ISSN 2704-8098
logo università degli studi di Milano logo università Bocconi
Con la collaborazione scientifica di

  Scheda  
17 Dicembre 2019


La Cassazione ritiene inammissibile il ricorso della parte civile contro la sentenza di annullamento per difetto di contestazione

Cass., Sez. III, sent. 12 luglio 2019 (dep. 31 ottobre 2019), n. 44512, Pres. Izzo, Rel. Corbetta



1. Con la sentenza in esame, la terza sezione della Corte di cassazione si pronuncia sul controverso tema dell’ammissibilità del ricorso proposto dalla parte civile contro il provvedimento[1] di appello che, ai sensi dell’articolo 604, comma 1, c.p.p., abbia dichiarato la nullità della sentenza di primo grado per violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza di cui all’art. 521 c.p.p.

Collocandosi sulla scia di alcune precedenti sentenze[2], la Corte ribadisce il principio secondo cui “è inammissibile, se carente di elementi indicativi del concreto interesse vantato, il ricorso per cassazione della parte civile avverso la sentenza della Corte d'appello di nullità della sentenza di primo grado per diversità del fatto”[3].  

 

2. Punto di partenza fondamentale di tale decisione è una sentenza delle Sezioni Unite del 2009[4], la quale, sciogliendo un contrasto giurisprudenziale già insorto e risolto in egual direzione nel vigore del codice Rocco[5], ha stabilito la ricorribilità delle sentenze d’appello meramente processuali, tra le quali chiaramente rientrano quelle di nullità per difetto di contestazione ex art. 604, comma 1, c.p.p.

Tale soluzione – in contrapposizione ad un opposto orientamento che valorizzava il principio di tassatività dei mezzi di impugnazione[6] – si fonda sul disposto letterale degli articoli 111, comma 7, Cost. e 568, comma 2, c.p.p., secondo i quali tutte le sentenze, quando non siano altrimenti impugnabili e salvo che sia previsto diversamente, sono sempre soggette a ricorso per cassazione, ad opera di tutte le parti processuali, senza distinzione tra sentenze di merito o sentenze meramente processuali.

Inoltre, secondo la condivisibile analisi delle Sezioni Unite, un’opposta conclusione sarebbe inaccettabile anche ad una lettura costituzionalmente orientata del quadro normativo, essendo le sentenze processuali volte, “ben più pesantemente” di quelle di merito, alla “realizzazione di un modello legale che intende preservare in concreto il valore del ‘processo giusto’, perché celebrato secundum ius.”[7]

 

3. Posta la generale legittimazione a ricorrere avverso le sentenze d’appello ex art. 604 c.p.p. che dichiarano una nullità nei casi previsti dall’art. 522 c.p.p., si dovrà tuttavia verificare se sussista un interesse concreto e attuale, nei casi di specie, all’impugnazione in capo ai ricorrenti, come richiesto per l’ammissibilità di qualsiasi impugnazione ex art. 568, comma 4, c.p.p.

Quando a ricorrere contro tali sentenze sia il Procuratore generale, in linea con quanto sancito dalle Sezioni Unite del 2009 in riferimento ad altro profilo di nullità, si è affermato che questi ha sempre un “interesse concreto e attuale all'impugnazione, mirando ad ottenere l'esatta applicazione della legge per una più celere e corretta definizione del procedimento, evitando che lo stesso, per effetto delle statuizioni della decisione impugnata, retroceda alla fase delle indagini.”[8]

Quanto all’interesse dell’imputato, come rilevato nella sentenza in esame, si registrano ad oggi in Cassazione orientamenti divergenti. Da un lato, una non esigua corrente giurisprudenziale di fatto continua ad escludere la ricorribilità delle statuizioni processuali per violazione del principio di cui all’art. 521 c.p.p., ritenendo che tali decisioni non possano mai comportare un pregiudizio per l’imputato, il quale vede le proprie facoltà di difesa inalterate in sede di nuovo giudizio[9]. Dall’altro, più numerose sentenze, in conformità con quanto affermato nella ricostruzione sistematica operata dalle Sezioni Unite, ravvisano un concreto interesse dell’imputato ad impugnare là dove la sentenza annullata fosse per lo stesso favorevole[10].

Quid, invece, dell’interesse della parte civile? Similmente a quanto avviene in relazione all’imputato, anche per la parte civile si osservano due orientamenti discordanti.

