarativa, compromettendo irrimediabilmente la genuinità dell’esame: elemento che, insieme al consenso, costituisce la ratio sottesa a ogni eccezione costituzionalmente legittima alla regola dell’oralità in contraddittorio.
4. Il riconoscimento della possibilità di acquisire a mezzo lettura le dichiarazioni rese da testimoni residenti all’estero, in un contesto di totale assenza di cooperazione da parte dello Stato di appartenenza, evidenzia quanto il sistema processuale sia chiamato a confrontarsi con scenari eccezionali, non previsti dalla fisiologia del rito.
La soluzione adottata dalla Corte d’Assise si muove in una zona di confine, tra rigore dogmatico e necessità di tutela effettiva dei diritti fondamentali della vittima, imponendo una riflessione più ampia sul delicato equilibrio tra esigenze di accertamento della verità e rispetto delle garanzie processuali. Da un lato, essa conferma la vocazione garantista del processo penale, imponendo alla parte richiedente l’onere di dimostrare l’assoluta e non imputabile impossibilità di procedere all’esame dibattimentale; dall’altro, però, sembra piegare le regole codicistiche alla logica del caso concreto, enfatizzando la dimensione costituzionalmente orientata dell’interpretazione anche a costo di tensioni con la coerenza interna del sistema.
L’esito cui si perviene, dunque, pur fondato su una ricostruzione rigorosa dei presupposti di cui all’art. 512 bis c.p.p., presta il fianco ad alcune considerazioni.
La prima: se, sul piano strettamente applicativo, l’ordinanza in commento si rivela coerente con le specificità del processo Regeni – ove l’assenza di collaborazione egiziana ha assunto i contorni di una costante e sistematica opposizione –, in chiave sistemica, l’ampliamento delle maglie interpretative della deroga al contraddittorio rischia di intaccare l’universalità del principio, erodendo, caso dopo caso, l’architettura garantista del giusto processo. Il pericolo, in altri termini, è quello di trasformare l’eccezione in regola, normalizzando – in nome dell’effettività della giurisdizione – un modello processuale in cui l’oralità e il contraddittorio possono essere sacrificati ogniqualvolta si frappongano ostacoli internazionali, anche persistenti.
La seconda: in una precedente ordinanza dello stesso procedimento, si era ritenuta ammissibile, ex art. 195 co. 4 c.p.p., la testimonianza indiretta di un ufficiale di p.g. italiano in merito a quanto da lui direttamente percepito nel corso dell’audizione, condotta dalle forze di polizia egiziane, del sindacalista M.A.S., «non verbalizzata da parte degli operanti» – si diceva – ma oggetto di una mera annotazione del teste di p.g.[18]. Ora, invece, ci si trova al cospetto di un verbale formalmente redatto dalle autorità dello Stato egiziano, che viene spontaneamente consegnato alla Procura di Roma per l’acquisizione delle dichiarazioni ai sensi dell’art. 512 bis c.p.p. Quel che lascia perplessi, a ben vedere, non è solo la provenienza del documento, ma anche il regime giuridico ritenuto applicabile per la sua utilizzabilità in giudizio.
In particolare, la Corte ha rigettato la richiesta – proveniente da alcune difese di parte civile – volta a qualificare tali dichiarazioni come prova documentale, a cui applicarsi l’art. 234 c.p.p., non condividendo la tesi secondo cui possa prevalere l’aspetto formale su quello contenutistico del documento contenente l’attività investigativa di cui si chiede l’ingresso nel processo, pena l’aggiramento della disciplina di cui all’art. 512 bis c.p.p. A sostegno di un tanto viene ribadito come la natura documentale di un atto sia subordinata alla sua formazione strutturalmente e funzionalmente autonoma rispetto al processo penale[19], ove dev’essere introdotto per acquisire rilevanza; requisito che verrebbe meno nel caso delle dichiarazioni rese da M.A.S. alle Autorità egiziane, afferenti alla fase investigativa del procedimento e formatesi in un contesto di collaborazione giudiziaria.
