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30 Marzo 2022


Per le Sezioni unite non è abnorme il provvedimento con cui il g.i.p. restituisca gli atti al p.m. perché effettui nuove indagini consistenti nell'interrogatorio dell'indagato

Cass., Sez. un., sent. 16 dicembre 2021 (dep. 24 marzo 2022), n. 10728, Pres. Cassano, rel. Andronio, proc. Fenucci



1. Con sentenza in epigrafe le Sezioni Unite della Corte di cassazione hanno dato risposta al seguente quesito di diritto: “se sia abnorme il provvedimento con il quale il giudice per le indagini preliminari, decidendo sulla richiesta di archiviazione, restituisca gli atti al pubblico ministero, perché provveda all'interrogatorio dell'imputato, senza indicare ulteriori indagini da compiere”.

 

2. Prima di illustrare le valutazioni in diritto della Suprema Corte relative al quesito sopra indicato, conviene richiamare sinteticamente i principali snodi attraverso i quali si è articolata la vicenda oggetto d’esame.

Nell’ambito di un procedimento penale iscritto nei confronti di due indagati per gli ipotizzati reati di cui agli artt. 633 e 635 cod. pen., il pubblico ministero, all’esito delle indagini preliminari, si determinava a formulare richiesta di archiviazione ex art. 408 cod. proc. pen. non ritenendo configurabili i predetti reati.

Il Giudice per le indagini preliminari, dopo aver dichiarato inammissibile per tardività l’opposizione alla richiesta di archiviazione presentata dalla persona offesa, all’esito di procedimento camerale, rigettava con ordinanza la richiesta avanzata dal pubblico ministero e, ai sensi dell’art. 409, comma 4, cod. proc. pen. disponeva che lo stesso compisse ulteriori indagini «volte all'accertamento delle singole responsabilità in ordine al [diverso – ndr.] delitto di cui all'art. 646 cod. pen.», indagini consistenti nel «procedere all'interrogatorio degli indagati e, sulla scorta delle loro dichiarazioni, assumere ulteriori elementi atti a chiarire la vicenda».

Avverso detta ordinanza il pubblico ministero proponeva ricorso per cassazione denunciando l’abnormità dell’indicato provvedimento del G.I.P.

La Seconda Sezione penale della Corte di cassazione, ritenendo sussistente un contrasto giurisprudenziale in materia rimetteva la decisione alle Sezioni Unite.

 

3. Le questioni che le Sezioni Unite sono state chiamate ad affrontare nella sentenza qui in commento hanno investito due direttrici tra loro interconnesse: a) se, in generale, possa ravvisarsi un profilo di abnormità nel provvedimento del giudice che, pur dichiarando inammissibile l’opposizione, omette di pronunciarsi sulla richiesta di archiviazione formulata dal pubblico ministero in relazione ai reati per i quali era intervenuta l’iscrizione nel registro di cui all’art. 335 cod. proc. pen. e che, per contro, dispone il compimento di indagini per un altro reato non indicato nella richiesta, e b) se sia possibile che il G.I.P., pronunciando ex art. 409, comma 4, cod. proc. pen. indichi via esclusiva come “ulteriori indagini” da compiere che il pubblico ministero debba procedere all’interrogatorio degli indagati.

 

4. Nell’ottica di quanto indicato al paragrafo che precede, la prima situazione che viene alla luce è costituita dal fatto che il G.I.P. con il proprio provvedimento avrebbe operato un’inversione dell’ordine logico/cronologico che caratterizza il nostro codice di rito penale, ordine che prevede che il pubblico ministero in assoluta autonomia gestisce la fase delle indagini preliminari e che, solo alla conclusione delle stesse, il giudice è chiamato a valutare la fondatezza dell’esercizio dell’azione penale ovvero la richiesta di archiviazione, avendo al più la possibilità di disporre il compimento attività integrative di indagine comunque legate alla decisione che deve assumere e pur sempre nell’ambito del perimetro del thema decidendum tracciato dal pubblico ministero.

