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18 Gennaio 2022


L’art. 191 c.p.p. a confronto con la 'inutilizzabilità derivata' in un nuovo giudizio costituzionale

Trib. Lecce, ord. 19 ottobre 2021



1. Con una nuova ordinanza, il Giudice del Tribunale di Lecce ha, con alcune varianti, ulteriormente sottoposto alla Corte costituzionale la questione di legittimità dell’art. 191 c.p.p. e sollevato la nuova questione relativa all’art. 352 c.p.p. Quanto alla prima disposizione, se ne rileva la incostituzionalità, per contrasto con gli artt. 2, 3, 13, 14, 24, 97 comma 3, 111 e 117 Cost., “nella parte in cui non prevede che la sanzione della inutilizzabilità della prova, acquisita in violazione di un divieto di legge, si applichi anche alle c.d. ‘inutilizzabilità derivate’ e cioè ai risultati degli atti di ricerca o acquisizione della prova quando compiuti – fuori dei casi in cui la legge lo consenta – in danno di uno dei diritti inviolabili di cui agli artt. 13 e 14 Cost., e quindi nella parte in cui l’art. 191 c.p.p. non prevede che in tali casi l’inutilizzabilità si trasmetta alle ulteriori acquisizioni probatorie che direttamente ne discendano”. La censura riguarda quindi la mancanza di previsione di inutilizzabilità di “ogni esito probatorio – ivi compreso il sequestro del corpo del reato” – degli atti di perquisizione ed ispezione domiciliare e personale compiuti dalla polizia giudiziaria in assenza di potere e comunque in assenza di “previa flagranza del reato, in forza di segnalazioni anonime o confidenziali e su tali basi autorizzate o convalidate dal P.M.” ovvero compiuti dalla polizia giudiziaria fuori dei casi consentiti e “successivamente non convalidati” (p. 38-39 ord.).

Quanto all’art. 352 c.p.p., ne viene sostenuta la illegittimità, per contrasto con gli artt. 2, 13 e 14 Cost., dove “non prevede che, nel caso in cui il P.M. non provveda a convalidare la perquisizione nei termini di legge, ne divengano inutilizzabili tutti i risultati probatori anche in termini di ‘inutilizzabilità derivata’” (p. 39 ord.).

In relazione alla questione dell’art. 191 c.p.p. il provvedimento segue in parte lo schema già adottato nelle precedenti ordinanze, sulle quali la Corte si è espressa in termini di inammissibilità (Corte cost. 3 ottobre n. 2019 n. 219)[1] e di manifesta inammissibilità (Corte cost. 26 novembre 2020 n. 252). Il rilievo veniva allora dato al ritenuto palese contrasto del diritto vivente – con gli artt. 13 e 14 Cost., nonché con l’art. 8 Cedu e quindi con l’art. 117 Cost. – là dove ritiene utilizzabili gli esiti delle perquisizioni di polizia giudiziaria fuori dai casi previsti dalla legge. Il rimettente osservava inoltre la disuguaglianza di trattamento con l’art. 271 c.p.p. relativo agli effetti delle intercettazioni illegittime.

Ora viene in rilievo un tertium comparationis (p. 24 ord.) costituito dall’art. 103 comma 7 c.p.p. che, nel tutelare le ‘garanzie di libertà del difensore’, sanziona con la inutilizzabilità ‘i risultati’ delle ispezioni, perquisizioni, sequestri e intercettazioni eseguite senza il rispetto delle regole sancite dalla norma. Il principio di effettività delle garanzie costituzionali, immanente alla previsione dell’art. 2 Cost., sarebbe d’altra parte violato nel momento in cui – potendo le “forze di polizia … contare sulla potenziale fruttuosità processuale di qualsiasi atto di perquisizione vadano a compiere, legale o illegale che sia” – non verrebbero garantiti i diritti inviolabili tra cui quelli ex art.13 e 14 Cost. (p. 11 ord.). Richiamata la questione della violazione dell’art. 8 Cedu e ritenuta “irrisolta la questione relativa alle conseguenze dell’omissione della convalida della perquisizione o del suo rigetto, sulla utilizzabilità del materiale probatorio” (p. 11 ord.), il Giudice ribadisce il contrasto dell’art. 191 c.p.p. “perché non accoglie la ‘teoria dei frutti dell’albero avvelenato’, che appare invece “essere espressamente considerata” dagli artt. 13 e 14 Cost. (p. 12 ord.).

