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21 Febbraio 2023


Il rapporto del Working Group on Bribery dell’OCSE sull’applicazione in Italia della Convenzione sulla lotta alla corruzione di pubblici ufficiali stranieri nelle operazioni economiche internazionali


*Contributo destinato alla pubblicazione nel Fascicolo 2/2023.

 

1. Lo scorso 13 ottobre 2022 il Working Group on Bribery (WGB)[1] dell’OCSE ha adottato – nell’ambito della quarta fase di monitoraggio avviata nel 2016 – il rapporto di valutazione sull’Italia che può leggersi in allegato[2]. Tale documento – che pubblichiamo nella traduzione italiana ora disponibile sul sito dell’organizzazione – valuta ed esprime raccomandazioni sull'applicazione nel nostro Paese della Convenzione dell'OCSE sulla lotta alla corruzione di pubblici ufficiali stranieri nelle operazioni economiche internazionali[3], nonché sullo stato di attuazione della Raccomandazione del Consiglio per il rafforzamento della lotta contro la corruzione dei pubblici ufficiali stranieri nelle operazioni commerciali internazionali[4].

Si tratta di un documento che ha suscitato grande interesse e fatto molto discutere, soprattutto per le pagine in cui il WGB, dopo aver comunque lodato alcuni passi avanti compiuti dall’Italia su vari fronti, manifesta senza infingimenti una decisa critica nei confronti delle diverse sentenze di proscioglimento pronunciate all’esito di procedimenti penali per fatti di corruzione internazionale riconducibili all’art. 322 bis c.p. Lasciamo tra parentesi, sullo sfondo, il tema politico relativo ai limiti entro i quali può dirsi ammissibile e opportuno che un organismo internazionale critichi gli esiti assolutori di sentenze emesse dai giudici indipendenti di uno Stato sovrano. Su questo punto – a dimostrazione del clamore che il report ha suscitato – si è espressa con un comunicato la stessa Associazione Nazionale Magistrati[5]. Lo scopo di questo nostro breve contributo è solo di mettere a disposizione dei lettori il rapporto e i suoi contenuti. Si tratta, indubbiamente, di un documento di grande interesse, che si segnala altresì per offrire una visione sinottica della maggior parte delle tematiche e delle questioni problematiche che riguardano la corruzione internazionale.

Se ampio è stato il dibattito successivo alla pubblicazione del report[6], seguita da inevitabili polemiche, non altrettanto noti e dibattuti ci sembrano essere ancora i contenuti, all’interno di un ampio e articolato documento che la nostra Rivista mette ora a disposizione dei lettori e del dibattito, a cominciare da quello scientifico.

 

2. Il documento è strutturato in tre parti. A) La prima analizza i profili problematici legati all’individuazione dei reati di corruzione internazionale (p. 12 ss.), soffermandosi in particolare sulle modalità con le quali le notizie di reato giungono nella disponibilità dell’autorità giudiziaria. B) La seconda parte – quella, ci pare, di maggiore interesse – affronta le diverse criticità che riguardano la repressione penale della corruzione internazionale e dei reati ad essa correlati (p. 36 ss.). Nell’ultima parte del documento, infine, il gruppo di lavoro dell’OCSE focalizza l’attenzione C) sulla responsabilità delle persone giuridiche (p. 82 ss.), concentrandosi, tra gli altri aspetti, sull’annosa questione dei livelli delle sanzioni pecuniarie per gli enti.

 

