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  Opinioni  
04 Giugno 2021


Verso una pena pecuniaria finalmente viva e vitale? Le proposte della Commissione Lattanzi


1. Qualche riflessione a caldo sulle Proposte di emendamenti al Disegno di legge A.C. 2435 elaborate dalla Commissione Lattanzi: in particolare, sulle proposte in tema di pena pecuniaria, contenute negli artt. 9 e 9 bis.

Il tema della pena pecuniaria non è tra i più avvertiti nel dibattito pubblico sulla riforma: nondimeno doveva essere affrontato per diversi ordini di ragioni. In primo luogo, perché la pena pecuniaria è tuttora l’unica reale alternativa di portata generale alla pena detentiva: vale ancora oggi l’affermazione in questo senso fatta quasi vent’anni fa da Giorgio Marinucci[1]. In secondo luogo, perché di recente, come opportunamente ricorda la Relazione che accompagna le Proposte, al legislatore sono stati rivolti moniti da parte della Corte costituzionale perché intervenga restituendo effettività alla pena pecuniaria[2] (o forse, per meglio dire, assicurandole quell’effettività che non ha mai avuto nel nostro ordinamento): l’attenzione della Corte era soprattutto rivolta alla disciplina dell’esecuzione e a quella della conversione, ma non si esauriva su quel piano[3]. L’effettività della pena pecuniaria postula, in primo luogo, una profonda revisione della sua struttura.

Merito, dunque, della Commissione di essersi fatta carico di questo problema.

D’altra parte, una pena pecuniaria diversamente strutturata, come suggeriscono, e ormai quasi impongono, le esperienze di Paesi culturalmente e politicamente vicini al nostro, potrà finalmente rivendicare un ruolo diverso, ben più significativo, nel quadro del sistema sanzionatorio penale. Anche su questo terreno la Commissione avanza proposte innovative, in grado di imprimere una svolta nella storia del sistema sanzionatorio penale italiano.

 

2. In primo luogo, la struttura della pecuniaria.

Nel lontano 1972, forse primo nella letteratura penalistica italiana, segnalavo l’esistenza di un modello di pena pecuniaria per tassi giornalieri: lo facevo, un poco ingenuamente (ero davvero alle prime armi, come aspirante penalista), parlando di un “singolare” modello di pena pecuniaria giornaliera[4], del quale illustravo già in quella sede i pregi sul piano dell’effettività e della trasparenza. Oggi, direi piuttosto che è singolare l’enorme ritardo con cui quel modello è penetrato nel nostro ordinamento, dopo essersi affermato in molti ordinamenti vicini al nostro, ben oltre le pionieristiche esperienze dei Paesi scandinavi, inaugurate negli anni venti e trenta del secolo scorso[5]: tra gli altri, negli ordinamenti tedesco, austriaco, svizzero, francese, portoghese e spagnolo. Un ritardo ancora più sorprendente se si considera che a favore della pena pecuniaria per tassi giornalieri non solo si è pronunciata una folta schiera di autorevoli studiosi del diritto penale[6], ma anche la grande maggioranza dei più recenti Progetti di riforma del codice penale[7], nonché, in tempi più vicini, il Progetto Palazzo di riforma del sistema sanzionatorio penale[8].

Non mi soffermo, qui, ad illustrare le ragioni – a mio avviso, ragioni forti – che suggeriscono di adottare su scala generale, quale unico modello di pena pecuniaria, il modello dei tassi giornalieri, ad oggi presente nel nostro ordinamento soltanto in relazione alla pena pecuniaria sostitutiva di pene detentive fino a sei mesi e nella sfera della responsabilità da reato degli enti (una responsabilità formalmente non penale): ho esposto ampiamente altrove quelle ragioni[9], e con me lo hanno fatto diversi altri studiosi[10].   

