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  Opinioni  
23 Maggio 2023


Verso una trattazione efficiente delle impugnazioni penali per i soli interessi civili


*Contributo pubblicato nel fascicolo n. 5/2023.

 

1. Una delle più significative innovazioni varate dalla “riforma Cartabia”, con l’obiettivo di rendere più efficiente il processo penale, riguarda la materia delle impugnazioni per i soli interessi civili. Il d.lgs. n. 150 del 2022 è intervenuto chirurgicamente, non solo sull’art. 578 comma 1-bis c.p.p., ma anche sull’art. 573 c.p.p., interpolato con il nuovo comma 1-bis. Il regime che ne è derivato, in vigore dal 30 dicembre 2022, attribuisce al giudice civile la decisione sulle “questioni civili”, appunto in forza dell’art. 573 comma 1-bis c.p.p., in tutti i casi di impugnazione per i soli interessi civili e, a seguito dell’improcedibilità di cui all’art. 344-bis c.p.p., ai sensi dell’art. 578 comma 1-bis c.p.p., in ogni caso di impugnazione anche per gli interessi civili. Si ritiene, per i motivi di seguito esposti, che questo regime sia immediatamente applicabile a tutti i giudizi d’impugnazione non ancora decisi all’entrata in vigore della riforma, a prescindere dalla data di presentazione dell’atto d’impugnazione e dalla data di emissione della pronuncia impugnata.

Il d.lgs. n. 150/2022 ha delineato una disciplina di “compromesso”, politico e tecnico, fra le opposte esigenze in campo, vale a dire, da un lato, quella di tutelare la presunzione d’innocenza dell’imputato dopo la formazione del giudicato sui capi penali e, dall’altro, l’esigenza di agevolare la tutela della parte civile, dalla quale non sarebbe ragionevole pretendere, dopo il giudicato penale, il nuovo esercizio dell’azione risarcitoria davanti al giudice civile. La soluzione compromissoria messa a punto dal legislatore delegato, basata sul trasferimento della stessa azione di danno dal giudizio d’impugnazione penale a quello civile, ha il non trascurabile effetto di ridurre il numero di processi trattati in sede penale, con la possibilità di un risparmio di risorse giudiziarie da destinare al lavoro per le impugnazioni penali (a tutto vantaggio dell’innalzamento del livello qualitativo del controllo cui è preordinato il giudizio d’impugnazione).

Il corrispondente aumento del numero di processi trattati in sede civile, sulla questione dell’an della responsabilità civile, dovrebbe comunque portare a una razionalizzazione del complessivo carico di lavoro giudiziario civile, tenuto conto della corrispondente riduzione dei processi instaurati in sede civile per la sola liquidazione del danno, a seguito di condanna generica ai danni in sede penale (art. 539 c.p.p.). Infatti, nei processi in cui opera il meccanismo introdotto dalla “riforma Cartabia”, la questione del quantum del risarcimento viene dovrebbe essere decisa contestualmente alla questione dell’an della responsabilità civile, con un evidente impatto semplificatorio e acceleratorio del rito civile. Si noti, anche, che l’art. 573 comma 1-bis c.p.p. dovrebbe scoraggiare a monte la stessa costituzione di parte civile, nelle situazioni in cui il danneggiato non ritenga di formulare una ragionevole previsione di condanna dell’imputato, nonostante la solidità del quadro probatorio ravvisata dal pubblico ministero[1].

Pertanto, l’efficienza perseguita dalla riforma, da intendersi in senso cognitivo[2] e non meramente quantitativo[3], va riferita all’intera macchina giudiziaria, non solo con riguardo al settore penale, ma anche a quello civile. Per conseguire l’obiettivo dell’efficienza giudiziaria, senza sacrificio delle garanzie costituzionali del processo penale, il d.lgs. n. 150/2022 ha portato a ulteriore maturazione il percorso evolutivo della disciplina dell’azione civile nel processo penale, teso a circoscrivere i casi in cui il giudice penale si pronuncia sulla domanda risarcitoria, e a demandare per quanto possibile la decisione al giudice naturale[4]. Ciò va a beneficio, in primo luogo, dell’imputato, che evita di dover proseguire la sua difesa nel processo penale, nonostante il passaggio in giudicato della decisione sulle questioni penali (non impugnata agli effetti penali).