Almeno una sentenza della Cassazione – a cui la parte civile fa riferimento nel caso qui commentato – ritiene che l’interesse della parte civile ad impugnare sia da considerarsi “assolutamente concreto alla luce dei favorevoli contenuti della sentenza di primo grado (che aveva pronunciato condanna generica al risarcimento del danno e stabilito una provvisionale)”[11].

Altre pronunce, maggioritarie, adottano, invece, un approccio più restrittivo, escludendo che il mero contenuto favorevole della sentenza annullata possa rendere ammissibile il ricorso della parte civile. In particolare, tali decisioni negano la sussistenza dell’interesse sia nel caso in cui il nomen juris rimanga inalterato nel giudizio di rinvio[12], sia quando, pur in caso di riqualificazione in appello, “anche il reato per il quale sono stati trasmessi gli atti alla Procura rend[a] possibile il risarcimento”[13]. A sostegno di tale conclusione, viene in particolare citata la giurisprudenza di legittimità secondo cui “la parte civile è priva di interesse all'impugnazione di una sentenza di condanna, anche nell'ipotesi in cui con quest'ultima sia stata data al fatto una qualificazione giuridica diversa rispetto a quella contenuta nell'imputazione, salvo che da tale diversa qualificazione possa derivare una differente quantificazione del danno da risarcire.”[14]

Nel caso di specie, la Cassazione si inserisce proprio in quest’ultimo filone giurisprudenziale, stabilendo come, affinché la parte civile possa vantare un interesse al ricorso, non basta affermare che la sentenza di appello abbia eliminato le statuizioni civili. Essendo, infatti, il titolo di reato per il quale sono stati trasmessi gli atti rimasto immutato, l’annullamento della sentenza di condanna “non incide sull'azione civile da parte del Comune di Pietrasanta, che, peraltro, nel processo di rinvio potrà esercitare, senza alcuna limitazione, i diritti e le facoltà che, per legge, le competono.”[15]

 

4. Questa soluzione potrebbe apparire condivisibile, se non fosse che i giudici della nomofilachia omettono di considerare, come pure emerge chiaramente alla lettura della sentenza impugnata, che il reato in questione ascritto agli imputati – la contravvenzione di getto pericoloso di cose di cui all’art. 674 c.p. – si era estinto per intervenuta prescrizione nelle more del giudizio di secondo grado.  

Pur in presenza di una causa estintiva, la Corte territoriale aveva correttamente ritenuto di dover prendere in esame i motivi di appello relativi al principio di correlazione, alla violazione del quale “i capi della sentenza relativi agli interessi civili vanno azzerati, perché viene meno una delle condizioni per l'applicabilità dell'art. 578 c.p.p., vale a dire l'esistenza di una valida sentenza di condanna anche generica dell'imputato, pronunciata a favore della parte civile in primo grado”[16]. Accertando la nullità, la Corte d’appello aveva contestualmente disposto la trasmissione degli atti al giudice di primo grado, conformemente a quanto previsto dall’art. 604, comma 1, c.p.p.

Ci si potrebbe chiedere, tuttavia, applicando un consolidato orientamento giurisprudenziale valevole in sede di legittimità[17], se i giudici di merito non avrebbero anche già potuto, ai fini penali, dichiarare estinto il reato per maturata prescrizione, prescindendo, invece, nel rilevare la nullità, dalla trasmissione degli atti al Tribunale. Ciò in quanto il giudice del rinvio, ex art. 129 c.p.p., avrebbe comunque l'obbligo di procedere immediatamente alla declaratoria della causa estintiva.[18]

Certo, un tale modus operandi sarebbe meno fedele al dettato letterale del codice di rito, che, a differenza di quanto stabilito per la Cassazione[19], in appello non consente deroghe al rinvio in primo grado in caso di annullamento della sentenza impugnata.  Tuttavia, si potrebbe in egual maniera sostenere che, in caso di difetto di correlazione per diversità del fatto, la regressione del processo per il medesimo nomen juris di un reato prescritto “darebbe spazio, in nome solo dell'ortodossia della forma, ad una inutile dilatazione dell'attività processuale, il cui epilogo non può che realisticamente portare alla stessa soluzione, con il risvolto negativo di vanificare le esigenze di giustizia e di celerità, nonché lo stesso favor rei, impedendosi che a carico di un cittadino persistano, oltre il necessario, conseguenze pregiudizievoli, quale certamente è la permanenza di un c.d. carico pendente.”[20]