In realtà, dalle articolate argomentazioni dell’ordinanza, l’oggetto della questione di costituzionalità sembrerebbe meglio concentrarsi sull’atto di perquisizione illegittimo eseguito dalla polizia giudiziaria cui segue il sequestro. I richiami testuali sono infatti alle norme costituzionali e convenzionali che, nel disciplinare casi e condizioni, non possono consentire che una norma processuale ammetta la violazione dei diritti di libertà anche domiciliare attraverso atti di coercizione in senso lato, quali le perquisizioni personali e domiciliari, che devono essere validati salvo la perdita totale di efficacia. Se la disposizione messa a fuoco è l’art. 191 c.p.p., in realtà la norma meglio esposta al giudizio di costituzionalità sembra essere l’art. 352 c.p.p. come emerge anche dal petitum e come il Giudice ammette là dove afferma “la questione non è pertanto più solamente quella della incostituzionalità dell’art. 191 c.p.p. nella parte in cui non prevede la inutilizzabilità degli esiti della perquisizione illegittimamente eseguita dalle forze di polizia” (p. 21 ord.).

 

 

2. I termini in cui sono poste le questioni, induce a ribadire quanto si è già sostenuto a commento delle due precedenti sentenze della Corte [2]. Argomentando in parallelo al tema della nullità derivata, si era sostenuta la impossibilità di una omologazione a quest’ultima della diversa fattispecie di inutilizzabilità. Non solo sul piano interpretativo risulta difficile prospettare una estensione in via derivata della ‘quarta sanzione’, ma nella stessa costruzione normativa sembrerebbe impraticabile una rivisitazione dell’art. 191 c.p.p. che preveda una inutilizzabilità delle prove ulteriori la cui acquisizione sia determinata dalla prova irrituale. Richiamato il principio di tassatività che sostiene il sistema delle invalidità processuali, il confronto con il regime della nullità aveva condotto ad affermare la insostenibilità di una parificazione[3]. Al di là degli aspetti tipici della nullità derivata, applicata agli atti consecutivi dipendenti e quindi idonea a qualificarsi come base agli atti a natura propulsiva, e superando le obiezioni che avevano solitamente escluso la prova dal regime dell’art. 185 comma 1 c.p.p.[4], era emerso come la fonte della inutilizzabilità costituisse di per sé l’ostacolo ad una variante ‘derivata’. Al contrario della nullità probatoria, ritenuta estensibile per via di un legame non meramente accidentale tra gli atti[5], in base alla tassatività delle cause generali o speciali, la tassatività della sanzione ex art. 191 c.p.p. si deve pur sempre misurare con la tassatività dei divieti, estranei invece al principio in quanto potenzialmente espressivi di varie rationes, diritti o interessi da tutelare che siano, da individuarsi secondo criteri variabili[6]. Per questo motivo sembra debole la ragione a sostegno della questione di legittimità della disposizione “nella parte in cui non prevede che la sanzione di inutilizzabilità della prova, acquisita in violazione di un divieto di legge, si applichi anche alle c.d. ‘inutilizzabilità derivate’” (p. 38 ord.), così consentendo che i risultati degli atti di ricerca o acquisizione della prova – in particolare il sequestro conseguente alla illegittima perquisizione di polizia – siano fruibili anche se esito di attività non consentite e “in danno di uno dei diritti inviolabili di cui agli artt. 13 e 14 della Costituzione” (ivi). Se il richiamo al divieto di legge potrebbe significare che qualsiasi regola di esclusione, comunque individuata, possa generare se violata effetti estesi, il riferimento ai diritti di libertà e riservatezza segna paradossalmente un limite là dove esclude i divieti a tutela delle violazioni del diritto di difesa, nonostante la questione sia fondata anche sul contrasto dell’art. 191 c.p.p. con l’art. 24 Cost. D’altra parte, a contrario, il riferimento agli art. 13 e 14 Cost. potrebbe far ritenere sussistente la inutilizzabilità derivata in casi che sembrano oggettivamente estranei agli effetti stessi della sanzione, come nella ipotesi della violazione dei limiti temporali nella perquisizione domiciliare (artt. 251, 352 comma 3 c.p.p. e 225 n. coord. c.p.p.), superabili dalla valutazione della polizia giudiziaria nel caso in cui l’esito della perquisizione potrebbe essere pregiudicato dal ritardo (art. 352 comma 3 c.p.p.).