Nel caso in esame, invece, il giudice avrebbe invertito tale ordine disponendo che il pubblico ministero iniziasse di fatto una indagine per un reato non iscritto nel registro di cui all’art. 335 cod. proc. pen., diverso rispetto a quelli su cui era chiamato a decidere, oltretutto giungendo anche ad imporgli l’attività investigativa che avrebbe dovuto compiere.

Da qui un primo sospetto di “abnormità” dell’ordinanza de qua.  

 

5. In via del tutto preliminare le Sezioni Unite, richiamando gli orientamenti espressi in materia, hanno esaminato l’evoluzione storica del concetto di abnormità partendo dalle pronunce più risalenti secondo le quali è affetto da abnormità non solo il provvedimento che, per la singolarità e stranezza del contenuto, risulti avulso dall'intero ordinamento processuale, ma anche quello che, pur essendo in astratto esercizio di legittimo potere, si esplichi al di fuori dei casi consentiti e delle ipotesi previste, al di là di ogni ragionevole limite, financo a giungere a ritenere abnorme quell'atto che, pur non estraneo al sistema normativo, determini la stasi del processo e l'impossibilità di proseguirlo.[1]

Detto principio è stato successivamente raffinato e precisato dalla giurisprudenza, la quale, per delimitarne la portata, ha fatto perno sulla sussidiarietà della categoria della abnormità, da interpretare restrittivamente per non violare il principio della tassatività dei mezzi di impugnazione così a giungere ad affermare che l'atto può essere dichiarato abnorme «quando concorrano almeno i seguenti requisiti: a) sia affetto da un vizio per il quale non sono previste cause di nullità o inutilizzabilità; b) non sia altrimenti impugnabile; c) non sia inquadrabile nella struttura procedimentale prevista dall'ordinamento, ovvero determini una stasi processuale non altrimenti superabile»[2].

Sempre nell’ottica della ricostruzione della materia della abnormità le Sezioni Unite hanno, poi, richiamato anche ulteriori pronunce del Supremo Collegio con le quali, da un lato si è chiarito che, «alla luce del principio costituzionale della ragionevole durata del processo, è configurabile il vizio dell'abnormità in ogni fattispecie di indebita regressione del procedimento in grado di alterarne l'ordinata sequenza logico-cronologica»[3] e, dall’altro che – pur in un caso di indebita regressione del procedimento - l'abnormità è ravvisabile soltanto in mancanza di ulteriori strumenti di gravame lato sensu offerti dal sistema processuale per rimediare con prontezza all'anomalia della pronuncia giudiziale[4]. In tale prospettiva, la decisione da ultimo indicata, ha evidenziato la natura eccezionale della figura dell’abnormità, proprio in considerazione della deroga al principio di tassatività delle nullità e dei mezzi di impugnazione chiarendo che, con riguardo alla abnormità funzionale, riscontrabile nel caso di stasi del processo e di impossibilità di proseguirlo, la stessa va limitata all'ipotesi in cui il provvedimento giudiziario «imponga al pubblico ministero un adempimento che concretizzi un atto nullo rilevabile nel corso del futuro del procedimento o del processo», mentre negli altri casi il pubblico ministero è tenuto ad osservare i provvedimenti emessi dal giudice. Non costituisce, pertanto, elemento caratterizzante ex sè l'abnormità la regressione del procedimento.

Da ultimo, le Sezioni Unite hanno anche ricordato che con una pronuncia più recente[5] 

detta linea interpretativa è stata ribadita attraverso la sottolineatura del carattere di eccezionalità della categoria dell'abnormità e la sua funzione derogatoria rispetto al principio di tassatività dei mezzi d'impugnazione, sancito dall'art. 568 cod. proc. pen.: dunque, una categoria concettuale «riferibile alle sole situazioni in cui l'ordinamento non appresti altri rimedi idonei per rimuovere il provvedimento giudiziale, che sia frutto di sviamento di potere e fonte di un pregiudizio altrimenti insanabile per le situazioni soggettive delle parti».

Volendo sintetizzare la descritta evoluzione giurisprudenziale dalla citata giurisprudenza delle Sezioni Unite si possono trarre due conclusioni: una più generale, nel senso che la giurisprudenza ha progressivamente ristretto l'ambito di applicazione della categoria dell'abnormità, in particolare evidenziando, per la sua configurabilità, la necessità di una stasi processuale; una più specifica, nel senso che la stasi processuale rilevante ai fini dell'abnormità si determina quando il processo non può proseguire, se non attraverso il compimento di un atto nullo da parte del pubblico ministero.

