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11 Giugno 2024


Corte di Strasburgo e misure di sicurezza personali detentive: una nuova pronuncia di condanna nei confronti dell’Italia

Corte Edu, sezione prima, 6 giugno 2024, Cramesteter c. Italia, ricorso n. 19358/2017



1. Dopo la sentenza Sy c. Italia[1] – seguita dalla decisione della Corte costituzionale[2] – la Corte europea dei diritti dell'uomo torna a pronunciarsi sull'argomento delle misure di sicurezza personali detentive italiane. Diversamente dalle due pronunce appena menzionate – che hanno evidenziato i profili di carenza tanto organizzativo-strutturali, quanto normativi della disciplina, questione a dire il vero che rimane sullo sfondo anche nell’arresto in questione – con la pronuncia qui commentata la Corte di Strasburgo si confronta con una specifica disposizione prevista dal d.l. 31 marzo 2014, n. 52.

I giudici sono chiamati a decidere sulla violazione dell’art. 5, §§ 1 e 5 CEDU lamentata dal ricorrente in relazione all’art. 1, co. 1-quater del menzionato decreto-legge, nella parte in cui prevede che «le misure di sicurezza detentive provvisorie o definitive, compreso il ricovero nelle residenze per l'esecuzione delle misure di sicurezza, non possono durare oltre il tempo stabilito per la pena detentiva prevista per il reato commesso, avuto riguardo alla previsione edittale massima»[3]. In particolare – come si dirà più diffusamente nel seguito – il ricorrente lamentava la detenzione in un ospedale psichiatrico giudiziario prima, in una REMS poi, per un tempo superiore a quello che sarebbe risultato applicando il disposto del citato art. 1, co. 1-quater. Si doleva, inoltre, dell’impossibilità di ricevere una riparazione ai sensi dell’art. 314 c.p.p. per l’ingiusta privazione della libertà personale patita, richiesta quest’ultima avanzata una volta disposta la cessazione della misura di sicurezza della REMS, struttura presso la quale era stato trasferito a seguito della chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari a far data dal 31 marzo 2015[4].

La Corte – lo si anticipa subito – pur non scendendo nel merito della nuova disposizione riguardante la durata delle misure di sicurezza detentive, condanna l’Italia per la violazione di entrambe le disposizioni convenzionali (art. 5, §§ 1 e 5 CEDU).

La sentenza richiama allora l’attenzione, ancora una volta, sull’impianto normativo delle misure di sicurezza personali, da ultimo interessato da un travagliato percorso di superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari e dell’assegnazione nelle case di cura e di custodia[5].

 

2. Prima di ripercorrere le motivazioni della decisione pronunciata dalla Corte di Strasburgo, conviene effettuare una sintesi dei fatti rilevanti.

In data 25 febbraio 2003, il ricorrente veniva condannato dal tribunale di Firenze per detenzione abusiva di armi e ricettazione. Successivamente prosciolto, il 20 ottobre 2004, per vizio totale di mente dalla Corte di Appello, che, giudicandolo socialmente pericoloso, ordinava l’applicazione della misura di sicurezza del ricovero in un ospedale psichiatrico giudiziario per la durata di due anni. Il magistrato di sorveglianza, in sede di riesame della pericolosità sociale del soggetto, disponeva più volte il prolungamento del ricovero in OPG, sino a quando, in data 5 maggio 2016, in ragione della definitiva chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari, la persona veniva trasferita presso la REMS di Volterra.