Per queste ragioni, nello scritto prima richiamato, si escludeva la praticabilità di un regime sanzionatorio ‘allargato’ del dettato dell’art. 191 c.p.p. e si sosteneva che semmai le inutilizzabilità speciali potessero ottenere una rivisitazione legislativa mirata ai singoli casi. La scelta normativa si è infatti già indirizzata in questi termini, come emerge da alcune delle disposizioni richiamate dalla stessa ordinanza quale ad esempio l’art. 103 comma 7 c.p.p. dove, come si sottolinea, sono contemplati nell’ambito sanzionatorio ‘i risultati’ (p. 22 ord.). Da questa e da altre disposizioni emerge la scelta del legislatore di confrontarsi con singoli divieti e sulla loro ratio. L’art. 103 c.p.p. ravvisa il diritto di difesa nella costruzione del divieto probatorio sanzionato testualmente in via rafforzata, così come ad esempio l’art. 359 bis comma 3 c.p.p., in tema di prelievo coattivo di campioni biologici, a tutela della libertà personale del soggetto sottoposto all’atto si riferisce espressamente alla nullità delle operazioni e alla “inutilizzabilità delle informazioni così acquisite”. A patto di considerare ‘risultati’ e ‘informazioni’ coincidenti con ‘esiti’, non fruibili in alcun modo[7], le norme riflettono delle scelte che assicurano quanto meno in alcuni casi una effettività della sanzione che la norma di genus non è in grado di garantire per la obbligata genericità del suo enunciato. Al di là, si ritiene, di non poter intervenire sull’art. 191 c.p.p. per le ragioni già considerate, alla Corte spetterà di valutare se sia irrazionale la scelta legislativa di rendere variabile la disciplina sulla inutilizzabilità probatoria secondo gli interessi tutelati, riconducibili vuoi alla protezione rafforzata del diritto di difesa (art. 103 comma 7 c.p.p.) ovvero a garanzia di prerogative individuali inderogabili, come il diritto alla vita, all’integrità fisica o alla salute della persona ancora (artt. 224 bis c.p.p. e 359 bis c.p.p.) ovvero a tutela della libertà personale e domiciliare cui sarebbe riservata una minore protezione rispetto al diritto alla segretezza e riservatezza ex art. 271 c.p.p.,  di minor grado ed importanza rispetto a quello della libertà personale e domiciliare” (p. 8 ord.).

 Il fondamento valoriale selettivo dei divieti è stato d’altra parte riconosciuto dalla Corte quando ha considerato la nuova fattispecie della inutilizzabilità non solo delle dichiarazioni rese sotto tortura, ma anche delle informazioni ottenute (art. 191 comma 2 bis c.p.p.), dove ad un “‘massimo’ di illegalità dell’atto probatorio, perché compiuto in violazione di divieti di elevato spessore deve corrispondere dunque una equivalente ‘estensione’ dell’area di inutilizzabilità processuale[8].

Né d’altra parte la Corte si è sottratta al confronto con la varietà delle regole di esclusione quando, in relazione alla questione inerente al segreto di Stato in ambito di conflitti di attribuzione, ha fornito un concetto di inutilizzabilità ‘indiretta’ che ne nasconde in realtà il profilo ‘derivato’, così ampliando l’operatività della sanzione[9] per la tutela di un particolare interesse istituzionale[10] e determinando la modifica dell’art. 202 c.p.p.[11].