 

6. Nell’applicare, ora, tali principi al caso in esame, le Sezioni Unite hanno ritenuto di non ravvisare una situazione di abnormità nel provvedimento del G.I.P. non solo perché lo stesso non appare completamente avulso dai poteri del giudice e perché di fatto non determina una stasi processuale, ma anche perché lo stesso non appare contrastante con il quadro delineato dalla Corte costituzionale che, muovendo da una ricostruzione del sistema processuale nel senso della necessaria vigilanza del giudice sul mancato esercizio dell'azione penale, a salvaguardia del principio di obbligatorietà di cui all'art. 112 Cost., ha affermato[6] l'esigenza di tendenziale «completezza» delle indagini preliminari, che assolve alla duplice fondamentale funzione della completezza di individuazione dei mezzi di prova - necessaria, da un lato, per consentire al pubblico ministero di esercitare le varie opzioni processuali possibili e per indurre l'imputato ad accettare i riti alternativi – e della esigenza di porre un argine contro eventuali prassi di esercizio "apparente" dell'azione penale, che, avviando la verifica giurisdizionale sulla base di indagini troppo superficiali, lacunose o monche, si risolverebbero in un ingiustificato aggravio del carico dibattimentale. Proprio a tale scopo, il codice processuale ha predisposto un articolato sistema di controllo, non solo gerarchico interno agli uffici del pubblico ministero e affidato al procuratore generale, ma anche esterno da parte del giudice, attraverso la possibilità per il G.I.P. disporre che siano compiute ulteriori indagini o di restituire gli atti per la formulazione dell'imputazione.

In tale ottica si aggiunge, poi, anche la facoltà della parte offesa di opporsi alla richiesta di archiviazione.

Quanto alle finalità e all'ampiezza di siffatto controllo di legalità del giudice in sede di archiviazione, la Corte costituzionale ha chiarito che esso non ammette differenze "qualitative" a seconda dei casi di archiviazione che il codice enumera, e che il controllo è rivolto a verificare se, alla stregua del materiale raccolto nel corso delle indagini, la rilevata "inazione" del pubblico ministero sia conforme a legalità; con la conseguenza che il sindacato dovrà necessariamente riguardare la integralità dell'indagine, restando dunque escluso che un simile apprezzamento resti circoscritto all'interno dei confini tracciati dalla notitia criminis delibata dal pubblico ministero.

Da ciò ne derivano due corollari[7]:

a) qualora, accanto ad una notitia criminis per la quale difetta una condizione di procedibilità il giudice ritenga di ravvisare una diversa fattispecie, procedibile ex officio, in ordine alla quale il pubblico ministero abbia omesso di compiere le necessarie indagini, nulla si oppone a che il giudice stesso - se dagli atti non risulti che si procede separatamente - inviti il pubblico ministero a svolgere le ulteriori indagini che ritenga necessarie sulla diversa "regiudicanda", fissando il termine indispensabile per il loro compimento;

b) una volta formulata la richiesta di archiviazione il "thema decidendum" che investe il giudice non si modella in funzione dell'ordinario dovere di pronunciarsi su di una specifica domanda, ma sul ben più ampio potere di apprezzare se, in concreto, le risultanze dell'attività compiuta nel corso delle indagini preliminari siano o meno esaurienti ai fini della legittimità della "inazione" del pubblico ministero.

Una precisazione è però doverosa[8]: se, da un lato, il pubblico ministero ha l'obbligo di compiere le indagini indicate dal giudice a norma dell'art. 409, comma 4, cod. proc. pen., tale obbligo non è avulso né autonomo rispetto a quello di compiere ogni attività necessaria per assumere le determinazioni inerenti all'esercizio dell'azione penale con la conseguenza che l'indicazione del giudice opera come devoluzione di un tema di indagine che il pubblico ministero è chiamato a sviluppare in piena autonomia e libertà di scelta circa la natura, il contenuto e le modalità di assunzione dei singoli atti che ritenga necessari ai fini suddetti. Pertanto, il giudice per le indagini preliminari, allorché indica al pubblico ministero ulteriori indagini, procedendo a formulare una tassativa elencazione di specifici atti, non dispone rispetto a questi una sorta di "delega" circa il relativo espletamento; giacché, per questa via, risulterebbe svilito il potere-dovere del pubblico ministero di gestire e dirigere l'attività di indagine che, al contrario, deve permanere inalterato anche quando l'attività stessa sia svolta su "indicazione" del giudice.

