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24 Febbraio 2020


Consulta: discrezionale la revoca prefettizia della patente di guida dopo l'applicazione di una misura di sicurezza personale

Corte cost., sent. 20 febbraio 2020, n. 24, Pres. Cartabia, Red. Morelli



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Diamo sintetica ed immediata notizia, in attesa di eventuale commento critico, d’una sentenza della Corte costituzionale che ha inciso sulla disciplina della revoca della patente di guida per coloro che vengono assoggettati ad una misura di sicurezza personale.

L’art. 120, comma 2, del d.lgs. n. 285 del 1992 (Nuovo codice della strada), nella versione assestata dopo ripetuti interventi di riforma [da ultimo, mediante l’art. 8, comma 1, lettera b), del d.lgs. n. 59 del 2018], stabiliva che la patente fosse revocata una volta venuti meno i “requisiti morali” che condizionano, in base al comma 1 dello stesso art. 120, il rilascio dell’abilitazione alla guida. Poiché i requisiti in questione non sussistono per colui che sia stato assoggettato ad una misura di sicurezza personale, ne discendeva, in caso di applicazione dell’indicata misura dopo l’intervenuto rilascio della patente, l’automatica necessità di revoca.

In particolare, secondo il tenore letterale della disposizione censurata, il “prefetto provvede alla revoca”, cioè deve procedere in tal senso, non esercitando alcuna valutazione discrezionale. La Consulta è intervenuta dichiarando illegittima la norma nella parte in cui non stabilisce invece che il “prefetto può provvedere” nello stesso senso, assicurando così al funzionario la possibilità di non procedere alla revoca, quando ricorrano determinate condizioni.

 

1. I parametri costituzionali e le censure.

Il giudizio incidentale di costituzionalità è stato promosso, nella specie, tanto da un Giudice amministrativo che da un Tribunale ordinario.

Innanzi al primo si discute della legittimità di un provvedimento prefettizio di revoca della patente adottato sebbene, in sede di applicazione della libertà vigilata, fosse stato accordato al ricorrente il permesso di utilizzare l’auto per esigenze connesse allo svolgimento della sua attività lavorativa, così come consentito al magistrato di sorveglianza stante il disposto dell’art. 228 cod. pen. e dell’art. 190 disp. att. cod. proc. pen.

Il rimettente ha osservato non solo che l’automatismo della revoca contraddice i principi di uguaglianza, di ragionevolezza, di proporzionalità, con ricadute sui diritti di libertà personale, di libera circolazione, di accesso al lavoro. Si è aggiunto, infatti, che sarebbe irrazionale la «contraddizione tra scopi e poteri esercitati dalle diverse autorità (Giudice e Prefetto) di fronte alla medesima vicenda».

Anche il giudizio a quo condotto dal Tribunale ordinario ha per oggetto la legittimità di una revoca prefettizia, a significare per inciso la ricorrenza d’un problema di giurisdizione. Nella relativa ordinanza, comunque, si pone in luce particolare il carattere indifferenziato del trattamento riservato a persone con diversi livelli di pericolosità, variamente condizionati dalla possibilità di circolare alla guida di un veicolo, ed a persone oltretutto colpite da misure diverse nei presupposti e nell’intensità dei limiti posti al pieno godimento delle libertà personali.

Insomma, entrambi i rimettenti hanno evocato primariamente l’art. 3 Cost., nella prospettiva dell’uguaglianza e della ragionevolezza. Il Giudice amministrativo ha esteso le proprie censure anche con riguardo agli artt. 4, 16 e 35 Cost.

In entrambi i casi – e seguendo del resto l’indicazione fornita dalla stessa Corte costituzionale con la sentenza n. 22 del 2018 (infra) – è stata sollecitata una decisione manipolativa che rendesse discrezionale anche per il Prefetto il provvedimento di revoca della patente nel caso di sopravvenuta applicazione di una misura di sicurezza.

 

2. La risposta della Corte.

Come già si è anticipato, la Corte ha deliberato per l’accoglimento delle questioni sollevate, ravvisando una violazione dell’art. 3 Cost., e considerando “assorbite” le censure costruite sugli ulteriori parametri.

Conviene anche dire, prima di passare ad un breve esame circa il merito della decisione, che la Corte ha escluso l’inammissibilità delle questioni proposte da uno dei due giudici rimettenti, sebbene questi stiano operando in diverse giurisdizioni pur dovendo pronunciarsi sul medesimo oggetto. Secondo la giurisprudenza costituzionale, in effetti, l’eventuale difetto di giurisdizione o di competenza in capo al giudice rimettente può essere sindacato (sotto il profilo della rilevanza) solo quando sia evidente. Nella specie, pur dovendosi registrare un saldo orientamento della Corte di cassazione in favore della giurisdizione ordinaria, il Tribunale amministrativo ha motivato espressamente il proprio contrario assunto, in termini non implausibili, e tali dunque da escludere una carenza ictu oculi della sua giurisdizione.

Quanto al merito, si è accennato poco sopra alla sentenza n. 22 del 2018, con la quale la Consulta aveva già dichiarato illegittimo il comma 2 dell’art. 120 del Codice della strada, nella parte in cui, avuto riguardo all’ipotesi di condanna per reati di cui agli artt. 73 e 74 del d.P.R. n. 309 del 1990 (Testo unico stupefacenti), disponeva che il prefetto “provvede” – invece che “può provvedere” – alla revoca della patente.

Al centro della decisione proprio gli argomenti poi puntualmente ripresi dai nuovi rimettenti: un identico effetto per fattispecie assai eterogenee, ed una stridente contraddizione in potenza tra la eventuale valutazione positiva del giudice della misura ed il provvedimento non discrezionale del prefetto.

Nel caso odierno l’assimilazione delle fattispecie utili per la revoca è ingiustificata già in rapporto alla variegata tipologia delle misure di sicurezza indicate all’art. 215 cod. pen. o nella legislazione penale, ma contraddice anche l’eterogeneità dei contenuti individualizzanti che in concreto le stesse misure possono assumere per disposizione dei giudici, la quale a sua volta dipende, tra l’altro, da situazioni di pericolosità personale che possono essere molto diverse tra loro.

D’altra parte – ha osservato la Corte – deve considerarsi irrazionale una previsione di revoca obbligatoria nello stesso contesto nel quale il giudice della pericolosità ha stimato possibile, o addirittura necessario per il perseguimento dei fini propri della misura di sicurezza, che l’interessato possa continuare ad utilizzare un mezzo proprio di trasporto, almeno per fini determinati.