Il percorso normativo e interpretativo non poteva del resto sottrarsi a ‘formule’ o ‘precisazioni’ necessarie a compensare la fisiologica ‘insubordinazione’ della inutilizzabilità, dotata di un potenziale assoluto che la sua stessa denominazione evoca sul piano effettuale e che è intrinseco al principio di autosufficienza che la connota, nonché al concetto di relazione che ne è alla base. Con un perimetro alla ‘inutilizzabilità derivata’, mirato a singoli casi, si è così cercato di definire i confini della ‘inutilizzabilità classica’[12].

 

3. Se per le sue connotazioni l’art. 191 c.p.p. pare dunque sottrarsi al vaglio di legittimità richiesto, il bersaglio sembra meglio individuabile nella norma che costruisce il potere di polizia in sede di perquisizione e sequestro, delineando i presupposti che costruiscono un potere altrimenti mancante (art. 352 c.p.p.). Si profila dunque qui coerente l’argomentare del Giudice a fronte delle norme costituzionali evocate che racchiudono principi da tutelarsi in via effettiva secondo l’art. 2 Cost. anche con riguardo all’art. 8 Cedu. Ad accogliere la tesi della prova incostituzionale, già forgiata dalla Corte (Corte cost. 6 aprile 1973 n. 34)[13] e talvolta ammessa dalla giurisprudenza[14], gli artt. 13 e 14 Cost. sarebbero peraltro già la fonte diretta della inutilizzabilità, quali divieti probatori, come il giudice rimettente afferma espressamente là dove sostiene “che l’inefficacia degli atti di perquisizione compiuti dalla polizia giudiziaria fuori dei casi in cui la legge glielo consente, dia luogo per diretta ed espressa previsione costituzionale, alla inutilizzabilità probatoria degli esiti delle suddette perquisizioni” (p. 21 ord.). L’immediata applicazione in via diretta degli artt. 13 e 14 Cost. sarebbe tuttavia ostacolata dalla limitata lettura, da parte del diritto vivente, dell’art. 191 c.p.p. in termini di inutilizzabilità derivata (p. 15 ord.) [15]. Ed è qui allora che la Corte avrebbe spazio per intervenire, non tanto per creare un nuovo divieto in eventuale dissonanza con le scelte di politica processuale [16] e additivo rispetto alla preclusione generale dell’art. 191 c.p.p., ma per riconoscere in una norma processuale il riflesso del divieto costituzionale che, per il suo stesso dettato, implica la perdita di efficacia di quanto ottenuto a seguito della sua violazione[17]. Interpretativamente la Corte, volendo replicare il precedente dictum circa l’immanenza nel sistema di un principio generale di inammissibilità di “attività costituzionalmente illegittime[18], potrebbe affermare che l’art. 352 c.p.p. dove si prefigura l’atto di polizia irrituale non convalidato (art. 13 comma 2 Cost.), contenga un divieto fondato di riflesso su un diritto fondamentale[19], non comprimibile sulla base di un potere istruttorio solo presunto, ma insussistente in quanto consumato nell’atto di perquisizione illegittimo[20]. A soccorrere è la tesi del nesso conseguenziale che lega i due strumenti di ricerca della prova affermato in via normativa, se pure con riguardo ai mezzi di ricerca della prova affidati al pubblico ministero (art. 252 c.p.p.)[21]. Su questo piano potrebbe avere gioco la nota pronuncia della Corte Edu, citata dalla ordinanza, secondo cui, in assenza di un controllo giurisdizionale preventivo o di un controllo effettivo a posteriori della misura istruttoria, le garanzie procedurali previste dalla legislazione italiana non sono sufficienti ad evitare il rischio di abuso di potere da parte delle autorità incaricate dell’indagine penale e, nello specifico, della attività di perquisizione (Corte Edu, 27 settembre 2018, Brazzi c. Italia, ric. 57278/11)[22].