3. Per quanto riguarda A) l’individuazione dei reati di corruzione internazionale, il rapporto svolge alcune riflessioni sulla base dei dati relativi a ventinove procedimenti penali avviati successivamente alla conclusione della terza fase di monitoraggio del WGB nei confronti dell’Italia (p. 13 ss.). I dati mostrano come, nella maggioranza dei casi, la notitia criminis non sia stata scoperta proattivamente dalla autorità giudiziaria, ma sia giunta alla sua attenzione da altre fonti. Le informazioni fornite dalle autorità straniere rappresentano la fonte principale delle denunce (28%). Per contro, il monitoraggio dei media e le segnalazioni del personale diplomatico estero hanno generato un numero relativamente basso di denunce. Tre casi di corruzione internazionale hanno preso avvio mediante verifiche delle autorità fiscali. Mentre non si segnalano, nell’arco temporale preso in considerazione (dal 2011 ad oggi), procedimenti avviati su segnalazione di professionisti contabili e di revisori dei conti esterni alle imprese o su indicazione delle imprese stesse. Nessuna notizia di reato è pervenuta all’autorità giudiziaria da parte delle Agenzie partecipate dallo Stato che, a vario titolo, sostengono l’espansione delle aziende italiane all’estero tramite misure di finanziamento o erogazione di credito a tassi agevolati (p. 29 ss.). Il documento del WGB si riferisce in particolare a SACE (Società assicurativo finanziaria partecipata dal Ministero dell’Economia) e a SIMEST (Società del gruppo Cassa Depositi e Prestiti), enti a partecipazione pubblica che, da quanto si legge nel rapporto, non hanno individuato e comunicato all’autorità giudiziaria casi di corruzione internazionale, sebbene siano state formulate accuse per tale ipotesi di reato nei confronti di imprese che da essi hanno ottenuto sostegno finanziario.

Per ovviare all’inattività, o comunque per aumentare il contributo dei soggetti appena menzionati all’opera di segnalazione dei casi di corruzione internazionale, il rapporto raccomanda all’Italia di sviluppare in modo più significativo, e a vario livello, progetti di formazione dei funzionari e degli operatori di settore con riguardo alle specificità della corruzione internazionale e alle tematiche ad essa collegate. Nondimeno, il WGB suggerisce al nostro Paese di intraprendere politiche di sensibilizzazione nei confronti dei funzionari circa il dovere di denuncia di tale reato alle autorità giudiziarie e di polizia. Al fine di una maggiore partecipazione di tutti i soggetti alle politiche di prevenzione e repressione della corruzione internazionale, il rapporto annovera altresì tra gli obiettivi principali da raggiungere il miglioramento del quadro normativo in materia di whistleblowing (p. 16 ss.): in primis, attraverso l’implementazione degli strumenti di tutela e di ricorso contro qualsiasi azione di ritorsione nei confronti di chi segnala illeciti. A questo riguardo va sottolineato che, lo scorso 9 dicembre 2022, il Consiglio dei Ministri ha approvato lo schema di decreto legislativo di attuazione della Direttiva (UE) 2019/1937, “riguardante la protezione delle persone che segnalano violazioni del diritto dell'Unione e recante disposizioni in materia di protezione delle persone che segnalano violazioni delle disposizioni normative nazionali”. La bozza è stata sottoposta al vaglio delle competenti commissioni parlamentari e si attende quindi la delibera del Consiglio dei Ministri e la successiva entrata in vigore del decreto legislativo; il quale si propone di armonizzare le previsioni già vigenti con quelle da adottare per conformarsi alla Direttiva europea.

Il documento in esame rivolge inoltre un appello più ampio all’Italia, affinché si doti di una strategia globale di contrasto alla corruzione internazionale, sul modello di quanto viene fatto da ANAC (Autorità Nazionale Anticorruzione) con riferimento al coordinamento delle politiche anticorruzione nel settore pubblico interno (p. 12 e in più punti del documento). Secondo il WGB, tale strategia dovrebbe, in prima battuta, individuare i settori e le attività a maggior rischio di corruzione internazionale, quindi sviluppare le specifiche misure per fronteggiare tali rischi e, infine, designare gli organismi responsabili dell’attuazione delle misure e i meccanismi di valutazione della loro efficacia. Un insieme di operazioni che in effetti ben ricalca i contenuti del Piano Nazionale Anticorruzione, sviluppato a cadenza triennale da ANAC.

 

4. Ma veniamo ora alla parte del documento più specificamente dedicata alla B) repressione penale della corruzione internazionale e dei reati ad essa correlati (p. 36 ss.). Dopo una sintetica analisi delle diverse fattispecie inquadrate nell’art. 322 bis c.p., il rapporto si concentra diffusamente sul controverso tema del raggiungimento dello standard della prova nei processi di corruzione internazionale.

È questa la parte del rapporto – lo dicevamo in avvio – sulla quale si è soffermata l’attenzione maggiore e dove emerge il disappunto del WGB per le numerose assoluzioni con le quali si sono conclusi molti dei processi istruiti nel nostro Paese per fatti di corruzione internazionale. A questo proposito, il documento elenca i fattori che – secondo i valutatori del gruppo di lavoro – hanno ostacolato, e ostacolano, una più corretta valutazione processuale di tali condotte. In esito a questa rassegna emerge una opinione critica nei confronti delle modalità con le quali viene condotto l’accertamento processuale in caso di imputazione per l’art. 322 bis c.p., e la raccomandazione affinché si possa giungere in questo ambito ad un deciso cambio di paradigma.