Occorre segnalare che nelle more era entrata in vigore la disposizione concernente la durata massima delle misure di sicurezza detentive, da parametrare come detto sulla base della cornice edittale massima del reato[6]. Il pubblico ministero, rilevando che la durata della misura, pari a otto anni stante la condanna per il reato di ricettazione, era ormai decorsa, ne richiedeva la revoca. Il magistrato di sorveglianza di Pisa rigettava tuttavia la richiesta argomentando che l’art. 1, co. 1-quater, d.l. n. 52/2014 non potesse applicarsi retroattivamente. All’esito del procedimento – che aveva visto il soggetto proporre appello e ricorso in cassazione avverso le decisioni di rigetto della richiesta di revoca – la cessazione della misura veniva disposta dal tribunale di Firenze soltanto il 26 ottobre 2016, che, contrariamente a quanto osservato dal primo giudice che si era pronunciato sul punto, aveva ritenuto di applicare retroattivamente la norma sulla durata massima.

In breve: gli effetti della misura di sicurezza detentiva in REMS (già in OPG) – alla luce del limite massimo di otto anni derivante dall’applicazione dell’art. 1, co. 1-quater, d.l. n. 52/2014 – sarebbero dovuti cessare il 28 febbraio 2015 (l’esecuzione della misura era iniziata il 28 febbraio 2007) e non il 26 ottobre 2016. Lo scarto temporale rappresenta dunque il periodo di ingiusta detenzione di cui si duole il ricorrente dinanzi alla Corte Edu ai sensi dell’art. 5, § 1 CEDU.

Da ciò è derivato, inoltre, il successivo procedimento per richiedere la riparazione ai sensi dell’art. 314 c.p.p., istanza che non ha trovato tuttavia accoglimento né in appello, né in sede di legittimità. Il ricorrente ha pertanto dedotto altresì la violazione dell’art. 5, § 5 CEDU, sottolineando l’ineffettività degli strumenti di ricorso previsti dall’ordinamento italiano per ottenere la riparazione della detenzione ingiusta.

 

3. Si ritiene ora utile passare in rassegna le valutazioni sul merito del ricorso, omettendo invece di considerare le considerazioni della Corte in punto di ricevibilità ai sensi dell’art. 35 CEDU[7]. Per ragioni di chiarezza espositiva, si esporranno, con riferimento a ciascuna violazione lamentata, dapprima le doglianze sollevate dalle parti e poi si darà conto delle motivazioni della Corte.  

 

4. La prima violazione dedotta dal ricorrente concerne, come anticipato, l’art. 5, § 1 CEDU per il quale nessuno può essere privato della libertà personale, se non nei casi ivi indicati e nei modi previsti dalla legge[8]. Il ricorrente lamenta allora l’illegittimità della detenzione in REMS a partire dal 28 febbraio 2015, termine di scadenza della misura in ragione dell’entrata in vigore dell’art. 1, co. 1-quater, d.l. n. 52/2014. D’altro canto, il governo sostiene invece la legittimità della detenzione, argomentando sull’impossibilità di applicare retroattivamente la norma menzionata, nonché evidenziando la circostanza per la quale il ricorrente non aveva specificamente contestato le ordinanze con le quali era stata prorogata la misura oltre il termine di durata massima. Conta subito sottolineare – ma sul punto si tornerà nelle conclusioni della nota – che il Governo, per sostenere le proprie deduzioni sulla irretroattività della disposizione, richiama una sentenza della Corte di cassazione che si era pronunciata in questo senso[9].

Il giudizio della Corte di Strasburgo, lo si anticipa subito, non scende nel merito della disposizione oggetto delle doglianze sollevate dal ricorrente, vale a dire l’art. 1, co. 1-quater, d.l. n. 52/2014. Pur implicitamente condividendone l’interpretazione fornita dal tribunale di Firenze che aveva disposto la cessazione della misura il 26 ottobre 2016, applicando retroattivamente la norma, i giudici non effettuano osservazioni specifiche a riguardo.

La premessa del ragionamento[10] – coerente con altri precedenti arresti giurisprudenziali della Corte Edu[11] – è che qualsivoglia privazione della libertà personale, indipendentemente dal titolo giuridico sul quale essa si fonda, debba essere prevista dalla legge dello Stato. Legge che, nella dimensione dell’interpretazione fornita a livello di “grande Europa”, deve connotarsi per quei caratteri di accessibilità e prevedibilità, dunque di sufficiente chiarezza e precisione, in modo da consentire ai consociati di prevedere ragionevolmente le conseguenze giuridiche derivanti dal proprio comportamento[12].

