Trib. Perugia, sent. 14 ottobre 2020, dep. 8 gennaio 2021, Pres. Narducci, est. Narducci, Avella, Albani
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1. La vicenda sottesa alla pronuncia in esame concerne il trattenimento forzoso della moglie di un dissidente kazako[1], fondatore del principale partito di opposizione e titolare dello “status” di rifugiato politico a far data dal 2011[2], presso il centro di identificazione ed espulsione di Ponte Galera a Roma dal 29 al 31 maggio del 2013, e la successiva espulsione della donna e della figlia dal territorio italiano.
L’episodio si articola in una serie progressiva di tappe che vede coinvolte molteplici figure istituzionali[3], che hanno a vario titolo preso parte alle procedure di perquisizione, accompagnamento coattivo, trattenimento ed espulsione delle persone offese, all’interno di un disegno unitario che il terzo collegio del Tribunale di Perugia qualifica come “rapimento di Stato”[4], eterodiretto dalle autorità kazake al fine di esercitare pressione sul marito ricercato.
In particolare, i fatti salienti della vicenda possono essere brevemente riassunti come segue: nella notte tra il 28 e il 29 maggio 2013 una decina di agenti della Squadra Mobile di Roma faceva irruzione nel luogo di residenza di Alma Shalabayeva, avendo ricevuto la notizia circa la possibile presenza del marito ricercato; all’esito di tale perquisizione gli operanti decidevano di condurre Alma in questura, in ragione della ritenuta falsità del passaporto centrafricano mostrato loro dalla donna, redigendo contestualmente al verbale di perquisizione l’attestazione circa l’affidamento della minore alla sorella ivi residente; nelle more dell’esecuzione del decreto prefettizio di espulsione, Alma veniva condotta presso il centro di identificazione ed espulsione, dove vi permase fino al 31 maggio, giorno in cui veniva accompagnata all’aeroporto di Ciampino e aveva luogo l’espatrio, assieme alla figlia con la quale finalmente si ricongiungeva.
Secondo i giudici di merito tale operazione ha realizzato una vera e propria “limitazione della sovranità nazionale[5]”, nella misura in cui i sette imputati rappresentanti della Repubblica Italiana hanno di fatto servito gli interessi di una nazione straniera, cioè della dittatura kazaka. Si tratta, secondo la valutazione del Tribunale, di un’ipotesi di “patente violazione dei diritti fondamentali della persona”[6], che si è sostanziata di fatto nella privazione della libertà personale della donna per tre giorni consecutivi (nonché della figlia, per il tratto temporale intercorso tra il prelievo presso il luogo di residenza e il raggiungimento dell’aeroporto), culminata con l’espulsione delle persone offese dal territorio italiano.
Ciò premesso, i giudici di merito ravvisano gli estremi di molteplici delitti di falso ideologico ex art. 479 c.p., teleologicamente orientati ex art. 61 n. 2 c.p. alla realizzazione del delitto di sequestro di persona ex art. 605 c.p[7]. A tale addebito di responsabilità penale i giudici ritengono di addivenire a seguito di una complessa e puntuale analisi documentale (con particolare riguardo alle note provenienti dall’ambasciata kazaka) e a seguito della attenta valutazione delle convergenti fonti dichiarative acquisite nel corso della corposa istruttoria dibattimentale.
2. I giudici di merito, attraverso l’analisi dei documenti endoprocedimentali delle procedure di perquisizione, sequestro del passaporto e di espulsione, suffragata dal convergente portato dichiarativo delle dichiarazioni rilasciate dai soggetti interessati, ravvisano in capo a ciascuno degli imputati una molteplicità di delitti di falso ideologico ex art. 479 c.p. Reati che i giudici ritengono ontologicamente avvinti dal nesso teleologico di realizzazione del delitto di sequestro di persona ex art. 605 c.p.
In particolare, le condotte che rilevano ai fini dell’imputazione a titolo di falso sono, in sintesi, le seguenti: la redazione da parte degli agenti procedenti del verbale di perquisizione del 29 maggio, rispetto al quale i giudici ritengono realizzate plurime omissioni di circostanze doverose nonché indicazioni di circostanze inveritiere; l’emanazione del decreto prefettizio di espulsione, viziato da una molteplicità di elementi sottaciuti in via di presupposti ai fini della sua formazione; la stesura di appunti interni ed atti endo-procedimentali tra gli uffici coinvolti, contenenti informazioni ritenute palesemente mendaci e inveritiere atte ad ingannare i relativi destinatari; la redazione del verbale di affidamento della minore redatto il giorno stesso della perquisizione, parimenti inficiato da gravi omissioni; la formazione del verbale dell’udienza di convalida del provvedimento di trattenimento presso il C.I.E. e l’emanazione del provvedimento di nulla osta alla espulsione rilasciato dal Pubblico Ministero.