È noto che i procedimenti che riguardano i reati di corruzione – sia nella dimensione interna, sia in quella internazionale – sono il più delle volte basati su indizi: di rado, infatti, il corruttore e il corrotto sono colti in flagranza e spesso il rapporto tra costoro è mediato da un intermediario; tanto che, soprattutto quando non si dispone di intercettazioni o di scambi di messaggi scritti tra le parti, non sussiste alcuna prova che i soggetti coinvolti abbiano negoziato direttamente l’accordo corruttivo. Ne consegue dunque che gli unici elementi che possono essere presi in considerazione al fine della prova della sussistenza del delitto sono gli indizi.

Nel nostro ordinamento è l’art. 192, co. 2 c.p.p. ad occuparsi del criterio di valutazione degli indizi, stabilendo che: «l'esistenza di un fatto non può essere desunta da indizi a meno che questi siano gravi, precisi e concordanti». La casistica presa in considerazione nel documento in esame (p. 37 ss.) mostra come tale disposizione sia spesso interpretata nella prassi secondo un modello che – lo dicevano poco sopra – ha suscitato le perplessità dei valutatori del WGB. Nelle decisioni attenzionate dal Gruppo di lavoro, infatti, gli indizi sono valutati dai giudici isolatamente; così come le eventuali argomentazioni a discolpa addotte dai difensori, che vengono di conseguenza esaminate in relazione al singolo indizio specifico. Questa valutazione non olistica degli elementi indiziari fa sì che – per la natura stessa dell’indizio – sia spesso immaginabile in astratto una argomentazione discolpante. L’indizio rappresenta infatti una circostanza che, se considerata in modo isolato, possiede una valenza dimostrativa solo possibilistica, suscettibile di spiegazioni alternative. Nel modello di analisi diffuso nella nostra prassi e criticato dal WGB, l’individuazione, sempre possibile da parte del difensore, di un’argomentazione a discolpa, impedisce al giudice di utilizzare il singolo indizio ai fini della prova, rendendo così particolarmente difficile la dimostrazione dell’esistenza del pactum sceleris.

L’opinione dei valutatori del WGB – suffragata dagli interventi di alcuni esperti italiani (p. 39-40) che sono stati auditi nella fase di valutazione (soprattutto giudici e pubblici ministeri) – è che la modalità di applicazione dell’art. 192, co. 2 c.p.p. appena descritta abbia dato luogo ad uno standard probatorio eccessivamente severo, che ha condotto troppo spesso ad esiti assolutori. Da quanto si legge nel rapporto, infatti, gli ultimi sette casi di corruzione internazionale emersi nel nostro Paese si sono conclusi con cinque proscioglimenti integrali, un proscioglimento parziale e una condanna (non ancora definitiva); e la modalità di valutazione degli indizi è stato il motivo principale dei proscioglimenti in tre dei casi in questione.

 

5. Anche il livello di dettaglio richiesto con riguardo alla prova dell’accordo corruttivo (p. 40-41) è senz’altro uno dei fattori che ha contribuito, e contribuisce, alla prevalenza del numero dei proscioglimenti sulle condanne. In alcuni noti casi di corruzione internazionale infatti i tribunali, per affermare la sussistenza di tale delitto, hanno ritenuto necessaria la prova di tutti i dettagli dell’accordo, quali la data, il luogo, le parti coinvolte e le precise condizioni finanziarie previste. Il rapporto del WGB – anche su questo aspetto giovandosi delle affermazioni di alcuni esperti interni coinvolti nella procedura di valutazione – ritiene che un tale grado di precisione della prova del pactum sceleris sia raramente disponibile nei casi di corruzione internazionale, in ragione della collocazione dei fatti anche all’estero e del coinvolgimento di soggetti stranieri, spesso non perseguibili dalla nostra autorità giudiziaria. Se all’obbligo di provare tali dettagli si aggiungono le già illustrate difficoltà legate all’utilizzo degli indizi, ben si comprende allora, si legge nel rapporto, come diventi estremamente difficile dimostrare la sussistenza del delitto di corruzione internazionale.