Eppure, tale conclusione appare discutibile.
Le dichiarazioni del sindacalista egiziano, infatti, vennero raccolte a pochissimi giorni dal ritrovamento del cadavere di Giulio Regeni, in un momento in cui – di fatto – non risultava ancora formalmente instaurato alcun procedimento, né vi erano elementi per affermare l’esistenza di un canale di cooperazione giudiziaria. In tal senso, allora, difettava un contesto procedimentale effettivo e idoneo a qualificare l’atto come parte delle attività investigative, tanto che l’applicazione dell’art. 234 c.p.p. non appare affatto peregrina. Al contrario, essa rappresenterebbe forse la soluzione più aderente alla struttura del sistema e alla reale genesi dell’atto, evitando così di estendere surrettiziamente l’ambito applicativo delle letture dibattimentali a situazioni che, per modalità di formazione e origine istituzionale, sembrano collocarsi più propriamente nel perimetro delle prove documentali.
Nel complesso, dunque, la decisione in commento si rivela sintomatica delle tensioni cui è sottoposto il sistema processuale, costretto a misurarsi con scenari eccezionali che mettono a dura prova l’equilibrio tra flessibilità interpretativa e certezza delle regole.
[1] La vicenda giudiziaria, come noto, ha potuto prendere avvio solo a seguito della sentenza additiva della Corte costituzionale n. 192/2023, che, dichiarando l’incostituzionalità dell’art. 420 bis co. 3 c.p.p., ha ridisegnato i confini della riformata disciplina in tema di processo in assenza dell’imputato a pochi mesi dalla sua entrata in vigore. A commento della decisione si veda S. Quattrocolo, I nodi vengono sempre al pettine. Commento a Corte cost. 192/2023, in Riv. it. dir. pen. proc., 2024, p. 196 ss. Per ulteriori osservazioni v. anche, fra gli altri, E.A.A. Dei-Cas, La Corte costituzionale, con la pronuncia Regeni, mina lo statuto del giusto processo in assenza, in Riv. it. dir. pen. proc., 2023, p. 1647 ss.; E.N. La Rocca, La Consulta sul ‘caso Regeni’: equilibrismi ed insidie nella sentenza n. 192 del 2023, in Dir. comp., 20 dicembre 2023; A. Mangiaracina, “Justice must go on”: la Consulta apre alla celebrazione in assenza del “processo Regeni”, in Proc. pen. giust., 2024, p. 395 ss.; V. Marcenò, La sentenza sul caso Giulio Regeni: un unicum, in quanto tale non più ripetibile, in Giur. cost., 2023, p. 2020 ss.; S. Marcolini, La Corte costituzionale sul caso Regeni: a certe condizioni, gli imputati “assenti inconsapevoli” possono essere processati, ivi, p. 2031 ss.; L. Pressacco, Responsabilità e concetti: il rito in absentia tra obblighi di celebrazione e conoscenza effettiva del processo, in Dir. um. dir. int., 2024, p. 109 ss.; S. Renzetti, La nuova disciplina sull’assenza alla prova del “processo Regeni”, in Cass. pen., 2024, p. 494 ss.; G. Spangher, Regeni: una decisione, sotto vari profili, obbligata ma non per questo del tutto condivisibile, in Giust. ins., 8 novembre 2023.
[2] Le valutazioni della Corte non riguardano il quarto testimone indicato nella lista ex art. 468 c.p.p. della Procura (R.E.M.), poiché nei suoi confronti non poteva porsi alcuna questione di acquisizione, non risultando essere mai stato assunto a sommarie informazioni, tanto in Italia quanto in Egitto.
[3] Seppur con termini invertiti, la contrapposizione tra i due valori si deve a S. Quattrocolo, Coerenza del sistema vs incoerenza del caso concreto: un passo verso la celebrazione del processo Regeni?, in questa Rivista, 26 luglio 2023.