Sulla base di questa osservazione preliminare, la Corte – richiamando peraltro la distinzione[13] tra provvedimenti manifestamente illegittimi e provvedimenti prima facie validi, ma successivamente annullati – rileva come, a seguito dell’entrata in vigore dell’art. 1, co. 1-quater, d.l. n. 52/2014, che ha sancito il termine di durata massima delle misure di sicurezza detentive, la detenzione a cui il ricorrente era sottoposto è divenuta illegittima a partire dal 28 febbraio 2015 (giorno di scadenza della misura) o, al più tardi, dal 31 marzo 2015 (data di effettiva chiusura degli OPG, stabilita dal d.l. n. 211/2011, da ultimo modificato dal d.l. n. 52/2014)[14]. La misura di sicurezza, in altre parole, ponendosi in contrasto con la nuova norma – così come riconosciuto altresì dal tribunale di Firenze – non riposava più su una base legale prevista dallo Stato.

La Corte di Strasburgo riscontra pertanto la violazione dell’art. 5, § 1 CEDU.

 

5. La seconda violazione di cui il ricorrente si duole riguarda invece l’art. 5, § 5 CEDU, nella parte in cui dispone che «ogni persona vittima di arresto o di detenzione in violazione di una delle disposizioni del presente articolo ha diritto a una riparazione»[15]. In particolare, il ricorrente – una volta accertata l’illegittimità della privazione della libertà personale cui era stato sottoposto – lamentava di non aver potuto ottenere un’equa riparazione ai sensi dell’art. 314 c.p.p. La disposizione, per esplicito rinvio operato dall’art. 313 c.p.p., trova infatti applicazione esclusivamente in relazione alle misure di sicurezza provvisorie (non per quelle definitive, come nel caso di specie). Il Governo, per parte sua, argomenta sulla tardività della richiesta di riparazione, nonché sulla possibilità per il ricorrente – in aggiunta alla richiesta avanzata a norma dell’art. 314 c.p.p. – di agire contro lo Stato ai sensi dell’art. 2, l. 13 aprile 1988, n. 117 (responsabilità del magistrato per dolo o colpa grave) ovvero di richiedere una riparazione in termini di riduzione di pena ai sensi dell’art. 657 c.p.p. A parere del Governo, il ricorrente, che stava scontando un’ulteriore pena detentiva per altro reato, avrebbe potuto richiedere – interpretando estensivamente l’art. 657 c.p.p. in combinato disposto con l’art. 35-ter, l. sull’ordinamento penitenziario – uno sconto di pena di durata equivalente a quella ingiustamente subita in ragione della misura di sicurezza personale.

La Corte disattende tutte le deduzioni sollevate dal Governo, evidenziando l’ineffettività degli strumenti a disposizione del ricorrente per beneficiare della riparazione. In primo luogo, le misure di sicurezza definitive[16] – come affermato anche dalla Corte di cassazione nel caso di specie[17] – non ricadono nell’ambito applicativo[18] dell’art. 314 c.p.p.[19]. Parimenti ineffettiva, ad avviso dei giudici di Strasburgo, è la possibilità di ottenere un risarcimento agendo contro lo Stato ai sensi dell’art. 2, l. n. 117/1988[20]. Ciò trova conferma nell’incapacità del Governo di indicare casi in cui tale azione avesse effettivamente consentito di ottenere la riparazione[21]. Da ultimo[22], non si condivide l’interpretazione estensiva dell’art. 657 c.p.p. suggerita dal Governo, per due ragioni. La prima attiene al perimetro applicativo dell’art. 35-ter o.p. che, sebbene includa anche le ipotesi di detenzione in REMS[23], è circoscritto ai soli casi in cui la privazione della libertà violi l’art. 3 CEDU (pertanto non conferente con la vicenda in questione). Il secondo argomento è di natura testuale, dato che il quarto comma dell’art. 657 c.p.p. limita l’operatività della norma alle sole ipotesi in cui la detenzione da computare venga espiata dopo la commissione del reato per il quale deve essere determinata la pena da eseguire[24]. Nel caso di specie, a ben vedere, il ricorrente ha esaurito il periodo di detenzione in REMS prima della commissione del nuovo reato per il quale risulta nuovamente detenuto.