 

6. Un ulteriore fattore di difficoltà nella prova della corruzione internazionale è individuato dal WGB nella modalità con la quale sono trattati nella prassi italiana i casi, ricorrenti, in cui il presunto corruttore – di solito il dirigente di una società – paga una somma consistente di denaro ad un consulente, affinché questi faccia tutto il necessario per aggiudicarsi un contratto di appalto pubblico in un Paese straniero caratterizzato da un elevato livello di corruzione (p. 42-43). Il documento in esame ritiene che, in situazioni come queste, il dirigente debba essere ritenuto responsabile di corruzione internazionale non solo quando abbia consapevolmente corrotto un pubblico ufficiale straniero, ma anche quando si sia dimostrato imprudente, negligente o “wilfully blind” circa l’eventualità che il denaro versato ad un intermediario potesse essere successivamente devoluto al funzionario pubblico per fini corruttivi. Nel nostro Paese sono invece andati assolti dall’accusa di corruzione internazionale soggetti per i quali non è stato possibile dimostrare la piena consapevolezza dell’effettiva destinazione illecita di parte delle somme corrisposte al consulente. In questi casi, la rappresentazione generica della situazione di pericolo quale effetto dell’azione intrapresa non è stata ritenuta sufficiente per determinare la responsabilità.

 

7. Questione oggetto di valutazione da parte del WGB è altresì quella relativa all’autonomia del delitto di corruzione internazionale (p. 46 ss.). La Convenzione OCSE – all’art. 1 – impone infatti che la condanna di un soggetto per tale delitto in uno Stato membro non possa richiedere che gli elementi costitutivi del reato siano valutati anche alla stregua della legislazione del diverso Paese del funzionario corrotto. La giurisprudenza presa in considerazione dal documento in esame non sembra tuttavia aver garantito il rispetto di questa indicazione, in particolare con riferimento alla definizione di pubblico ufficiale straniero. A questo proposito il rapporto menziona, infatti, una sentenza della Corte di cassazione del 2009[7] – presa poi a modello da molte decisioni successive – la quale ha sancito che, con riguardo alla nozione di pubblico ufficiale ai fini della corruzione internazionale, il giudice è chiamato ad applicare un test a duplice schema: in primis, deve accertare d’ufficio la normativa straniera pertinente per determinare se il funzionario corrotto svolga funzioni o attività corrispondenti a quelle dei pubblici ufficiali o degli incaricati di pubblico servizio; quindi tale attività deve rappresentare una funzione pubblica anche alla luce delle legge italiana. Uno schema, quello appena illustrato, che sembrerebbe tuttavia rendere in reato in questione non autonomo, esponendosi così alle critiche dei valutatori del WGB.

Pongono ugualmente problemi di autonomia della fattispecie le sentenze che – giudicando della possibile integrazione del delitto di corruzione internazionale per un atto contrario ai doveri d’ufficio – richiedono di valutare la legalità della condotta del funzionario alla stregua del diritto dell’ordinamento straniero (p. 47). Secondo il WGB le difficoltà pratiche che derivano dalla valutazione degli elementi della fattispecie anche alla luce del diritto straniero contribuiscono – insieme alle altre criticità sopra menzionate – a rendere la sussistenza del pactum sceleris quasi indimostrabile.

 

8. Ma non è finita qui: secondo i valutatori del WGB altri sono infatti gli scogli che la legislazione e la prassi del nostro Paese pongono sulla strada dell’accertamento del delitto di corruzione internazionale. A questo proposito, ampio spazio viene dedicato alla possibilità di ricorrere all’accusa di concussione (art. 317 c.p.) quale causa di esclusione della responsabilità per il privato che ha corrisposto o promesso denaro ad un pubblico ufficiale straniero (p. 48 ss.). Si tratta di una eventualità questa, certo ridimensionata dopo il restringimento del campo di applicazione dell’art. 317 c.p., avvenuto nel 2012 a beneficio del nuovo reato di induzione indebita a dare o promettere utilità (art. 319 quater c.p.). Nondimeno, quest’ultima fattispecie, pur non escludendo la responsabilità del privato, prevede nei suoi confronti una pena massima (3 anni di reclusione) significativamente inferiore rispetto a quella inflitta per i delitti di corruzione (8 o 10 anni). Il documento evoca d’altra parte alcune decisioni nelle quali particolarmente modesto è stato lo standard della prova richiesto per far sì che, nei confronti del privato, l’iniziale accusa di corruzione internazionale si tramutasse in una decisione di irresponsabilità – perché questi era stato in realtà vittima di una condotta concussoria – oppure in una condanna per induzione indebita, con l’inflizione quindi di una pena sensibilmente minore. Da ciò discende la raccomandazione che l’Italia monitori con particolare attenzione la casistica in questo ambito e faccia in modo, anche eventualmente intervenendo sulla legislazione, che le sanzioni concretamente inflitte per il delitto di induzione indebita a dare o promettere utilità (art. 319 quater c.p.) siano efficaci, proporzionate e dissuasive.