La condanna dello Stato italiano per non avere inserito nella disciplina processuale una previsione che consenta il controllo anche solo ex post della ritualità della perquisizione, costituisce un argomento utile se si considera l’introduzione nella delega per la riforma del processo penale di una specifica disposizione che preveda “il diritto della persona sottoposta alle indagini e dei soggetti interessati di proporre opposizione innanzi al giudice per le indagini preliminari avverso il decreto di perquisizione cui non consegua un provvedimento di sequestro” (art. 1 comma 24.1, l. 134 del 2021)[23]. Nel mirare testualmente a riempire il vuoto normativo denunciato dalla giurisprudenza europea, la disposizione dovrà peraltro misurarsi con quanto ritenuto inoltre dalla sentenza Brazzi che, nel riferirsi ad un “controllo effettivo” del giudice, prevede che questi, “se del caso, esclude dal processo penale gli elementi di prova raccolti”[24].

In ogni caso, le suggestioni che ne derivano potrebbero in qualche misura incidere sul problema che da sempre ha contrapposto i sostenitori della inutilizzabilità derivata ai suoi detrattori, rappresentato dalla sorte del corpo del reato sequestrato all’esito della perquisizione illegittima. Il teorema del male captum bene retentum[25] rappresenta a ben vedere l’ostacolo ancora presente alla rivisitazione, giurisprudenziale o normativa, delle disposizioni sugli atti illegittimi che producano effetti acquisitivi di beni frutto di atti illeciti o illegittimi, tanto da essere richiamato impropriamente in casi che ne sono del tutto estranei[26]. La tesi dell’’atto dovuto’ implicherebbe uno sbarramento alla inutilizzabilità derivata[27], non potendosi ammettere che quanto irritualmente o illecitamente acquisito dalla polizia giudiziaria autonomamente o anche, volendo, su decreto del pubblico ministero, non sia reso indisponibile. Anche su questo fronte la soluzione potrebbe essere offerta da quanto il Giudice rimettente sostiene in ordine alla capacità probatoria degli oggetti sequestrati, distinguendo e separando l’effetto dimostrativo da quello materiale così che “la cosa in sé oggetto del sequestro, prova al più l’esistenza di un reato, ma è la relazione personale con l’imputato, disvelata dagli esiti della perquisizione, che permette di attribuire quanto meno in via indiziaria all’imputato il reato stesso” (p. 20 ord.). Il distinguo consente così di separare il profilo probatorio, escluso dalla illegittimità degli atti irrituali, dall’effetto acquisitivo, obbligato secondo le norme sul sequestro. A fronte, ad esempio, dello stupefacente sequestrato che, se pure arbitrariamente raccolto, non potrebbe essere dissequestrato[28], soccorrerebbero comunque le disposizioni in tema di conversione del sequestro probatorio in preventivo (art. 262 comma 3 c.p.p.)[29] o la stessa confiscabilità del bene acquisito (art. 262 comma 4 c.p.p.; art. 323 comma 1 c.p.p.). In ogni caso, nella logica di un riassetto complessivo della disciplina, dovrebbe essere quel nuovo controllo ex post sulla perquisizione a determinare se, riconosciutane la irritualità, possa essere mantenuto il sequestro anche del corpo del reato, subordinato per principio generale alla sussistenza e permanenza “della finalità perseguita per l’accertamento dei fatti” su cui deve motivare lo stesso decreto dispositivo, così come il decreto di convalida[30].

I vari aspetti considerati potrebbero allora consentire di superare i dubbi delle precedenti pronunce espresse in termini di inammissibilità o di manifesta inammissibilità e, abbandonato l’improprio confronto con la nullità, di proiettare la questione sul piano interpretativo e motivazionale secondo la logica e i principi affermati innovativamente ancora prima dell’avvento dell’art. 191 c.p.p., così coniugando la già affermata primazia dei diritti fondamentali (C.cost. n. 34 del 1973), con la necessaria modulazione dei casi di inutilizzabilità derivata (C.cost. n. 410 del 1998), nel rispetto del principio di tassatività delle invalidità processuali.