Per tutti questi motivi, la Corte riscontra la violazione dell’art. 5, § 5 CEDU.

 

***

6. Conviene da ultimo effettuare qualche breve notazione conclusiva sulla sentenza qui segnalata, che ha certamente il merito di rinnovare l’approccio garantista della Corte europea dei diritti dell’uomo in tema di misure di sicurezza personali[25], in specie quelle previste dall’ordinamento italiano.

La Corte di Strasburgo ha infatti concluso per la violazione di entrambe le disposizioni convenzionali: sia per l’art. 5, § 5 CEDU stante l’ineffettività degli strumenti previsti dall’ordinamento italiano per richiedere la riparazione da ingiusta detenzione patita per via di una misura di sicurezza definitiva; sia per l’art. 5, § 1 CEDU, in ragione della sopravvenuta illegittimità della detenzione in REMS del ricorrente. È su quest’ultimo profilo, in particolare, che si ritiene utile dedicare qualche battuta finale.

La questione – implicitamente condivisa dalla Corte – attiene in sostanza alla possibilità di applicare retroattivamente la disciplina prevista dall’art. 1, co. 1-quater, d.l. n. 52/2014. La dottrina[26], a commento della novità normativa, aveva subito fatto notare come la disposizione potesse applicarsi retroattivamente in forza dell’art. 200, co. 2 c.p., per il quale se la legge del tempo in cui deve eseguirsi la misura è diversa, si applica la legge in vigore al tempo dell’esecuzione. Nessun dubbio, pertanto, sembra residuare sul fatto che la norma sulla durata massima delle misure di sicurezza detentive – in assenza peraltro di una disciplina transitoria ad hoc – dovesse trovare applicare altresì in relazione alle misure già in corso.

A una conclusione almeno in parte diversa[27] è invece pervenuta la Corte di cassazione, pure menzionata nella sentenza in commento[28], che aveva annullato un’ordinanza con cui il tribunale di sorveglianza, applicando il neo introdotto art. 1, co. 1-quater, d.l. n. 52/2014, aveva ordinato la cessazione degli effetti della misura (ricovero in OPG). Gli argomenti addotti dalla Suprema Corte non paiono invero convincenti.

Il primo è di natura testuale, laddove, afferma la Corte, l’art. 1, co. 1-quater, d.l. n. 52/2014 «menziona espressamente, tra le misure di sicurezza detentive, provvisorie o definitive, quella del "ricovero nelle residenze per l'esecuzione delle misure di sicurezza" e non quella del ricovero presso l'Ospedale Psichiatrico Giudiziario». Ebbene, il testo della disposizione sembra deporre nel senso contrario di quello sostenuto dai giudici di legittimità. La formulazione della norma, nella parte in cui utilizza la locuzione «compreso il ricovero nelle residenze per l'esecuzione delle misure di sicurezza», non pare escludere le altre misure di sicurezza detentive allora vigenti. Al contrario, una corretta interpretazione porta a ritenere incluse, in aggiunta alle misure di sicurezza detentiva all’epoca vigenti, anche (“compreso”) le REMS. Una diversa esegesi, a ben vedere, si porrebbe altresì in contrasto con la ratio della riforma, che voleva imporre un limite massimo di durata a garanzia delle persone detenute in OPG.