Un rischio di esonero dalla responsabilità per fatti di corruzione internazionale viene altresì individuato dal rapporto nella causa di non punibilità di cui all’art. 323 ter c.p. (p. 52-53), introdotta nel 2019 dalla legge c.d. “Spazza-corrotti”, e che – in presenza di alcune condizioni legate alla tempestività della dichiarazione – sancisce la non punizione nei confronti di chi «denuncia volontariamente e fornisce indicazioni utili e concrete per assicurare la prova del reato e per individuare gli altri responsabili». I valutatori del WGB evidenziano alcune criticità legate all’applicazione di questo strumento al delitto di corruzione internazionale, pur dando atto che non sono finora emersi nella prassi casi in cui esso è stato utilizzato.

 

9. Il documento dedica quindi spazio ad alcune tematiche relative all’organizzazione e alle politiche di coordinamento tra gli organi preposti alle indagini in materia di corruzione internazionale (p. 53 ss.). In primis, si esprime preoccupazione per la perdurante mancanza di un database centrale che raccolga le informazioni relative a tutti i procedimenti in corso per il reato di corruzione internazionale, contribuendo così a scongiurare la possibilità che più procure si ritrovino contemporaneamente ad indagare sugli stessi fatti. I valutatori del WGB plaudono invece all’iniziativa della Procura della Repubblica di Milano che, nel 2018, ha istituito al proprio interno un Dipartimento specializzato nel perseguimento dei reati economici transnazionali (p. 55-56): esso rappresenta ad oggi l’autorità che in Italia ha gestito il maggior numero di procedimenti per fatti di cui all’art. 322 bis c.p. A questo proposito, il rapporto considera estremamente positiva l’istituzione di nuclei specializzati, nell’ottica della concentrazione delle competenze e della massimizzazione dell’efficienza nel contrasto ad una tipologia di reato così complesso dal punto di vista della prova nel processo. Non poteva mancare quindi un accenno al tema delle risorse (p. 56-57): le indagini per reati transnazionali comportano senza dubbio un significativo impiego di mezzi, sia in termini di denaro, sia con riferimento ai magistrati coinvolti. Il documento del WGB raccomanda allora che le risorse, economiche e umane, destinate a tali processi siano sempre commisurate alla mole di lavoro effettivamente esistente.

 

10. Significativa è altresì quella parte del documento che concentra l’attenzione su alcuni aspetti legati alle tempistiche dei procedimenti per corruzione internazionale (p. 58 ss.). Innanzitutto, il WGB ritiene troppo breve il limite temporale massimo di due anni entro il quale vanno necessariamente concluse le indagini preliminari (artt. 405-407 c.p.p.). Nell’eventualità di casi particolarmente complessi deve infatti essere concesso all’autorità inquirente un lasso di tempo più ampio per completare le investigazioni. Un accenno viene fatto altresì al tema della prescrizione (p. 63-64). A questo riguardo si ricorda come, nella precedente fase di valutazione, molte erano state le voci che avevano lamentato l’inadeguatezza dei termini di prescrizione in questo ambito, reputandoli troppo brevi. Si plaude allora alle recenti riforme che hanno innalzato i termini di prescrizione complessivi; portando per esempio a 15 anni il termine di prescrizione massimo per il delitto di corruzione internazionale per un atto contrario ai doveri d’ufficio.