In secondo luogo, ne trae giovamento la stessa tutela della parte civile, che può essere protratta in modo più efficiente davanti al giudice naturale, applicando le regole di valutazione della prova e di giudizio proprie del rito civile, in luogo delle più impegnative regole del rito penale. Si tenga presente, in aggiunta, che la trattazione civile dell’impugnazione penale resta subordinata al superamento del fondamentale vaglio d’inammissibilità dell’atto condotto dallo stesso giudice penale, nella prospettiva di un’agevolazione del lavoro cognitivo del giudizio civile, attraverso l’innalzamento dello standard qualitativo dell’atto d’impugnazione. Non sembra azzardato sostenere che l’attribuzione al giudice penale del suddetto vaglio d’inammissibilità costituisca il perno sistematico del congegno basato sul “rinvio” al giudice civile, costruito dal nuovo art. 573 comma 1-bis c.p.p. Il dato normativo riguardante il filtro d’inammissibilità svolge, inoltre, un ruolo decisivo, come si dirà, al fine di risolvere la questione dell’immediata applicazione delle nuove norme nei giudizi d’impugnazione pendenti[5].

 

2. È vero che, nel caso d’impugnazione per i soli interessi civili, il “rinvio” al giudice civile determina la “prosecuzione” del medesimo processo, e non l’instaurazione di uno nuovo. Si tratta di un caso particolare in cui l’impugnazione penale viene decisa dal giudice civile, sempre che l’atto non venga dichiarato inammissibile dal giudice penale. Ma non avrebbe senso applicare, dopo il “rinvio”, le regole del rito penale, in quanto il processo prosegue davanti al giudice civile, per la decisione “sulle questioni civili”, ai sensi del medesimo art. 573 comma 1-bis c.p.p.[6]. La cognizione del giudice civile ha, pertanto, ad oggetto il solo illecito civile. Non dovendosi accertare, seppur incidentalmente, l’illecito penale, non vi può essere spazio per applicare il comma 1 dell’art. 573 c.p.p., nella parte in cui stabilisce non solo di proporre, ma anche di trattare e decidere l’impugnazione per gli interessi civili con le forme ordinarie del processo penale. L’impugnazione proposta con le forme del rito penale viene pertanto trattata e decisa con quelle del rito civile.

È appena il caso di evocare il fondamento della scelta legislativa, derivante dall’obiettivo di preservare, oltre agli interessi della parte civile, la presunzione d’innocenza dell’imputato, per cui «è necessario restringere l’oggetto di accertamento al solo diritto del danneggiato al risarcimento del danno, dopo lo spartiacque del giudicato. È pertanto ragionevole attribuire il compito di decidere al giudice civile, in una situazione in cui devono essere verificati gli estremi della responsabilità civile, senza poter accertare nemmeno incidentalmente gli estremi della responsabilità penale»[7]. Va aggiunto che sarebbe irragionevole attribuire, a questo punto, al giudice civile il compito di decidere l’impugnazione per gli interessi civili con le forme ordinarie del processo penale.

Il d.lgs. n. 150 del 2022 ha sviluppato l’impostazione della giurisprudenza costituzionale relativa all’art. 578 comma 1 c.p.p., disposizione riguardante casi in cui «il giudice penale, nel decidere sulla domanda risarcitoria, non è chiamato a verificare se si sia integrata la fattispecie penale tipica contemplata dalla norma incriminatrice», ma «se sia integrata la fattispecie civilistica dell’illecito aquiliano (art. 2043 cod. civ.)», valutando pertanto se la condotta contestata «si sia tradotta nella lesione di una situazione giuridica soggettiva civilmente sanzionabile con il risarcimento del danno»[8]. Parte della dottrina ha correttamente osservato, sul punto, che, nel caso previsto dall’art. 578 comma 1 c.p.p., «ciò che si accerta non è il reato, ormai estinto, ma il “fatto” che costituisce anche illecito civile; accertamento che, avendo come oggetto un fatto e non un reato, si svolge a pieno titolo in via principale, senza alcuna interferenza con la dichiarazione di estinzione del reato»[9]. Sono considerazioni valide anche con riguardo al caso regolato dal nuovo art. 573 comma 1-bis c.p.p., in cui viene presentata un’impugnazione per i soli interessi civili.