Premesso che il falso ideologico consiste nella condotta di attestazione di circostanze di fatto o di diritto non conformi al vero ed incidenti sulla veridicità del documento stesso, i giudici di prime cure, ai fini della sussunzione delle condotte richiamate all’interno dell’art. 479 c.p., fanno richiamo a tre consolidati orientamenti della giurisprudenza di legittimità.
In primo luogo, circa la nozione di documento, per il quale si intende per autorevole dottrina “ogni scritto, anche recepito in un programma informatico dovuto ad una persona che in esso si palesa, contenente esposizione di dati, fatti o dichiarazioni di volontà[8]”, i giudici di merito vi fanno rientrare anche atti endo-procedimentali, costituenti presupposto per l’emissione di atti successivi[9]. In ciò si richiama l’orientamento pacifico della giurisprudenza di legittimità[10], che nella vicenda in esame rileva ai fini della qualificazione giuridica delle molteplici note e appunti intra-procedimentali richiamati[11].
In secondo luogo, i giudici di merito recepiscono l’ammissibilità della figura dell’autore mediato ex art. 48 c.p. con riferimento ai reati propri, così conformandosi alla prevalente opinione giurisprudenziale[12], nelle ipotesi di induzione in inganno del pubblico ufficiale autore immediato della falsità ideologica di cui all’art. 479 c.p. Tale recepimento consente di ritenere configurato il reato di specie con particolare riguardo all’induzione in errore del Pubblico Ministero che rilasciò il nulla osta alla espulsione delle persone offese[13].
Il terzo profilo interpretativo richiamato dai giudici di merito è infine quello legato alla configurabilità della condotta di falsità ideologica anche tramite contegno omissivo, in ragione della rilevanza delle informazioni omesse e al concreto contributo conoscitivo apportato all’interno del procedimento della Pa. Anche con riferimento a tale profilo, viene dai giudici di merito richiamata una pacifica (e cospicua) giurisprudenza di legittimità[14], che rileva ai fini delle molteplici ipotesi omissive commesse nel caso di specie.
A tali profili ermeneutici si aggiunge poi il richiamo alla configurabilità del reato di falso ideologico rispetto ad atti pubblici aventi contenuto dispositivo[15], laddove la falsità inerisca l’attestazione dell’esistenza di una data situazione di fatto costituente presupposto indefettibile dell’atto pubblico formato. Diretta ricaduta di tale acquisizione ermeneutica nella vicenda in esame si rinviene nella valutazione del decreto espulsivo emesso dal Prefetto, rispetto al quale il falso si ritiene commesso con riferimento ai presupposti in fatto di tale provvedimento.
3. Con riferimento al delitto di sequestro di persona ex art. 605 c.p., preme evidenziare alcune premesse in diritto, in grado di orientare il ragionamento dei giudici di prime cure nella ponderazione delle circostanze fattuali oggetto del loro esame.
Premesso il carattere di reato causalmente orientato dell’art. 605 c.p., suscettibile di essere integrato mediante condotta omissiva e a prescindere dall’estrinsecazione da parte dell’agente di energia fisica, i giudici si soffermano sull’accezione di libertà personale, identificativa del bene giuridico oggetto di tutela. A fronte di una impostazione tradizionale volta a circoscrivere il bene alla sola libertà di locomozione, i giudici di merito abbracciano una nozione evolutiva di libertà personale, intesa come libertà da coercizioni indebite[16].
Alla luce di tale accezione, nell’alveo del delitto in esame appare pacificamente riconducibile ogni forma di coartazione anche meramente psichica, “purchè suscettibile di privare la vittima della capacità di determinarsi ad agire secondo la propria autonoma ed indipendente volontà[17]”, nonché il trattenimento della persona offesa in un dato luogo contro la sua volontà, pur preservando la stessa uno spettro più o meno ampio di possibilità locomotorie, e pur in presenza di uno spatium temporis circoscritto.
Circa l’attitudine del trattenimento presso il Centro di identificazione ed espulsione a comportare una limitazione della libertà personale viene inoltre richiamata la sentenza della Corte Costituzionale n, 105 del 2001, nella quale si precisa che “il trattenimento dello straniero presso i centri di permanenza temporanea ed assistenza è misura incidente sulla libertà personale, che non può essere adottata al di fuori delle garanzie dell’articolo 13 della Costituzione[18]”.