 

7. Quanto fin qui detto correttamente si incardina nel quadro generale dei poteri riconosciuti al G.I.P. dalla Corte di legittimità in funzione del rispetto dei principi sopra delineati.

In tale quadro, ad esempio, non è stato ritenuto abnorme il provvedimento con cui il giudice per le indagini preliminari, richiesto dal pubblico ministero dell'archiviazione della notizia di reato a carico di ignoti, abbia ordinato l'espletamento di ulteriori indagini nei confronti di soggetti identificati e per una ipotesi di reato diversa da quella già iscritta contro ignoti, previa iscrizione del nominativo dell'indagato e del titolo di reato nel registro di cui all'art. 335 cod. proc. pen.

Giammai, infatti, il G.I.P. potrà porsi in contrasto con il dettato costituzionale di cui all’art. 112 Cost. esercitando l’azione penale al posto del pubblico ministero, ma ben può invitarlo a compiere ulteriori indagini ed in tal caso, ove dette indagini debbano essere estese a persone non menzionate dal p.m. e/o per altri reati o per reati diversi, è giocoforza disporre che esse inizino secondo le regole, ossia sulla base degli adempimenti previsti dall'art. 335 cod. proc. pen.; solo quando tali formalità siano adempiute e quindi l'attività di indagine sia stata rimessa nuovamente nelle mani e nelle valutazioni del p.m., il giudice per le indagini preliminari è abilitato ad emettere nuovamente i provvedimenti previsti dall'art. 409 cod. proc. pen.».

Resta fermo, in tale contesto ricostruttivo, che l'azione del giudice, per essere coerente con i principi del sistema accusatorio, è limitata ad una attività di impulso, che non esorbita dalla funzione di controllo, mentre il concreto promovimento dell'azione penale, che si esplica nella formulazione dell'imputazione, resta di esclusiva competenza del pubblico ministero.

Conclusivamente, deve affermarsi che il giudice può e deve compiere atti di impulso in modo che il controllo di legalità sull'esercizio dell'azione penale si svolga in conformità al principio dell'obbligatorietà che la regge (art. 112 Cost.), senza essere vincolato dalle differenze qualitative sottese ai diversi tipi di archiviazione e senza essere vincolato né dal petitum né dalla causa petendi, potendo esercitare i poteri di impulso con riferimento all'indagine nella sua integralità, così come risulta dal fascicolo del pubblico ministero, potendo richiedere l'espletamento di ulteriori indagini sia con riferimento ai soggetti iscritti nel registro ex art. 335 cod. proc. pen., e non soltanto in ordine ai reati per i quali si procede, pure essi iscritti, sia con riferimento ad altri soggetti ed altre notizie di reato, previa iscrizione delle persone e delle notitiae criminis nel registro previsto dall'art. 335 cod. proc. pen.

E a ciò deve aggiungersi che il giudice per le indagini preliminari in sede di decisione sulla richiesta di archiviazione ha, altresì, il potere di dare al fatto una diversa qualificazione giuridica (Sez. 5, n. 24616 del 16/03/2021, Di Cillo, Rv. 281441; Sez. 1, n. 47919 del 29/09/2016, Guarnieri, Rv. 268138; Sez. 2, n. 31912 del 07/07/2015, Giovinazzo, Rv. 264509), così che non costituisce atto abnorme, né in alcun modo è impugnabile, il provvedimento con cui il giudice per le indagini preliminari, nel rigettare la richiesta di archiviazione del pubblico ministero, ordini l'imputazione coatta nei confronti dell'indagato per il medesimo fatto, diversamente qualificando il titolo di reato rispetto a quello individuato dal pubblico ministero nella richiesta di archiviazione.