Il secondo argomento – che mira a valorizzare la volontà legislativa di disporre, per ragioni essenzialmente organizzative, un graduale superamento degli OPG (previsto definitivamente a partire dal 31 marzo 2015) – sembra porsi in aperto contrasto con la già richiamata ratio della novella normativa. A voler condividere l’impostazione della Suprema Corte, la finalità di controllo della pericolosità sociale finirebbe, infatti, per prevalere, in maniera irragionevole, sull’intentio legis di imporre, a garanzia della persona, un limite al complessivo carico sanzionatorio irrogato, in tal modo mitigando eventuali eccessi per sproporzione.

 

 

[1] Corte Edu, sezione prima, 24 gennaio 2022, Sy c. Italia, ricorso n. 11791/2020, su cui R. Casiraghi, L’accesso alle R.E.M.S. tra Corte di Strasburgo e Corte costituzionale, in Riv. it. dir. proc. pen., 2022, 896 ss.

[2] Corte cost., 16 dicembre 2021 (dep. 27 gennaio 2022), n. 22. Per un commento, G. Mentasti, L'attuale disciplina delle REMS al vaglio della Corte costituzionale: tra riserve di legge non rispettate e liste d'attesa serve ancora un intervento del Legislatore. Note a margine della ‘pronuncia monito’ della Corte costituzionale n. 22/2022, in Riv. it. dir. proc. pen., 2022, 1188 ss. Si veda inoltre M. Pelissero, Le misure di sicurezza personali: scoperto il vaso di Pandora, in Dir. pen. proc., 2022, 1223 ss.

[3] Comma così introdotto in sede di conversione in l. 30 maggio 2014, n. 81.

[4] L’art. 3-ter, co. 4, d.l. 22 dicembre 2011, n. 211 ha infatti previsto, a partire dal 31 marzo 2015 (termine da ultime modificato dal d.l. n. 81/2014), la definitiva chiusura degli OPG.

[5] In argomento, G.L. Gatta, Aprite le porte agli internati! Un ulteriore passo verso il superamento degli OPG e una svolta epocale nella disciplina delle misure di sicurezza detentive: stabilito un termine di durata massima (applicabile anche alle misure in corso, a noi pare), in Dir. pen. cont. online, 6 giugno 2014; M. Pelissero, Ospedali psichiatrici giudiziari in proroga e prove maldestre di riforma della disciplina delle misure di sicurezza, in Dir. pen. proc., 2014, 917 ss; P.A. Allegri, B. Giors, M. Miravalle, Salute mentale e questione criminale: dal superamento normativo degli OPG all’attuazione della riforma, in Dieci anni di REMS. Un’analisi interdisciplinare, a cura di M. Pelissero, L. Scomparin, G. Torrente, Napoli-Torino, 2022, 3 ss.

[6] Per la determinazione della pena a tali effetti si applica l’art. 278 c.p.p. La norma non trova invece applicazione in caso di delitti puniti con la pena dell’ergastolo, soluzione quest’ultima criticata dalla dottrina. Cfr. M. Pelissero, Ospedali psichiatrici giudiziari, op. cit., 928.

[7] Le deduzioni sollevate dal Governo italiano sono state tutte disattese dalla Corte. Il Governo aveva argomentato sull’insussistenza della qualità di vittima ai sensi della CEDU, sul mancato esaurimento di tutti gli strumenti giurisdizionali previsti dall’ordinamento italiano, nonché sull’inerzia della persona nel non aver contestato le ordinanze di proroga della misura di sicurezza.

[8] §§ 46 e ss. della sentenza in commento.

[9] Cass. pen., sez. I, 9 gennaio 2015 (dep. 1° giugno 2015), n. 23392.

[10] §§ 48 e ss. della sentenza in commento.

[11] Corte Edu, grande camera, 1° giugno 2021, Denis et Irvine c. Belgio, ricorsi nn. 62819/2017 e 63921/2017.