Mi limito all’essenziale. L’obiezione più ricorrente contro l’adozione della pena pecuniaria per tassi riguarda le difficoltà che il giudice incontrerebbe nell’accertamento delle condizioni economiche del condannato. Osservo che lo stesso problema ha trovato soluzioni, evidentemente, appaganti negli ordinamenti che hanno imboccato quella strada e non hanno avuto ripensamenti[11]: utili indicazioni possono dunque trarsi da quelle esperienze, che parlano a favore di un potere di stima attribuito al giudice (sul modello tedesco), da esercitarsi a partire da dichiarazioni rese dall’imputato e/o da documentazione da lui fornita, salvo indagini d’ufficio disposte dal giudice quando vi siano fondati motivi per dubitare della veridicità di quanto affermato dall’imputato[12]. Va da sé che in un sistema fiscale caratterizzato da forti sacche di evasione l’accertamento delle (reali) condizioni economiche del condannato ai fini della commisurazione della pena pecuniaria porrà difficoltà più marcate che altrove, ma non si tratta dell’unico costo, e nemmeno del più vistoso, tra quelli che discendono da un diffuso fenomeno di evasione fiscale.

Soprattutto, va sottolineato che le stesse difficoltà incontra – o dovrebbe incontrare – oggi il giudice, nell’applicazione dell’art. 133 bis c.p., nel quale si legge che “nella determinazione dell’ammontare della multa o dell’ammenda il giudice deve tenere conto, oltre che dei criteri indicati dall’articolo precedente, anche delle condizioni economiche del reo”. Alla base dell’obiezione mossa all’introduzione dei tassi giornalieri sta dunque l’opzione – non dichiarata, ma chiara – a favore di un modello di pena pecuniaria nel quale il ruolo delle condizioni economiche sia di fatto nullo, in violazione di quanto imposto dalla legge, o comunque sia limitato a casi del tutto marginali: in spregio del principio costituzionale di eguaglianza, che postula una commisurazione della pena pecuniaria tale da eliminare, o quanto meno, ridurre la diversa afflittività che quella pena comporta per abbienti e non abbienti[13]. L’esperienza maturata in Italia e altrove mostra che norme come quelle dell’art. 133 bis co. 1 c.p. restano sulla carta[14]: vogliamo davvero questo?

Merita dunque un plauso convinto la scelta della Commissione Lattanzi a favore di una pena pecuniaria per quote giornaliere (o tassi giornalieri), così come merita pieno apprezzamento il costante richiamo nella relazione all’esperienza tedesca: non per un gratuito ossequio alla Germania, ma in ragione del buon funzionamento della pena pecuniaria in quell’ordinamento.

Al codice penale tedesco si ispirano anche le scelte relative al numero di quote (o tassi) da prevedere nelle comminatorie di pena: laddove la legge commini la multa o l’ammenda, salvo diversa previsione nella norma incriminatrice, il numero delle quote, da determinarsi secondo i criteri di cui all’art. 133 c.p., potrà spaziare da 5 a 360.

Quanto al valore da attribuirsi, in ragione delle condizioni economiche del condannato, a ciascuna quota giornaliera, la Commissione propone che un giorno di pena pecuniaria possa valere da 1 a 30.000 euro. Oggi, per la pena pecuniaria sostitutiva, a norma dell’art. 53 l. n. 689/1981, il valore di una quota può spaziare da 250 a 2.500 euro: una soluzione ampiamente criticata in dottrina soprattutto in relazione al minimo, irragionevolmente elevato[15], ma incongrua anche nel massimo. A prima vista, a confronto con la disciplina attuale, la soluzione proposta dalla Commissione può apparire eversiva: in realtà tiene conto, soltanto, delle enormi diversità che possono intercorrere tra le condizioni economiche dell’uno o dell’altro condannato. Il carattere eversivo della soluzione proposta dalla Commissione è comunque smentito dalla presenza della stessa soluzione, dall’introduzione dell’euro, nel codice penale tedesco[16]: in un ordinamento che non è certo espressione di furore egualitario, né di intenti persecutori nei confronti di chi sia titolare di redditi o patrimoni di notevole consistenza.    