Inoltre – e per quel che qui interessa – se la Corte d’appello nel caso di specie avesse provveduto, nel dispositivo della sentenza, oltre che a constatare la nullità, anche a dichiarare il reato prescritto, la Corte di legittimità – pur in assenza di un esplicito richiamo sul punto nel ricorso della parte civile – probabilmente non avrebbe omesso di prendere in considerazione l’intervenuta causa estintiva.

Come rilevato dalla Cassazione[21] in una vicenda processuale del tutto analoga a quella in commento, infatti, l’intervenuta prescrizione sortisce l’effetto determinante di rendere il ricorso della parte civile per cassazione ammissibile. Invero, l’estinzione del reato preclude l’esercizio dell’azione civile nel processo penale, rendendo priva di fondamento l’argomentazione secondo cui la parte civile “nel processo di rinvio potrà esercitare, senza alcuna limitazione, i diritti e le facoltà che, per legge, le competono.”[22] Si deve, pertanto, riconoscere la sussistenza di un concreto interesse della parte civile all’eliminazione della sentenza di nullità, interesse “espressivo del diritto di ottenere dal giudice di appello la sentenza di merito mancata, di prescrizione del reato” [23], con decisione sull’impugnazione ai soli effetti civili ex art. 578 c.p.p.

L’istituto della prescrizione è in grado, in effetti, di incidere considerevolmente sulla questione in esame, sotto il profilo dell’interesse vantato dalla parte civile. Ciò è vero sia nel caso in cui il reato sia già effettivamente prescritto – rendendo, in tale scenario, come riconosciuto dalla Cassazione, l’interesse della parte civile a ricorrere inconfutabilmente ‘concreto’ ed ‘attuale’ – sia nell’ipotesi in cui il reato non sia ancora prescritto in sede di proposizione del ricorso, ma lo sarà, con ogni probabilità, in base ad un giudizio prognostico, durante il nuovo processo.

 

5. Quest’ultima eventualità, più delicata, dovrebbe portare a chiedersi se, per uniformare le posizioni delle parti civili, non sarebbe più opportuno ritenere – sposando, quindi, l’analisi della sentenza invocata nel ricorso della parte civile[24]sempre ammissibile il vaglio della Corte Suprema sulla violazione del principio di correlazione ogniqualvolta la sentenza di primo grado, annullata in appello, abbia condannato l’imputato al risarcimento del danno. Non si vede, d’altronde, come in tale circostanza la sussistenza della concretezza dell’interesse possa essere negata: esercitando il diritto di impugnazione avverso la sentenza di appello che abbia nullificato le statuizioni civili, la parte civile mira infatti a “ricavare un risultato pratico favorevole o – in prospettiva ribaltata – la rimozione di un pregiudizio, ossia il soddisfacimento di una posizione soggettiva giuridicamente apprezzabile e non di un mero interesse di fatto.”[25]  

In questo senso, in analogia con quanto affermato in relazione all’imputato, il parametro per decidere circa l’ammissibilità del ricorso della parte civile consisterebbe non già nella possibilità di esercitare (nuovamente) nel giudizio rinnovato i medesimi diritti e facoltà, bensì nel “diritto a non veder vanificati - ingiustamente e irrimediabilmente - i risultati (in ipotesi favorevoli) scaturiti dalla sentenza di primo grado.”[26]

Sicuramente, alla luce dei perduranti contrasti su tali due accezioni di ‘interesse’ anche nei ricorsi avverso le sentenze ex art. 604, comma 1, c.p.p. proposti dall’imputato, una pronuncia dirimente delle Sezioni Unite sarebbe auspicabile. Come già detto, in relazione alla parte civile la soluzione proposta avrebbe il pregio di non far dipendere il controllo della Corte di cassazione dal mero verificarsi di una causa estintiva del reato, che come tale è elemento indipendente dalla volontà e dall’interesse finale della parte civile ad ottenere che la pronuncia caducatoria in ipotesi erronea sia posta nel nulla. Inoltre, lo si sottolinea, tale impostazione non implica il venir meno del requisito dell’attualità dell’interesse, in quanto “la caduta della decisione di prime cure produce già un riconoscibile – ed attuale – nocumento alla parte che ne risultava favorita, ossia la vanificazione dell’esito propizio altrimenti suscettibile di diventare definitivo. L’ipotesi in esame non provoca pertanto alcuna alterazione del consueto paradigma di analisi, che ne esce invece confermato, se si ha solo l’accortezza di considerare come il danno cui porre rimedio con l’impugnazione possa anche consistere nella perdita di una posizione vantaggiosa e non solo nel suo mancato conseguimento.”[27]