 

 

 

[1] Per un approfondito commento, C. Iasevoli, La funzione ‘dissuasiva’ del processo penale, in Scenari e trasformazioni del processo penale. Ricordando Massimo Nobili, a cura di C. Iasevoli, 2020, p. 346. V., inoltre. P. Ferrua, Perquisizioni illegittime e sequestro: una singolare dichiarazione di inammissibilità dagli effetti dissuasivi, in DisCrimen, 13.11.2019.

[2] N. Galantini, Alla ricerca della ‘inutilizzabilità derivata’, in questa Rivista, n. 3/2021, p. 151, cui si rinvia per più ampie considerazioni.

[3] Sulla inapplicabilità alla inutilizzabilità del vizio derivato ex art. 185 comma 1 c.p.p., si era già espressa Corte cost. 27 settembre 2001 n. 332.

[4] Circa la applicabilità agli atti probatori della nullità derivata così come concepita dall’art. 185 comma 1 c.p.p. In tema, M. Nobili, La nuova procedura penale, Bologna, 1989, p. 159; G. Ubertis, Riflessioni sulle prove vietate, in Riv. pen., 1975, p. 715; G. Lozzi, Prove invalide non utilizzate e declaratoria di nullità, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1987, p. 452. In giurisprudenza, Cass. Sez. III, 7 ottobre 2015 n. 40260, in C.E.D. Cass. n. 265035 in tema di perizia e Cass. Sez. VI, 4 febbraio 2019 n. 5457, in C.E.D. Cass. n. 275029.

[5] Cass. Sez. I, 19 ottobre 1994 n. 4257, in C.E.D. Cass. n. 196488.

[6] Il tema è stato già trattato in vari scritti, tra i quali, N. Galantini, L’inutilizzabilità effettiva della prova tra tassatività e proporzionalità, in Dir. pen. cont., n. 4/2019, p. 57.

[7] V., tuttavia, per l’utilizzabilità della intercettazione illegittima come notitia criminis, tra altre, Cass. Sez. 1, 2 marzo 2010 n. 16293, in C.E.D. Cass. n. 246656.

[8] Corte cost. n. 219/2019, cit.

V., inoltre, Corte Edu, Sez. 1, 5 novembre 2019, Cwik c. Polonia, ric. 31454/10, per la inutilizzabilità di dichiarazioni estorte con tortura da parte di un privato cittadino; Corte Edu, Sez. I, 24 gennaio 2019, Knox c. Italia, ric. n. 76577/13 – secondo cui “lo Stato deve altresì assicurare, in caso di indizi suggestivi di una violazione del divieto di tortura in quella fase l’attivazione del proprio potere di indagine al preciso scopo di accertare eventuali violazioni, da parte degli inquirenti, dei diritti riconosciuti dalla C.e.d.u.” – commentata da E. Addante – G. Gaeta, Nuova lezione europea: con indizi di tortura c’è l’obbligo di indagini complete ed effettive, in Arch. pen. 2019, n. 1 e da M. Gialuz, La violazione dei diritti fondamentali nuoce alla ricerca della verità: la Corte di Strasburgo condanna l’Italia per il procedimento nei confronti di Amanda Knox, in Dir. pen. cont., n. 2/2019, p. 155 ss; A. Tarallo, Il destino dei ‘frutti dell’albero avvelenato’ alla luce del criterio di equità complessiva del processo: nota alla sentenza della Corte europea resa nel caso Knox contro Italia, in Giust. pen., 2019, Parte I, 230 ss.