 

8. Dato allora per affermato il potere del giudice di travalicare i limiti della specifica richiesta di archiviazione a lui sottoposta e di apprezzare se le risultanze dell'attività compiuta nel corso delle indagini preliminari siano o meno esaurienti ai fini della legittimità della "inazione" del pubblico ministero e, fermo restando, che il pubblico ministero potrà ampliare e, comunque, liberamente gestire la conseguente attività integrativa di indagine allo stesso indicata ex art. 409, comma 4, cod. proc. pen., si pone però il connesso problema del ritenere se sia possibile che il giudice indichi come ulteriore atto di indagine l’interrogatorio dell’indagato.

La questione non è di secondaria rilevanza e dipende dalla natura che si ritiene di attribuire all’interrogatorio dell’indagato come mero atto difensivo – come tale logicamente e cronologicamente conseguente ad una indagine almeno in parte già formulata per un reato già iscritto nel registro di cui all’art. 335 cod. proc. pen. – ovvero come atto anche avente finalità propulsiva di ulteriori indagini.

 

9. Nella giurisprudenza di legittimità si riscontrano al riguardo due contrapposti orientamenti che le Sezioni Unite, con la sentenza qui in esame, sono state chiamate a risolvere.

Secondo un primo orientamento[9] è da ritenersi abnorme l'ordinanza con la quale il giudice per le indagini preliminari, in esito ad udienza camerale fissata a seguito di opposizione della persona offesa alla richiesta di archiviazione, indichi al pubblico ministero di svolgere l'interrogatorio dell'indagato, non essendo tale atto mezzo di indagine, ma strumento di garanzia e difesa, che presuppone la già intervenuta acquisizione di elementi astrattamente integranti un'ipotesi di reato, ed è diretto a consentire all'indagato l'opportunità, ove ritenga di rilasciare dichiarazioni, di fornire la propria versione dei fatti. In sostanza imbastire un atto processuale che manca dei requisiti minimali di validità (basti pensare che il p.m. non può procedere a contestazioni perché l'accusa è tanto dubbia da averne chiesto l'archiviazione) costituirebbe una alterazione della struttura logica del processo penale ed una implicita stasi dello stesso assolutamente ingiustificabile.

Sempre secondo tale orientamento giurisprudenziale l’interrogatorio non può essere ritenuto un mezzo d'indagine (non avendo l'imputato alcun dovere di accusarsi o di discolparsi o di fornire elementi di riscontro alla tesi avversa) bensì soltanto di contestazione dell'accusa con finalità difensive. Ciò lo si dedurrebbe anche dal fatto che, dopo la novella dell'art. 416 cod. proc. pen. (ad opera dell'art. 2, comma 2, della legge 16 luglio 1997, n. 234), l'interrogatorio è premessa indispensabile della richiesta di rinvio a giudizio, a fine di garanzia dell'indagato prima dell'esercizio dell'azione penale, mentre in precedenza il pubblico ministero, libero nella scelta, poteva non disporlo. Pertanto, nel caso di cui all'art. 409, comma 4, cod. proc. pen., il giudice per le indagini preliminari non può indicare al pubblico ministero l'interrogatorio dell'indagato quale atto d'indagine, perché la norma presuppone che, allo stato, emergano elementi tali da non poter escludere un'ipotesi di reato a suo carico, pur se insufficienti per poterla configurare.

Tale conclusione valorizza gli artt. 374, 375, comma 3, e 376 cod. proc. pen., per i quali è l'indagato che può presentarsi spontaneamente agli inquirenti, mentre l'«invito a presentarsi» e l'«accompagnamento coattivo» possono essere disposti soltanto nei casi stabiliti dalla legge, come stabilisce l'art. 132 cod. proc. pen.

Tra tali casi, peraltro, non vi è alcun riferimento a esclusive finalità investigative, essendo previsto che l'invito a presentarsi debba contenere l'«enunciazione del fatto quale risulta dalle indagini fino a quel momento compiute»[10].