***

6. Per quanto riguarda il caso di specie, se il ricorso della parte civile fosse stato correttamente ritenuto ammissibile in virtù della prescrizione del reato contravvenzionale, non si esclude che anche le conclusioni nel merito della Corte avrebbero potuto essere differenti.  In un mero obiter dictum, la Corte si sofferma, infatti, a constatare l’infondatezza del ricorso, avendo la Corte territoriale “rilevato come nel capo di imputazione, in cui si contesta agli imputati lo sversamento di liquidi nocivi, non sia affatto descritta anche la condotta in relazione alla quale il Tribunale ha pronunciato sentenza di condanna, ossia l'emissione di vapori nocivi, né risulta che da tale condotta gli imputati siano stati in grado di difendersi, non essendo all'uopo sufficiente che alcuni testimoni l'abbiano riferita incidentalmente nel corso dell'esame”[28].

Tale presa di posizione nel merito circa la diversità del fatto suscita non poche perplessità. Invero, la stessa Corte, al paragrafo 9 della sentenza, ricorda in primis la pacifica giurisprudenza di legittimità secondo cui, “in tema di correlazione tra imputazione contestata e sentenza, per aversi mutamento del fatto occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l'ipotesi astratta prevista dalla legge, in modo che si configuri un'incertezza sull'oggetto dell'imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa; ne consegue che l'indagine volta ad accertare la violazione del principio suddetto non va esaurita nel pedissequo e mero confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza perché, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l'imputato, attraverso l'iter del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all'oggetto dell'imputazione.”[29]  

Di seguito, tuttavia, la Corte non sembra applicare tale giurisprudenza al caso di specie. Come messo in evidenza dalla parte civile ricorrente, almeno un teste aveva infatti ben spiegato, nel dibattimento di primo grado, come l’emissione di vapori nocivi fosse il prodotto delle acque nocive oggetto di imputazione che, uscendo dall’impianto di incenerimento rifiuti per immettersi nel torrente, a causa della differenza di temperatura tra i due corpi liquidi, generavano le emissioni moleste. Risulta, pertanto, difficile pensare che non vi sia stato alcun contraddittorio su tale elemento fattuale, e che gli imputati in sede di condanna si siano di talché trovati a sorpresa di fronte ad un fatto del tutto nuovo, senza avere avuto nessuna possibilità di effettiva difesa. Inoltre, come sostenuto dalla ricorrente, il fatto per cui il Tribunale ha accertato la responsabilità degli imputati potrebbe essere ritenuto compatibile, e non del tutto eterogeneo, rispetto alle indicazioni storico-naturalistiche del capo di imputazione.

Implicitamente, richiamando i suddetti principi di diritto, la Corte – pur concludendo diversamente – sembra dirci che la Corte d’appello abbia in realtà peccato di zelo garantista nel ritenere il fatto diverso da quello contestato, e che, quindi, la sentenza del giudice di prime cure non andasse annullata. D’altro canto, occorre ricordare come il principio di correlazione tra accusa e sentenza, espressivo della tutela del diritto di difesa, sia una fondamentale componente del giusto processo, che va tuttavia correttamente contemperata con i principi della ragionevole durata e dell'”effettività della giurisdizione penale a fronte delle legittime aspettative della collettività di fronte al delitto.”[30] Se quindi, ad una più attenta analisi nel merito, il ricorso della  parte civile fosse stato ritenuto fondato, in tal caso i giudici di legittimità avrebbero dovuto trasmettere gli atti alla Corte d’appello affinché, dichiarando il reato estinto per prescrizione, decidesse, ai sensi dell’art. 578 c.p.p., sull'impugnazione ai soli effetti delle disposizioni e dei capi della sentenza che concernono gli interessi civili.