Vale la pena di sottolineare che l’adozione dei tassi giornalieri non è di per sé sufficiente a garantire efficienza e effettività alla pena pecuniaria: come emerge dalla Relazione, si tratta solo di un primo passo, al quale ne dovranno seguire altri, in tema di riscossione e di sanzioni per inottemperanza. Solo un primo passo, ma indispensabile.  

 

3. Vengo ora al ruolo che la pena pecuniaria strutturata secondo il modello delle quote giornaliere dovrà svolgere nel sistema sanzionatorio.

Il potenziamento di tale ruolo riguarderà, eminentemente, la sostituzione della pena detentiva breve, nel quadro di una scelta complessiva di marcata rivitalizzazione della categoria delle pene sostitutive, quale delineata nell’art. 9 bis delle Proposte. Tra le attuali pene sostitutive previste dalla l. 689/1981, la pena pecuniaria è l’unica destinata a rimanere dopo la riforma[17]: sarà però interessata da alcune, rilevantissime novità.

Queste le principali. L’ammontare massimo di pena detentiva per la sostituzione con pena pecuniaria sale a un anno (oggi, come è noto, è stabilito a sei mesi); il valore della quota giornaliera viene determinato dal giudice fra 3 e 3.000 euro (mentre, come ricordavo poco fa, spazia tra 1 e 30.000 euro quando si tratti della pena pecuniaria comminata ex lege); è esclusa – come la Commissione propone in relazione ad ogni sanzione sostitutiva – l’applicazione della sospensione condizionale della pena.

Tutte queste soluzioni meritano apprezzamento.

Portare a un anno il limite massimo di pena concreta che consente l’applicazione della pena pecuniaria sostitutiva è coerente con il recupero di effettività promesso per multa e ammenda dalla riforma: varrà, per così dire, a compensare la scarsa presenza nel nostro ordinamento di comminatorie alternative di pena detentiva e pena pecuniaria[18]. L’espansione degli spazi occupati dalla pena pecuniaria, affidata alla discrezionalità del giudice, avverrà non all’interno delle norme incriminatrici, bensì nella prassi applicativa: non l’unica soluzione possibile, ma una soluzione coerente con gli obiettivi perseguiti dalla riforma.  

Il valore della quota viene fissato per la pena pecuniaria sostitutiva ben al di sotto di quello previsto per la pena pecuniaria prevista nella comminatoria legale: la forbice nel primo caso è 3–3.000 euro, nel secondo 1–30.000 euro. Risulta dunque molto forte l’incentivo a fare ricorso alla sostituzione, oggi sostanzialmente preclusa dal minimo di 250 euro, quale si ricava dal combinato disposto degli artt. 53 co. 2 l. 689/1981 e 135 c.p. Ci si può semmai interrogare sull’opportunità di uno scarto così forte tra il valore massimo previsto per la pena pecuniaria comminata ex lege e per la pena pecuniaria sostitutiva, che passa da 30.000 a 3.000 euro: l’interrogativo riguarda la complessiva razionalità del sistema.  

Quanto poi alla sospensione condizionale della pena, la sovrapposizione di tale istituto con la sostituzione della pena detentiva breve è notoriamente uno dei fattori che hanno portato al fallimento della riforma del 1981 con la quale sono state introdotte le sanzioni sostitutive. Come scrivevamo nel lontano 1989 Paliero ed io, “soltanto sanzioni sostitutive non sospendibili avrebbero potuto promuovere un reale ‘rinvigorimento’ del sistema penale”[19]. Per contro, la disciplina ancora oggi in vigore in tema di rapporti fra sospensione condizione e sanzioni sostitutive[20] ha esasperato una linea di ‘fuga dalla sanzione’, che ha come strumento principe una sospensione condizionale vuota di contenuti e applicata in forma pressoché automatica: le sanzioni sostitutive sono state così ‘fagocitate’ dalla sospensione condizionale. Escludendo l’applicabilità della sospensione condizionale nel caso in cui venga disposta la sostituzione della pena detentiva, la Commissione Lattanzi delinea invece un sistema di sanzioni sostitutive che avranno i caratteri di vere pene non detentive.