 

11. Non ci tratteniamo sulle parti – che pur meriterebbero un approfondimento – relative alla cooperazione giudiziaria tra gli Stati (p. 64 ss.) e ai reati collegati alle fattispecie di cui all’art. 322 bis c.p. (p. 71 ss.). Un qualche cenno va fatto invece al tema delle risoluzioni non processuali dei casi di corruzione internazionale (p. 75 ss.). La stragrande maggioranza dei processi condotti nel nostro Paese con riferimento a tale reato si conclude infatti attraverso un patteggiamento. Tale forma di risoluzione processuale solleva tuttavia alcune criticità, già evidenziate nelle fasi di valutazione precedenti, e sulle quali ritorna anche il documento in esame. Su tutte, si ribadisce la necessità di rendere pubblici, compatibilmente con le norme sul rispetto della privacy, gli aspetti fondamentali dell’accordo tra le parti: a) i fatti principali e i soggetti coinvolti; b) le considerazioni rilevanti per la risoluzione del caso e per la commisurazione della pena; c) il tipo di sanzioni comminate.

La parte del rapporto dedicata alla repressione penale della corruzione internazionale riserva, infine, uno sguardo alle sanzioni previste per le persone fisiche (p. 77 ss.). Qui è significativo notare come il WGB ritenga “relativamente leggere” le pene inflitte all’esito dei processi attenzionati dai valutatori. Tale esiguità delle sanzioni è ricondotta dal documento alle numerose riduzioni di pena previste nel nostro ordinamento, in primis quelle concedibili in virtù della scelta di un rito alternativo. In questo quadro si comprende allora il favore con il quale viene accolto il recente inasprimento delle pene detentive principali e delle pene accessorie, introdotto per mano della già citata legge “Spazza-corrotti”. Sempre con riferimento al tema delle sanzioni, i valutatori rinnovano all’Italia l’invito a introdurre anche per il delitto di cui all’art. 322 bis c.p. la possibilità di comminare la pena pecuniaria (p. 79). Secondo il WGB l’Italia rappresenta infatti un’eccezione tra i Paesi membri, i quali, in 41 casi su 43, contemplano anche le pene pecuniarie per le persone fisiche responsabili di corruzione internazionale.

 

12. Il documento si conclude con un’ultima parte dedicata alla C) responsabilità delle persone giuridiche (p. 82 ss.). Il Gruppo di lavoro individua a questo proposito alcune questioni problematiche, già attenzionate nella precedente fase di valutazione. Si lamenta innanzitutto come la formulazione dell’art. 5 del d.lgs. 231/2001, nel delineare – alle lettere a) e b) – i soggetti le cui condotte possono comportare la responsabilità dell’ente, possa essere interpretata nel senso di escludere la condanna della persona giuridica quando il reato è commesso da un dipendente di livello inferiore a quello direttivo medio (p. 82-83). Si tratta di una esegesi, quest’ultima, che contrasta con quanto disposto dall’art. 2 della Convenzione il quale, si legge nel rapporto, non limita la responsabilità agli atti dei dipendenti al di sopra di un determinato livello (come fa invece la lett. a, art. 5 d.lgs. 231/2001), né richiede che il dipendente colpevole si trovi sotto la supervisione e la direzione diretta o immediata di un dirigente aziendale di grado più elevato (ciò che invece dispone la lett. b, art. 5 d.lgs. 231/2001).

Un focus particolare è riservato, anche per le persone giuridiche, al tema delle sanzioni pecuniarie (p. 85 ss.). Già nella precedente fase di valutazione si era raccomandato all’Italia di aumentare il livello massimo delle sanzioni pecuniarie previste per le persone giuridiche, facendo sì che le circostanze attenuanti e la riduzione del quantum della pena per l’adozione di riti alternativi non impediscano l’irrogazione di sanzioni efficaci, proporzionate e dissuasive anche per le grandi compagini aziendali. A questo proposito, nell’ambito di valutazioni che hanno riguardato altri Paesi, il WGB ha suggerito altresì l’adozione di sanzioni pecuniarie massime rapportate al fatturato dell’azienda. Il documento evidenzia infine come l’attuale regime sanzionatorio – sul quale non sono intervenute le modifiche sperate – abbia mostrato nella prassi più recente tutta la sua inadeguatezza.