 

3. Poiché l’art. 573 comma 1-bis c.p.p. stabilisce un caso di “rinvio prosecutorio” del giudizio d’impugnazione per la decisione sulle questioni civili, si può sostenere che la “riforma Cartabia” non abbia modificato il quadro normativo di riferimento per la proposizione dell’impugnazione. Il cambio di regime normativo investe, semmai, la trattazione e la decisione dell’impugnazione, vale a dire due dei tre momenti regolati dall’art. 573 comma 1 c.p.p., esso pure interpolato dal d.lgs. n. 150/2022 (con l’eliminazione del termine “soli”, rapportato agli “interessi civili”).

L’atto d’impugnazione deve continuare ad essere costruito, secondo quanto si ricava dalla Relazione governativa al d.lgs. n. 150/2022, «come se si trattasse di un’impugnazione anche agli effetti civili (quindi come se vi fosse anche l’impugnazione agli effetti penali del p.m. o dell’imputato), situazione coperta dall’art. 573 comma 1 c.p.p.»[10], nella parte in cui regola la “proposizione” dell’impugnazione. «L’art. 573 comma 1-bis c.p.p. diventa applicabile dopo che il giudice penale abbia verificato l’assenza d’impugnazione anche agli effetti penali»[11]. A questo punto, si apre la fase della trattazione.

L’impugnazione è trattata, in prima battuta, dal medesimo giudice penale, al quale è attribuita la competenza funzionale ad accertare la non inammissibilità dell’atto d’impugnazione. Va da sé che tale operazione debba essere svolta secondo le forme ordinarie del processo penale. Nel solo caso in cui non rilevi cause d’inammissibilità previste dal codice di procedura penale (per esempio, un ricorso proposto per motivi diversi da quelli di cui all’art. 606 c.p.p.), il giudice penale dispone il rinvio al giudice civile. Questi dovrà, a sua volta, trattare l’impugnazione, prima di deciderla, secondo le forme ordinarie del rito civile, come si desume dall’art. 573 comma 1-bis c.p.p. Infatti, il giudice civile deve stabilire se acquisire o meno prove ulteriori a quelle acquisite nel processo penale, ferma restando l’utilizzabilità di queste in sede civile a norma del medesimo art. 573 comma 1-bis c.p.p. La decisione sulle questioni civili si baserà pertanto sia sulle prove penali, acquisite secondo le forme del processo penale, che sulle prove civili, necessariamente acquisite secondo le forme del processo civile.

A questo punto, possono essere tracciati due ulteriori corollari del regime riformato. In primo luogo, il giudice civile non può ritenere inutilizzabili le prove acquisite nel processo penale (ad esempio, la testimonianza della parte civile), in quanto contrastanti con la disciplina processuale civile. Se così non fosse, i limiti di prova stabiliti dalle leggi civili si applicherebbero anche all’attività di acquisizione probatoria compiuta nel processo penale, in contrasto con il principio generale evincibile dall’art. 193 c.p.p. In secondo luogo, il giudice civile non può nemmeno ritenere inammissibile l’impugnazione al metro della disciplina del codice di procedura civile. Mancherebbe la base normativa per radicare una competenza funzionale del giudice civile, in mancanza di disposizioni che deroghino alla disciplina generale di cui all’art. 573 comma 1 c.p.p. sotto il profilo della proposizione dell’impugnazione, come accade con il regime speciale dettato dall’art. 573 comma 1-bis c.p.p. con riguardo ai profili della trattazione e della decisione dell’impugnazione.

 

4. Il “rinvio prosecutorio” di cui all’art. 573 comma 1-bis c.p.p. è, pertanto, finalizzato alla decisione sull’impugnazione, e non costituisce un effetto della decisione sull’impugnazione, come invece accade nel caso regolato dall’art. 622 c.p.p. (dove la Corte di cassazione annulla la sentenza impugnata rinviando, quando occorre, al giudice civile di grado inferiore). Alla luce di questo rilievo, sembra fondata la tesi di una parte della giurisprudenza di legittimità successiva all’entrata in vigore della “riforma Cartabia”, secondo cui non sarebbe configurabile «alcun atto di impulso della parte interessata» dopo il rinvio al giudice civile, «dal momento che la prosecuzione risulta essere l’effetto del rinvio»[12].