[12] Corte Edu, grande camera, 15 dicembre 2016, Khlaifia e altri c. Italia, ricorso n. 16483/2012; Corte Edu, grande camera, 21 ottobre 2013, Del Rio Prada c. Spagna, ricorso n. 42750/2009. In dottrina, F. Viganò, Il nullum crimen conteso: legalità costituzionale vs. legalità convenzionale?, in Dir. pen. cont. online, 5 aprile 2017; Fr. Mazzacuva, Le pene nascoste. Topografia delle sanzioni punitive e modulazione dello statuto garantistico, Torino, 2017, passim e, in particolare, 255 ss.

[13] § 52 della sentenza in commento.

[14] § 54 della sentenza in commento.

[15] §§ 58 e ss. della sentenza in commento.

[16] Cfr. § 71 della sentenza in commento.

[17] § 18 della sentenza in commento.

[18] L’art. 314 c.p.p. è richiamato infatti dall’art. 313, u.c. c.p.p., che riguarda tuttavia il procedimento applicativo delle sole misure di sicurezza provvisorie.

[19] Per una panoramica delle questioni concernenti l’istituto della riparazione per ingiusta detenzione, cfr. A. Montaldi, Riparazione per l’ingiusta detenzione, in Commento al nuovo codice di procedura penale, a cura di M. Chiavario, Torino, 1990, 309 ss.; L. Scomparin, voce Riparazione dell’errore giudiziario, in Dig. disc. pen., XII, Torino, 1997, 319 ss.; E. Zanetti, La riparazione per l’ingiusta custodia cautelare. Aspetti sistematici e questioni applicative, Padova, 2002.

[20] § 73 della sentenza in commento.

[21] In casi analoghi, peraltro, la Corte di Strasburgo aveva già ritenuto ineffettivo tale strumento giurisdizionale. V. Corte Edu, sezione prima, 6 ottobre 2016, Richmond Yaw e altri c. Italia, ricorsi nn. 3343/2011 e altri; Corte Edu, sezione terza, 4 agosto 2005, Zeciri c. Italia, ricorsi nn. 55764/2000.

[22] § 74 della sentenza in commento.

[23] In questi termini Corte cost., 7 marzo 2017 (dep. 13 aprile 2017), n. 83.

[24] Cfr. inoltre § 34 della sentenza in commento.

[25] Un corposo orientamento giurisprudenziale della Corte Edu ha riguardato ad esempio la legittimità convenzionale della custodia di sicurezza tedesca, su cui A. Costantini, Custodia e cura dell’infermo di mente-autore di reato nel modello tedesco delle «misure di miglioramento e sicurezza», in Dieci anni di REMS. Un’analisi interdisciplinare, a cura di M. Pelissero, L. Scomparin, G. Torrente, Napoli-Torino, 2022, 508 ss.

[26] M. Pelissero, Ospedali psichiatrici giudiziari, op. cit., 929; G.L. Gatta, Aprite le porte agli internati!, op. cit.; Id., Revoca del ricovero in OPG per decorso della durata massima: un primo provvedimento, in Dir. pen. cont. online, 16 giugno 2014. In questo senso, inoltre, Corte cost., 7 marzo 2017 (dep. 13 aprile 2017), n. 83, che, chiamata a esprimersi su una diversa questione, ha affermato come «oggi tutte le misure di sicurezza detentive, comprese quelle disposte prima dell’entrata in vigore del d.l. n. 52 del 2014 (art. 200 cod. pen.), hanno una durata massima».

[27] Le pronunce della Corte Edu e della Corte di cassazione sembrano coerenti nella parte in cui ritengono legittima la proroga del ricovero in OPG al più tardi sino al 31 marzo 2015, data oltre la quale gli OPG hanno cessato di esistere. Cfr. § 54 della sentenza in commento.

[28] Cass. pen., sez. I, 9 gennaio 2015 (dep. 1° giugno 2015), n. 23392. Cfr. §§ 12 e 26 della sentenza in commento.