[4] Per un’ampia e puntuale disamina degli istituti di cui si va trattando si rinvia, a livello monografico, a S. Buzzelli, Le letture dibattimentali, Giuffrè, Milano, 2000, e C. Cesari, L’irripetibilità sopravvenuta degli atti di indagine, Giuffrè, Milano, 1999.
[5] Sulla riconducibilità degli artt. 512 e 512 bis c.p.p. all’eccezione del cd. contraddittorio impossibile v. C. Cesari, Dichiarazioni irripetibili e metodo dialettico: i problemi di una coesistenza difficile, in G. Di Chiara (a cura di), Eccezioni al contraddittorio e giusto processo. Un itinerario attraverso la giurisprudenza, Giappichelli, Torino, 2009, p. 228 e 242 ss., ove viene criticata l’«assenza di una riflessione complessiva sulle norme alla luce dei nuovi principi costituzionali in tema di giusto processo». Sul punto v. anche P. Ferrua, Il giusto processo, II ed., Zanichelli, Bologna, 2012, p. 155; M. Montagna, L’incontrollabile espansione dell’irripetibilità, in Proc. pen. giust., 2020, p. 814 ss.; M. Panzavolta, Le letture di atti irripetibili al bivio tra «impossibilità oggettiva» e «libera scelta», in Cass. pen., 2003, p. 3983 ss.; S. Ruggeri, «Accertata impossibilità di natura oggettiva» ed irripetibilità degli atti: qualche spunto per una ricostruzione verfassungkonform, in Giur. it., 2002, p. 1776 ss.
[6] C. Cesari, L’irripetibilità sopravvenuta degli atti di indagine, cit., p. 7.
[7] Testualmente D. Chinnici, L’immediatezza nel processo penale, Giuffrè, Milano, 2005, p. 173. Sottolinea come il recupero delle dichiarazioni unilateralmente raccolte costituisca «il male minore» rispetto all’azzeramento del loro valore conoscitivo, M. Daniele, Principi costituzionali italiani e ingerenze europee in tema di prova dichiarativa, in Riv. it. dir. proc. pen., 2011, p. 1010.
[8] Non si affronterà, in questa sede, il tema dell’utilizzabilità probatoria delle dichiarazioni di cui sia data lettura, trattandosi di una valutazione postuma che non condiziona il giudizio di acquisibilità. Sul punto, anche con riferimento alle imprescindibili indicazioni provenienti dai principi convenzionali e dalla giurisprudenza europea, si rinvia a A. Balsamo, La Corte di Strasburgo e i testimoni assenti: gli sviluppi del “nuovo corso” avviato dalla sentenza Al-Khawaja, in Cass. pen., 2013, p. 2837 ss.; A. Balsamo-A. Lo Piparo, La Convenzione europea dei diritti dell’uomo e le dichiarazioni «irripetibili»: ovvero la crisi delle «abitudini» nell’interpretazione delle norme processuali, ivi, 2006, p. 690 ss.; R. Casiraghi, Testimoni assenti: la Grande Camera ridefinisce la regola della “prova unica e determinante”, ivi, 2012, p. 3115 ss.; Ead., Conferme e smentite della Grande Camera in materia di testimoni assenti, ivi, 2016, p. 2627 ss.; Ead., I nuovi approdi “europei” del diritto al confronto, ivi, 2019, p. 1363 ss.; C. Cesari, Prova irripetibile e contraddittorio nella Convenzione europea dei diritti dell’uomo, in Riv. it. dir. proc. pen., 2003, p. 1447 ss.; C. Conti, Le dichiarazioni del testimone irreperibile: l’eterno ritorno dei riscontri tra Roma e Strasburgo, in Proc. pen. giust., 2015, n. 2, p. 9 ss.; P. Ferrua, Le dichiarazioni dei testi ‘assenti’: criteri di valutazione e giurisprudenza di Strasburgo, in Dir. pen. proc., 2013, p. 393 ss.; S. Lonati, Una proposta de iure condendo per adeguare il nostro sistema ai principi della Convenzione europea in tema di formazione della prova orale, in Riv. it. dir. proc. pen., 2012, p. 1030 ss.; E. Selvaggi, Il valore probatorio delle dichiarazioni irripetibili, in Cass. pen., 2007, p. 3182; Id., L’uso delle dichiarazioni irripetibili contrasta con il giusto processo, ivi, 2010, p. 3300 ss.; A. Tamietti, Il diritto di interrogare i testimoni tra Convezione europea e Costituzione italiana, in Dir. pen. proc., 2001, p. 509 ss.