La fondatezza di questa lettura si ricava, innanzitutto, dal fatto che il giudice civile è competente a emettere una decisione sull’impugnazione proposta in sede penale. Infatti, il giudice penale “rinvia” al giudice civile dopo aver accertato che l’impugnazione non risulti inammissibile. In quest’ottica, ad integrare in capo al giudice civile il dovere di decidere sull’impugnazione penale è il provvedimento di “rinvio” adottato dal giudice penale. A sua volta, questo provvedimento deve essere adottato per il solo fatto che l’impugnazione per i soli interessi civili non sia inammissibile. Pertanto, l’atto d’impulso del rito civile è compiuto dal giudice penale.

Inoltre, il giudice civile decide in base ai motivi di appello o di ricorso proposti, il che esclude l’esigenza di emendare l’atto d’impugnazione[13] (ferme le possibili iniziative difensive autorizzate dalla disciplina processuale civile). Una facoltà di emendare l’atto nel suddetto senso dovrebbe essere propriamente stabilita da una norma di legge. Tuttavia, in tal caso, vi sarebbe una decisione del giudice civile sull’atto compiuto in sede civile e non più sull’impugnazione proposta in sede penale (e avrebbe meno senso il controllo d’inammissibilità demandato al giudice penale). Invece, l’assetto normativo definito dalla riforma fa sì che, in sede civile, continui a svolgersi un giudizio d’impugnazione finalizzato al controllo (di merito o legittimità) della decisione penale[14].

I motivi d’impugnazione rilevano, pertanto, al fine di definire l’oggetto del giudizio d’impugnazione, su cui non potrebbe incidere alcun atto compiuto dopo il rinvio al giudice civile. In altre parole, il sistema originato dal d.lgs. n. 150/2022 fa sì che la regiudicanda civile venga circoscritta in sede penale, tramite l’impugnazione proposta per i soli interessi civili. Naturalmente, l’oggetto dell’impugnazione deve essere definito tenendo altresì presente che l’oggetto del processo, non cambia, ma si restringe, nel passaggio della decisione al giudice civile, in quanto riguarda il solo illecito civile, come si desume dal riferimento dell’art. 573 comma 1-bis c.p.p. alla decisione “sulle questioni civili”[15]. Pertanto, la cognizione del giudice civile non può spingersi al punto da verificare l’integrazione dell’illecito penale, a prescindere dal contenuto dei motivi d’impugnazione.

 

5. Se vi fosse un onere di riassunzione del processo civile dopo il “rinvio per la prosecuzione”, finalizzato ad emendare l’atto d’impugnazione proposto in prima battuta in sede penale, vi sarebbe un’alterazione dei limiti cognitivi del giudice civile di appello e della sezione civile della Corte di cassazione. Al contrario, tali limiti non possono che ricavarsi, alla luce di quanto si è sopra esposto, in relazione all’appello, dai punti della decisione ai quali si riferiscono i motivi d’impugnazione (art. 597 comma 1 c.p.p.), in relazione al ricorso per cassazione, dagli stessi motivi d’impugnazione (art. 609 comma 1 c.p.p.), con l’ulteriore considerazione, in entrambi i casi, dei più ristretti contorni della regiudicanda civile (rispetto alla regiudicanda penale).

Pertanto, nell’ambito dell’appello, l’indagine del giudice civile dell’impugnazione non può arrestarsi all’accertamento della fondatezza o infondatezza dei motivi proposti, dovendo esplorare tutte le ulteriori questioni correlate ai punti della decisione, che assumano rilevanza nella prospettiva dell’accertamento dell’esistenza o meno della responsabilità aquiliana. Questo assetto potrebbe, inoltre, portare alla riforma della sentenza penale, nonostante l’inesistenza di errori di diritto o di fatto. Per esempio, il giudice civile potrebbe accertare l’infondatezza del motivo di appello riguardante l’erronea applicazione della regola di giudizio dell’“oltre ogni ragionevole dubbio” e riconoscere la responsabilità civile al metro della regola di giudizio del “più probabile che non”.

