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17 Febbraio 2020


La Consulta introduce l'avviso sulla possibilità della messa alla prova anche nel decreto di giudizio immediato

Corte cost., sent. 14 febbraio 2020, n. 19, Pres. Cartabia, Red. Viganò



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Diamo sintetica ed immediata notizia, in attesa di eventuale commento critico, d’una sentenza della Corte costituzionale riguardo alla sospensione del processo penale con messa alla prova, ed alla necessità che l’imputato sia tempestivamente avvisato dell’opportunità di accedere al rito in questione; che una comunicazione apposita, in altre parole, consenta di formulare la richiesta della sospensione prima che si determini nella fase predibattimentale la preclusione stabilita dalla legge.

Manipolando l’art. 456 c.p.p., la Consulta ha incluso la procedura di cui all’art. 168-bis tra quelle che, afferendo alla piena esplicazione del diritto di difesa da parte dell’imputato, devono essere appunto l’oggetto di una comunicazione specifica e dedicata in caso di notifica del decreto di giudizio immediato.

 

1. La norma censurata.

Si tratta dell’art. 456, comma 2, c.p.p., il quale stabilisce – nel contesto della disposizione che regola contenuto e funzione del decreto di giudizio immediato – che il provvedimento giudiziale deve comprendere l’avviso che l’imputato può chiedere il giudizio abbreviato oppure l’applicazione della pena ai sensi dell’art. 444 c.p.p. (cd. patteggiamento).  

Un avviso siffatto è particolarmente necessario nel rito immediato, poiché la scadenza entro la quale va formulata la domanda di accesso agli ulteriori riti speciali è davvero serrata: il quindicesimo giorno dalla notifica del decreto, tanto per il giudizio abbreviato (comma 1 dell’art. 458 c.p.p.), tanto per il patteggiamento (ultima parte del comma 1 dell’art. 446 c.p.p.). Un’identica scadenza è stata stabilita per la richiesta di messa alla prova (comma 2 dell’art. 464-bis c.p.p.). Nondimeno, e come si è visto, la norma censurata non prescrive l’introduzione del pertinente avviso tra i requisiti essenziali del decreto di giudizio immediato.

 

2. I parametri costituzionali e le censure.

Il giudizio a quo, celebrato innanzi al Tribunale militare di Roma, è giunto alla fase dibattimentale dopo la notifica di un decreto di giudizio immediato, che non conteneva l’avviso della possibilità di chiedere la sospensione con messa alla prova, né tanto meno l’avviso che detta richiesta avrebbe dovuto essere formulata in fase predibattimentale (come si è visto, entro 15 giorni dalla notifica dell’atto di vocatio in iudicium). La difesa dell’imputato ha eccepito tra l’altro la nullità del decreto, postulando la necessità dell’avviso concernente la sospensione ex art. 168-bis c.p. nonostante la mancanza di una previsione espressa nel comma 2 dell’art. 456 c.p.p. Il giudice rimettente ha escluso la possibilità di una interpretazione integrativa della norma, sia pur finalizzata a garantire la conformità a Costituzione del relativo precetto. Su questo presupposto, tuttavia, ha sollevato questione di legittimità costituzionale, sollecitando la Consulta ad una pronuncia additiva che incidesse sull’oggetto della disposizione censurata.

Due i parametri indicati nell’ordinanza.

Anzitutto il primo comma dell’art. 3 Cost., poiché non avrebbe senso il trattamento differenziale per una procedura – quella di messa alla prova – che condivide con il rito abbreviato ed il patteggiamento una funzione definitoria del giudizio penale con vantaggi reciproci per il sistema giudiziario e per l’accusato.