Con riferimento all’elemento soggettivo, i giudici di merito richiamano pacificamente la natura di dolo generico, essendo sufficiente la mera rappresentazione e volizione del fatto tipico senza la necessità di un fine ulteriore in capo all’agente.
Rispetto al caso in esame, un’indubbia peculiarità individuata dall’organo giudicante è rappresentata dal delinearsi del delitto di sequestro di persona in termini di sommatoria delle singole condotte di falso rispettivamente poste a carico di ciascun imputato, all’interno di un contesto di attività amministrativa procedimentalizzata. Ciascun frammento di condotta appare dunque teleologicamente orientata ex art. 61 n. 2 c.p. alla realizzazione del delitto di sequestro di persona ex art. 605 c.p[19].
Secondo questa ricostruzione, è il mendacio a costituire denominatore comune dei singoli frammenti di condotta attiva ed omissiva, tali da addivenire ad un risultato di sostanziale e continuativa deprivazione del nucleo fondamentale del diritto alla libertà personale, nelle more di un procedimento espulsivo all’interno del quale ciascun imputato ha fornito un apporto conoscitivo falso o omesso atti essenziali ai fini della regolarità dello stesso. Tale complessivo procedimento appare ai giudici di primo grado preordinato alla realizzazione di una finalità eccentrica rispetto a quella predeterminata ex lege, sotto l’eterodirezione delle autorità kazake[20].
L’eccentricità della procedura espulsiva in esame è desunta dai giudici di merito da una molteplicità di evidenze fattuali: l’inibizione dell’utilizzo del telefono cellulare da parte della persona offesa all’interno dei locali del Centro di identificazione ed espulsione; l’impossibilità per la persona offesa di colloquiare con i propri difensori a seguito dell’udienza di convalida; l’indebito trattenimento dei suoi difensori presso i locali della questura; la redazione di certificati di ritorno già predisposti anteriormente all’udienza di convalida; la mancata nomina di un interprete per l’intero corso della procedura.
Il combinato disposto delle condotte di mendacio e delle irregolarità procedurali di cui sopra ha avuto, in definitiva, l’esito di inibire, per un periodo temporale giuridicamente apprezzabile, alla persona offesa e alla figlia minore il godimento di prerogative riconducibili alla sfera di autodeterminazione, sotto il duplice profilo spaziale e morale.
4. Rispetto ai due principali argomenti difensivi, relativi alla causa di giustificazione dell’adempimento del dovere e al presunto consenso prestato per la minore dalla madre mediante affidamento della stessa alla sorella, giova evidenziare quanto segue.
Circa la possibile configurazione della causa di giustificazione dell’ adempimento del dovere ex art. 51 c.p. in favore degli imputati, i giudici di merito fanno rimando all’orientamento della giurisprudenza di legittimità che esclude tale possibilità “nel caso in cui un appartenente alla Polizia di Stato abbia agito in esecuzione di un ordine avente ad oggetto la commissione di un reato”, avendo nel caso di specie gli ordini impartiti ai singoli subordinati contenuto palesemente violativo delle norme poste a presidio dei diritti di libertà di ciascun individuo.[21]
La medesima considerazione risulta, secondo i giudici di merito, estensibile all’attività riconducibile alla compilazione di atti, trattandosi di relazioni di servizio palesemente contrastanti con la realtà degli accadimenti.
Rispetto alla figlia minore, i giudici di merito ritengono non necessario, ai fini della configurabilità del delitto di cui all’art. 605 c.p., che il soggetto passivo del reato sia titolare di una autonoma facoltà di manifestazione della propria volontà contraria, argomentando mediante il richiamo al terzo comma della disposizione citata, la quale prevede un’apposita circostanza aggravante correlata all’età minore di 14 anni della persona offesa.
Nemmeno la circostanza che la persona offesa abbia nel corso del procedimento prestato il proprio consenso all’affidamento della minore alla sorella può essere letta in chiave di assenso alla separazione dalla figlia, separazione avvenuta dal giorno del prelievo della donna dal luogo di dimora a quello di accompagnamento della minore in aeroporto per l’espulsione. Ciò in considerazione del fatto che gli operanti abbiano indotto, nelle more del procedimento espulsivo, un fondato stato di timore ed urgenza tale da viziare in radice l’eventuale consenso prestato dalla donna.