Il rapporto dedica spazio anche al tema delle sanzioni interdittive (p. 87-88). I valutatori del Gruppo di lavoro ritengono che tali sanzioni rappresentino uno strumento al quale è senz’altro opportuno ricorrere nei giudizi resi nei confronti delle persone giuridiche. Nell’ordinamento italiano, tuttavia, anche le misure interdittive rivolte agli enti si segnalano per la loro esiguità e per essere facilmente sostituibili con la pena pecuniaria al ricorrere di determinate condizioni spesso dipendenti dalla volontà dell’ente stesso (per es. quando l’ente, prima dell’inizio del processo, risarcisce integralmente il danno ed elimina le conseguenze dannose e pericolose del reato).

Il WGB tocca quindi anche l’annoso tema del termine di prescrizione per le persone giuridiche (p. 91-92). Mentre per le persone fisiche – lo accennavamo poco sopra – la disciplina della prescrizione è stata oggetto di numerosi interventi legislativi, con riguardo alla responsabilità degli enti rimane inalterato l’art. 22 d.lgs. 231/2001, secondo cui «le sanzioni amministrative si prescrivono nel termine di cinque anni dalla data di consumazione del reato». Il Gruppo di lavoro manifesta la sua perplessità per il fatto che moltissimi sono ancora i procedimenti in cui matura nei confronti dell’ente il termine di prescrizione.

 

13. Il report del WGB colloca infine nelle pagine conclusive un utile riassunto dei propri contenuti. Da un lato, vengono ricordate le buone prassi e i risultati positivi raggiunti dall’Italia (p. 98-99) a partire dalla precedente fase di valutazione; dall’altro lato, si elencano di nuovo, in maniera sintetica, tutte le raccomandazioni rivolte dai valutatori al nostro Paese (p. 99 ss.) e le questioni che saranno oggetto di monitoraggio (p. 104). Su entrambi questi ultimi aspetti l’Italia sarà chiamata a rendere conto per iscritto al Gruppo di lavoro nell’ottobre del 2024.

 

 

 

[1] Istituito in ambito OCSE nel 1994, come è noto, il Working Group on Bribery controlla l'attuazione della Convenzione sulla lotta alla corruzione dei pubblici ufficiali stranieri nelle operazioni economiche internazionali e della Raccomandazione per ulteriori strategie di lotta contro la corruzione degli impiegati pubblici nelle transazioni economiche internazionali, introdotta originariamente nel 2009. Il Working Group on Bribery è composto dai rappresentanti degli Stati che hanno sottoscritto la citata Convenzione e si riunisce a Parigi quattro volte all'anno.

[2] Come si apprende dalla lettura del rapporto, il gruppo di valutazione sull'Italia che ha operato in questa fase era composto da esaminatori statunitensi e tedeschi, nonché da membri della divisione anticorruzione dell'OCSE. Dopo aver ricevuto le risposte dell'Italia al questionario standard previsto dalla Fase 4 e alle domande supplementari specifiche per il Paese, il gruppo di valutazione ha condotto una visita in loco a Milano e Roma dal 4 all'8 aprile 2022.

[3] La Convenzione sulla lotta alla corruzione dei pubblici ufficiali stranieri nelle operazioni economiche internazionali è stata firmata il 17 dicembre 1997 ed è entrata in vigore il 15 febbraio 1999. Attualmente l'Accordo è stato sottoscritto da 44 Paesi (tutti gli Stati facenti parti dell'OCSE e 6 Stati ad esso esterni). La Convenzione è in vigore in Italia dal 15 dicembre 2000 (legge di ratifica n. 300 del 2000).

[4] Si tratta di un documento originariamente adottato nel 2009 e quindi riemanato in una versione riveduta il 26 novembre 2021. Il testo aggiornato è reperibile al link: https://legalinstruments.oecd.org/en/instruments/OECD-LEGAL-0378

[5] Il comunicato è stato rilasciato dall’Associazione Nazionale Magistrati il 26 ottobre 2022, ed è consultabile al link: https://www.associazionemagistrati.it/doc/3866/lanm-sul-phase-4-report-dellocse-in-tema-di-lotta-alla-corruzione.htm

[6] Si v., per una autorevole presa di posizione su alcuni degli aspetti toccati dal report, E. Fusco, L. Salazar, Accordi extraprocessuali per collaborare meglio con le autorità straniere, in Il Sole24ore, 10 novembre 2022.

[7] Cfr. Cass. pen., Sez. VI, sent. 5 novembre 2009, n. 49532, DeJure.