Per altro verso, è stato evocato il secondo comma dell’art. 24 Cost. Da molti anni la stessa Consulta ha chiarito che la facoltà di accesso ai riti speciali è cosa pertinente all’esercizio del diritto di difesa, che per questa ragione deve essere garantita all’accusato una tempestiva informazione in proposito, ed infine che la violazione di precetti siffatti (risolvendosi in diretta violazione del diritto di difesa) è sanzionata da previsioni di nullità a carattere generale (art. 178, comma 1, lett. c, c.p.p.). Questo dunque il ragionamento: con la proposta addizione per il comma 2 dell’art. 456 c.p.p., il decreto di giudizio immediato non recante l’avviso della possibilità di messa alla prova dovrebbe considerarsi nullo, e con la sua invalidazione il giudizio a quo regredirebbe fino ad una fase ancora compatibile con la richiesta di sospensione ex art. 168-bis c.p.p.

 

3. La risposta della Corte.

Come già si è anticipato, la Corte ha deliberato per l’accoglimento della questione sollevata, di conseguenza dichiarando l’illegittimità costituzionale dell’art. 456, comma 2, c.p.p., «nella parte in cui non prevede che il decreto che dispone il giudizio immediato contenga l’avviso della facoltà dell’imputato di chiedere la sospensione del procedimento con messa alla prova».

Per quanto la censura proposta ex art. 3 Cost. non sia stata valutata nel merito, la Corte ha ricordato la propria giurisprudenza circa l’assimilazione della messa alla prova agli altri riti utili alla definizione del procedimento in alternativa al modello dibattimentale. Nel contempo, e sull’onda dei rilievi proposti dal rimettente, è stata evocata la giurisprudenza che da lungo tempo qualifica l’accesso ai riti come rilevante modalità di esercizio del diritto di difesa (sono citate le sentenze n. 237 del 2012, n. 219 del 2004, n. 148 del 2004 e n. 497 del 1995). Da una siffatta qualificazione deriva che, «quando il termine entro cui chiedere i riti alternativi è anticipato rispetto alla fase dibattimentale, sicché la mancanza o l’insufficienza del relativo avvertimento può determinare la perdita irrimediabile della facoltà di accedervi», l’omissione d’un tempestivo ed esatto avviso della facoltà prevista dalla legge si risolve in una diretta violazione del diritto di difesa (sentenza n. 201 del 2016).

Su questa premessa la Corte aveva già risolto un problema per molti versi analogo a quello posto nella specie dal rimettente, dichiarando l’illegittimità costituzionale dell’art. 460, comma 1, lett. e), c.p.p., nella parte in cui non prevede(va) che il decreto penale di condanna contenesse l’avviso della facoltà dell’imputato di chiedere mediante l’opposizione la sospensione del procedimento con messa alla prova (sentenza n. 201 del 2016). Logico dunque che la stessa soluzione sia stata adottata, riguardo al medesimo rito, valutando un diverso atto con funzione (concorrente) di vocatio in iudicium.

L’implicazione del decisum, che per vero condizionava la rilevanza stessa della questione, è stata opportunamente resa esplicita dalla Corte (richiamando una pronuncia parallela concernente il giudizio abbreviato, cioè la sentenza n. 148 del 2004): a fronte di un dibattimento aperto dal decreto di giudizio immediato privo dell’avviso concernente la messa alla prova, il giudice potrà rilevare una nullità a carattere generale (art. 178, comma 1, lett. c), e disporre la regressione del procedimenti.

Si può qui aggiungere che, secondo la giurisprudenza di legittimità, la nullità per l’omissione dell’avviso per la messa alla prova – già valutata dopo la sentenza additiva concernente il decreto penale di condanna – non presenta carattere assoluto, di talché resta sanata o comunque non deducibile nei casi previsti dagli artt. 180 e 182 del codice di rito. Deve per altro considerarsi tempestiva l’eccezione proposta nella prima occasione utile dopo l’intervento additivo della Consulta, quale che sia la fase in concreto raggiunta dal procedimento (Cass., Sez. IV, 21 febbraio 2017, n. 21897, in C.E.D. Cass., n. 269943; Cass., sez. IV, 14 febbraio 2019, n. 17659, ivi, n. 276085).