[9] Secondo Corte cost. 10 aprile 1998 n. 410 mentre l’opposizione del segreto non impedisce al pubblico ministero di indagare “sui fatti di reato cui si riferisce la notitia criminis in suo possesso, ha invece “leffetto di inibire alla autorità giudiziaria di acquisire e conseguentemente di utilizzare gli elementi di conoscenza e di prova coperti dal segreto”. Inoltre, il “divieto riguarda lutilizzazione degli atti e documenti coperti dal segreto di Stato sia in via diretta, per fondare su di essi lesercizio dellazione penale, sia in via indiretta, per trarne spunto ai fini di ulteriori atti di indagine, in quanto le eventuali risultanze sarebbero a loro volta viziate dalla illegittimità della loro origine” (Corte cost. 16 dicembre 1998 n. 410). In ordine a Corte cost. 13 febbraio 2014 n. 24, C. Bonzano, La Consulta alza il “sipario nero”: alla ribalta la deprecabile confusione normativa tra prova e fatto, in Arch. pen., 2014, n. 1.

[10] La “salvaguardia della sicurezza dello Stato” è richiamata in Corte cost. n. 410 1998, cit.

[11] Sulla modifica dell’art. 202 c.p.p. a seguito della l. 3.8.2007 n. 124, determinata dalla pronuncia della Corte, L. Annunziata, Questioni probatorie. Tra male captum bene retentum e theory of the fruit of the poisonous tree, Pisa, 2017, p. 163.

[12] A. Cabiale, L’inutilizzabilità ‘derivata’: un mito a mezza via tra nullità ed esigenze sostanziali, in Dir. pen. cont. – Riv. trim., 4/2013, p. 112 e G. Annunziata, Questioni probatorie, cit., p. 166.

[13] G. Ubertis, Sistema di procedura penale, vol. I, Principi generali, Milano, Giuffrè, 2017, p. 183; L. Comoglio, L’inutilizzabilità ‘assoluta’ delle prove incostituzionali, in Riv. dir. proc., 2011, p. 30.

[14] Sez. Un., 23 febbraio 2000 n. 6, in C.E.D. Cass. n. 215841, In tema, N. Galantini, Inutilizzabilità della prova e diritto vivente, in Riv. it. dir. proc. pen., 2012, p. 76.

[15] V., tuttavia, per un caso in cui si è ritenuto invalido il sequestro conseguente ad una perquisizione irrituale eseguita senza l’osservanza delle garanzie difensive, Cass. Sez. III, 8 novembre 2018 n. 50657, in De Jure.

[16] Corte cost. 27 settembre 2001 n. 332.

[17] Sulla definizione di atti ‘inesistenti’ delle intercettazioni irrituali, Corte cost. 21 maggio 1975 n. 120.

[18] Corte cost. 6 aprile 1973 n. 34, richiamata dalla sentenza n. 219/2019, sulla quale, ancora attuale, lo scritto di V. Grevi, Insegnamenti, moniti e silenzi della Corte costituzionale in tema di intercettazioni telefoniche, in Giur. cost. 1974, p. 317.

[19] Sez. Un. 26 marzo 2016 n. 13426, in C.E.D. Cass. n.246271.

[20] Si richiamano le osservazioni già formulate in N. Galantini, Alla ricerca della inutilizzabilità derivata, cit., p. 161.

[21] La stretta correlazione tra perquisizione e sequestro stabilita dall’art. 252 c.p.p. non può non riverberarsi anche sulla configurazione del rapporto tra i due atti corrispondenti eseguiti dalla polizia giudiziaria (art. 352-354 c.p.p.) “avuto riguardo al nesso funzionale esistente tra i due mezzi di ricerca della prova, ed alla omogeneità del contesto causale e cronologico in cui essi si inseriscono (Cass. Sez. V, 24 luglio 2017 n. 36724, in C.E.D. Cass. n. 270438).

[22] Sul punto, F. Falato, (il)Legittimità sistemica delle perquisizioni. Tra normazione nazionale e giurisdizione europea, in Arch. pen., 2019, n. 2, p. 52; ric. 57278/11, su cui C. Morselli, Il “principio di autosufficienza” della fonte codicistica, in materia di perquisizione: il deficit della previsione del controllo giurisdizionale espone il mezzo di ricerca della prova al rischio di degenerazione in “tortura reale”, in Giust. pen., 2019, Parte III, c. 620. Inoltre, A. Tarallo, La disciplina interna del decreto di perquisizione domiciliare tra indipendenza della magistratura requirente ed esigenza di un controllo efficace: nota alla sentenza della Corte europea nel caso Brazzi contro Italia, in Giust. pen., 2019, Parte I, n. 3, c. 82 ss. e D. Cardamone, La sentenza della Cedu Brazzi c. Italia: sono arbitrarie le perquisizioni disposte dall’Autorità giudiziaria?, in Quest. giust., 15 gennaio 2019.