Al riguardo anche la stessa Sezione della Corte di cassazione che ha rimesso la questione alle Sezioni Unite ha ritenuto di evidenziale che il punto centrale di tale orientamento poggia sulla valenza del collegamento fra imputazione ed interrogatorio dell'indagato, in una fase in cui emerge la funzione tipica di garanzia prettamente difensiva dell'atto processuale, che, inevitabilmente, risente della mancanza di una chiara contestazione del fatto ascritto. Di qui la conclusione che, con l'invito a presentarsi di cui all'art. 375 cod. proc. pen., l'indagato deve essere chiamato rispondere a sua difesa su atti d'indagine già compiuti e che consentano di formulare un addebito a suo carico, seppure provvisorio; una situazione che apparirebbe in contrasto con la presenza, in casi come quello sub iudice, di una richiesta di archiviazione già formulata dall'organo dell'accusa.

Tuttavia, un più recente orientamento[11] ha affermato un principio di segno contrario ritenendo non condivisibile lo sforzo ermeneutico volto a identificare l'abnormità con uno stallo della procedura di tipo meccanicistico e non sostanziale, sul rilievo che non è abnorme il provvedimento con cui il giudice per le indagini preliminari non accolga la richiesta di archiviazione e richieda nuove indagini, consistenti nell'interrogatorio dell'indagato perché così facendo non eserciterebbe poteri eccedenti la sua competenza, né renderebbe una pronunzia che si pone al di fuori del sistema organico della legge processuale, o che, comunque, determina la stasi del processo e l'impossibilità di proseguirlo. Invero «non si realizza né un indebito ritorno ad una fase del procedimento già esaurita e conclusa, né una paralisi irrimediabile del suo corso, considerato che la sfera di valutazione del giudice per le indagini preliminari non è limitata ad un semplice esame della richiesta finale del pubblico ministero, ma è estesa al complesso degli atti procedimentali rimessi al giudice dall'organo requirente, nel rispetto delle prerogative del pubblico ministero nell'esercizio dell'azione penale».

 

10. Le Sezioni Unite della Corte di cassazione hanno affermato di condividere il secondo degli orientamenti sopra richiamati evidenziando che pur non potendosi negare che l'interrogatorio rappresenta un fondamentale momento di garanzia nell'ambito del rapporto fra il soggetto indiziato e l'autorità giudiziaria, tale atto può avere, parimenti, una valenza investigativa, contribuendo a sostanziare il compendio di elementi acquisiti nel corso delle indagini, particolarmente ove conduca alla raccolta di elementi a carico del dichiarante, pienamente utilizzabili contra reum, come nel caso di confessione ovvero di dichiarazioni atte a smentire la valenza a discarico di eventuali altri elementi raccolti.

Inoltre, l'interrogatorio - da solo o combinandosi con gli altri elementi a disposizione del giudice - può svolgere anche una funzione "ricostruttiva" in fatto, che può agevolare la decisione del giudice, anche rispetto alle prospettive di evoluzione dibattimentale dell'accusa che pure quest'ultimo deve vagliare nella scelta tra archiviare e disporre l'imputazione coatta; ciò a fortiori laddove il soggetto sottoposto alle indagini non sia stato mai escusso prima.

L'interrogatorio ha dunque una natura "mista", avendo una funzione non solo di garanzia, ma anche istruttoria, aspetti che finiscono in concreto per intrecciarsi.

Le stesse Sezioni Unite hanno al riguardo anche richiamato due loro pronunce[12] che, pur riguardando questioni eterogenee, presentano nell'iter motivazionale affermazioni decisamente in linea con la concezione polivalente dell'interrogatorio nelle quali si rileva che, pur non volendosi disconoscere che l'interrogatorio dell'indagato, specialmente quando sia richiesto dalla parte, abbia importanti finalità difensive, non vi può essere dubbio che si tratti anche di uno strumento che consente

all'Autorità Giudiziaria di contestare i fatti e di porre domande all'indagato al fine di accertare la verità, che è il fine principale del processo penale.

 

11. L’orientamento da ultimo esposto ha, infine, trovato il proprio conforto anche in quella dottrina che ha evidenziato - con diversità di accenti - come proprio la fluidità dell'accusa nella fase delle indagini preliminari contribuisca ad attribuire all'interrogatorio stesso anche una funzione investigativa, allo scopo di chiarire i fatti, in modo da consentirne un più corretto inquadramento giuridico.