 

 

[1] Tale provvedimento del giudice di appello, come efficacemente rilevato dalla Cassazione, ha “natura composita”, di sentenza di annullamento, a carattere meramente processuale, e di ordinanza di trasmissione degli atti (cfr. Cass. pen., Sez. IV, 25 ottobre 1994 (dep. 1° dicembre 1994) n. 12110, Rv. 199879-01; Cass. pen., Sez. V, 25 settembre 2001 (dep. 30 ottobre 2001) n. 38795, Rv. 220800-01).

[2] Cfr. Cass. pen., Sez. III, 11 aprile 2012 (dep. 13 giugno 2012), n. 23219, Rv. 252901-01; Cass. pen., Sez. IV, 14 novembre 2012 (dep. 12 febbraio 2013), n. 6964, Rv. 254477-01; Cass. pen., Sez. IV, 4 marzo 2015 (dep. 17 marzo 2015), n. 11228 Rv. 262715-01.

[3] § 7 del “considerato in diritto” della sentenza in esame.

[4] Sez. Un., 25 giugno 2009 (dep. 17 luglio 2009), n. 29529, De Marino, Rv. 244108-01, con nota di G. De Amicis, Osservazioni in tema di ricorribilità per cassazione contro l'annullamento della sentenza di primo grado e interesse ad impugnare del p.m., in Cass. pen., 4/2010, pp. 1329-1344.

[5] Cfr. Sez. Un., 24 novembre 1984 (dep. 12 febbraio 1985), n. 1475, Alamia, Rv. 167854-01 e Sez. Un., 6 dicembre 1991 (dep. 17 marzo 1992), n. 2477, Paglini, Rv. 189397-01.

[6] Cfr., in riferimento al ricorso contro la sentenza d’appello ex art. 604, comma 1, c.p.p. proposto dalla parte civile, la sentenza Cass. pen., Sez. V, 4 ottobre 2005 (dep. 19 dicembre 2005), n. 45911, secondo cui la parte civile non è legittimata a “proporre impugnazione avverso la sentenza con cui la Corte di appello dichiara la nullità della sentenza di primo grado e individua il diverso giudice competente; ciò in quanto tale decisione non rientra fra quelle per le quali l'art. 576 c.p.p., consente alla P.C. di proporre impugnazione. Invero, come è noto alla P.C. è consentita la impugnazione contro i capi della sentenza di condanna che riguardino l'azione civile e contro la sentenza di proscioglimento pronunziata in giudizio (e ai soli effetti della responsabilità civile). L'assunto, in realtà, è espressione di un più generale principio (quello posto dall'art. 568 c.p.p., comma 3, in base la quale il diritto di impugnazione spetta soltanto alla parte cui la legge espressamente lo conferisce).”

[7] Supra nota 4, § 3 del “considerato in diritto”.

[8] Cass. pen., Sez. VI, 1° luglio 2009 (dep. 8 settembre 2009), n. 34828, Rv. 244770-01, § 4a.

[9] Cfr. Cass. pen., Sez. V, 26 aprile 2011 (dep. 3 giugno 2011), n. 22262, Rv. 250580-01; Cass. pen., Sez. V, 27 gennaio 2012 (dep. 16 aprile 2012), n. 14366, Rv. 252474-01; Cass. pen., Sez. I, 3 ottobre 2013 (dep. 27 febbraio 2014), n. 9665, Rv. 259697-01.

[10] Cfr. Cass. pen., Sez. VI, 26 marzo 2013 (dep. 17 giugno 2013), n. 26284, Rv. 256860-01; Cass. pen., Sez. II, 13 marzo 2014 (dep. 29 aprile 2014), n. 17879, Rv. 260006-01; Cass. pen., Sez. IV, 18 novembre 2014 (dep. 12 dicembre 2014), n. 51751, Rv. 261578-01; Cass. pen., Sez. IV, 4 marzo 2015 (dep. 17 marzo 2015), n. 11228, Rv. 262715-01; Cass. pen., Sez. VI, 1° ottobre 2015 (dep. 12 ottobre 2015), n. 40966, Rv. 265608-01; Cass. pen., Sez. II, 17 ottobre 2018 (dep. 17 gennaio 2019), n. 2069, Rv. 274735-01.