Nell’ambito del ricorso, al contrario, l’indagine della Corte di cassazione deve arrestarsi all’accertamento della fondatezza o infondatezza dei motivi, proposti ai sensi dell’art. 606 c.p.p.[16]. Ma la decisione della Suprema Corte dovrebbe tener conto della rilevanza che la questione dedotta con il motivo d’impugnazione potrebbe assumere nel procedimento civile. Per esempio, nel caso di ricorso della parte civile contro la sentenza di assoluzione dell’imputato perché il fatto non è previsto dalla legge come reato, qualora la Corte ravvisi l’infondatezza del motivo di inosservanza della legge penale, dovrebbe pur sempre disporre l’annullamento con rinvio al giudice civile d’appello, affinchè verifichi la riconducibilità del fatto storico accertato dalla sentenza penale allo schema dell’illecito civile (in linea con quanto accade in base all’art. 622 c.p.p.).

Non sembra, invece, fondato sostenere che la sezione civile della Suprema Corte debba applicare «le regole che individuano distinti e non sovrapponibili (soprattutto con riguardo ai vizi argomentativi) motivi del ricorso per cassazione delineati dall’art. 360, comma 1, cod. proc. civ., e le regole decisorie dettate dal codice di procedura civile (ad es., quanto ai casi di inammissibilità, i criteri di cui all’art. 360-bis), mentre resta oscura l’applicabilità della disciplina in tema di procedibilità che si desume dall’art. 360 cod. proc. civ.»[17]. La sezione civile non potrebbe applicare la disciplina processualcivilistica sui motivi di ricorso, per dichiarare l’inammissibilità, essendo priva di competenza funzionale al riguardo; dovrebbe, quindi, limitarsi a giudicare sui motivi di ricorso, verificando la fondatezza delle deduzioni ivi contenute (ad es., la manifesta illogicità della motivazione della sentenza penale).

 

6. Il fatto che l’oggetto del giudizio civile d’impugnazione debba essere definito in base ai punti della decisione penale ai quali si riferiscono i motivi di appello ovvero in base agli stessi motivi di ricorso per cassazione, consente – a parere di chi scrive – di risolvere in senso positivo la questione dell’applicabilità o meno del nuovo art. 573 comma 1-bis c.p.p. ai giudizi d’impugnazione pendenti all’entrata in vigore della riforma. La questione, come noto, è attualmente al vaglio delle Sezioni Unite della Corte di cassazione, a seguito di svariate ordinanze di rimessione pronunciate dalle sezioni semplici[18].

L’immediata applicabilità viene, invero, esclusa dall’orientamento sopra richiamato che non ritiene configurabile un onere di dare impulso al procedimento dopo il “rinvio per la prosecuzione”[19]. Secondo la giurisprudenza che aderisce a questa lettura[20], vi sarebbe l’esigenza di tutelare l’affidamento maturato dall’impugnante ai soli effetti civili «in relazione alla fissità del quadro normativo», in linea con quanto sostenuto dalle Sezioni Unite della Corte di cassazione, nella pronuncia relativa al caso “Lista” del 2007[21], con particolare riguardo al ricorso per cassazione. Tale affidamento deriverebbe dall’interesse della parte stessa «a costruire il proprio atto di impugnazione in modo da poter affrontare un giudizio di legittimità retto da regole diverse da quelle alla stregua delle quali doveva essere superato il vaglio di ammissibilità»[22]. Pertanto, l’affidamento tutelato si radicherebbe sin dal momento in cui sorge il potere d’impugnazione, vale a dire quando viene pronunciata la sentenza, con la conseguenza già individuata dalle Sezioni Unite, «che è al regime regolatore vigente in tale momento che deve farsi riferimento, regime che rimane insensibile a eventuali interventi normativi successivi, non potendo la nuova legge processuale travolgere quegli effetti dell’atto che si sono già prodotti prima dell’entrata in vigore della medesima legge. In altri termini, il quadro normativo delle impugnazioni deve […] essere ricostruito tenendo presente la disciplina del tempo in cui è sorto il relativo diritto»[23]. Tale soluzione, conclude la giurisprudenza, «è coerente con l’esigenza di assicurare alla parte tutto il tempo che il legislatore le riconosce per conformare il concreto contenuto dell’atto di impugnazione alle regole alla stregua delle quali esso verrà deciso»[24].