Sul punto si è anche sottolineato che la collocazione sistematica dell'istituto e la sua contrapposizione all'esame dibattimentale non vanno eccessivamente enfatizzate, perché, nell'attuale sistema processuale, non è "prova" solo ciò che scaturisce dalla dialettica del dibattimento. Infatti, una volta garantita all'interrogato l'opportunità di avvalersi di tutte le facoltà afferenti all'esercizio del diritto di autodifesa, non è possibile escludere a priori un suo contegno collaborativo che si traduca nel rispondere alle domande rivoltegli o anche in una vera e propria confessione della propria responsabilità per gli addebiti: evenienza contemplata, almeno implicitamente, dall'art. 449, comma 5, cod. proc. peri., il quale prevede la confessione resa durante l'interrogatorio come uno dei presupposti del giudizio direttissimo.

La conclusione è, pertanto, nel senso che le possibili "risultanze" dell'interrogatorio costituiscono elementi di prova utilizzabili, a seconda dei casi e sulla base di diversi presupposti legislativamente definiti, sia per le «determinazioni inerenti all'esercizio dell'azione penale», sia per decidere l'emissione di provvedimenti restrittivi della libertà personale, sia per sciogliere all'udienza preliminare l'alternativa tra rinvio a giudizio e sentenza di non luogo a procedere, sia per giungere a un giudizio definitivo sul merito dell'imputazione tanto nei procedimenti speciali quanto nella stessa sede dibattimentale.

 

12. All’esito delle considerazioni cui sopra le Sezioni Unite hanno quindi affermato il seguente principio di diritto:

"Non è abnorme il provvedimento con cui il giudice per le indagini preliminari non accolga la richiesta di archiviazione e restituisca al pubblico ministero gli atti, perché effettui nuove indagini consistenti nell'interrogatorio dell'indagato, trattandosi di provvedimento che, non solo non risulta avulso dall'intero ordinamento processuale, ma costituisce espressione di poteri riconosciuti al giudice dall'ordinamento. L'abnormità va esclusa anche nel caso in cui l'interrogatorio debba espletarsi con riguardo ad un reato diverso da quello per il quale è stata richiesta l'archiviazione, essendo dovuta, in tale caso, la previa iscrizione nel registro di cui all'art. 335 cod. proc. pen.".

 

 

[1] Sez. U, n. 26 del 1999, Magnani, dep. 2000

[2] Sez. U, n. 22909 del 2005, Minervini

[3] Sez. U, n. 5307 del 2007, Battistella

[4] Sez. U, n. 25957 del 2009, Toni

[5] Sez. U, n. 20569 del 2018, Ksouri

[6] cfr. sentenze n. 478 del 1993 e n. 88 del 1991

[7] cfr. Corte cost., sent. n. 478 del 1993

[8] cfr. Corte cost., ord. n. 96 del 2014, ord. n. 34 del 1994 e ord. n. 253 del 1991

[9] cfr. Sez. 2, n. 15299 del 21/12/2012, dep. 2013, Trisolino, Rv. 256480; Sez. 6, n. 1052 del 14/11/2012, Argenio, Rv. 253650; Sez. 6, n.1783 del 19/12/2005, Grilli, Rv. 233388

[10] Sez. 6, n. 1052 del 14/11/2012, dep. 2013, Argenio, Rv. 253650; Sez. 3, n. 23930 del 27/05/2010, B., Rv. 247875

[11] Sez. 5, n. 29879 del 15/09/2020, Greco, Rv. 279700Sez. 6, n. 48573 del 14/03/2019, Calcano, Rv. 277412; Sez. 6, n. 47351 del 06/12/2007, Bastianello, Rv. 238390, che richiama Sez. 3, n. 47717 del 10/10/2003, Angelini, e Sez. 5, n. 43841 del 10/05/2005, Bottoli, Rv. 233056

[12] Sez. U, n. 21833 del 22/02/2007, Iordache, Rv. 236372 e Sez. U, n. 42979 del 26/06/2014, Squicciarino, Rv. 260018