In definitiva, la donna e la figlia sono state vittime, come concludono i giudici di merito, di una grave menomazione della propria libertà personale, intesa in termini di libertà di movimento e di autonoma determinazione.
5. In virtù delle considerazioni sopra esposte i giudici di merito addivengono ad un giudizio di responsabilità penale degli imputati per i reati di falso ideologico ex art. 479 c.p. e di concorso nel delitto di sequestro ex art. 605 c.p. (eccezion fatta per l’imputato rivestente la qualifica di giudice di pace nel procedimento di convalida del provvedimento di trattenimento presso il C.I.E.).
I giudici di primo grado qualificano la fattispecie in esame quale “caso eclatante non solo di palese illegalità/arbitrarietà delle procedure seguite dalle istituzioni italiane, ma, soprattutto, una ipotesi di patente violazione dei diritti fondamentali della persona umana”[22], arrivando addirittura ad ipotizzare gli estremi del delitto di lesa umanità, pur consapevoli del fatto che ai fini di tale configurazione il crimine suddetto debba essere commesso nell’ambito di un sistematico attacco contro le popolazioni civili (requisito non sussistente nel caso di specie).
La gravità del fatto in esame viene inoltre evidenziata dall’organo giudicante attraverso la considerazione secondo cui la norma incriminatrice di cui all’art. 605 c.p. (che pur prevede significativi limiti edittali) non appaia adeguata nel rappresentare le reali dimensioni della condotta delittuosa e le devastanti conseguenze che la stessa ha causato[23].
A tale affermazione si aggiunge che nessuno dei dirigenti o funzionari coinvolti nella vicenda, a qualsiasi grado, abbia mai avvertito la necessità di soffermarsi ed impedire la procedura espulsiva, per ragionare sul fatto che le suddette espulsioni avvenivano in favore di un paese, il Kazakhistan, messo all'indice dalla comunità internazionale in quanto nazione violatrice di diritti umani.
Il Tribunale, in ultima analisi, ritiene di non poter rispondere ad una delle domande chiave della vicenda, ossia a quale livello politico o istituzionale sia stata presa la decisione della deportazione, ma ritiene di potere affermare con certezza che nel maggio del 2013 si realizzò di fatto una limitazione della sovranità nazionale, nonché della libertà personale di Alma Shalabayeva e di sua figlia.
[1] Alma Shalabayeva.
[2] Si tratta di Mukhtar Ablyazov, principale oppositore politico del regime dittatoriale di Nazarbayev.
[3] Si tratta di sei imputati, rivestenti le più alte cariche della Polizia di Stato e dell’ambasciata, nonché di un giudice di pace.
[4] Trib. di Perugia, 8 gennaio 2021, n. 1549, p. 44.
[5] Ibidem, p. 40.
[6] Ibidem, p. 40
[7] Riconosciuto a carico di tutti gli imputati eccezion fatta per il giudice di pace, che ha presidiato l’udienza di convalida del provvedimento di espulsione emesso dal Prefetto.
[8] Antolisei, Manuale di diritto penale. Parte speciale, Torino, 2008, II, XV ed., p. 99.
[9] Trib. di Perugia, cit., p. 118.
[10] Da ultimo, Cass. 15 novembre 2019 n. 11914, in CED 278955.
[11] Trib. di Perugia, cit., p. 180.
[12] In tal senso, da ultimo, Cass. 17 aprile 2019 n. 22839, in CED 276632. Per un maggiore approfondimento dell’opinione contraria circa la configurabilità dell’autore mediato rispetto ai reati propri, si rinvia a Romano, Commentario sistematico del codice penale, Milano, 2004, I, III ed, p. 270.
[13] Trib. di Perugia, cit., p. 216.
[14] Ex plurimis, Cass. 29 maggio 2015 n. 44383, in CED 266401.
[15] In questo senso, si richiama Sez. Un. 3 febbraio 1995 n. 1827, in CED 200117.
[16] Trib. di Perugia, cit., p. 235, che richiama Cass. 24 giugno 1997, n. 8048.
[17] Cass. 1 dicembre 2010 n. 38994, in CED 248537.
[18] Passaggio riportato in Trib. di Perugia, cit., p. 242.
[19] In questi termini, Trib. di Perugia, cit., p. 238.
[20] Trib. di Perugia, cit., p. 250.
[21] Cass. 5 luglio 2012, n. 38085 riportata in Trib. di Perugia, cit., 259.
[22] Trib. di Perugia, cit., p. 33.
[23] Trib. di Perugia, cit., p. 34.