[23] “Nell'esercizio della delega di cui al comma 1, i decreti legislativi recanti modifiche al codice di procedura penale in materia di controllo giurisdizionale della legittimita' della perquisizione sono adottati nel rispetto del seguente principio e criterio direttivo: prevedere il diritto della persona sottoposta alle indagini e dei soggetti interessati di proporre opposizione innanzi al giudice per le indagini preliminari avverso il decreto di perquisizione cui non consegua un provvedimento di sequestro” (art. 1 comma 24, l. 27 settembre 2021 n.134).

In tema, E. N. La Rocca, Il modello di riforma ‘Cartabia’: ragioni e prospettive della delega n. 134/2021, in Arch. Pen. 2021, n. 3, p. 18.

[24] L’ordinanza del Tribunale rinvia a questo passaggio della sentenza Brazzi c. Italia (p. 33 ord.), richiamando inoltre sul punto C. Edu, Sez. II, 16.2.2021, Budak c. Turchia (p. 35 ord.).

[25] F. Cordero, Il procedimento probatorio, in Tre studi sul processo penale, Milano, 1963, p. 122 s.; Id., Prove illecite nel processo penale, in Jus, 1961, p. 68 ss.; Id., Procedura penale, Milano, 2012, p. 637.

[26] Sez. Un. 26 giugno 2014 n. 32697, in C.E.D. Cass. n. 259776 per l’utilizzabilità di intercettazioni di conversazioni da qualificarsi di per sé corpo del reato. V., inoltre, Cass. Sez. VI, 20 maggio 2021 n. 26307, in C.E.D. Cass. n. 281356. Lo spunto, peraltro improprio, sembra offerto dall’art. 271 comma 3 c.p.p. che prevede la distruzione della documentazione delle intercettazioni eseguite fuori dei casi consentiti (commi 1, 1 bis e 2), salvo che costituisca corpo del reato.

[27] C. Morselli, L’idolo del sequestro come ‘atto dovuto’ che impedisce la declaratoria di illegittimità in caso di perquisizione illegittima, in Proc. pen. e giust., 2020, n. 10, p. 111.

Sul tema della invalidità derivata, tra i numerosi scritti, M. Panzavolta, Contributo allo studio della invalidità derivata, Fano, 2012, p. 263; V. Fanchiotti, Non c’è albero cattivo che dia frutti buoni, in Arch. n. proc. pen., 2018, p. 205; L. Annunziata, Questioni probatorie, cit., p. 166; P. Ferrua, Prove illegittimamente acquisite: passato ed avvenire di un’illustre teoria, in Dir. pen. proc., 2020, p. 1256.

[28] Su questo motivo si fondavano gli argomenti della Avvocatura dello Stato circa la infondatezza della questione di legittimità dell’art. 191 c.p.p. trattata nella sentenza della Corte cost. n. 252/2020, cit.

[29] Cass. Sez. I, 18 ottobre 2017 n. 58050, in C.E.D. Cass. n. 271614.

[30] Sez. Un. 19 aprile 2018 n. 36072, in C.E.D. Cass. n. 273548: “il decreto di sequestro probatorio – così come il decreto di convalida – anche qualora abbia ad oggetto cose costituenti corpo del reato, deve contenere una motivazione che, per quanto concisa, dia conto specificatamente della finalità perseguita per l’accertamento dei fatti”.

Sul tema della motivazione dei provvedimenti di sequestro probatorio, M. F. Cortesi, Sequestro del corpo del reato e onere motivazionale: dopo un tormentato dibattito intepretativo raggiunto “forse” un punto fermo, in Proc. pen. e giust., 2019, p. 140.