L’obiezione di fondo cui sembra esporsi la ricostruzione in discorso riguarda la possibilità stessa di ravvisare un interesse dell’impugnante ai soli effetti civili a elaborare l’atto di impugnazione conoscendo la possibilità che esso venga deciso dal giudice civile. In senso contrario all’esistenza di tale interesse sembra deporre un argomento decisivo non considerato dall’orientamento anzidetto, scaturente dal seguente interrogativo. Si tratta, in particolare, di chiedersi se sia ipotizzabile l’esistenza di motivi di appello o di ricorso per cassazione che la parte avrebbe interesse a proporre nella prospettiva di una possibile decisione dell’impugnazione da parte del giudice civile, ma non nella prospettiva di una necessaria decisione da parte del giudice penale. La risposta negativa al quesito discende, a parere di chi scrive, dall’esistenza di un onere dell’impugnante ai soli effetti civili di costruire l’impugnazione come se dovesse essere decisa dal giudice penale, onere discendente dall’esigenza di superare il vaglio d’inammissibilità svolto in sede penale[25]. Tale vaglio non potrebbe essere superato qualora il motivo d’impugnazione (concernente i capi penali della sentenza di proscioglimento) fosse costruito nella prospettiva di una decisione da parte del giudice civile, avendo un necessario contenuto critico rispetto alla decisione penale impugnata (anche nell’ambito dell’appello, ai sensi del nuovo art. 581 comma 1-ter c.p.p.).

Non è pertanto ravvisabile un affidamento da tutelare, nel momento di emissione della decisione penale, il che esclude i presupposti per applicare alla questione di diritto intertemporale di cui si discute il principio di diritto elaborato dalla giurisprudenza “Lista”, con riferimento a ipotesi di modifiche normative concernenti la disciplina dell’atto d’impugnazione (e non gli ulteriori aspetti del procedimento d’impugnazione)[26]. Coglie nel segno l’affermazione giurisprudenziale secondo cui «l’atto al quale occorre fare riferimento per stabilire la legge applicabile deve individuarsi nella decisione del giudice di appello o della Corte di cassazione in ordine alla ammissibilità dell’impugnazione. L’art. 573 comma 1-bis, infatti, non ha introdotto modifiche rispetto all’atto di impugnazione, che continua ad essere indirizzato al giudice penale ed il cui contenuto non varia, ma ha solo previsto la successiva trasmissione degli atti al giudice civile per la decisione in merito alla pretesa risarcitoria»[27]. A ben guardare, «gli atti processuali su cui incide la riforma paiono connotati da autonomia rispetto alla pronuncia della sentenza e alla presentazione dell’impugnazione»[28], il che porta a superare le ragioni evocate per escludere l’immediata applicazione dell’art. 573 comma 1-bis c.p.p. a tutti i giudizi d’impugnazione pendenti all’entrata in vigore della “riforma Cartabia”.  

 

 

 

 

[1] Correttamente si è sottolineato che il fine più profondo della riforma sarebbe quello di responsabilizzare l’«offeso nella scelta della via da percorrere per ottenere il ristoro economico derivante dal reato». V. E.N. La Rocca, Improcedibilità, impugnazione per gli interessi risarcitori e rinvio al giudice civile, in La riforma Cartabia, a cura di G. Spangher, Pisa, 2022, p. 571. V. anche Ead., in E.N. La Rocca e A. Mangiaracina, Le impugnazioni ordinarie: tra “efficienza” e snellimento, in Riforma Cartabia. La nuova giustizia penale, a cura di D. Castronuovo-M. Donini-E.M. Mancuso-G. Varraso, Vicenza, 2023, p. 861, dove si richiama il fine di scoraggiare a monte l’esercizio dell’azione risarcitoria in sede penale.

[2] Nel senso che il processo penale dovrebbe ispirarsi a un criterio di efficienza cognitiva, v. O. Mazza, Tradimenti di un codice. La Procedura penale a trent’anni dalla grande riforma, Torino, 2020, p. 62.

[3] V., per utili spunti, il contributo di M. Gialuz e J. Della Torre, Giustizia per nessuno. L’inefficienza del sistema penale italiano tra crisi cronica e riforma Cartabia, Torino, 2022.

[4] Sul punto, per alcuni riferimenti, M. Bontempelli, Proscioglimento per particolare tenuità del fatto e decisione sulle questioni civili, in Proc. pen. giust., 2023, n. 1, p. 148.

[5] V., infra, par. 6.