[9] F. Dinacci, Verso quale nomofilachia? L’irripetibilità dell’atto tra Costituzione e fonti europee, in Arch. pen., 2012, n. 1, p. 380, riprendendo l’espressione in passato adoperata da M. Nobili, sub art. 512 c.p.p., in M. Chiavario (a cura di), Commento al nuovo codice di procedura penale, Utet, Torino, 1991, p. 435, definisce il parametro dell’irripetibilità sopravvenuta «una sorta di mina vagante», la cui definizione è «sostanzialmente affidata alla prassi giurisprudenziale, con il rischio di letture disinvolte». Ove si trattasse di atti geneticamente irripetibili, al loro compimento anticipato si dovrebbe procedere attraverso l’incidente probatorio e il loro inserimento nel fascicolo per il dibattimento avverrebbe ab origine ex art. 431 c.p.p., sicché di essi sarebbe data lettura ai sensi dell’art. 511 c.p.p.
[10] Ancora, C. Cesari, L’irripetibilità sopravvenuta degli atti di indagine, cit., p. 514, lo definisce un «criterio di ammissione apparente», non specificandosi quale debba essere il rapporto tra la dichiarazione da leggere e il quadro complessivo delle risultanze già in atti che giustifica il ricorso alla lettura. Critica anche C. Valentini, L’acquisizione della prova tra limiti territoriali e cooperazione con autorità straniere, Cedam, Padova, 1998, p. 232 ss.
[11] Il concetto di “residenza” non viene impiegato nel suo significato tecnico-giuridico, facendosi riferimento al soggetto che di fatto ha normale e stabile residenza e dimora fuori dal territorio italiano e soltanto in via occasionale e per un periodo breve e transitorio si è trovato entro i confini nazionali.
[12] Secondo F. Dinacci, Verso quale nomofilachia? L’irripetibilità dell’atto tra Costituzione e fonti europee, cit., p. 385 ss., «l’art. 512 bis c.p.p. è assolutamente sovrapponibile all’art. 512 c.p.p. con la sola specificità da rinvenirsi nella figura del dichiarante», circostanza che dovrebbe indurre – secondo una lettura costituzionalmente e razionalmente orientata – all’equiparazione tra imprevedibilità e impossibilità di natura oggettiva. Del resto, sottolinea l’A., «gli artt. 512 e 512 bis c.p.p. condividono la stessa ratio, in ragione della quale risulta difficile giustificare perché l’imprevedibilità dell’irripetibilità dell’atto dovrebbe condizionare solo l’ipotesi del teste non residente all’estero». C. Cesari, Dichiarazioni irripetibili e metodo dialettico: i problemi di una coesistenza difficile, cit., p. 274 s., osserva come l’assenza di tale requisito affievolisca la regola del contraddittorio per i testi stabiliti fuori dall’Italia, sì che «il contrasto con gli artt. 3 e 111 Cost. appare inevitabile». Esigenze di economia e semplificazione delle procedure per la conservazione delle conoscenze in presenza di una prova fisiologicamente a rischio, infatti, difficilmente possono bilanciare la rinuncia al principio costituzionale.
[13] V. C. Cesari, L’irripetibilità sopravvenuta degli atti di indagine, cit., p. 510.