Sottolineo da ultimo che le Proposte della Commissione in tema di pena pecuniaria sostitutiva promettono di espandere il ruolo di questa pena anche incentivando il ricorso a riti speciali, in particolare al procedimento per decreto e al ‘patteggiamento’. L’art. 9 bis lett. g delle Proposte prevede infatti che “la sostituzione della pena detentiva con la pena pecuniaria possa avvenire anche con il decreto di condanna e con la sentenza di applicazione della pena ai sensi dell’articolo 444 del codice di procedura penale e che, in tali casi, il valore giornaliero sia compreso tra un minimo di 1 euro e un massimo di 1.000 euro”. Il valore della quota giornaliera, già fortemente ridotto quando si tratti di pena pecuniaria sostituiva, viene ulteriormente abbassato quando alla sostituzione si pervenga nel quadro del procedimento per decreto o del ‘patteggiamento’: la riduzione interessa soprattutto, in questo caso, il valore massimo della quota, che passa da 3.000 a 1.000 euro.

Non nascondo che un valore della quota giornaliera che passa, nel massimo, da 30.000 euro a 3.000 euro e poi, addirittura, a 1.000, sia pure in ragione di apprezzabili intenti di economia processuale, suscita in me qualche perplessità.

Rimane, ovviamente, una valutazione del tutto positiva sul complesso di una riforma che promette, finalmente, anche per il nostro ordinamento, una pena pecuniaria viva e vitale.

 

 

[1] Così G. Marinucci, Relazione di sintesi, in Aa.Vv., Sistema sanzionatorio: effettività e certezza della pena, Atti del XXIII Convegno di studio “Enrico de Nicola”, a cura del Centro Nazionale di Prevenzione e Difesa Sociale, 2002, p. 322. In senso analogo M. Romano, Commentario sistematico del Codice penale, vol. I, III ed., 2004, Pre art. 17, p. 199 s., il quale sottolinea come una pena pecuniaria strutturata secondo il modello dei tassi giornalieri “potrebbe recuperare eguaglianza e afflittività, in grado di assicurare un adeguato livello di efficacia di prevenzione generale anche per i reati di media gravità”. 

[2] Il riferimento è alle sentenze n. 279/2019 e n. 15/2020.

[3] Nella sentenza n. 15/2020 la Corte auspicava “un complessivo intervento... volto a restituire effettività alla pena pecuniaria, anche attraverso una revisione degli attuali, farraginosi meccanismi di esecuzione”: la congiunzione anche evidenzia come per la Corte non si trattasse soltanto di intervenire sull’esecuzione.

[4] Così E. Dolcini, Pene pecuniarie e principio costituzionale di eguaglianza, in Riv. it. dir. proc. pen., 1972, p. 449.

[5] Cfr., anche per la cronologia, P. Faraldo-Cabana, Money and the Governance of Punishment, A Genealogy of the Penal Fine, 2017, p. 166.

[6] Rinvio in proposito a E. Dolcini, Superare il primato del carcere: il possibile contributo della pena pecuniaria, in Riv. it. dir. proc. pen., 2018, p. 416, nt. 100 e p. 418, nt. 110: tra gli autori che si sono espressi a favore della pena pecuniaria per tassi giornalieri F. Bricola, C. F. Grosso, G.M. Flick, G. Marinucci, E. Musco, A. Pagliaro, F. Palazzo, C. E. Paliero, M. Romano.   