[6] Parte della giurisprudenza sostiene che il giudice civile debba applicare la normativa processualcivilistica, argomentando dalla previsione secondo cui il giudice deve decidere utilizzando le prove acquisite in sede penale e quelle eventualmente acquisite in sede civile. Cass., Sez. V, 20 gennaio 2023, n. 3990, par. 3 motivazione.

[7] Relazione illustrativa del d.lgs. n. 150/2022, in Sist. pen., 20 ottobre 2022, p. 163. Cfr., sul punto, M. Gialuz, Per un processo penale più efficiente e giusto. Guida alla lettura della riforma Cartabia. Profili processuali, in Sist. pen., 2 novembre 2022, p. 75.

[8] Corte cost., 30 luglio 2021, n. 182, par. 14 motivazione.

[9] P. Ferrua, La Corte costituzionale detta le regole in caso di sopravvenuta estinzione del reato: la probabile illegittimità costituzionale dell’art. 578, comma 1-bis, c.p.p. introdotto dalla riforma “Cartabia”, in Cass. pen., 2021, p. 3447, corsivo nel testo.

[10] Rel., cit., p. 164. Nel momento in cui viene presentata l’impugnazione per gli interessi civili, la parte non sa ancora se la decisione risulterà impugnata anche agli effetti della responsabilità penale. Cfr., sul punto, Cass., Sez. IV, ord. 16 febbraio 2023, n. 6690, par. 5 motivazione.

[11] Rel., cit., p. 164.

[12] Cass., Sez. V, 20 gennaio 2023, n. 3990. In senso adesivo, sul punto, Cass., Sez. II, ord. 16 febbraio 2023, n. 6690.

[13] Contra, sul punto, Cass., Sez. IV, ord. 16 febbraio 2023, n. 6690, par. 5 motivazione.

[14] «Il giudizio d’impugnazione non ha per oggetto l’azione civile, ma la sentenza che ha deciso sull’azione civile», secondo Cass., Sez. V, 20 gennaio 2023, n. 3990, par. 3 motivazione.

[15] Rel., cit., p. 164, secondo cui «con il rinvio dell’appello o del ricorso al giudice civile l’oggetto di accertamento non cambierebbe, ma si restringerebbe, dal momento che la domanda risarcitoria da illecito civile è già implicita alla domanda risarcitoria da illecito penale (l’illecito penale implica l’illecito civile)». In senso adesivo, ad es., Cass., Sez. IV, ord. 11 gennaio 2023, n. 2854.

[16] La sezione civile della Suprema Corte non potrebbe invece dichiarare l’inammissibilità del ricorso, alla luce della competenza funzionale attribuita al giudice penale. V., supra, par. 3.

[17] Cass., Sez. V, 20 gennaio 2023, n. 3990, par. 3 motivazione.

[18] V., ad es., Cass., Sez. IV, ord. 24 gennaio 2023, n. 2854; Cass., Sez. II, ord. 16 febbraio 2023, n. 6690; Cass., Sez. V, ord. 23 febbraio 2023, n. 8149.

[19] V., supra, par. 4.

[20] V., ad es., Cass., Sez. V, 16 gennaio 2023, n. 4902, par. 1.1.5 motivazione; Cass., Sez. V, 20 gennaio 2023, n. 3990.

[21] Cass., Sez. Un., 29 marzo 2007, n. 27614.

[22] Cass., Sez. V, 20 gennaio 2023, n. 3990, par. 4 motivazione.

[23] Cass., Sez. Un., 29 marzo 2007, n. 27614. Il passo è richiamato, fra le altre, da Cass., Sez. V, 20 gennaio 2023, n. 3990, par. 4 motivazione.

[24] Cass., Sez. V, ord. 23 febbraio 2023, n. 8149.

[25] In tal senso, ad es., Cass., Sez. IV, ord. 24 gennaio 2023, n. 2854.

[26] Ad es., Cass., Sez. III, ord. 22 febbraio 2023, n. 7625, par. 7 motivazione; Cass., Sez. IV, ord. 27 febbraio 2023, n. 8483.  

[27] Cass., Sez. IV, ord. 27 febbraio 2023, n. 8483; Cass., Sez. II, 16 marzo 2023, n. 11279, par. 6 motivazione.   

[28] Cass., Sez. II, 16 marzo 2023, n. 11279, par. 6 motivazione.