[14] Cfr. Cass., sez. un., 25 novembre 2010, n. 27918, in CED Cass., rv. 250199, ove si ritiene applicabile la disposizione dell’art. 512 bis c.p.p. anche laddove il teste non venga rintracciato, restando irreperibile rispetto a tutti gli accertamenti necessari e opportuni e ne risulti impossibile la citazione. Per un commento, F. Dinacci, Verso quale nomofilachia? L’irripetibilità dell’atto tra Costituzione e fonti europee, cit., p. 377 ss.; M. Montagna, Dichiarazioni irripetibili ed irreperibilità del teste, in Arch. pen., 2011, n. 2, p. 353 ss.; I. Scordamaglia, Dell’impossibilità sopravvenuta di ripetizione dell’atto dichiarativo. Alla ricerca di un punto di equilibrio tra la tutela del diritto al confronto e l’esigenza di non dispersione dei mezzi di prova, in Cass. pen., 2012, p. 4151 ss.; P. Silvestri, Le Sezioni unite impongono rigore per l’acquisizione e l’utilizzazione delle dichiarazioni predibattimentali rese senza contraddittorio da persona residente all’estero, ivi, p. 872 ss.; C. Valentini, Rigidi e chiari i criteri per ammettere la lettura di dichiarazioni rese dal testimone residente all’estero, in Proc. pen. giust., 2012, p. 58 ss. Sul punto v. le acute considerazioni di C. Cesari, Dichiarazioni irripetibili e metodo dialettico: i problemi di una coesistenza difficile, cit., nt. 77, ove, invece, le ipotesi di irreperibilità del testimone vengono ricondotte nell’alveo dell’art. 512 c.p.p. pur di non optare per la perdita radicale delle dichiarazioni o forzare, in modo «ermeneuticamente poco rigoroso, trattandosi di norma eccezionale, di stretta interpretazione», il testo dell’art. 512 bis c.p.p.
[15] In questo senso, oltre a Cass., sez. un., 25 novembre 2010, n. 27918, cit., v. anche Cass., sez. III, 22 novembre 2005, n. 10199, in CED Cass., rv. 234561; Cass., sez. III, 8 marzo 2006, n. 12940, ivi, rv. 234637; Cass., sez. II, 14 novembre 2006, n. 41260, ivi, rv. 235388; Cass., sez. II, 20 gennaio 2009, n. 6139, ivi, rv. 243285; Cass., sez. III, 23 aprile 2009, n. 25979, ivi, rv. 243956; Cass., sez. II, 17 dicembre 2009, n. 5101, ivi, rv. 246277; Cass., sez. I, 23 ottobre 2014, n. 46010, ivi, n. 261265; Cass., sez. III, 8 settembre 2016, n. 3068, ivi, rv. 269055; Cass., sez. V, 18 gennaio 2017, n. 13552, ivi, rv. 269397.
[16] Come noto, si tratta della riproduzione a livello di norma primaria e in forma pressoché testuale dell’art. 111 co. 4 Cost., dell’art. 6 § 3 lett. d) CEDU e dell’art. 14 § 3 lett. e) del Patto internazionale sui diritti civili e politici, alla stregua dei quali le dichiarazioni pregresse sono inutilizzabili se l’assenza del teste è frutto di una libera scelta di sottrarsi all’esame.
[17] Cfr. Cass., sez. un., 25 novembre 2010, n. 27918, cit.
[18] Ci si riferisce al provvedimento emesso il 21 maggio 2024, per un commento al quale, volendo, v. C. Torrente, Nel processo Regeni si discute degli “altri casi” di testimonianza indiretta della p.g., in Riv. giur. f. arm. pol., 2024, n. 2, p. 41 ss.
[19] Cfr. Corte cost., sent., 30 marzo 1992, n. 142, in Cass. pen., 1992, p. 1986 ss., con nota di O. Mazza, Formazione del fascicolo dibattimentale ed acquisizione dei documenti dichiarativi, p. 2632 ss.; Cass., sez. un., 28 maggio 2003, n. 36747, in CED Cass., rv. 225466.