[7] A proposito del Progetto Pagliaro (1992), del Progetto Grosso (2001) e del Progetto Pisapia (2007), cfr. M. Miedico, La pena pecuniaria. Disciplina, prassi e prospettive di riforma, 2008, p. 172 ss., nonché Id., in E. Dolcini, G.L. Gatta (a cura di), Codice penale commentato, V ed., in preparazione, sub art. 133 bis, n. 8: nel Progetto Pagliaro e nel Progetto Pisapia si prevedeva peraltro la convivenza della pena pecuniaria per tassi con quella a somma complessiva. Il Progetto Nordio (2004) prevedeva invece l’eliminazione della pena pecuniaria dal catalogo delle pene principali, motivando questa scelta, tra l’altro, con “le perplessità relative all’efficacia deterrente della pena pecuniaria, connesse alla sua incerta esazione”: cfr. L. Goisis, L’effettività (rectius, ineffettività) della pena pecuniaria in Italia, oggi, in Dir. pen. cont., 13 novembre 2012, p. 24.

[8] Su tale Progetto, elaborato da una Commissione ministeriale istituita nel 2013 e presieduta da Francesco Palazzo, cfr. Le conclusioni della Commissione Palazzo per la riforma del sistema sanzionatorio penale, Schema per la redazione di principi e criteri direttivi di delega legislativa in materia di riforma del sistema sanzionatorio penale (relazione e articolato), in Dir. pen. cont., 10 febbraio 2014. A commento, cfr. F. Palazzo, Fatti e buone intenzioni. A proposito della riforma delle sanzioni penali, ibidem. Così si legge nella Relazione che accompagna lo Schema di decreto legislativo: “Quanto alla pena pecuniaria, la Commissione ha ritenuto che, anche sulla scorta di quanto ormai ripetutamente prospettato da molti dei progetti di codice penale succedutisi negli ultimi decenni, sia improcrastinabile il potenziamento di questa pena mediante l’adozione del diffuso sistema dei cosiddetti tassi o quote periodiche (lo schema ha ritenuto di proporre la soluzione della periodicità mensile delle quote)... Ciò nondimeno, lo schema non si spinge fino al ripudio totale della pena pecuniaria in somma determinata, ma ne individua uno spazio applicativo residuale in quei tipi di illecito che per le loro caratteristiche, di bagatellarità o di prevalente esigenza di proporzione con l’offesa, si prestino meglio ad essere sanzionati con pena pecuniaria in somma determinata”.

[9] Da ultimo, cfr. E. Dolcini, Superare il primato del carcere, cit., p. 417 s.

[10] Oltre agli AA. citati alla nt. 6, cfr., fra gli altri, C. De Maglie, Ha un futuro l’attuale modello di pena pecuniaria?, in Riv. it. dir. proc. pen., 1988, p. 679 s.; L. Goisis, La pena pecuniaria. Un’indagine storica e comparata, 2008, passim, in particolare p. 373; M. Miedico, La pena pecuniaria, cit., p. 169 ss.; F. Molinari, La pena pecuniaria: aspetti di diritto italiano e straniero comparati, 1983, p. 48 ss. e p. 119 ss.  

[11] Va dato atto che non manca, nell’esperienza europea, un Paese nel quale un ripensamento c’è stato. Si tratta dell’Inghilterra, dove, dopo una breve fase, tra il 1991 e il 1993, in cui era stata adottato il modello dei tassi giornalieri, si è fatto ritorno al modello della somma complessiva, a seguito di aspre critiche mosse a sentenze che applicavano pene pecuniarie di ammontare molto diverso in relazione a reati di pari gravità: appariva eccessivo il ‘peso’ attribuito alle condizioni economiche del condannato rispetto alla gravità del reato. Su tale, isolata esperienza, cfr. M. Miedico, La pena pecuniaria, cit., p. 138 ss. Anche nella letteratura tedesca è stata talora denunciata la “dimensione sproporzionata” che il sistema dei tassi giornalieri attribuirebbe alla capacità economica del reo: cfr. F. Molinari, La pena pecuniaria, cit., p. 49.