[11] Cass. pen., Sez. II, 18 dicembre 2013 (dep. 24 gennaio 2014), n. 3587, § 8 del “considerato in diritto”.

[12] Cfr. Cass. pen., Sez. IV, 14 novembre 2011 (dep. 12 febbraio 2013), n. 6964, Rv. 254477-01.

[13] Cass. pen., Sez. III, 11 aprile 2012 (dep. 13 giugno 2012), n. 23219, Rv. 252901-01, § 3.2 del “considerato in diritto”. Il riferimento, nel passaggio citato, alla Procura non deve sorprendere. Tale sentenza dà conto, infatti, di un diffuso orientamento giurisprudenziale di merito volto a superare la lettera dell’art. 604, comma 1, c.p.p., individuando nel pubblico ministero, invece che nel giudice di primo grado, il destinatario degli atti in seguito all’annullamento per diversità del fatto, in virtù del combinato disposto degli articoli 521, comma 2, c.p.p. e 568 c.p.p. Tale regressione del procedimento è, tuttavia, eccessiva, non essendo inficiata, in caso di diversità del fatto, la validità dell’azione penale, e ben potendosi pertanto modificare l’imputazione in sede di giudizio di rinvio ex art. 516 c.p.p. L’art. 521, comma 2, c.p.p., su cui tale criticabile prassi si basa, è caratterizzato da una certa incongruenza nella parte in cui equipara le conseguenze della nullità a regime intermedio per fatto diverso a quelle della nullità assoluta per fatto nuovo. In caso di fatto diverso, invero, sarebbe stato sufficiente prevedere la riapertura del dibattimento, invece che disporre la trasmissione degli atti al pubblico ministero (cfr. F. Cordero, Considerazioni sul principio d'identità del "fatto", in Riv. it. dir. proc. pen., 1958, p. 939 e F. Cordero, Procedura penale, 9° ed., Giuffrè, 2012, p. 463).

[14] Cass. pen., Sez. I, 22 gennaio 2003 (dep. 26 maggio 2003), n. 23114, Rv. 224562-01, citata da Cass. pen., Sez. III, 11 aprile 2012 (dep. 13 giugno 2012), n. 23219, Rv. 252901-01, § 3.2 del “considerato in diritto” e dalla sentenza in esame al § 6.

[15] § 8 del “considerato in diritto” della sentenza in esame.

[16] Così Sez. Un., 27 febbraio 2002 (dep. 8 maggio 2002), n. 17179, Conti, Rv. 221403-01, § 11.

[17] Cfr., per un’applicazione in tal senso, Cass. pen., Sez. VI, 7 aprile 2011 (dep. 12 aprile 2011), n. 14557.

[18] Cfr. Sez. Un., 28 novembre 2001 (dep. 11 gennaio 2002), n. 1021, Cremonese, Rv. 220511-01.   

[19] È pur vero che l’art. 623, comma 1, lett. b), c.p.p. include tra i casi di annullamento con rinvio, l’ipotesi in cui sia annullata una sentenza di condanna nei casi previsti dall’art. 604, comma 1, c.p.p.; tuttavia, l’art. 620, comma 1, lett. l), c.p.p. prevede la possibilità per la Corte di annullare senza rinvio in ogni caso in cui lo ritenga superfluo.

[20] Supra nota 16, § 9.

[21] Cass. pen., Sez. VI, 19 gennaio 2017 (dep. 21 aprile 2017), n. 19218, Rv. 269825-01.

[22] § 8 del “considerato in diritto” della sentenza in esame.

[23] Supra nota 21, § 3 del “considerato in diritto”.

[24] Cfr. supra, nota 11.

[25] E. Turco, L’impugnazione inammissibile. Uno studio introduttivo, CEDAM, 2012, pp. 134-135.

[26] Supra nota 4, § 4 del “considerato in diritto”.

[27] S. Carnevale, L’interesse ad impugnare nel processo penale, Giappichelli, 2014, p. 242.

[28] § 9 del “considerato in diritto” della sentenza in esame.

[29] Così è massimata la sentenza Sez. Un., 15 luglio 2010 (dep. 13 ottobre 2010), n. 36551, Carelli, Rv. 248051-01.

[30] Sez. Un, 20 dicembre 2007 (dep. 1° febbraio 2008), n. 5307, Rv. 238240-01, § 11 del “considerato in diritto”.