[12] Cfr., fra gli altri, E. Dolcini, C.E. Paliero, Il carcere ha alternative? Le sanzioni sostitutive della detenzione breve nell’esperienza europea, 1989, p. 22 s.; E. Dolcini, L. Goisis, in G. Forti, S. Seminara, G. Zuccalà (a cura di), Commentario breve al Codice penale, VI ed., 2017, sub art. 133 bis, p. 601.

[13] Particolarmente significativa, in questo senso, Corte cost. 16-21 novembre 1979, n. 131. In tale storica pronuncia la Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 136 c.p. nella versione originaria, che prevedeva la conversione della pena pecuniaria ineseguita per insolvibilità del condannato in pena detentiva. Riporto alcuni passi particolarmente significativi della motivazione: “La conversione della pena pecuniaria in detentiva alla stregua della normativa vigente… reca l'impronta inconfondibile di una discriminazione basata sulle condizioni personali e sociali, la cui illegittimità è apertamente, letteralmente, proclamata dall'art. 3 della Costituzione”. “Con ciò – aggiunge la Corte – non si vuole certamente escludere la possibilità di garantire l'effettiva uguaglianza dei cittadini di fronte alla sanzione… pecuniaria. Spetterà al legislatore assicurarla, adottando, nella sua discrezionalità, gli opportuni strumenti normativi”, che la Corte costituzionale individua nell’ “adeguamento delle pene pecuniarie e delle loro modalità di pagamento alle condizioni economiche del condannato verificate dal giudice al momento della condanna (ad esempio, adottando il sistema dei tassi giornalieri), così da tendere ad una uguaglianza sostanziale della pena pecuniaria perché proporzionale alle risorse del condannato stesso”.

[14] Cfr., fra gli altri, E. Dolcini, Le pene pecuniarie come alternativa alle pene detentive brevi, in Jus, 1974, p. 538, nonché  L. Goisis, La pena pecuniaria. Un’indagine storica e comparata, cit., p. 50.

[15] Cfr. E. Dolcini, Superare il primato del carcere, cit., p. 421.

[16] A norma del Par. 40, co. 2, pt. II StGB, “un tasso giornaliero si determina tra un minimo di un euro e un massimo di trentamila euro”. In precedenza, il minimo era fissato in 2 marchi e il massimo in 10.000 marchi.

[17] Secondo il disposto dell’art 9 bis co. 1 lett. b, sanzioni sostitutive della pena detentiva saranno: la detenzione domiciliare, l’affidamento in prova al servizio sociale e la semilibertà; il lavoro di pubblica utilità; la pena pecuniaria. Alla base di questa scelta, fortemente innovativa, stanno considerazioni largamente ispirate dalla prassi, quale si è consolidata negli ultimi anni. Questi i segnali raccolti dalla Commissione: la progressiva, irreversibile estinzione della libertà controllata e della semidetenzione quali sanzioni sostitutive; il crescente successo, sia pure in un ambito oggi limitato a specifici reati, del lavoro sostitutivo; l’esigenza di anticipare al momento della condanna l’applicazione delle misure alternative alla detenzione quando vengano disposte senza un passaggio dal carcere.   

[18] Per una netta presa di posizione a favore di un largo utilizzo di comminatorie alternative di pena detentiva e pena pecuniaria, cfr. L. Goisis, Pene pecuniarie. Una proposta de iure condendo, in Linee di riforma in tema di pene alternative edittali, coordinatore prof. Francesco Palazzo, marzo 2021, p. 59, www.aipdp.it.

[19] Così E. Dolcini, C.E. Paliero, Il carcere ha alternative? Le sanzioni sostitutive della detenzione breve nell’esperienza europea, 1989, p. 281.

[20] Cfr. art. 57 co. 1 e co. 3 l. n. 689/1981.